Rosso contro tricolore

(«il comunista»; N° 95; Maggio 2005)

 

 

Proletari, compagni!

 

Il rosso è il colore della bandiera proletaria perché ricorda il sangue che i proletari versano quotidianamente nella società dello sfruttamento capitalistico. Il rosso è il colore della lotta fra borghesi e proletari nella quale i proletari di ogni età cadono sotto i colpi della pressione, della repressione e della guerra borghesi.

Il rosso della bandiera proletaria dichiara l’appartenenza di classe, la realtà degli antagonismi di classe che caratterizaano la società borghese, accettando la lotta tra proletariato e borghesia nella sua estensione massima, fino all’urto violento, sanguinoso, rivoluzionario.

Il tricolore è bandiera borghese, con la quale si vuole nascondere la realtà dello sfruttamento capitalistico, idealizzando una comunanza di interessi nazionali fra tutte le classi presenti nella società borghese, e in particolare fra proletari e borghesi. Il tricolore mistifica la realtà sociale nella quale la classe dominante borghese si appropria interamente la ricchezza prodotta dal lavoro salariato del proletariato. Il valore nazionale, interclassista, mistificato del tricolore è osannato da tutti i borghesi, e ovviamente da tutti i servi della borghesia a partire dai collaborazionisti in campo sindacale e politico.

In ogni momento della propria vita da sfruttato, da senza riserve, da schiavo salariato, il proletario è obbligato, costretto, forzato a usare la propria forza lavoro ad esclusivo vantaggio del profitto capitalistico: chi non lavora non mangia, vale innanzitutto per i proletari, obbligati a sottomettersi alle condizioni sociali dello sfruttamento capitalistico. Infatti, un proletario che non ha un lavoro fa la fame, vive nella miseria, viene respinto dalla società ai suoi margini, nell’umiliazione, nella disperazione, o nella delinquenza.

Al proletario, nella società del denaro, del mercato, del profitto, insomma del capitale, non vengono date alternative: o accetta di farsi sfruttare nel lavoro salariato fino alla morte, o è destinato a crepare di fame. Nel nostro mondo occidentale, opulento, ricco, pieno di prodotti di tutti i generi, la morte per fame è meno visibile, ma esiste. Nei paesi a capitalismo meno sviluppato, la morte per fame è la regola, là dove i proletari vengono schiavizzati e sfruttati in modi estremamente più brutali che non in Occidente e dove lo stesso sistema di capitale (ci mettano lo zampino le multinazionali, o meno) provvede ad estorcere dalla loro forza lavoro immense quantità di plusvalore, e dunque di profitto.

Ma il capitalismo, per quanto opulento sia, non garantisce ai proletari nè il lavoro nè una vita decorosa. Più cresce la concorrenza capitalistica a livello mondiale, più aumenta la pressione capitalistica sulla forza lavoro, sulle condizioni di lavoro, e perciò sulle generali condizioni di esistenza. La famiglia proletaria non ce la fa più a mantenere un livello di vita decoroso; essa viene spinta ad indebitarsi fino al collo e ad ogni compromesso per poter arrivare a fine mese, e ciò costringe ad inviare al lavoro tutti i componenti della famiglia, figli compresi.

La concorrenza tra capitalisti viene così trasformata in concorrenza tra proletari, tra schiavi salariati, a partire dallo stesso nucleo familiare. Chi è disposto a farsi pagare di meno, trova più facilmente lavoro; chi è disposto a lavorare in condizioni di sicurezza inesistenti e per più ore al giorno per un salario tendenzialmente inferiore o molto inferiore, trova più facilmente lavoro; chi è disposto a lavorare senza contratto, e senza una scadenza certa di lavoro, trova più facilmente lavoro; chi è disposto a lavorare in nero, diventando così del tutto invisibile, inesistente, praticamente morto, trova più facilmente lavoro. Ma anche in questi casi, la concorrenza fra proletari aumenta in modo crescente trasformandosi in lotta fra disperati: giovani contro anziani, maschi contro donne, o viceversa, ragazzi contro adulti, autoctoni contro immigrati, immigrati contro immigrati.

Nel marasma sociale provocato dall’aumento consistente della crisi economica e delle difficoltà di lavoro, e quindi di vita, la corsa al peggioramento delle condizioni di lavoro non si ferma mai, tutt’altro: essa accelera mettendo i proletari nelle condizioni di dare il proprio sudore e il proprio sangue per un salario sempre più misero e sempre più incerto. Aumentano enormente gli incidenti sul lavoro, e aumentano gli incidenti mortali. Nello stesso tempo, degenerando le condizioni sociali di vita, per cui ognuno è spinto a pensare solo a se stesso, si diffondono sempre più gli aspetti degenerativi collegati alla droga, all’alcolismo, alla prostituzione, alla pedofilia e a mille altri aspetti delinquenziali innestando anche nel corpo proletario reazioni violente indirizzate verso altri individui - a partire dal proprio nucleo familiare - verso cose e beni di proprietà pubblica o di altri. La società del benessere diventa la società del malessere, del disagio, dell’umiliazione continua, della violenza gratuita, del tutti contro tutti.

