La sbornia euforica dei mondiali di calcio

All’oppio religioso, la borghesia aggiunge il potente narcotico dello sport

(«il comunista»; N° 101; Settembre 2006)

 

 

La propaganda martellante dei media borghesi già prima dell’andata in finale della nazionale di calcio italiana, aveva ampiamente esaltato le «gesta» dei calciatori nostrani in funzione di sollevare lo spirito nazionalistico, interclassista, collaborazionista di tutti gli italiani che dovrebbero essere uniti al di là delle differenze di classe nel gioire dei risultati raggiunti nei campi di gioco internazionali. Già allora era giunto stridente questo messaggio di fronte a risultati per niente esaltanti in campo della nazionale, ma evidentemente la borghesia pensava di utilizzare eventuali vittorie in funzione di potente collante in vista di prossimi sacrifici da imporre ai proletari.

Enormi schermi organizzati nelle piazze principali, servizi speciali, commentatori di ogni risma, fino a telegiornali quasi tutti impostati al tripudio dopo la vittoria ai rigori della nazionale e gli schiamazzi notturni organizzati dai tifosi sfogatisi con l’immancabile tricolore. I commenti di politici borghesi di governo e istituzioni hanno fatto il resto nell’esaltare l’unitarietà di sentimenti e gioia per la vittoria ai mondiali, ma che deve essere intesa anche come unitarietà di interessi in vista delle difficoltà del paese che in questo modo riuscirà a superarle diventando più competitivo, ed aggredire meglio, con questo spirito di rinnovato sostegno patrio, i concorrenti sul mercato straniero.

Ancora più dei mondiali dell’82, la borghesia italiana si è preparata ad utilizzare il sentimento gioioso per il gioco del calcio in funzione dei suoi interessi di unificazione dei proletari verso una stagione di sacrifici che vedranno peggiorare le loro condizioni di lavoro e di vita ancora di più, sacrifici che si rendono necessari per la crisi molto più acuta che si sta delineando all’orizzonte dei mercati internazionali. I proletari, purtroppo, nel dimenarsi nelle piazze con il tricolore dimostrano di cadere nella trappola dell’interclassismo e di non riuscire a separare la propria condizione di vita e di lavoro da quella dell’apparato della distrazione della borghesia, e quindi di essere ancora lontano dal loro terreno specifico di lotta per i propri interessi immediati che li faranno scendere in piazza con ben altro spirito e con ben altri obbiettivi specifici.

Anche nell’esprimere gioia per il gioco del calcio, o qualsiasi altro sport, i proletari non lo possono fare «liberamente», ma sono costretti a farlo all’interno di modi e strutture predisposte dalle istituzioni borghesi e incanalati in funzione delle esigenze di dominio e conservazione della borghesia, oggi per sostenere un governo di sacrifici imposti soprattutto ai proletari, domani per far sostenere a quegli stessi proletari o ai loro figli i sacrifici delle guerre imperialiste.

I mondiali di calcio, naturalmente, vogliono dire montagne di soldi per gli organizzatori, per gli sponsor, per i media, per tutte le attività che utilizzano la passione per lo sport a fini economici propri. Ma c’è appunto l’aspetto sociale, l’aspetto del coinvolgimento in un sentimento di unità nazionale che sta particolarmente a cuore alla borghesia dominante. Più i proletari pensano e seguono il calcio, o il ciclismo, il gran premio motociclistico o la formula 1, il basket o la box, le imprese nelle regate atlantiche o le olimpiadi, e più deviano la propria attenzione dai problemi della lotta sociale, più mantengono lontana e dimenticano la lotta proletaria di classe; allenano il proprio cervello all’imbonitura generalizzata occupandolo di passioni e nomi e squadre che non potranno mai essere utili ai fini della lotta per la sopravvivenza. L’organizzazione della deviazione dal terreno di scontro classista è un obiettivo ben preciso della borghesia dominante, diventa un’arte, un’arte di governare il consenso.

