Rigettiamo il ricatto della Fiat, complici i collaborazionisti sindacali, che intende fascistizzare ulteriormente l’organizzazione della produzione in nome del profitto e del mercato!

Contro il dispotismo di fabbrica, lotta proletaria indipendente dalle esigenze dell’azienda!

(«il comunista»; N° 117; Giugno 2010)

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Proletari, lavoratori!

 

Con l’accordo-ricatto alla Fiat di Pomigliano d’Arco i padroni intendono far accettare a tutti i proletari e non solo agli operai di fabbrica, condizioni di lavoro sempre più bestiali in cambio di un salario da fame; con la crisi economica e la conseguente diminuzione delle vendite hanno perso sostanziosi profitti, e li vogliono recuperare velocemente sulla pelle degli operai.

Aumento dell’orario di lavoro attraverso straordinari che diventano ordinari, settimana di lavoro a 18 turni su 24 ore giornaliere compreso il sabato, pausa di mezzora per mangiare solo a fine turno, si tolgono pause (da 2 da 20’ cad. si passa a 3 da 10’ cad.) monetizzandole, l’assenteismo oltre una certa percentuale viene sanzionato non pagando la malattia spettante all’azienda, inoltre qualsiasi violazione individuale di questa organizzazione del lavoro viene sanzionata con provvedimenti disciplinari fino al licenziamento.

Non è la prima volta che i padroni mettono mano alle condizioni di lavoro e di salario peggiorandole. Nei contratti nazionali di lavoro non c’è un capitolo che non sia stato modificato negli ultimi 20 anni per togliere qualsiasi «rigidità» sull’utilizzo dell’orario di lavoro da parte delle aziende o sugli automatismi salariali spostando tutto sull’incentivo alla produttività; anche le assenze per malattia sono regolate in modo più restrittivo dato che troppe malattie brevi, a lungo andare, riducono i termini di conservazione del posto di lavoro, non parliamo poi delle condizioni di sicurezza e di nocività sul lavoro per prevenire infortuni o malattie professionali che non sono  neanche più materia di contrattazione, delegato com’è tutto quanto alla legge borghese che dalla parte dei proletari non è stata mai.

Tutto ciò non è avvenuto con imposizione violenta da parte del padronato, ma con la collaborazione volontaria e attiva dei sindacati tricolore di Cgil, Cisl, Uil che hanno sempre condiviso fino in fondo le esigenze del mercato, della competitività delle merci, della produttività da garantire alle aziende per far fronte alla concorrenza internazionale, collaborazione che hanno sempre spacciato per necessaria alla difesa del posto di lavoro, e quindi di un salario per quanto misero, ma al prezzo di sacrifici sempre più pesanti per i lavoratori. E i posti di lavoro, con relativo salario, sono stati persi lo stesso!

Il tanto osannato «mercato» con le sue «leggi obiettive», fatte passare come esigenze prioritarie e alla fin dei conti comuni a capitalisti e proletari, non hanno mai garantito il posto di lavoro dei proletari, soprattutto in periodo di crisi economica! Le centinaia di migliaia di lavoratori che hanno perso il lavoro e le centinaia di migliaia di giovani in cerca di lavoro senza trovarlo, o trovandolo a condizioni di precarietà cronica e a salari da fame, lo dimostrano fin troppo chiaramente. I maggiori sacrifici imposti ai lavoratori dalle misure di austerità varate dal governo si vanno a sommare ai drastici provvedimenti che i singoli capitalisti stanno prendendo da anni per rendere più redditizie le loro aziende, come dimostrano gli innumerevoli casi che riguardano non solo le grandi aziende come la Fiat ma anche le medie e piccole aziende strozzate ancor più dai debiti e dalla crisi di mercato. E questo non avviene solo in Italia; è davanti agli occhi di ogni proletario il caso della Grecia, e sta avvenendo perfino nei paesi più potenti e ricchi come la Germania, nei quali i proletari si trovano esattamente nelle stesse condizioni di debolezza dovute a decenni di collaborazionismo interclassista delle organizzazioni sindacali e politiche cosiddette operaie.

 

Proletari, lavoratori!

