Una parola su fecondazione assistita e referendum

(«il comunista»; N° 96; Luglio 2005)

 

La legge sulla procreazione medicalmente assistita n.40, detta anche legge sulla fecondazione assistita, è stata varata dal governo Berlusconi all’inizio del 2004. La sua «necessità» era stata anunciata da tempo da varie forze politiche che intendevano combattere quel che è stato chiamato «far west procreativo» in quanto non esisteva in Italia ancora una legge che regolamentasse le vicende legate alla fecondazione di donne e uomini che potevano avere dei problemi di sterilità, di malattie genetiche, ecc.

Siamo in Italia, non va dimenticato, in un paese in cui l’influenza etica, morale e politica del cattolicesimo e quindi della Chiesa di Roma è molto radicata. Questo significa che ogni problema legato alla vita umana, alla procreazione, al sesso, alla vita di coppia, alla famiglia, all’educazione, all’istruzione, ecc. trova sulla sua strada l’indirizzo della Chiesa, la sua opera di influenza ideologica e pratica. Lo è da sempre sulla questione della famiglia e della scuola, non può non avvenire su questioni legate alla sessualità e alla procreazione. Secondo la concezione religiosa della Chiesa cattolica l’atto sessuale è giustifcato soltanto ai fini della procreazione, e la procreazione è concepita esclusivamente attraverso l’atto sessuale naturale; dunque tutto quel che avviene al di fuori di questo fine e di questa regola (divina, naturalmente) è da rigettare, rifiutare, combattere, impedire.

La Chiesa di Roma se ne è sempre fatta un baffo della regola che attribuisce l’ordinamento sociale della società allo Stato e la cura delle anime alla Chiesa. Ai tempi in cui la Democrazia Cristiana era il più forte partito politico ed era posizionato al centro dello schieramento borghese, la Chiesa poteva contare sulla DC come fosse la sua lunga mano nelle cose dello Stato. Da quando la DC si è frantumata, come il PSI e come tanti altri partiti usciti dalle ceneri del fascismo e della seconda guerra mondiale, la Chiesa cattolica ha dovuto provvedere da sé, più direttamente, per incidere sulle decisioni politiche che in qualche modo potevano riguardarla sia in termini di concezione generale della vita sia in termini molto più prosaicamente materiali ed economici. E non le è andata per niente male, visto che in questi anni è riuscita a mettere le mani su cifre consistenti di tasse pagate allo Stato (l’8 per mille), di contributi diretti a propri sacerdoti che insegnano religione nelle scuole pubbliche (ammontano a 15 mila i «professori di religione» assunti dallo Stato per le scuole pubbliche), di contributi cospicui per le scuole private la cui stragrande maggioranza è in mano alla Chiesa, direttamente o indirettamente. Solo in un paio di occasioni la Chiesa di Roma ha dovuto piegarsi ad una sconfitta, anche se relativa: nel caso del divorzio, e soprattutto nel caso dell’aborto. Per quanto la legge sull’aborto, la famosa legge 194, non sia così favorevole verso le donne che per diversi motivi intendano abortire, comunque sia esiste e rappresenta una spina dolorosa nel fianco della reazione cattolica.

Ma una prima rivincita, la reazione cattolica, l’ha messa a segno. Con la legge 40, attraverso la quale è passato il concetto che l’ovulo fecondato, dunque l’embrione, è già vita umana, è paragonabile giuridicamente ad un adulto: ha gli stessi «diritti».

