Non siamo elezionisti, non siamo parlamentaristi

Siamo astensionisti rivoluzionari

(«il comunista»; N° 90-91; Giugno 2004)

 

 

La propaganda borghese ha sempre utilizzato il periodo delle elezioni come fosse il momento delle grandi decisioni alle quali far partecipare tutta la popolazione. Ma le decisioni che contano non si prendono mai in parlamento, ma durante incontri riservati e nascosti al grande pubblico.

La propaganda borghese ha sempre considerato le elezioni come il meccanismo democratico per eccellenza, attraverso il quale gli elettori delegano per un certo numero di anni i loro candidati «di fiducia» a difendere i propri interessi (propri nel senso di individuali o di categoria, non certo di classe). La fiducia, che i borghesi negano in genere ai propri elettori per tutto il periodo che va da una elezione all’altra, viene regolarmente chiesta ad ogni tornata elettorale. Le promesse elettorali sono molto più inaffidabili delle famose promesse «da marinaio».

La democrazia borghese vuole che i cittadini eleggano i propri rappresentanti affinché questi ultimi esercitino il governo della cosa pubblica e il controllo sulla legalità dei comportamenti di tutti. Secondo la democrazia liberale, i parlamentari devono essere d’esempio a tutti i cittadini, esempio di rettitudine, di correttezza morale, di onestà e di abnegazione nello svolgimento del loro compito. Ma la rettitudine, l’onestà, la candida correttezza morale non è la norma nella politica borghese. Gli interessi personali, quelli di gruppi, di lobby, di mafie, si intersecano e si scontrano normalmente nella società alimentando un vero e proprio sistema di corruttela; quindi non possono non scontrarsi anche nei parlamenti, nelle istituzioni nazionali come nelle istituzioni locali. Gli scandali per ruberie di ogni genere sono all’ordine del giorno.

La democrazia borghese, con la quale l’ideologia borghese assegna alle coscienze individuali la possibilità e la capacità di scegliere quel che più è vicino ai desideri di soddisfazione dei bisogni e di affermazione sociale di ognuno, sottopone la vittoria di determinati interessi al voto della maggioranza che è chiamata alle elezioni. La democrazia borghese non dice però che il dominio politico, economico e ideologico delle classi dominanti borghesi fa sì che gli interessi che la maggioranza vota sono in realtà gli interessi generali della classe dominante borghese , dunque gli interessi di conservazione sociale del capitalismo, della società dominata dall’appropriazione privata delle ricchezze sociali. L’inganno della democrazia borghese sta in questo: far credere al proletariato e al popolo minuto che attraverso il voto cui è chiamato (dalla classe dominante borghese) ogni tanto sia effettivamente possibile rafforzare quelle decisioni che vanno incontro alle esigenze del popolo e imporre quelle decisioni che servono per favorire il benessere del popolo. «Decidere una volta ogni qualche anno qual membro della classe dominante – afferma Lenin – debba opprimere, schiacciare il popolo nel Parlamento: ecco la vera essenza del parlamentarismo borghese, sono solo nelle monarchie parlamentari costituzionali, ma anche nelle repubbliche le più democratiche» (1).

La democrazia borghese mette in evidenza, nonostante la parvenza di contrasti ideologici fra individui, che è l’ideologia borghese, ossia l’ideologia della classe dominante, a dominare sulla società e, quindi, a condizionare pesantemente il pensiero di ogni individuo che vive nella società borghese (Marx, Engels). Il dominio ideologico poggia sul dominio economico e politico sulla società intera, e fino a quando la classe dominante resta la borghesia, sarà la sua ideologia a dominare il mondo. Che questa sia la realtà è provato ogni giorno, soprattutto in questa fase di capitalismo imperialista in cui i mezzi per il consenso sociale e per la propaganda sono monopolizzati dalla borghesia; basti pensare alla radio, alla tv, al cinema, alla scuola, alla chiesa.