 

Nell’accordo proposto dalla Fiat per Pomigliano d’Arco non c’è solo un nuovo e più pesante giro di vite alle condizioni di lavoro e di salario dei lavoratori; questa volta la Fiat vuole avere la certezza preventiva che i lavoratori si adeguino a condizioni di lavoro più bestiali (a Melfi nel 2004 i lavoratori fecero uno sciopero ad oltranza durato 21 giorni proprio contro i turni di lavoro massacranti), quindi, oltre a sanzionare i lavoratori che non si sottomettono diligentemente alle nuove imposizioni, sono chiamati in causa più da vicino i sindacati tricolori di Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil, naturalmente con un’attenzione maggiore alla Fiom-Cgil che è il sindacato maggioritario tra i lavoratori iscritti. Si parla apertamente di responsabilizzare i delegati e i bonzi sindacali al rispetto della disciplina di fabbrica stabilita, pena la perdita di determinati privilegi da anni concessi all’organizzazione sindacale quali permessi sindacali retribuiti e contributi degli iscritti versati ad essi tramite la delega che il padrone legalmente preleva direttamente dalle buste paga dei lavoratori.

Un’organizzazione sindacale di classe indipendente e autonoma da qualsiasi comunanza con gli interessi dell’azienda o dell’economia nazionale, non si fa certo versare dai padroni le quote d’iscrizione dei lavoratori che intende difendere con la lotta dura e aperta contro quegli stessi padroni ,e si conquista con la forza della lotta anticapitalistica gli spazi, in fabbrica o fuori di essa, per poter discutere ed organizzare i proletari: si tratta di una lotta tra interessi opposti, e quindi di organizzazioni antagoniste.

Anche in questa occasione si dimostra che l’organizzazione sindacale che intende difendere efficacemente gli interessi immediati dei lavoratori deve essere autonoma e indipendente dal padronato dal punto di vista degli obiettivi rivendicativi e dal punto di vista organizzativo-pratico: essa non deve far derivare le sue rivendicazioni dalle compatibilità con i bilanci delle aziende o dalla competitività del mercato (questo compito è svolto dalle associazioni padronali e dallo Stato borghese centrale che ne difende gli interessi generali); essa deve avanzare rivendicazioni che difendano esclusivamente le condizioni di vita e di lavoro operaie e deve organizzare il suo sostentamento direttamente con i lavoratori, coinvolgendoli nella discussione dei loro problemi, nella rivendicazione degli obiettivi di loro esclusivo interesse, nella lotta che deve essere fatta con mezzi diretti a colpire gli interessi dei padroni e chiedere quindi anche il contributo in denaro affinché  tutto questo possa durare nel tempo, perseguire il suo allargamento e l’unificazione della lotta presso i proletari di ogni categoria, di ogni nazionalità, sesso o fascia d’età.

A Pomigliano d’Arco la Fiat vuole far passare condizioni di lavoro non solo più dure per i proletari, ma imposte - se non ci sarà una reazione determinata e contraria - sulla base del ricatto occupazionale individuale, cioè di un salario «a qualsiasi costo» purché ci sia un salario, attraverso una complicità più spinta di governo-padroni e sindacati collaborazionisti. Purtroppo i proletari della Fiat di Pomigliano d’Arco, come quelli del resto del paese, stanno subendo pesantemente questo ricatto, non solo a causa della politica collaborazionista pluridecennale dei sindacati tricolori, ma anche a causa dell’infame gioco di divisione che stanno attuando i vertici sindacali gli uni contro gli altri, illudendo gli operai Fiom di avere una linea più «dura» ma purtroppo «isolata» e perciò, alla fine, perdente! Come se non bastasse, ci voleva il capo della Cgil Epifani per sostenere che al referendum i proletari «alla fine firmeranno l’accordo voluto dalla Fiat».

