Delle crisi cicliche del capitalismo, del loro inevitabile e storico sbocco nella guerra guerreggiata e della sola e decisiva soluzione storica rappresentata dalla rivoluzione proletaria (5)

(Riunione generale di milano, 17 gennaio 2009)

 

(«il comunista»; N° 118; Ottobre 2010)

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Riassumiamo quanto finora già pubblicato nel giornale.

Nel n. 112 ece la prima puntata con i seguenti capitoletti: Il vero limite del capitalismo è il capitalismo stesso - La sovrapproduzione capitalistrica - Saggio medio di profitto e sua caduta tendenziale - Sovrappopolazione relativa, esercito industriale di riserva.

Nel n. 113, seconda puntata con i seguenti capitoletti: Teoria delle crisi - Produzione per il consumo umano - Proletariato e rapporti di forza fra le classi - Mercato ad espansione continua? - Lo sbocco finale della crisi capitalistica è la guerra.

Nel n. 114, Intermezzo: Potenze imperialistiche e rapporti di forza: il dieordine mondiale di oggi pone le premesse per una nuova spartizione del mondo che gli imperialismi si contenderanno in una terza guerra mondiale - Con la II guerra mondiale vince la dittatura mondiale dell'imperialismo - La fine del periodo di espansione del dopoguerra apre il lungo periodo di anteguerra - La globalizzazione come acceleratore delle crisi capitalistiche - La tenace resistenza dell'equilibrio imperialistico mondiale - Disorganizzare il proletariato per dominarlo meglio - La spartizione del mondo è l'obiettivo principale degli Stati imperialisti, ma la rimettono sempre in discussione - Solo la rivoluzione proletaria potrà fermare la terza guerra mondiale.

Nel n. 116, esce la terza puntata, con i seguenti capitoletti: Questioni di economia marxista - Teoria dello "sciupìo" - Gli altri momenti - Engels e la società comunista - Citazione di Engels - Patria, militarismo, famiglia, capisaldi dello sciupìo sociale - Altra luce del pensiero di Engels - Riassumendo - Cronologia delle crisi.

 

 

Intermezzo di Collegamento

 

L'ultimo capitoletto del resoconto della RG di partito del giugno 1962 sulle Questioni di economica marxista, pubblicato nel numero 116 del giornale, doveva terminare con il seguente brano, a conclusione della Cronologia delle crisi negli studi di Marx:

«Dal 1873 al '78 la crisi si fa cronica negli USA e nel 1875 rimbalza di nuovo in Inghilterra. L'ultima data che si ritrova nei testi di Marx è del 1879, di cui egli dà un accenno sommario nella lettera a Danielson, economista russo che traduceva il I° Libro del Capitale. In essa Marx mette ancora in luce la generale desolazione dell'economia e soprattutto l'apparente tranquillità delle banche e delle ferrovie, le quali accumulano ogni giorno debiti e azioni».

Il resoconto segue poi (1) sviluppando ancora il tema della  «Teoria delle crisi» e illustrando il quadro di Marx per la riproduzione semplice del capitale fisso e circolante. L'importanza di questo passaggio è data dal fatto che già nella riproduzione semplice del capitale Marx riscontra i fattori di crisi del capitalismo, crisi destinate a ripresentarsi ciclicamente e con più forza mano a mano che il capitalismo si sviluppa e conquista il mercato mondiale. Ecco dunque il seguito, che non virgolettiamo più dato che tra il virgolettato manteniamo soltanto le citazioni fatte nel testo, della Riunione Generale del giugno del 1962.

 

TEORIA DELLE CRISI

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Marx nota che le crisi ricorrono all'incirca ogni dieci anni e, se la sua preoccupazione di cogliere le ragioni di questa quasi costante periodicità si fa sempre viva nella ricerca dei fenomeni immediati che si sviluppano prima durante e dopo le crisi stesse, tuttavia e soprattutto l'interesse per i fatti contingenti serve a dimostrare la validità della dottrina. Quante volte si dovette dileggiare il vezzo piccolo-borghese di correggere le nefandezze del capitalismo con la proposta di ricondurlo alla produzione semplice di merci!

Marx prese la testa di turco di Proudhon e dimostrò che le malattie del capitalismo adulto avevano la loro origine nel capitale, nelle semplici categorie dell'economia capitalistica. Non era necessario ricorrere alla riproduzione allargata per spiegare le crisi, anche se la straripante produzione ingolfava i canali dell'economia. Marx parla sempre di sovraproduzione relativa: «Quando si afferma che non si tratta di una sovraproduzione generale, ma di una mancanza di proporzione fra i diversi rami di produzione, si afferma semplicemente che nella produzione capitalistica la proporzionalità dei diversi rami di produzione risulta continuamente dalla loro sproporzione, poiché qui il nesso interno della produzione complessiva si impone agli agenti della produzione come una legge cieca, e non come una legge compresa e dominta dal loro intelletto associato, che sottomette il processo di produzione al loro comune controllo... Ma tutto il modo di produziione capitalistico, è solo un modo di produzione relativo, i cui limiti non sono assoluti ma lo diventano per il modo di produzione stesso»  (Il capitale, Vol. III, Tomo I, p. 314 - Ed. Rinascita).