I peggioramenti delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato non fanno bene alla democrazia borghese, perché tendono a rivelare la vera causa di quei peggioramenti. Possibile che di fronte a tanta ricchezza sociale prodotta vi sia l’aumento della miseria, della fame, della precarietà della vita e del lavoro per la stragrande maggioranza della popolazione? Noi comunisti sappiamo qual è il rapporto fra ricchezza sociale e miseria crescente: è il rapporto fra capitale e lavoro salariato, ossia fra l’appropriazione privata della produzione sociale e la produzione sociale stessa. Da un lato i capitalisti che si appropriano della produzione sociale, dall’altra i lavoratori salariati dal cui lavoro viene estorto il plusvalore (tempo di lavoro non pagato) e che sono senza riserve, “proprietari” soltanto della forza lavoro muscolare e nervosa che ogni essere umano possiede. La democrazia fa presa sulle masse grazie al mito dell’eguaglianza e della libertà. Il proletario senza lavoro non è «libero di vivere come vuole»; è «liberato» sì dal tormento del lavoro salariato ma solo per precipitare nel tormento di una vita quotidiana che non si può vivere senza un salario, senza denaro. La libertà borghese di sfruttare il lavoro salariato va in parallelo con la libertà del proletario di non farsi sfruttare dai capitalisti, ma con la conseguenza di morire di fame; la libertà borghese uccide la libertà dei proletari. L’eguaglianza borghese è quella tipica del mercato: tutti i prodotti sono merci, dunque ognuno di essi è ugualmente scambiabile con denaro. Ma in questa caratteristica mercantile si nasconde una profonda diseguaglianza sociale: i produttori (i lavoratori salariati) non sono padroni delle merci che producono, perché i padroni delle merci sono i capitalisti, ossia coloro che rappresentano il capitale. Le merci vengono prodotte grazie al capitale e al lavoro salariato, le due forze produttive essenziali nella società borghese, ma l’appropriazione privata della produzione sottrae la produzione alla collettività sociale. L’uguaglianza fra produttori, lavoratori salariati, e capitalisti, appropriatori della produzione sociale, alberga solo nella mistica del mercato. La democrazia borghese alberga, allo stesso modo, nella mistica del mercato.

Le elezioni, d’altra parte, che cosa sono se non il mercato dei voti? La propaganda elettorale non ha altro scopo che piazzare il prodotto-candidato, il prodotto-partito, il prodotto-promessa elettorale, al mercato dei voti, nel tentativo di accaparrarsene il più possibile. Più voti significa più rappresentanti parlamentari, significa più peso politico nelle istituzioni, più privilegi e posti di comando, più risorse economiche e finanziarie a disposizione, alti stipendi e pensioni assicurati, più possibilità di soddisfare gli interessi personali e di lobby dei candidati e dei partiti parlamentari. La scheda elettorale assume così il valore di rischio, con il quale l’elettore «gioca» – come in Borsa – nella speranza di guadagnare facilmente senza faticare troppo. E come succede sempre, il «guadagno» non è mai pari al rischio, anzi, la giocata si svela regolarmente come una grande fregatura.

C’è stato un periodo storico in cui la democrazia parlamentare rappresentava effettivamente un progresso nel senso che attraverso di essa la maggioranza della popolazione si avvicinava alla politica, e dunque si metteva nelle condizioni di emanciparsi dall’isolamento e dall’ignoranza in cui fino ad allora era stata costretta. Ma lo stesso sviluppo del capitalismo, lo sviluppo della concorrenza capitalistica sui mercati internazionali, la ciclicità delle crisi economiche e belliche che hanno punteggiato il corso storico del capitalismo, hanno necessariamente trasformato l’antica democrazia rivoluzionaria, classica e liberale (sempre democrazia borghese), in un complesso e burocratico meccanismo di controllo sociale. Meccanismo che, di fronte a crisi economiche o belliche di grandi dimensioni, salta completamente per lasciare spazio alla tendenza fondamentale e più forte del capitalismo, la centralizzazione del potere economico e del potere politico, fino alla demolizione – nei fatti più che nelle parole – di gran parte dell’impianto di una democrazia che serve ormai soltanto ad ingannare il proletariato perché vada «una volta ogni qualche anno» ad eleggere quali membri della classe dominante borghese devono «opprimere e schiacciare» il popolo nel parlamento, come fuori del parlamento.

Il dominio politico della borghesia sulla società esprime una dittatura di classe. Dittatura di classe significa che tutte le forze del paese, tutte le sue risorse, sono indirizzate a rafforzare il potere politico della borghesia e a difendere i suoi specifici interessi economici, sociali, politici e militari. Questa dittatura non è altro che la rappresentazione sul palco della politica della dittatura del capitale nell’economia. Nulla è peggio per i borghesi che impedire al capitale di sfruttare il lavoro salariato, perché solo da questo sfruttamento il capitale riesce ad estorcere il plusvalore e a riprodursi, riproducendo costantemente le condizioni della sua dittatura economica e politica sulla società.