E’ caratteristico dell’ipocrisia borghese, e del moralismo cattolico, fare dell’inizio di una probabile vita umana la rappresentazione di un volere soprannaturale, del «volere di dio», e in quanto tale assolutamente intoccabile da parte dello straosannato individuo. Che poi quell’inizio di vita umana si sviluppi con deformazioni, con malattie genetiche gravi, o nella miseria più nera, e venga sottoposta ai più diversi modi di sfruttamento economico o lacerato da violenze di ogni tipo, alla Chiesa cattolica importa poco; tanto essa basa tutta la sua «missione» sulla sofferenza degli uomini: se gli uomini smettessero di soffrire l’opera della Chiesa non avrebbe più senso, diventerebbe inutile, superflua, perderebbe ogni influenza ideologica, e pratica, sui gruppi umani, non potrebbe più svolgere quell’attività di consolazione spirituale con la quale pretende di sopperire ai tormenti della vita lavorativa e della vita quotidiana nella società del capitale.

La violenza economica, sociale, ideologica, politica, di cui la società capitalistica e borghese è intrisa in ogni suo poro trova una compensazione nell’opera di consolazione che svolge ogni religione. Ma a sua volta, l’opera delle chiese deve trovare una compensazione nella conduzione della vita sociale da parte degli apparati preposti a tale governo, a partire dallo Stato. Quindi, nel clima mercantile di scambio, le chiese devono poter contare su condizioni sociali in cui le masse siano costantemente indotte, o obbligate, a rivolgersi all’opera delle chiese ogni volta che nella vita quotidiana gli effetti della violenza economica spingono gli individui fuori del controllo diretto del padrone, dell’aguzzino in fabbrica, del capo negli uffici.

E dato che la società divisa in classi, e quindi anche la società capitalistica, è normalmente maschilista, tutto l’apparato giuridico e legislativo tende a rappresentare anche a questo livello la doppia oppressione di cui soffre la donna: quella salariale e quella sessuale.

Anche nella vicenda della cosiddetta procreazione medicalmente assistita, il legislatore borghese considera la donna come elemento secondario, come semplice macchina procreatrice, mentre considera il probabile nascituro come l’elemento primario, la vera risorsa su cui puntare, la fonte di una possibile ricchezza o, meglio, la fonte di un futuro sfruttamento salariale.

Tutte le questioni legate alle coppie sposate o stabilmente conviventi non fanno che dimostrare la regressione non solo ideologica ma anche pratica della classe borghese; una classe che pratica abitualmente lo scambio delle mogli, che crea continui stimoli alla prostituzione, alla mercificazione del corpo, che spinge milioni di persone verso il baratro della solitudine e la conseguente reazione di violenza sessuale preferibilmente su donne e bambini, che alimenta i mercati della pedofilia, dei locali a luci rosse, della pornografia; una classe talmente corrotta e depravata che non ha nemmeno più la meoria delle sue origini rivoluzionarie, quando i suoi ideali di giustizia si andavano a scontrare con la corruzione e la degenerazione di vita e di costumi delle classi nobili e del clero.

La legge 40 non fa che ribadire l’impotenza della classe borghese ad amministrare anche soltanto in senso laico e moderno la vita sociale dei suoi amatissimi «cittadini».

Chi può accedere alle tecniche di fecondazione assistita? Possono farlo solo «le coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi» (art. 5). Quindi non possono farvi ricorso le donne non coniugate o non conviventi con un uomo, le coppie troppo anziane o troppo giovani; e non potrebbero accedervi nemmeno le vedove del marito, o del convivente, donatore, morto prematuramente, neanche nell’ipotesi che egli fosse stato in età potenzialmente fertile. E non potrebbero farvi ricorso nemmeno le coppie fertili cui la fecondazione assistita fosse consigliata da ragioni mediche, di tutela della salute della madre o del nascituro.

Non c’è che dire: una legge che assiste ben poco!

Quel che però è contenuto nella legge, ma non è apertamente dichiarato, è che il concepito, l’embrione, è il nocciolo di tutta la questione. L’obiettivo della legge è fare del concepito, dell’embrione, un soggetto di diritti, un soggetto con capacità giuridica. E questo va incontro direttamente alla concezione della chiesa cattolica, e mette una prima pietra sulla strada dell’abbattimento della legge sull’aborto.