D'altra parte tutta l'economia capitalistica è pronta a fornire le forme più semplici e più complesse della crisi.

«La forma più astratta della crisi e per conseguenza la possibilità formale della crisi è dunque la metamorfosi della merce stessa, in cui solo come movimento sviluppato è contenuta la contraddizione, insita nell'unità della merce, fra valore di scambio e valore d'uso, tra denaro e merce» (Teoria delle dottrine economiche, vol. 2°, p. 559).

E' già nella merce la forma primaria della crisi, nel fatto cioé di essere al tempo stesso prodotto per soddisfare un bisogno e portatrice di valore, di lavoro medio sociale e plusvalore. E' quindi nella contraddizione sociale su cui poggia la produzione capitalistica che vanno ricercati il contenuto e la causa delle crisi. La lezione leniniana sulle cause della crisi è perfetta: «Le crisi sono possibili... perché il carattere collettivo della produzione entra in conflitto col carattere individuale dell'appropriazione» (Sui caratteri del romanticismo economico). Ancora Marx in forma stringata: «Tre fatti principali della produzione capitalistica: 1° - Concentrazione dei mezzi di produzione in poche mani, per cui cessano di apparire come proprietà dei lavoratori diretti (artigiani) e si trasformano in potenze sociali della produzione, anche se, a tutto prima, come proprietà privata dei capitalisti. Questi sono i trustees (i fiduciari) della socioetà borghese, ma intascano tutti i frutti di questa posizione di fiducia. 2° - Organizzazione dello stesso lavoro come lavoro sociale, mediante la cooperazione, la divisione del lavoro, il collegamento del lavoro e delle scienze naturali. Nei due sensi il modo di produzione capitalistico sopoprime, benché in forma antitetiche, la proprietà privata e il lavoro privato. 3° - Creazione del mercato mondiale. L'enorme forza produttiva, per rapporto alla popolazione, che si sviluppa nel quadro del modo di produzione capitalistico e, benché non nelle stesse proporzioni, l'aumento dei cvalori-capitale (e non solo del loro substrato materiale), che crescono molto più rapidamente della popolazione, sono in contraddizione con la base (che, relativamente alla ricchezza crescente, diventa sempre più ristretta) per la quale questa enorme forza produttiva lavora, e con le condizioni di messa in valore di questo capitale crescente. E' qui l'origine della crisi» (Il Capitale, Libro III, ed. Dietz, p. 293). E un'altra citazione tra le mille:

«Il capitale si manifesta sempre più come una potenza sociale di cui il capitale è l'agente che ha ormai perduto qualsiasi rapporto proporzionale con quello che può produrre il lavoro di un singolo individuo; ma come una potenza sociale estranea, indipendente, che si contrappone alla società come entità materiale e come potenza dei capitalisti attraverso questa entità materiale. La contraddizione tra questa potenza sociale generale alla quale si eleva il capitale e il poptere privato del [singolo, ndr] capitalista sulle condizioni sociali della produzione, si va fecendo sempre più stridente e deve portare alla dissoluzione di questo rapporto ed alla trasformazione delle condizioni di produzione sociali, comuni, generali. Questa trasformazione è il risultato dello sviluppo delle forze produttive nel modo capitalistico di produzione e della maniera in cui questo sviluppo si compie» (Il Capitale, Libro III, Vol. 1, p. 322 - Edizioni Rinascita).

Purtroppo le tradizioni dei testi marxisti, monopolizzate dalle ricche centrali opportuniste, sono sempre interessatamente fiacche e non riescono a rendere il vero senso del testo originale. Infatti, per capitalista non si deve intendere solo il capitalista-uomo, ma soprattutto l'azienda capitalista, l'agente della produzione capitalista, l'impersonale e anonima organizzazione produttiva capitalista. Altrimenti sarebbe di assoluta incomprensione il capitalismo di Stato, nel quale non esistono i capitalisti intesi come padroni individuali dei mezzi di produzione, mentre esistono, come in Russia, i «fiduciari intasxcanti i frutti della società borghese» di cui Marx più sopra. I trustees del «profeta» Carlo si chiamano oggi operatori economici.

Ed allora appare in luce meridiana l'analisi di Marx sulla origine della crisi: da una parte la socializzazione delle forze produttive, la produzione sociale; dall'altra, la privata disponibilità dei mezzi di produzione e delle stesse forze produttive da parte delle unità produttive. E' qui il caos sociale: le unità produttive capitaliste non riescono più a contenere le crescenti forze sociali della produzione, le aziende sono troppo anguste per organizzare la forza lavoro, controllare il pluslavoro e distribuirlo nella società. Di conseguenza l'anarchia della produzione, la sovrapopolazione relativa di produttori, la distruzione continua di ricchezza, costituiscono le stigmate del capitalismo. E questo anche quando la concentrazione più avanzata dei capitali sparsi induce gli agenti borghesi a farneticare di programmazione, di controllo della produzione, di piano. In realtà, essi avvertono l'assoluto e urgente bisogno di pianificare la produzione, ma cozzano nelle contraddizioni insormontabili fra produzione associata e appropriazione aziendale, privata, di plusvalore. Il nocciolo della questione è tutto qui: non è un fenomeno meramente economico, ma sostanzialmente sociale: la produzione di plusvalore e profitto è il principio e il fine del modo di produzione capitalistico. Il capitalismo ha potuto e dovuto - questo è il suo merito storico - socializzare la produzione, ma non l'appropriazione, che è rimasta a livello privato e pecuniario, per tutti, borghesi e proletari.