La democrazia borghese ha il compito di velare la realtà della sua dittatura di classe. Ma questo velo non riesce a nascondere del tutto che lo scopo sociale del dominio borghese non è l’estensione del progresso e del benessere a tutta la società, a tutti i paesi, a tutti i popoli, ma la supremazia sul mercato, la spartizione del mercato mondiale fra le più importanti potenze imperialistiche della terra. E i popoli continuano ad essere oppressi, anzi con il passare degli anni sotto la cappa della dittatura imperialistica della borghesia, i popoli subiscono un’oppressione ancor più grave di quanto l’anno subita all’epoca del colonialismo ottocentesco; e la società continua a vivere in un aggravamento del dispotismo sociale e militare con cui gli imperialismi controllano le masse proletarie e diseredate del mondo.

E’ della Sinistra comunista in Italia la ferma critica della democrazia borghese, dell’elezionismo, del parlamentarismo, del ministerialismo; piuttosto che profondere energie e tempo alla preparazione elettorale, il partito di classe deve profondere energie e tempo alla preparazione rivoluzionaria, per la conquista del potere politico e per la rivoluzione internazionale. La critica alla democrazia borghese era perfettamente condivisa da Lenin e da tutto il movimento proletario rivoluzionario; ma la Sinistra comunista in Italia trasse la conseguenza politica diretta: no alla partecipazione al parlamento borghese, lotta contro ogni illusione democratica, contro ogni opportunismo che voleva giungere al socialismo attraverso la via pacifica del parlamentarismo.

L’astensionismo della sinistra comunista non fu mai l’abbandono della lotta politica contro il capitalismo e contro la borghesia; e non si appiattì mai sulle posizioni anarchiche e anarcosindacaliste che si mostravano contrari al parlamentarismo in quanto contrari ad ogni forma di potere politico.

L’astensionismo dei comunisti di sinistra è strettamente legato alla preparazione rivoluzionaria, ossia alla preparazione del partito e del proletariato alla lotta rivoluzionaria; lotta che si attua irrobustendo teoricamente e praticamente il partito di classe, rafforzando le associazioni indipendenti del proletariato, dando battaglia ai poteri borghesi su tutte le questioni politiche e sociali che riguardano il proletariato e la sua lotta, i suoi mezzi e i suoi obiettivi di lotta.

Oggi in che cosa consiste la nostra preparazione rivoluzionaria? Consiste principalmente nel lavoro di ricostituzione del partito rivoluzionario di classe, sulla base delle battaglie di classe della Sinistra comunista e in legame coerente con la linea teorica che unisce Marx, Engels a Lenin, alla formazione dell’Internazionale comunista e alla lotta contro ogni forma di opportunismo, contro ogni forma di collaborazionismo interclassista. Non ci neghiamo per principio l’intervento nelle lotte proletarie immediate: sarebbe il suicidio politico per dei comunisti. Ma non ci nascondiamo la situazione di grave indietreggiamento del proletariato rispetto all’elementare difesa di classe delle sue condizioni di vita e di lavoro. Questa situazione di estrema debolezza del proletariato non ci induce a «sospendere» e men che mai a «cancellare» dal nostro programma politico l’attitudine fermamente antidemocratica e antiparlamentare che i comunisti degni di questo nome devono avere. Perciò continueremo ad avere attenzione per i problemi della lotta proletaria di difesa immediata, e nella misura delle nostre forze interverremo per contribuire ad una direzione classista delle lotte e alla ricostituzione di un sindacato di classe in assenza del quale lo stesso compito di influenzamento del partito sul proletariato si presenterebbe davvero molto arduo.

Astensionismo dalle elezioni per noi significa continuare a profondere energie e tempo alla costituzione del partito di classe, organo indispensabile, domani, alla conduzione della lotta rivoluzionaria e della rivoluzione. E significa anche propagandare nelle fila proletarie la denuncia della democrazia borghese come uno dei più letali virus interclassisti. Non è un caso che tutte le ondate storiche dell’opportunismo, pur nelle sue molteplici varianti, siano state caratterizzate dalla difesa del principio e del metodo democratico. La democrazia borghese è la linfa dell’interclassismo, della conciliazione fra gli interessi proletari e gli interessi capitalisti, e dunque della rinuncia da parte proletaria di lottare in modo indipendente per propri obiettivi di classe sia sul terreno immediato che su quello più generale politico e storico.

I proletari, anche solo per unire le proprie forze e lottare solidali contro i continui attacchi del padronato, sono costretti a fare i conti con la democrazia borghese, con le sue leggi, le sue sanzioni, le sue polizie, la sua repressione. E’ perciò inevitabile che per riconquistare il terreno della lotta di classe i proletari dovranno calpestare i principi e i metodi della democrazia borghese, magari partendo da uno sciopero ad oltranza o da un picchetto.

 


 

(1) Cfr Lenin, Stato e rivoluzione, Editori Riuniti, Roma 1981, p. 109.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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