L’arte del «distinguersi» a parole ma non con i fatti

(«il comunista»; N° 104; Giugno 2007)

 

 

Chi segue la stampa dei gruppi politici che si richiamano alla Sinistra comunista, in particolare a quella «italiana», si sarà accorto che nel Luglio del 2005 abbiamo iniziato a pubblicare una nuova versione della manchette del giornale con un testo esplicativo dal titolo «Distingue il nostro partito», poi raccolto in opuscolo nel maggio 2006.

Quel testo aveva l’obiettivo di spiegare il contenuto della manchette che, come parte integrante della testata, accompagna ogni numero del nostro giornale . Questa manchette non ha modificato assolutamente la sostanza politica del contenuto precedente; ha, in realtà, doverosamente recepito il lungo lavoro di bilancio delle crisi del partito di ieri, integrando la sua vecchia versione con definizioni meno generiche nella lotta contro ogni deviazione opportunista e collaborazionista alla luce, appunto, del disastro politico e organizzativo provocato dalla crisi esplosiva che colpì il «partito comunista internazionale-programma comunista», mandandolo letteralmente in frantumi, nel 1982-84.

Con un tempismo degno di un bradipo  il nr. 2, Aprile 2007, del «programma comunista» pubblica un testo intitolato «Distingue il nostro partito». Vuoi vedere che, sebbene a 25 anni dalla crisi esplosiva del partito di ieri, il gruppo che pubblica il nuovo «programma comunista» ha finalmente messo mano ad un suo bilancio della crisi esprimendo così quegli elementi significativi che lo distinguono da tutti gli altri gruppi politici o partiti che si richiamano alla Sinistra comunista italiana, compreso il nostro?

Cari compagni, simpatizzanti, lettori occasionali, rimarrete delusi. Quel testo non è il risultato del bilancio sulle crisi del partito, lavoro che il nuovo «programma comunista» non ha mai nemmeno iniziato; e non è neanche un tentativo di offrire, ai propri adepti e a coloro che seguono quel giornale, una propria specifica identità politica su cui far leva nella polemica inevitabile non solo con tutti gli altri gruppi che si rifanno alla Sinistra comunista italiana, ma anche con ogni altro gruppo o partito di estrema sinistra.

Ma c’è un’aggravante. Il testo pubblicato da «programma comunista» non è stato scritto ora come si potrebbe supporre leggendo la sintetica presentazione. E’ un vecchio testo del 1976 che si pubblicò allo scopo di spiegare perché, dall’inizio di quell’anno, la manchette del giornale era un po’ diversa da quella precedente (1). Il testo veniva introdotto, infatti, da queste parole:

 «Ogni numero del nostro giornale reca di fianco alla testata una manchette che da qualche mese si distingue nella forma, non nella sostanza, da quella precedente solo perché, dovendosi adottare un testo unico per le pubblicazioni del partito in diverse lingue, si è cercato di rendere più immediatamente comprensibili, e più completi per i proletari dei rispettivi paesi, alcuni punti della breve epigrafe».

A quell’epoca, infatti, la necessità di rendere i punti contenuti nella manchette comprensibili a proletari di altri paesi non solo d’Europa, ma d’America, del Medio Oriente e dell’Africa, poneva il problema di modificare una terminologia che risultava troppo ermetica per chi non aveva nella propria storia di lotta politica esatta cognizione  di che cosa significasse «Livorno 1921» o «degenerazione di Mosca». Di fronte, perciò, ad uno sviluppo del partito in altri paesi non si poteva non rispondere a quell’esigenza di maggiore chiarezza.

Perché mai il nuovo «programma comunista» non ha speso nemmeno una riga per chiarire ai propri militanti e ai propri lettori che stava ripubblicando - senza cambiare una parola, va detto - un testo del 1976, con i titoletti che furono inseriti nella versione ad opuscolo, testo  nato per quell’esigenza di maggior chiarezza che abbiamo or ora ricordato? Che cosa c’è da nascondere?

E’ certamente argomento centrale della  propaganda di partito quello della propria identità politica: affermare quel che distingue il partito da ogni altro partito politico - quindi non solo dai partiti dichiaratamente borghesi, ma anche dai partiti falsamente operai e falsamente comunisti e rivoluzionari - è particolarmente impegnativo, soprattutto se lo svolgimento della lotta fra le classi sprofonda - come ancor oggi avviene - le classi proletarie di tutto il mondo nella più devastante ondata opportunistica e controrivoluzionaria che si sia mai presentata sulla scena storica. Ancor più impegnativo, e doveroso, per il partito che pretende essere di classe, comunista, rivoluzionario, erede della gloriosa tradizione del bolscevismo leninista e della Sinistra comunista italiana, fare i conti con la propria storia, con le sconfitte e con i propri errori.