Sono cose che diciamo da molto tempo; l’oggi ha semplicemente amplificato, grazie alla tecnica moderna legata alla tv, alla telefonia mobile e a internet, l’effetto rincoglionitore dello sport. Per esempio, a proposito del Tour de France del 1949, si può leggere:

«In ogni paese milioni di uomini e donne, giovani e vecchi, passano le loro giornate in appassionati dibattiti e a sostenere la superiorità di questo o quel campione, per intere settimane essi non vivono che nella trepidante attesa di notizie sulle vicende del Tour trasmesse oltre che dalla stampa dai mezzi più moderni di diffusione. Per tutta la durata dell’epica lotta, fusi nell’unica grande e nobile passione della bicicletta, essi non pensano ad altro. Tutto ciò spiega a sufficienza e giustifica pienamente il grande interesse delle organizzazioni borghesi per il Tour come del resto per ogni altra manifestazione sportiva.

«Noi non siamo contro lo sport, e pur aborrendo da ogni forma di divismo e di campionismo sportivo, possiamo anche ammirare questi ragazzi dai muscoli d’acciaio, che sanno correre migliaia e migliaia di chilometri con medie orarie spettacolari. Ma è nostro dovere dimostrare alle masse come la borghesia alimenti fino all’esasperazione la passione sportiva delle folli ai fini della propria conservazione.

«C’è naturalmente, come in ogni manifestazione sportiva, l’altro aspetto, quello economico del Tour, i tutt’altro che trascurabili interessi dei produttori di macchine, degli organizzatori delle corse sui velodromi, ecc. ecc. Ma l’aspetto più importante di queste manifestazioni risiede nel loro valore e significato sociale: distogliere l’attenzione delle masse dai loro problemi politici e sociali, e convogliare energie ed entusiasmi fuori dell’alveo delle lotte sociali.

«All’oppio religioso, la borghesia ha saputo aggiungere il potente narcotico dello sport e non si può negare che essa sappia servirsi dell’uno e dell’altro» (su «battaglia comunista» n. 30, 28 luglio – 3 agosto 1949).

Certo che oggi, tale è il business legato alle diverse manifestazioni sportive, che si rischia sempre più spesso di ammirare muscoli d’acciaio ottenuti e mantenuti con sostanze dopanti, così pericolose da portare anche alla morte, come è successo a Pantani.

Resta il fatto che il potente narcotico dello sport è un’arma molto efficace nelle mani della borghesia che, d’altra parte, non ha inventato nulla se fin dai tempi dell’antica Roma ogni imperatore si doveva impegnare in Panem et circenses! Ed è così potente da avere effetto sedativo sul famosissimo calcio-scandalo che ha coinvolto le maggiori squadre di calcio italiane: Juventus, Milano, Lazio, Fiorentina, e poi la Reggina, e tante altre, scuotendo non poco tutto il mondo che gira intorno al business del calcio. Le prime sentenze di condanna della «giustizia sportiva» – che voleva dare un esempio importante di restaurazione delle regole punendo non in forma soltanto simbolica le squadre che si erano macchiate di vari illeciti (partite comprate, arbitri venduti, ecc.) – sembrava che andassero nella direzione di «ridare smalto» al campionato italiano di calcio, considerato a torto o a ragione il più spettacolare del mondo, tanto più dopo che la nazionale di calcio italiana, nonostante i suoi giocatori facessero parte quasi tutti delle squadre coinvolte nello scandalo, giunta in finale, vinse. Ma dove girano miliardi e miliardi non c’è scandalo che possa fermarne il meccanismo. Prima o poi lo Scandalo diventa scandalo, per poi passare a semplici episodi di corruzione di qualcuno dei personaggi che si sono approfittati della loro posizione di privilegio; tangentopoli insegna. Il circo deve continuare ad attirare le masse come se non fosse successo niente!

 

Partito comunista internazionale

 www.pcint.org

 

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