La lotta di classe non è “in difesa della democrazia”, ma lotta in difesa esclusiva degli interessi di classe, immediati e futuri, del proletariato

(«il comunista»; N° 114; Ottobre 2009)

 

 

Napoli, 5 ottobre 2009

 

Gli scontri avvenuti a Napoli il 30 settembre scorso tra un corteo di manifestanti, proclamatosi antifascista, e la polizia, ha fatto eco in tutta Italia. Questa manifestazione, così determinata e partecipata sembra nascere quasi in controtendenza. Le contraddizioni presenti sul territorio nazionale sono ben presenti anche in Campania, soprattutto nel napoletano. Qui,  attualmente, la reazione dei lavoratori minacciati di licenziamento o cassa integrazione non ha fatto registrare un movimento di piazza paragonabile alla manifestazione «antifascista» del 30, anche se vi è un accenno al cambiamento di rotta nella gestione delle vertenze, dall’estrema subordinazione alle scadenze e agli obiettivi che hanno le istituzioni, all’effettiva pressione della mobilitazione di piazza affinché i proletari ottengano condizioni di vita ben più decenti della miseria che le istituzioni elargiscono; cambiamento di rotta che si auspica che possa essere raggiunto realmente a breve termine. La vicenda INNSE di Milano ha dato il «la» a questo cambiamento, stimolandone l’emulazione oramai su scala nazionale; ma è evidente che protestare vigorosamente in fabbrica non basta: ci vuole la solidarietà proletaria territoriale e la mobilitazione di piazza, organizzate intorno a piattaforme di lotta unificanti.

Per non parlare poi del movimento dei disoccupati, che nel napoletano ha una lunga storia di lotte; esso oggi si ritrova nuovamente diviso e contrapposto in varie liste, e continua ad essere preso in giro dall’assessorato locale: prima col cosiddetto  Progetto Isola  (Inserimento sociale attraverso il lavoro) e poi, a scadenza della proroga, sarà la volta di una agenzia pubblica, che verrà presentata come un’altra vittoria del «movimento», ma in realtà non sarà che un’altra forma di lavoro interinale. Infine, come ciliegina sulla torta, il 30 settembre ed il 15 ottobre scorso e’ stato varato un doppio bando per  la selezione di una “terza tranche” di  disoccupati al “Progetto Integrato per l’Orientamento”. In cosa debbano essere orientati i senza lavoro è davvero misterioso . Ma il vero colpo di scena è che il primo bando è rivolto solo ai disoccupati di “lunga durata”, vale a dire a quei soggetti che hanno perso il lavoro da almeno 12 mesi  o sei mesi, se giovani da 18  a  25  anni. Chi non è stato mai occupato secondo il d. lgs 181/2000  non  viene  definito disoccupato ma “inoccupato”. In pratica, almeno formalmente, con il primo bando i disoccupati organizzati venivano, nella stragrande maggioranza, completamente bypassati  in nome di una presunta trasparenza. Il secondo invece è rivolto agli inoccupati di “lunga durata” e rimette tutti in gioco, ma, come è evidente, con un’ulteriore frammentazione. La debolezza della piazza, simboleggiata dall’assenza di una  piattaforma di lotta con rivendicazioni proprie e di classe e dalla presenza di una forte concorrenza tra proletari è recepita favorevolmente, è ovvio, dal governo locale. Comunque vada, è presumibile che sia  i “disoccupati” che gli “inoccupati, alla fine di un lungo iter, comprensivo di un successivo corso di «formazione», percepiranno un assegno di disoccupazione intorno ai 500 euro e a scadenza rinnovabile. Le reazioni a questa ennesima presa in giro sono sterili o restano latenti alla base dei movimenti, frenati  e ostacolati  da una burocrazia e da un opportunismo che dominano oramai  tutte le organizzazioni. La «piazza», in realtà, vede un movimento frammentato, deluso, burocratizzato, incapace di tornare ad essere protagonista effettivo della difesa esclusiva delle proprie condizioni di vita e in grado di modificare a proprio vantaggio le concessioni che, interessatamente, le istituzioni propongono ad una parte soltanto dei proletari. 

La «piazza» ha invece risposto in modo diverso, come si è visto, alla notizia dell’occupazione di un vecchio convento di proprietà comunale, lo scorso 12 settembre, da parte di un gruppo di elementi definitosi “CasaPound”. Questi  soggetti, secondo un’intervista al leader di Casa Pound, si  definiscono  “i nuovi fascisti del terzo millennio”. “Non sono reazionari, ne’  conservatori, ne tanto meno di destra”, ma sono dei “rivoluzionari”. “Non riconoscono la croce celtica”, il loro simbolo sembra essere “la tartaruga”!?. Il motivo è che questo rettile porta dietro di sé la propria casa, e loro sono per “il mutuo sociale”. “CasaPound” è ”un associazione che si propone di portare avanti un progetto che proietti nel futuro il patrimonio ideale e umano che il Fascismo italiano ha costruito con immenso sacrificio”. “Il loro saluto non e’ quello romano” ma quello “legionario”. Il più grande statista italiano, per loro, non è Berlusconi  ma Mussolini. («Corriere del mezzogiorno», 1/10/2009).   Il motivo per cui avrebbero occupato l’ex convento nel popoloso quartiere di Materdei sarebbe quello di “ridare dopo trent’anni una struttura bellissima e abbandonata al quartiere”.(ibidem). Queste affermazioni sono dei veri e propri vaneggiamenti da parte di persone strumentalizzate e che ripetono a memoria frasi costruite appositamente per impressionare, sebbene sostenute da pratiche e azioni provocatorie. Come a Roma, a Milano e in altre città, questa «destra radicale» si differenzia dalla vecchia destra per una sorta di mistura di argomenti, simbologie e pratiche dei vecchi provocatori fascisti con terminologia, simboli e pratiche che sono stati dei movimenti di «sinistra» (come ad esempio Che Guevara, le occupazioni di edifici da tempo disabitati ecc.).

