Proletari nella morsa del fanatismo religioso e delle strumentalizzazioni politiche

(«il comunista»; N° 99; Febbraio 2006)

 

Scontro tra civiltà diverse? La civiltà occidentale attaccata dalla civiltà islamica?

Da tempo i media occidentali fanno da grancassa ad una propaganda che ha per obiettivo quello di indirizzare sentimenti di disagio e di rancore verso un nemico allo stesso tempo «invisibile» e concreto. L’attacco alle Torri gemelli di New York nel settembre del 2001ha dato il via a questa forma di «difesa» della «civiltà occidentale», della «democrazia» contro la «barbarie» di civiltà - mediorientali e orientali - che la globalizzazione del mercato ha avvicinato alle metropoli occidentali.

Nella realtà capitalistica c’è sempre stato bisogno - per mobilitare le masse a prendere in carico la difesa e la conservazione della società capitalistica in quanto tale, sviluppata o arretrata che fosse - di trovare degli argomenti ideologici che insistessero sui tasti più primitivi della vita sociale, come la paura di un nemico sconosciuto, il panico per un futuro di disastri e di orrori, il timore di perdere tutto a causa di fattori esterni dalla propria volontà. Nella realtà dello sviluppo capitalistico portato al massimo come nell’attuale periodo storico, l’acutizzazione dell’individualismo, la sempre più aspra concorrenza fra individui, la continua e sempre più diffusa sopraffazione quotidiana da parte di chi ha in mano un minimo di potere economico, politico, culturale o sociale, provocano per reazione forme di primitivismo che la borghesia rivoluzionaria aveva conosciuto e combattuto nella vecchia e decrepita società feudale.

I tempi dell’ascesa rivoluzionaria della borghesia sono passati da quasi cent’anni. L’intero globo terracqueo è ormai conquistato dal capitale, dalle sue leggi e dal suo condizionamento, tanto che la società del mercato, del profitto, del valore appare come un «naturale sviluppo» della società umana. Al lungo periodo di progresso, prima rivoluzionario e poi riformistico, la borghesia non poteva che far seguire un periodo di reazione e di ritorno alla «barbarie». Come per ogni società divisa in classi antagoniste, così anche per la società borghese nella tendenza storica ascensionale e di sviluppo economico e sociale si innesta una tendenza contraria, di reazione, che corrisponde all’ultimo stadio di sviluppo del capitalismo che Lenin chiamò imperialismo.

E, come per ogni società divisa in classi antagoniste, così anche per la società borghese - in questo caso elevato all’ennesima potenza - si assiste ad uno sviluppo storico ineguale: vi sono paesi e Stati che si sviluppano capitalisticamente prima di altri e che conquistano il dominio economico, politico e militare su interi continenti e sul mondo. Nella «naturale» lotta di concorrenza che lo sviluppo capitalistico avvia fin dal suo primo apparire, e alimenta costantemente sviluppandola in un andamento spasmodico in parallelo con lo sviluppo economico e finanziario dei grandi trust e dei grandi Stati, è inevitabili che si crei una forbice fra paesi capitalisticamente sviluppati e paesi capitalisticamente arretrati; forbice che è destinata ad allargarsi anche se nel tempo qualche paese arretrato - per una serie di combinazioni di fattori favorevoli allo sviluppo capitalistico, come nel caso della Cina e dell’India - riesce ad avviare un processo di industrializzazione a scapito non solo di molti altri paesi arretrati ma anche di alcuni paesi già sviluppati.

E’ la situazione economica, il grado di sviluppo economico e le condizioni in cui questo sviluppo avviene, che fanno da base reale a tutte le forme di giustificazione ideologica degli interessi specifici legati a quello sviluppo e a quelle condizioni soggettive e oggettive in cui lo sviluppo si realizza.

Nello stesso tempo, va di pari passo la tendenza sempre più marcata all’oppressione economica, politica,e militare, dei paesi arretrati e più deboli da parte dei paesi capitalisticamente più avanzati, i quali - proprio per ragioni di concorrenza mondiale fra i grandi Stati, e quindi fra i vari capitalismi nazionali - sono spinti ad acutizzare sempre più la loro pressione e la loro oppressione nei confronti dei paesi «terzi».