 

Proletari, compagni!

 

Le immagini di miseria, di disperazione, di morte riguardanti i proletari dei paesi capitalisticamente più arretrati, e che i giornali e le tv portano nelle case, sono in realtà un ammonimento che i capitalisti utilizzano nei confronti dei proletari occidentali: guardate, guardate, quella miseria, quella disperazione, quella morte potrebbero toccare anche a voi se l’economia aziendale, l’economia nazionale andassero male; perdereste il posto di lavoro, il salario, e quindi il tenore di vita che avete finora. Cosa dovete fare per non precipitare in quella miseria, in quella disperazione, in quella morte? Collaborare con i padroni, perché il bene dell’azienda è anche il bene vostro! I sindacati confederali sono d’accordo, perciò li chiamiamo sindacati tricolore!

Più di 1400 proletari morti in incidenti sul lavoro in Italia nel 2004, secondo i dati ufficiali: veri e propri assassinii! Chi ci ha guadagnato? I proletari ci hanno rimesso la pelle, le loro famiglie forse hanno avuto un pezzo di pensione, ma è certo che non se la passano bene. I padroni hanno perso dei lavoratori salariati, ma li hanno sostituiti con altri, magari ad un salario più basso: ci hanno guadagnato sicuramente! W il tricolore...

 

Proletari, compagni!

 

Il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita è una realtà concreta ormai da anni. E il prossimo futuro non lascia intravvedere nulla di diverso che un ulteriore peggioramento.

Continuando a confidare nell’operato dei sindacati collaborazionisti non si fa altro che mettere la vita dei proletari nelle mani di coloro che non hanno alcuna possibilità di difenderla: il loro legame con gli interessi della classe borghese nel suo complesso, rappresentata in particolare dallo Stato, fa sì che ogni rivendicazione operaia minimamente degna di questo nome viene sommersa da rivendicazioni «politiche» di gestione delle aziende, di gestione del personale, di gestione di risorse pubbliche, grazie alle quali sostenere apparati burocratici elefantiaci e confermare il ruolo sociale dell’opera collaborazionista di fedeli servitori della patria borghese.

La via da imboccare è quella della rottura della disciplina al collaborazionismo, della rottura della pace sociale, riprendendo in mano la lotta diretta fuori dalla politica conciliatrice dei sindacati tricolore.

Non è facile imboccare questa strada! Lo stanno a dimostrare gli autoferrotranvieri, gli operai di Melfi, gli operai dell’Alfa, e i mille episodi di lotta operaia che si è opposta all’arroganza padronale sul terreno della dichiarata lotta di classe. Questi episodi di lotta classista sono maturati dopo un lungo logorio di agitazioni e scioperi guidati dal collaborazionismo sindacale che non hanno ottenuto praticamente nulla: gli operai hanno scioperato, hanno peeso giornate di salario senza ottenere nulla! La rottura del metodo conciliatore utilizzato sistematicamente da Cgil Cisl e Uil, ha portato gli autoferrotranvieri a scendere in lotta ad oltranza, fuori dagli schemi di regolamenti che sono stati studiati appositamente per redere le lotte operaie del tutto impotenti; ed hanno ottenuto quel che chiedevano.

La strada è quella di tornare ad essere protagonisti delle proprie lotte impegnandosi direttamente, nelle assemblee, negli scioperi, nelle manifestazioni, ad organizzare la lotta, a difenderla, a renderla compatta ed efficace.

Rosso contro tricolore non è un semplice grido di lotta: è la dichiarazione della lotta di classe, che i proletari accettano a viso aperto contro gli interessi padronali che sono costantemente difesi dagli apparati governativi e dello Stato. Coloro che si frappongono fra gli interessi di classe del proletariato e gli interessi di classe della borghesia, come forze della concertazione sociale e della conciliazione fra le classi, non sono altro che venduti al padronato che li usa esclusivamente come strumenti di controllo sociale sul proletariato.

 

Per la ripresa della lotta di classe, a partire dalle rivendicazioni anche minime di difesa delle condizioni di lavoro e di vita proletarie!

Per la solidarietà di classe fra proletari di ogni nazionalità e razza!

Contro la concorrenza fra proletari, sotto qualsiasi forma venga proposta, rivendicando lo stesso salario per lo stesso lavoro!

Per la diminuzione della giornata lavorativa a salario invariato! Per l’aumento di salario più alto per le categorie peggio pagate! E a chi non ha lavoro: salario di disoccupazione!

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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