Dando al concepito personalità giuridica - sebbene mai esplicitamente - la legge impone una serie di divieti (arti. 3, 13 e 14). Riprendiamo, come sopra, alcuni esempi dal volumetto «Si può» edito dal ManifestoLibri, maggio 2005, uscito due settimane prima della data del referendum.

Ad esempio, art. 14, si impone di creare un numero di embrioni non superiore a tre, per ogni trattamento, e di procedere ad un unico e contemporaneo impianto. Non è infatti consentita la crioconservazione, salvo gravi motivi di salute della donna. Poiché per l’art. 6 dopo la fecondazione non si può revocare il consenso, la donna è costretta, per legge, a subire l’intervento. Con conseguenze gravissime, quanto paradossali. Se va bene, avrà non uno ma tre figli,se va male dovrà scegliere se affrontare un aborto terapeutico, o mettere al mondo uno o più figli malati o con malformazioni, dato che non si possono fare diagnosi pre-impianto o sopprimere embrioni malformati, ma si può fare l’una e l’altra cosa dopo! Oltretutto l’obbligatorietà dell’intervento è palesemente impraticabile. Il medico dovrebbe chiedere un’ingiunzione al giudice, alla polizia di prelevarla, agli infermieri di legarla? Non potendo operare senza consenso, cosa potrà fare degli embrioni, se non congelaròli o sopprimerli, violando l’esplicito divieto della legge?

Con l’art. 13 si vieta qualsiasi sperimentazione sugli embrioni, ma nel comma seguente la ricerca clinica e sperimentale è ammessa con finalità diagnostiche volte alla tutela dello «sviluppo dell’embrione». Vi si ribadisce, implicitamente, che l’embrione ha dei diritti come fosse persona completa. Salvo poi constatare che la persona adulta, soggetto di diritto secondo la legislazione borghese, e la madre in particolare, non ha diritto a far fare quelle ricerche cliniche che servono a scoprire se l’embrione che verrà impiantato nel suo corpo è geneticamente sano o no.

Insomma si è arriviati all’assurdo per cui l’embrione è intangibile, mentre i nascituri, i nati e gli adulti sono tangibilissimi.La sperimentazione clinica, che molti medici hanno rivendicato per gli embrioni al fine di poter trovare delle soluzioni più efficaci nella cura ad es. del morbo di Parkinson o di alcuni tumori, è del tutto vietata. E qui si svela come la tutela della Chiesa cattolica sulle decisioni politiche della classe boghese dominante, anche se tali sperimentazioni potrebbero aprire per i capitalisti notevoli business, è ancora molto forte.

Ma i proletari in che modo possono essere interessati a questa questione?

In realtà la fecondazione assistita riguarda in Italia circa 30.000 casi, e mediamente il 18-20% dei tentativi di gravidanze va a buon fine. Dal punto di vista numerico non è quindi un fenomeno così vasto, se partiamo da una popolazione di circa 58 milioni di abitanti. Ma dal punto di vista politico e ideologico la questione interessa perché si tratta di una regressione notevole rispetto a quei passi che, sull’onda della pressione delle masse e del loro movimento, erano stati fatti anche a livello legislativo ad esempio sull’aborto.

Vi individuiamo perciò un valore ideologico e politico nella misura in cui la classe borghese dominante tende a peggiorare anche dal punto di vista legislativo le condizioni sociali generali.

Ma la borghesia è costituita anche da frazioni meno baciapile, meno succubi all’influenza della chiesa cattolica, o semplicemente meno coinvolte in business che toccano la banca del Vaticano. E queste frazioni si sono ribellate alla legge 40, tanto da indurle ad organizzare un referendum abrogativo, in un primo tempo molto più drastico, poi più mobido, andando a mirare quei particolari passaggi nei diversi articoli che appunto impediscono alla donna - sposata o meno - di accedere alla fecondazione assistita senza i mille impedimenti previsti dalla legge, e che impediscono la sperimentazione medica sugli embrioni già crioconservati o in eccedenza.