I paesi sono fatti di territori, di popolazioni, di vita sociale, e affondano le proprie radici in un passato anche molto antico, che era fatto di culture primitive ma anche di culture molto elevate. E quasi sempre, di fronte alla gigantesca pressione capitalistica, di fronte alle ciniche leggi del mercato e della concorrenza, molti di questi paesi non hanno a disposizione se non quelle famose radici culturali antiche nelle quali trovare una qualche forma di identità, di tradizione che contribuisce a sopravvivere nel mondo capitalistico che ha di fatto sconvolto qualsiasi radice culturale precedente. Oltretutto, questi paesi hanno assistito e assistono ad una vera tragedia che si prolunga nel tempo: il capitalismo detta legge, sradica tradizioni ed economie primitive, sconvolge equilibri precedenti, succhia senza alcuno scrupolo le risorse naturali che ha interesse a sfruttare e le stesse risorse umane in termini di masse da schiavizzare nel lavoro salariato, ma non porta alcuno sviluppo economico, e quindi sociale. Non esiste scambio se non dettato esclusivamente dall’interesse immediato e futuro dei gruppi o degli Stati capitalistici che in quei determinati paesi sono sbarcati per spoliarli sistematicamente. Ecco perché la famosa forbice tra paesi capitalisticamente sviluppati e paesi arretrati è destinata ad allargarsi e non a restringersi. Ed ecco perché, ai malesseri, ai disagi e all’immiserimento di masse sempre più grandi che tali arretratezze provocano, corrispondono forme diverse di reazione e di ribellione, violente e spesso primitive.

Tra le varie forme di identità culturali e di tradizioni antiche, è assodato che la religione assume un peso determinante. In un certo senso, è l’ideologia che meglio resiste nel tempo. Più la società divisa in classi accentua le sue divisioni, la concorrenza, le sperequazioni, le discriminazioni, e più la propaganda borghese fa acquistare alla religione un valore di speranza, presentandola come un valore che «supera» l’individualismo, che accomuna, che «identifica», attraverso il quale sembra possibile dare un senso ad una vita lacerata e distrutta dal cinico interesse di profitto, dallo sfruttamento bestiale e dalla precarietà della vita, dalle distruzioni provocate dalle guerre o da cataclismi quasi sempre dovuti a inefficienze del sistema borghese e capitalistico. Questa tendenza non caratterizza soltanto i paesi arretrati, ma anche i paesi sviluppati, come dimostra la pressione in Europa da parte di molte forze politiche di inserire negli articoli della Costituzione europea il riferimento alle radici giudaico-cristiane.

La religione è l’oppio dei popoli, recita una famosa affermazione di Marx, e le conferme si hanno continuamente. Le superstizioni contenute nelle diverse fedi religiose fungono esattamente da oppio, da intontimento collettivo, da sedativo sociale, da lobotomizzazione diffusa. In virtù di queste qualità sociali è anche uno strumento di controllo sociale, e diventa, a seconda dei periodi storici e del grado di scontro fra Stati e interessi economici contrapposti, strumento di conflitto e di guerra.

Sebbene sia evidente a tutti che i contrasti emersi da decenni in Medio Oriente gravitano tutti intorno al petrolio e al gas naturale, fonti di energia vitali per il capitalismo supersviluppato, la propaganda borghese - sia cristiana e occidentale che islamica e orientale - mette sempre più in evidenza il supposto scontro fra religioni, fra «civiltà». Ma dietro queste ideologie vi sono interessi economici giganteschi, legati appunto al controllo del petrolio e del gas naturale di cui i paesi mediorientali sono ricchi.

Di più, gridare allo scontro fra religioni e fra «civiltà» permette alle borghesie dei due fronti di mobilitare le proprie masse, e in particolare il proletariato, sul terreno della difesa nazionale, della difesa di una «identità» che nulla ha a che vedere con i reali interessi di classe delle masse sfruttate e immiserite dal capitale, dalla propria borghesia nazionale oltre che dalle borghesie dei paesi più potenti interessati al controllo di quelle risorse.