Centri sociali, studenti, disoccupati organizzati, comitati contro la discarica di Chiaiano e Coordinamento di immigrati si sono riuniti nella vicina piazza Dante intorno alle undici del mattino per una manifestazione antifascista indetta in occasione dell’anniversario delle 4 giornate di Napoli del 1943, e per protestare contro questa occupazione. Era presente anche l’assessore regionale Corrado Gabriele di Rifondazione, e la sua presenza ha fatto così scalpore al punto che il deputato del Pdl  Laboccetta dichiarava che avrebbe inoltrato un’interrogazione urgente al ministro Maroni “per chiarire il ruolo dell’assessore negli incidenti”. Comunque sia, il corteo risultava essere ben partecipato con alcune migliaia di persone. L’antifascismo democratico, evidentemente, riesce ancora a portare in manifestazione migliaia di persone, cosa che non avviene per la difesa delle condizioni proletarie elementari di vita.

La manifestazione si è svolta abbastanza tranquillamente anche se la tensione si avvertiva già alta. Tutto bene fino all’incrocio tra via Santa Teresa e vico Sant’Agostino degli Scalzi, a pochi metri da Salita San Raffaele sede dell’ex convento occupato, dove un folto schieramento di celerini in assetto antisommossa e alcuni blindati ostruivano il passaggio. Dal megafono un portavoce dei manifestanti chiedeva di apporre una targa commemorativa a ricordo delle quattro giornate di Napoli in Salita San Raffaele. Da sopra i tetti gli occupanti del monastero osservavano il corteo schernendo i manifestanti. Non c’è voluto molto perché scoppiassero i tafferugli all’impatto tra celerini e manifestanti. Lacrimogeni e manganelli da un lato e scudi di plexiglass e mortaretti dall’altra. Le scene ricordavano le manifestazioni contro il G8 di Genova, con cassonetti rovesciati per fare barricate. La gente, solo incuriosita, si affacciava dai balconi. Il bilancio degli scontri era alla fine di alcuni feriti tra i manifestanti e le forze dell’ordine.      

La presenza dei centri sociali ha caratterizzato questa manifestazione. La loro visione di tipo anarcoide e interclassista è espressione delle illusioni democratiche e degli interessi immediati della  piccola borghesia. Il connubio con le tendenze di tipo resistenziale, ancora radicate nella classe, alimenta l’illusione democratica che da decenni paralizza il proletariato. La democrazia è, in realtà, l’altra faccia della stessa medaglia dello Stato borghese il cui vero volto è quello dittatoriale. Il fascismo, in effetti, ha rappresentato la forma repressiva della borghesia negli anni ‘20-’30, in una fase storica, cioè, in cui il suo potere era realmente minacciato da una classe operaia organizzata a livello internazionale e spinta alla conquista rivoluzionaria del potere politico. Il fascismo, che è appunto la dittatura aperta e dichiarata della borghesia, è un’arma che può senz’altro essere riutilizzata se il montare della lotta di classe e rivoluzionaria del proletariato rimette seriamente in pericolo il dominio borghese sulla società. Ma è il metodo democratico di governo che la classe dominante preferisce adottare, perché è il metodo che ha più possibilità di allungare la vita del dominio borghese, anche se, pur sconfitto militarmente, il fascismo ha lasciato in eredità alle “democrazie vincitrici” l’accelerazione alla centralizzazione politica e al coinvolgimento interclassista del proletariato, oltre alla soddisfazione dei bisogni primari di vita attraverso una fitta rete di ammortizzatori sociali. Sconfitto su scala mondiale dall’opportunismo stalinista e dal riformismo socialdemocratico, il proletariato fu condotto alla corte delle potenze democratiche che insieme alla Russia  rappresentavano l’altro fronte borghese della seconda guerra mondiale. La mistificazione stalinista ha tenuto banco fino ad oggi, facendo perdere al proletariato la propria memoria storica, la propria tradizione di classe, il proprio internazionalismo. E’ quindi comprensibile che le reazioni proletarie ai colpi ricevuti dalla crisi economica capitalistica, siano confuse, frammentarie, episodiche, slegate le une dalle altre, illusorie o velleitarie. Ma sono le stesse contraddizioni sociali della società capitalistica che spingono i proletari a reagire, e la loro  lotta non può esprimersi oggi che con i mezzi usati nei tempi più recenti; perciò sono ancora prigionieri di pratiche dipendenti dalle abitudini alimentate dalle organizzazioni sindacali e dai partiti tricolore, interclassisti, che difendono innanzitutto la «democrazia». Si comprende, allora,  che, di fronte alle azioni di movimenti che del «fascismo» fanno la loro bandiera, scendano in piazza anche in migliaia. 