Lenin, nel suo discorso in difesa della tattica dell’Internazionale Comunista, al 3° congresso dell’IC, luglio 1921, sosterrà con forza che: «Non dobbiamo temere di far conoscere al nemico i nostri errori. Chi ha questo timore non è un rivoluzionario. Al contrario, se diremo apertamente agli operai: “Si, abbiamo commesso errori”, vorrà dire che nell’avvenire non li ripeteremo e che sapremo scegliere meglio il momento...» (2).

Purtroppo, a contraddire Lenin ci si mise la controrivoluzione borghese e la debolezza teorica e politica dei partiti aderenti all’Internazionale Comunista, primi fra tutti i partiti dell’Europa Occidentale. Ma di errori il partito proletario ne fece ancora e tale fu l’ondata opportunista che il partito proletario non riuscì a salvarsi in termini di continuità ideologica e organizzativa. Il monito di Lenin, però, non si doveva perdere; e la Sinistra comunista italiana si ritrovò alla fine la sola corrente a non perdere il filo del tempo, a difendere ad ogni costo la tradizione del più autentico bolscevismo marxista.

E’ indubbio, per noi, che la devastante crisi che nel 1982-84 ha distrutto il «partito comunista internazionale-programma comunista» non va ascritta alle colpe di qualcuno (fosse individuato in un capo che non seppe guidare con accortezza il partito, o in una cricca di intrusi insinuatasi nel partito per corromperlo, o in un centro che diede troppo spazio all’attività pratica o poco spazio al confronto interno delle opinioni). La crisi che ha mandato in frantumi il partito di ieri è stata lo sbocco di una serie di errori tattici e organizzativi che ne hanno indebolito - come già successe all’Internazionale Comunista - la saldezza teorica; e quando tra la teoria e la prassi si frammise una barriera, quando gli atteggiamenti pratici furono abitualmente distanti e contrapposti ai dettami programmatici e teorici, allora il virus del movimentismo, del praticismo, del successo a breve e senza troppa fatica, svolse tutta la sua potente attività mettendo a durissima prova la resistenza di una compagine di partito già da tempo succube di un maledetto localismo in cui non poteva che fiorire e svilupparsi la peste del democratismo e del personalismo. La cura non fu, e non poteva essere, la controffensiva attendista, l’arroccamento sulla propaganda dei principi, il ritiro dall’attività pratica in una difesa letteraria del programma e dei capisaldi teorici. Mancò la lotta politica, intesa alla Lenin, che non avesse timore dello scontro sul piano teorico e politico generale e, se necessario, della scissione. Non ci fu scissione, nella chiarezza teorica e politica, ci fu invece esplosione delle contraddizioni accumulate. Se non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà, per quanto penosa  e amara, e di fare i conti con la propria storia, non si avrà mai la forza di guidare il proletariato mondiale a fare i conti con la storia, o meglio con la preistoria borghese e capitalistica. Rivoluzionari che hanno paura della propria ombra sono rivoluzionari da operetta!

La compresenza di più deviazioni - l’attendista, la movimentista, la democratica - spinse la stragrande maggioranza del partito in una specie di strettoia paralizzante e il centro nel vicolo cieco dell’espedientismo. L’esplosione dell’organizzazione nell’ottobre 1982, e la inesorabile degenerazione nei successivi 1983 e 1984, portarono ogni tendenza al suo naturale sbocco: gli attendisti si separarono anche tra di loro raggruppandosi nelle rispettive «sezioni» come fossero piccoli feudi o in forza dei legami sentimentali;  i movimentisti, negando al partito  ogni funzione di guida e di orientamento del proletariato, sostenevano la necessità di sciogliersi nei movimenti vi si sciolsero; i democratici,  non trovando di meglio che riorganizzare quel che restava del partito sulla base delle opinioni che i singoli compagni e le singole sezioni esprimevano di volta in volta sulle diverse questioni pratiche da affrontare, finirono il lavoro di smantellamento della vecchia organizzazione fino a scomparire dalla scena qualche anno dopo.

Il gruppo che, nel 1984, si riorganizzò intorno al giornale «il programma comunista» solo grazie ad un’azione legale attraverso la quale fece valere la proprietà commerciale della testata, è il gruppo che, per di più, sostenne la tesi della cricca insinuatasi nel partito per corromperlo, negò la necessità di fare un bilancio della crisi del partito, abbandonò i compagni delle sezioni estere al loro destino, teorizzò che passato l’uragano della crisi si trattava soltanto di «riprendere il cammino» come se nulla fosse successo, tentò di ridiventare un po’ più numeroso cercando accordi con gruppi già organizzati per proprio conto al di fuori del partito - come avvenne con Schio, a conferma del metodo espedientistico. Con questo curriculum è più che ovvia, allora,  l’attitudine a non prendere mai posizione politica,  a tenersi sempre sulle generali: come per tenersi «le mani libere» per eventuali mosse non proprio in linea con la prassi intransigente cui la Sinistra comunista si è sempre richiamata. Di pari passo, quindi, va l’attitudine a nascondere gli errori fatti nella speranza probabilmente che col tempo vengano dimenticati, e limitarsi perlopiù - su temi più complessi e ostici - a ripubblicare vecchi testi di partito.