E’ certamente difficile per i proletari, che sono stati abituati per anni e anni dal collaborazionismo di Cgil, Cisl e Uil a piegarsi alle esigenze di profitto delle aziende facendo i sacrifici più pesanti in vista di un benessere che si è rivelato del tutto illusorio, riprendere le tradizioni di lotta delle generazioni proletarie precedenti che negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso ancora generavano una certa resistenza agli attacchi concentrici dei capitalisti e degli opportunisti. A causa dell’influenza deleteria del collaborazionismo sindacale e politico, i proletari, invece di lottare contro la concorrenza fra di loro, alimentata e sostenuta con forza dalla classe borghese in ogni occasione, sono precipitati sempre più nella disperata difesa individuale del posto di lavoro esponendosi così al ricatto più facile ed efficace che il capitalista possa fare al proletario: o lavori alle mie condizioni, o ne assumo un altro, tanto di disoccupati ce ne sono in quantità, oppure sposto la produzione in un’altra città o in un altro paese! E questo ricatto è particolarmente attivo in questo momento, visto che la Fiat, per riportare la produzione della Panda in Italia, ha messo a confronto la produttività della fabbrica di Pomigliano con quella della fabbrica di Tychy in Polonia.

 

Proletari, lavoratori!

 

I comunisti rivoluzionari insistono nel sostenere che i proletari devono ritrovare, partendo dagli elementi più sensibili e combattivi, la forza di riprendere in mano direttamente la lotta in difesa dei loro elementari interessi di vita e di lavoro, che non possono essere confinati nella sola difesa del «posto di lavoro a qualsiasi costo», perché ciò non garantirebbe nessuno dalla perdita del posto di lavoro domani per le solite cause «di mercato»! Come è dimostrato ormai da decenni, i sacrifici che la Fiat chiede col ricatto oggi ai proletari di Pomigliano, come ieri ai proletari Termini Imerese, di Melfi, di Torino, come quelli chiesti e imposti ai proletari di Tychy in Polonia, o quelli imposti ai proletari di Kragujevac in Serbia e a tutti gli altri proletari delle fabbriche Fiat sparse per il mondo, non hanno garantito nessun vero miglioramento delle loro condizioni di vita. Solo la lotta tenace, unitaria, solidale, di classe, può dare un risultato positivo ai proletari, perché è l’unico mezzo attraverso il quale i proletari di qualsiasi fabbrica, di qualsiasi paese, riconoscono gli interessi degli uni come interessi di tutti; solo la lotta che si basa sul netto contrasto alla concorrenza fra proletari può dare respiro e speranza ai proletari messi sotto attacco dai padroni. Ed è l’unica lotta operaia di cui i padroni hanno veramente paura e che cercano in tutti i modi di spezzare fin dal suo nascere. Finora ci sono riusciti anche perché hanno avuto dalla loro parte un forte alleato: il sindacato collaborazionista, falsamente operaio, che dedica tutte le sue forze e la sua influenza per tenere la classe operaia sottomessa e piegata alle esigenze del capitale, «a qualsiasi costo», anche a costo di perdere iscritti e quindi soldi.

I comunisti rivoluzionari saranno sempre al fianco dei proletari che tentano di uscire dalla cappa di piombo del collaborazionismo sindacale e politico, incamminandosi verso la riorganizzazione classista della difesa dei loro interessi immediati, perché sanno che questa è la strada che apre al proletariato la possibilità di unificare le forze e controbattere efficacemente ai colpi portati dalla classe dei capitalisti e dal loro Stato.

Una delle leve più efficaci su cui fare forza per riprendere la lotta di classe, in Italia, come in Polonia o in Serbia o in qualsiasi altro paese, sta nella lotta contro la concorrenza tra proletari spinta sempre al massimo dai padroni e sostenuta dai sindacati tricolore, con la quale i padroni mettono sempre gli operai al momento più ricattabili, e quindi più deboli, contro gli operai al momento meno ricattabili: i fatti dimostrano che i padroni hanno interesse prima o poi a ridurre tutti i proletari alle condizioni di salario e di lavoro peggiori.

I proletari devono, quindi, cominciare a lottare in modo unificante, cioè rivendicando un salario aumentato secondo il costo della vita ma uguale per tutti, eliminando le differenze che esistono tra giovani assunti con contratti più precari in concorrenza con anziani che hanno contratti più stabili, con immigrati provenienti da altri paesi sfruttati il doppio per metà salario, tra donne e categorie salariali più basse in concorrenza con quelle più elevate. L’obiettivo dei proletari deve essere quello di alzare le condizioni di lavoro e di vita dei proletari peggio pagati e peggio trattati al livello dei proletari che hanno condizioni migliori, e non quello di abbattere le condizioni di tutti i proletari al livello di quelli che sono peggio trattati. Si toglie in questo modo ai padroni quella leva che, dividendo i lavoratori e mettendoli gli uni contro gli altri, li indebolisce fino a farne carne da macello individuale per la produzione e il profitto dei padroni.