Quanto economicamente più debole rispetto ai concorrenti internazionali, la classe borghese del paese dato incita, alimenta, organizza, arma, la ribellione religiosa, il fanatismo, solitamente per interposto gruppo. E l’obiettivo è sempre duplice: contrastare gli interessi concorrenti, tenendo alta la tensione sociale, e coinvolgere i proletari alla collaborazione di classe, all’identificazione con gli interessi della borghesia nazionale o sue frazioni distinte. E’ il caso di tutti i gruppi cosiddetti terroristici, come Hamas, Al Qaeda, ecc. o, ieri, lo stesso Al Fatah o l’OLP. Ma è anche il caso dei regimi che sono al potere «legittimamente» come Israele che del sionismo ha fatto il proprio collante sociale, o l’Iran con il suo integralismo islamico.

Può succedere, come di recente in Palestina, che uno strumento come la democrazia elettorale e parlamentare, alla resa dei conti, dia un risultato per nulla favorevole agli interessi immediati dei gruppi di potere legati o condizionati dagli Stati più forti. Al Fatah perde le elezioni, mentre le vince, e non per una manciata di voti, Hamas. Il mondo occidentale è preso in contropiede. Come, la democrazia che è lo strumento principe della civiltà occidentale, dà un risultato non allineato con gli schemi attesi? Molto imbarazzo pervade tutte le cancellerie d’Europa e d’America.

Israele, maggiormente interessato alle vicende palestinesi, oggi sta a guardare, ma è come se avesse previsto una situazione di questo genere. La ghettizzazione di Gaza, da cui ha ritirato le proprie truppe ma non ha ritirato l’assedio, è uno dei modi di strangolare la popolazione palestinese; la costruzione del muro in Cisgiordania è a sua volta non il riconoscimento di un confine fra due Stati diversi, ma il ribadimento di un territorio trasformato in una grande prigione dalla quale nessuno può uscire senza un puntuale controllo e con difficoltà inenarrabili. Per non dimenticare il fatto che Israele tiene saldo il controllo del denaro (come i diritti doganali, le transazioni commerciali e bancarie, ecc.) che dovrebbe giungere nelle casse dell’Autorità palestinese, e che, come ha dichiarato ultimamente, non ci pensa proprio a versarlo ai legittimi destinatari visto che al potere è salito un gruppo «terrorista».

Ai palestinesi - dato che è del tutto assente la lotta di classe, e quindi una prospettiva completamente diversa da quella patriottica e collaborazionista - dopo che Al Fatah e l’OLP hanno fallito circa la costituzione di uno Stato indipendente e quindi di una identificazione nazionale laica, viene offerta solo una alternativa, quella dell’identificazione religiosa che un gruppo come Hamas ha alimentato per anni attraverso la sua propaganda armata. La vittoria elettorale di Hamas è, in verità, più una vittoria data dalla disperazione di un popolo che non un primo passo verso una sorta di emancipazione dall’oppressione nazionale di Israele. I proletari palestinesi si dovranno accorgere fra non molto che Hamas non rappresenta uno sbocco per la loro situazione di doppia oppressione, salariale e nazionale, come non lo rappresentava ieri Al Fatah. I borghesi di Hamas usano il fanatismo religioso come cemento a presa rapida, ma i loro interessi di classe, economici e politici, non sono conciliabili con gli interessi dei proletari palestinesi i quali continueranno a subire l’ulteriore oppressione, quella della propria borghesia nazionale, non importa che oggi vesta i colori verdi dell’islam, mentre ieri vestiva i colori dell’OLP. Alla prima protesta per mancanza di lavoro o per un salario più decente, la risposta sarà la repressione, armata naturalmente. La via d’uscita per i proletari palestinesi non sta nell’abbracciare la bandiera verde dell’islam, ma nell’abbracciare la propria causa di classe, separando la propria lotta da quella delle classi borghesi, anzi combattendole perchè la loro sopravvivenza è garantita soltanto dallo sfruttamento del proletariato palestinese e dal mantenimento delle condizioni di controllo sociale che hanno permesso finora, ad altre frazioni borghesi palestinesi, di accedere ad aiuti economici e finanziari da parte ad esempio dei paesi europei interessati a far sì che la polveriera palestinese non scoppi.