A scanso di equivoci, affermiamo che non siamo per nulla in disaccordo con il testo del 1976 sul «distingue il nostro partito»; lo facciamo nostro come molti altri testi di partito, di anni precedenti e di anni successivi. D’altra parte è un  testo che aveva uno scopo limitato e che si riteneva allora sufficiente per spiegare a grandi linee l’apporto di chiarificazione alla manchette storica del giornale. Un importante esempio di integrazione chiarificatrice - di ben più ampio respiro - è quella avvenuta dopo la seconda guerra mondiale nei confronti del  programma politico del partito comunista d’Italia del 1921, che il nostro partito ha sempre fatto proprio: alla luce di un necessario bilancio dinamico degli avvenimenti storici determinati dalla seconda guerra imperialistica e dalle sue conseguenze, si rese  necessario aggiungere 4 punti supplementari che da allora formano parte integrante del Programma del Partito Comunista Internazionale.

Il vecchio compagno Bruno Maffi, purtroppo anche lui caduto definitivamente, con la crisi del 1982-84, nel pantano del personalismo e del localismo (3), portò - in difesa dell’azione legale in tribunale, intrapresa nel 1983 allo scopo di riprendere il controllo della testata «il programma comunista» - l’argomento della «salvaguardia dell’onore» del partito e della testata che lo rappresentò per trent’anni togliendola dalle mani della famosa «cricca» che in quel torno di tempo dirigeva il partito. Inutilmente cercammo di dissuaderlo da un’azione che avrebbe segnato per sempre il gruppo politico che lo seguiva come un gruppo che non potrà «più venire sul terreno del partito rivoluzionario» (4).

L’onore del partito, e della testata che lo rappresentò per tanti anni, poteva essere salvato soltanto con una decisa lotta politica in difesa delle posizioni marxiste e della prassi tradizionalmente tenuta dalla Sinistra comunista, ma mai in tribunale. Mettere nelle mani della giustizia borghese la decisione per cui un determinato gruppo, o una determinata persona, abbia il diritto legale rispetto ad altri - e solo in virtù di una fittizia proprietà commerciale esistente solo nella formula burocratica che la legge impone - di rappresentare la continuità ideologica e organizzativa del   partito rivoluzionario, significa ridicolizzare il programma politico del partito rivoluzionario che rivendica piena e assoluta indipendenza da ogni istituzione, associazione, organizzazione politica, economica, sociale o  religiosa della classe dominante borghese; significa gettare la gloriosa tradizione di battaglie di classe della Sinistra comunista alle ortiche mistificandone i contenuti; significa fare commercio dei principi.

Non sarà certo la ripubblicazione di un vecchio testo come il «distingue il partito» del 1976 a mettere il nuovo «programma comunista» al riparo dai propri errori!

 


 

(1) Vedi «il programma comunista» n.8, 23 Aprile 1976, l’articolo intitolato «Dintingue il nostro partito», poi, nell’Aprile 1977, raccolto in un ciclostilato dallo stesso titolo che conteneva anche l’articolo «Norme orientative generali (in materia di organizzazione)» pubblicato nel 1949, n.13, dell’allora giornale di partito «battaglia comunista».

(2) Lenin, Opere, vol. 32, Editori Riuniti, p. 453.

(3) A tal proposito vedi l’articolo Mantenere omogeneo e coerente il partito di classe sulle basi programmatiche e politiche già definite dalle battaglie della Sinistra comunista, significa anche lottare costantemente contro le deviaizoni democratiche e personalistiche che lo aggrediscono periodicamente. Il vecchio Bruno Maffi se n’è andato, in «il comunista» n. 87-88, Ottobre 2003.

(4) Vedi la nota intitolata «Al lettore», pubblicata nei numeri 1, 2 e 3 del 1952 de «il programma comunista», anticipata da una nota con lo stesso contenuto pubblicata nel n.16 del 1952 di «battaglia comunista» quando ancora l’azione legale intentata dal proprietario commerciale della testata non aveva ottenuto il risultato voluto, ossia l’estromissione del direttore responsabile (allora era Bruno Maffi) dalla sua funzione tecnica.

 

 

Partito comunista internazionale

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