Ebbene, queste frazioni, con il metodo del referendum hanno inteso opporsi a quel tipo di impedimenti, nel tentativo di smussare la legge nelle sue parti più rigide. E’ del tutto logico che borgehsi che si credono illuminati si oppongano a borghesi che si credono guardiani dell’etica. E il metodo dei dibattiti parlamentari, dei loro risvolti mediatici, e della chiamata alle urne in referendum che vanno a modificare qualcosa delle leggi esistenti, fa parte normalmente dei mezzi borghesi a disposizione. Nessuno di questi mezzi è utile alla lotta proletaria, nemmeno alla lotta soltanto ideologica. la dimostrazione sta nei decenni passati fra una elezione e l’altra, fra un referendum e l’altro, fra una legislatura e l’altra: per il proletariato il clima sociale e politico è cambiato solo in peggio, non in meglio. Perciò questo terreno non è terreno feritle per gli interessi proletari di difesa delle condizioni di vita e di lavoro, e tanto meno per gli interessi più generali politici e storici della sua lotta rivoluzionaria.

Il metodo del referendum può però trarre in inganno; si potrebbe credere che, a differenza delle elezioni amministrative e politiche in cui si va a votare un determinato candidato o un partito o una definita coalizione politica di partiti, nel referendum - dato che non si votano persone, ma leggi, articoli di legge o pezzi di articoli di legge - la partecipazione potrebbe essere consentita anche ad un partito, come il nostro, che per posizione politica adotta l’astenzionismo rivoluzionario. In realtà è il sistema di voto che chiede il pronunciamento di una maggioranza attraverso la scheda elettorale che noi critichiamo, e al quale non diamo più alcun valore positivo per la lotta proletaria.

Nel caso specifico di questo referendum, si è assistito all’intervento diretto, e piuttosto pesante, della Chiesa di Roma che col suo numero due, il cardinal Ruini, capo della Conferenza espiscopale italiana, ha inteso dare precise indicazioni al popolo elettore di astensione. Non era mai successo che la Chiesa entrasse così esplicitamentein una contesa elettorale, tant’è l’ha fatto. Può darsi che l’obiettivo di questa intrusione in campo politico sia stato dettato da più fattori, fra cui il timore che l’eventuale vincita del sì al referendum facesse arretrare l’influenza della Chiesa sulla politica italiana ad uno stadio ante-Woityla, e il timore di perdere il prestigio che con Woityla ha guadagnato in termini di autorità etica (già una sconfitta l’aveva dovuta ingurgitare visto che nella costituzione europea non è stato accolto il suggerimento del Vaticano di inserire in modo esplicito le origine cristiane dell’Europa moderna).

Il fatto che anche la Chiesa si sia messa in lizza per dare una indicazione politica al popolo elettore, e in questo caso ha fatto propaganda per l’astensionismo, non deve preoccupare i comunisti poiché essi non potranno essere confusi con i preti solo perché casualmente non si presentano ai seggi elettorali, come non si confondono con gli anarchici che alle urne non ci vanno mai, o con i milioni di indecisi o qualunquisti per i quali l’astensionismo è una pratica di comodo e di disinteresse per le questioni politiche in generale. I comunisti di sinistra, come noi siamo, praticano l’astensionismo non semplicemente per lo schifo che l’uso della scheda elettorale può far sorgere, ma perchè credono di dover combattere anche con il proprio atteggiamento personale la battaglia contro la democrazia e la sua prassi, i suoi metodi e i suoi mezzi.

D’altra parte, quorum o non quorum nel referendum dello scorso 12 giugno, questa legge 40 e le sue eventuali modifiche (che non sono passate appunto per mancato quorum) restano in ogni caso l’espressione reazionaria della borghesia dominante che i comunisti non hanno interesse a criticare continuando la battaglia ideologica e politica contro ogni espressione di conservazione sociale, tanto più se corredata dalla superstizione religiosa.

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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