I mezzi e metodi di lotta devono per forza cambiare completamente rispetto a quelli che per anni i sindacati tricolore hanno usato, perché devono coerentemente rispondere alla difesa esclusiva degli interessi immediati della classe proletaria, pur tenendo conto dei reali rapporti di forza con l’avversario borghese: lo sciopero non deve avere un preavviso per non dare il tempo ai padroni di organizzarsi e renderlo inoffensivo, deve essere messo in atto senza nessun preavviso né di quando inizia né di quando termina; la trattativa col padrone si fa con la lotta in piedi, la lotta non deve assolutamente chiudersi dentro l’azienda e deve tendenzialmente coinvolgere più proletari possibile non solo di altre aziende ma anche di settori di lavoro completamente diversi, insomma la tenuta della lotta nel tempo e nello spazio  e la sua estensione ai proletari di altre aziende riusciranno a dare alla lotta la forza necessaria per fermare la micidiale gragnola di misure antioperaie messe in opera dalla classe borghese e per tornare a migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro; solo così è possibile, inoltre, lasciare una traccia stabile di esperienza di lotta come esempio per altri proletari che entreranno in lotta incoraggiati dalla determinazione dei proletari che sono partiti prima di loro.

L’organizzazione che dirige la lotta per essere classista, sulla scorta delle esperienze dei vecchi sindacati di classe degli anni Venti del secolo scorso, deve:

 

- essere indipendente ed autonoma sul piano degli obiettivi salariali e delle condizioni di lavoro, avanzare rivendicazioni che non dipendano dalle compatibilità aziendali o di mercato, quindi non deve dipendere da apparati economici o politici legati ai padroni e allo Stato,

- avere il collegamento costante con l’assemblea dei lavoratori che devono essere coinvolti sistematicamente sui temi della lotta e della sua conduzione per meglio raggiungere gli obiettivi rivendicati,

- avere un comportamento e un atteggiamento visibilmente ed evidentemente contrari agli interessi dei padroni mettendo in campo quelle esperienze di lotta che hanno dimostrato storicamente di essere le più efficaci armi della classe operaia,

 - creare delle casse di resistenza e sostentamento materiale della lotta, anche in previsione della difesa legale, dove direttamente e spontaneamente i proletari versano le quote in base alle loro possibilità,

- prevedere che i proletari dirigenti siano revocabili in qualsiasi momento se deviano dagli interessi che sono esclusivi degli operai e antagonisti a quelli dei padroni,

- prevedere che le decisioni nelle assemblee dei lavoratori, dopo che gli operai sono stati ampiamente informati e abbiano avuto la possibilità di approfondire i problemi e confrontarsi, vengano prese a maggioranza, tramite voto palese (direttamente per alzata di mano) in modo da avere sempre, almeno là dove si lotta, una verifica reale, diretta, collettiva, alla portata di tutti e conoscendo fin dall’inizio i titubanti, i contrari, chi in definitiva saboterà la lotta o la sosterrà, per una valutazione reale della forza da mettere in campo per resistere ai padroni, e per condurre la lotta in modo razionale e intelligente sprecando meno energie possibile e terminandola al prezzo meno caro possibile. Cosa che con il referendum i proletari non potranno mai esprimere, perché questo modo di ottenere l’opinione del singolo operaio è il classico metodo che isola l’individuo-operaio rendendolo prigioniero delle paure individuali che nella vita sociale e nella lotta comune hanno molta più probabilità di essere superate.