Lo Stato borghese, che sia democratico o fascista, è comunque al servizio della classe dominante borghese: esso difende in modo prioritario ed esclusivo gli interessi di classe della borghesia che affondano le loro radici nel modo di produzione capitalistico che è basato sullo sfruttamento del proletariato da quando è al potere. La forma politica dello Stato borghese dipende dal rapporto di forza tra la borghesia e il proletariato, rapporto di forza che a sua volta dipende dalla lotta fra le classi. Democrazia e fascismo sono forme diverse di potere politico dello Stato capitalista con funzioni diverse e utilizzate in periodi storici a differente livello di scontro fra le classi. In ogni caso, con una o l’altra forma di governo, la borghesia ha lo scopo di ottenere lo stesso risultato: mantenere saldamente in mano il potere politico, e il dominio sulla società. A questo scopo serve anche la politica dell’antifascismo democratico, perché attraverso questa politica se, da un lato, si tende a compattare le masse proletarie in un “unico fronte” – quello dell’antifascismo interclassista – che sostanzialmente non toglie potere alla classe borghese, caso mai lo rafforza, dall’altro lato rappresenta la politica del “dividi et impera” che la borghesia attua sistematicamente attraverso la concorrenza fra proletari trasformando in questo modo la contrapposizione di classe tra borghesia e proletariato, in contrapposizione tra proletari (proletari con professioni, categorie e livelli diversi, proletari immigrati o autoctoni, proletari giovani o anziani, maschi o femmine, cattolici o musulmani, ecc.).

L’attacco senza precedenti che sta sferrando la borghesia in questa fase non e’ meno peggio che se ci fosse il fascismo. E’ il più adatto alla fase. La borghesia, col pretesto della crisi economica, sta profittando per rimangiarsi quanto più possibile le conquiste degli anni Settanta che gli operai hanno ottenuto con la lotta. E questo lo sta facendo e continuerà a farlo sotto qualsiasi forma di un governo, “democratico” o “dittatoriale” che sia. Questa operazione non potrebbe attuarsi facilmente se le masse proletarie opponessero la loro lotta classista, se la difesa intransigente delle loro condizioni di vita e di lavoro fosse attuata attraverso politiche sindacali e organizzazioni sindacali coerenti con questa difesa. La pace sociale, la politica delle compatibilità e dell’interesse “comune” fra proletari e capitalisti, che i partiti operai opportunisti e i sindacati collaborazionisti hanno favorito, sostenuto, realizzato e difeso, e che ancora stanno difendendo, hanno portato e portano al soffocamento delle spinte genuinamente classiste degli strati proletari più combattivi. E’ su questo terreno che deve avvenire la rottura, la contrapposizione fra proletariato e borghesia, classi antagoniste non per «scelta» ma per condizione sociale e storica.

Finché il proletariato non sarà in grado di liberarsi della cappa di riformismo e democratismo sotto la quale è costretto da decenni di controrivoluzione, finché il proletariato non si libererà dei falsi comunisti e dei sindacati tricolore, riorganizzandosi in associazioni immediate di classe che si danno obiettivi esclusivamente di classe, che usano mezzi e metodi esclusivamente di classe – che corrispondano cioè alla difesa esclusiva degli interessi di classe del proletariato nella prospettiva dell’unificazione delle lotte e della solidarietà di classe fra tutti i proletari senza discriminazione alcuna – i proletari ricadranno continuamente nelle sabbie mobili dell’interclassismo, nelle politiche e nelle pratiche del collaborazionismo sindacale e politico. La classe dominante borghese scarica sistematicamente sulle condizioni proletarie di vita gli effetti delle crisi della sua economia; essa salva i suoi profitti peggiorando le condizioni di vita proletarie, sacrificando milioni di vite proletarie gettate nella miseria, nella disoccupazione, nelle guerre. Il paradosso è che la classe borghese fa di tutto, con la sua propaganda, col ricatto economico, con la pressione sociale, con la repressione diretta e attraverso l’opera degli opportunisti, per piegare i proletari alle sue esigenze di classe, per far passare la sua economia, il suo dominio sociale e politico, come il non plus ultra della società civile e progressista. I morti sul lavoro, i morti nei disastri ferroviari, i morti nelle alluvioni, negli incendi o nei terremoti  gridano vendetta ogni giorno! Solo la ripresa della lotta di classe può fermare questa continua carneficina. 

La lotta di classe non sarà una lotta antifascista a favore della democrazia, ma sarà la lotta unitaria di tutta la classe organizzata per i propri esclusivi interessi, con propri organi di classe e con il suo partito comunista contro la classe dei capitalisti, contro lo Stato capitalista qualsiasi forma esso assuma.

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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