Ma altre polveriere sono distribuite in mezzo mondo, e in particolare nel mondo cosiddetto mussulmano.

La vicenda che tiene banco in queste ultime settimane è legata a vignette satiriche che prendono in giro Maometto, e che sono state pubblicate su un giornale danese. Che sia stato un pretesto per infiammare di fanatismo le masse è fin troppo evidente. Pubblicate mesi fa, vengono ora utilizzate per sollecitare la piazza contro le rappresentaze dei paesi occidentali; è evidente la strumentalizzazione da parte di forze che hanno interesse a tenere alta la tensione anti-occidentale. Scontro di civiltà? Qui non c’entra la civiltà, c’entrano «impuri» e nudi interessi economici che emergono fra contrasti di diverso tipo: contrasti tra frazioni della stessa classe borghese, contrasti fra Stati, contrasti fra gruppi e trust che a loro volta foraggiano, sostengono, alimentano una lotta di concorrenza attraverso le tensioni sociali, manovrando di nascosto naturalmente.

Il fatto che molti imam siano intervenuti per calmare le folle, indicando loro la tolleranza e la non-violenza, ma non abbiano di fatto ottenuto un risultato, la dice lunga sugli interessi che muovono, come marionette, le folle invasate di fanatismo religioso.

I proletari che cosa ci guadagnano da questi movimenti di piazza? Nulla, al contrario ci perdono e molto. Nella misura in cui è il fanatismo religioso a tenere la piazza, e non la lotta di classe, significa che i proletari non esprimono la propria rabbia, per le condizioni in cui sono costretti a vivere e a lavorare, sull’unico terreno che può dare dei risultati concreti, e che può unificare le forze del proletariato: il terreno della lotta di classe. Il credo religioso, come diceva Lenin, deve restare un fatto privato, e finchè viviamo nella società capitalistica la nostra bussola, la bussola proletaria, è data non dalle superstizioni ma dalla lotta in difesa degli interessi immediati e futuri dei proletari in quanto proletari, in quanto lavoratori salariati, non in quanto cristiani, musulmani o ebrei.

Per quanto le mobilitazioni di piazza sotto le insegne religiose possono spaventare e complicare gli stessi affari che le borghesie fanno tra di loro, per le classi borghesi è certo preferibile che le masse sfoghino i loro disagi, la loro rabbia, le loro reazioni violente contro simboli, edifici o persone sotto motivazioni di ordine religioso, perché queste motivazioni, in generale, rientrano nel controllo sociale delle masse e sono molto, ma molto meno pericolose per il potere di classe della borghesia di quanto non sarebbe la lotta di classe, la lotta attraverso la quale i proletari si riconoscono antagonisti della propria borghesia, oltre che delle borghesie degli altri paesi.

Per un altro verso, le manifestazioni di intolleranza religiosa che attraversano i paesi musulmani in questi ultimi anni, dimostrano anche che la politica borghese non ha strumenti civili e pacifici validi per superare quell’intolleranza. Di fatto, spinte come sono ad arraffare sempre di più e in ogni situazione anche un minimo di vantaggio sui concorrenti, le classi borghesi dei paesi più forti tendono ad affrontare i contrasti con i concorrenti con i mezzi della pressione militare; e lo fanno contemporaneamente con l’intervento diretto - come è stato il caso nei Balcani, in Somalia, in Afghanistan, in Iraq - e con l’intervento indiretto, per interposte forze - come in Africa e in America Latina -. Si assiste da anni ad un andamento sempre più vorticoso di interventi militari, e ciò non fa accelerare il processo di contrasti economici che sboccherà inevitabilmente in una terza guerra mondiale.

La propaganda religiosa, nel frattempo, va a sorreggere gli interessi di parte delle diverse classi borghesi al potere. Il proletariato, e solo lui in quanto classe di lavoratori salariati, ha un’alternativa: può relegare il problema religioso a fatto essenzialmente privato nella misura in cui riconquista il terreno della lotta di classe, il terreno della difesa esclusiva dei propri interessi di classe. Questa è la condizione generale perché il proletariato non continui a farsi mobilitare e massacrare per difendere interessi borghesi, sotto le bandiere del nazionalismo o sotto le bandiere dell’identità religiosa.

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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