 

Fin dai primi sintomi della crisi economica e della contrazione dei mercati e delle vendite di merci, centinaia di migliaia di lavoratori sono stati espulsi dal processo produttivo; sono stati usati gli ammortizzatori sociali, quelli che sono ancora in piedi, ma che sono in realtà l’anticamera del licenziamento. I padroni avevano l’immediata necessità di ridurre la perdita dei profitti e lo Stato, che ha salvato soprattutto le banche e le grandi reti di interessi capitalistici, ha provveduto ad innestare misure di austerità pesanti soprattutto sulle condizioni di vita proletarie per ridurre il suo indebitamento e tornare ad un deficit di bilancio ritenuto sopportabile. La soluzione che la classe borghese ha adottato è sempre la stessa: meno lavoratori occupati ma sfruttati più intensamente e una concorrenza ancora più acuta con i disoccupati e i precari per aumentare la produttività degli occupati al fine, ovviamente, di riportare i profitti a tassi d’incremento ritenuti più soddisfacenti dai capitalisti.

La vicenda del piano Fiat per Pomigliano è emblematica: la sua applicazione alle condizioni Fiat farà sicuramente da apripista per un attacco generalizzato alla contrattazione sindacale nazionale ancora in piedi e per dettare il metodo a tutti i capitalisti, grandi e piccoli, per ottenere dai propri operai il massimo sforzo lavorativo e produttivo possibile. I proletari, ha sempre affermato il marxismo, sotto il dominio del capitale sono schiavi salariati. E questa vicenda lo sta ulteriormente confermando. Sta agli schiavi salariati rialzare la testa e mettersi finalmente a lottare per non essere più schiavi!

 

Proletari, lavoratori!

 

Il ricatto dei padroni della Fiat, che è il ricatto di tutti i padroni e della borghesia di tutti i paesi capitalisti, va rigettato con l’unico mezzo efficace che hanno a disposizione i proletari: la lotta di classe, fuori e contro le compatibilità aziendali, fuori e contro le politiche e le pratiche collaborazioniste che non fanno che paralizzare le forze proletarie. Va rigettato egualmente il disegno collaborazionista dei sindacati tricolore, compresa la Fiom-Cgil, perché in modo più subdolo fa dipendere la trattativa dalle stesse compatibilità ed esigenze padronali che apertamente e immediatamente hanno accettato gli altri sindacati.

La lotta alla Fiat potrebbe dare un decisivo esempio di solidarietà non solo tra i proletari dei diversi stabilimenti Fiat in Italia, come in parte sta avvenendo, ma anche a livello internazionale, ad esempio, tra i proletari italiani, polacchi e serbi, combattendo in questo modo la concorrenza tra operai in Italia e negli altri paesi. Ma la situazione oggettiva in cui la Fiat sta portando il suo attacco vede ancora la classe operaia, in generale, molto disorientata e disorganizzata, e non sarà per niente facile per gli operai di Pomigliano, o di Termini Imerese, di Melfi o di Torino, e tanto meno di Tychy o di Kragujevac, mettere in piedi una lotta con  le caratteristiche della lotta di classe. Ma qualcosa si muove, la pressione dei proletari di Pomigliano in tutti questi mesi non rende facile l’infame lavoro dei collaborazionisti sindacali e forse anche tra i proletari polacchi, ai quali la Fiat sta togliendo la produzione della Panda dopo avergliela data in questi anni, illudendoli su un posto di lavoro duraturo, sta emergendo la volontà di lottare per i propri interessi immediati non piegandosi più ai ricatti della Fiat per ottenere un posto di lavoro a detrimento dei fratelli di classe italiani.

E’ un fatto: se ci si piega al ricatto dei padroni si potrà anche ottenere all’immediato, per alcuni, un risultato minimo, ma si sarà segnati drammaticamente perché si verrà ricattati per tutta la vita e se oggi si ha un’occupazione ad un salario da fame domani si può essere gettati sul lastrico senza salario e nella miseria più nera, soli al mondo. I capitalisti hanno dalla loro parte non solo il potere economico ma anche il potere politico: lo Stato, al di là delle fantasie sulla sua neutralità, è il difensore centrale degli interessi della classe borghese dominante. I proletari, influenzati e organizzati dal collaborazionismo interclassista, non hanno alcuna possibilità di contrastare il destino che il capitalismo riserva loro: schiavi salariati, immiseriti e sfruttati peggio delle bestie, in tempo di pace, carne da cannone in tempo di guerra! La lotta di classe, la lotta antagonista del proletariato contro la borghesia, è l’unica strada da percorrere, è l’unica strada che può far emergere la formidabile forza potenziale posseduta dalla classe operaia in tutti i paesi!

 

18 giugno 2010

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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