Da questa constatazione generale parte, per sempio, la nostra critica rivoluzionaria alla pretesa pianificazione in URSS, dove appunto, è del tutto naturale che si smonti il controllo centralizzato della produzione e del consumo e della appropriazione, perché la base dell'economia russa è l'azienda con il suo bilancio attivo in vista di realizzare il plusvalore e profitto e il salario in moneta.

 

IL QUADRO DI MARX

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Marx in una lunga lettera a Engels del 6 luglio 1863 da Londra (Il Capitale - Vol. II - Tomo 2°, pag. 189 e segg. Ed Rinascita) traccia due complicate tabelle, di cui la prima "Tabella del processo di riproduzione" e la seconda "Tableau économique del processo complessivo di riproduzione". In esse figurano le due sezioni della produzione, la  prima dei mezzi di produzione (produzione di capitale costante) e la seconda dei mezzi di consumo (produzione dei mezzi di sussistenza). Nella prima tabella Marx comprende tra gli elementi costitutivi del capitale anche la rata del capitale fisso che entra direttamente, ma per computo monetario, nel prodotto, ma si preoccupa soprattutto dello scambio tra le due sezioni della produzione e della scomposizione del profitto, filiazione del plusvalore, in profitto industriale, interesse e rendita. Per la comprensione, però,  della generale questione dello "scipìo" e del fenomeno ricorrente delle crisi economiche, non si tratta tanto di ricercare nell'intreccio della riproduzione allargata, quanto nella riproduzione semplice. Questa falsa interpretazione, come le citazioni di Marx ampiamente lo testimoniano, comoda soltanto all'opportunismo per giustificare la totale rinuncia alla lotta rivoluzionaria. Marx dedica alla riproduzione allargata ben quattro sezioni del Libro 3° del Capitale, non certo per trovare alcunché di nuovo che rettifichi o smentisca il vecchio, ma al solo fine di completare la analisi del modo di prodzuione capitalistico. La trama dell'economia capitalistica è nella rotazione delle semplici parti costitutive del capitale e delle sue metamorfosi, da cui prendono, poi, l'avvio i complessi fenomeni dell'accumulazione. E' un vecchio trucco derlla filosofia, pretesa scienza delle scienze, di roslvere con la logica i fenomeni dell'economia politica, che sono dialettici, o al massimo di contrapporre il micro al macro e di vedere tutto in chiave quantitativa: più acciaio, più libertà, più merci, più tutto!

Nella corrispondenza del 2 marzo 1858, Marx avverte lo stretto nesso tra ciclicità produttiva e capitale costante fisso: «Il tempo medio della durata del macchinario è uno degli elementi importanti per spiegare il ciclo poliennale che la produzione percorre da quando si è affermata la grande industria». E nella risposta del 4 marzo Engels conferma l'intuizione di Marx e gli riferisce del modo con cui i capitalisti calcolano l'ammortamento del capitale fisso e quindi le valutazioni del tempo per ricostruirlo. Smentisce le sciocchezze del Babbage, che asseriva come a Manchester la maggior parte del macchinario venisse rinnovata ogni cinque anni, e dimostra comìè nell'interesse della produzione capitalistica avere macchine e impianti che durino più a lungo possibile rispetto al loro costo, per produrre a costi minori. Engels indica in dieci-tredici anni la durata del macchinario. Per inciso, agli effetti fiscali viene riconsociuto oggi in Italia una percentuale media annua di ammortamento dell'8%, che serve appunto a ricostituire il 12-13 anni il capitale fisso. Sotto questo profilo, l'aliquota non riguarda gli impianti fissi, edifici, stabilimenti ecc. che dovrebbero durare più a lungo. Marx, a questo proposito, aggiunge un altro elemento poderoso alla nostra equazione dello sciupìo. Nota, infatti, come la cosiddetta razionalità degli edifici in genere, e di quelli industriali in particolare, la presunta armonia dispositiva di reparati e di sezioni produttivi nel corpo della fabbrica, siano inutili e da demolirsi  appena che si renda necessario un minimo aumento della produzione. E' una periodica rovina di capitale morto che potrebbe essere utilizzato per lunghissimo tempo ancora se fosse predisposto con raziocinio non borghese, dell'oggi immediato. E propone con brillante senso... futurista una disposizione asimmetrica degli impianti, per elementi componibili, man mano che le esigenze produttive lo richiedono.

Nel quadro abbiamo assenato 10 anni alla I sezione - beni strumentali -  per ricostituire la sua dotazione di capitale fisso, e cinque anni alla II sezione - beni di consumo. Per semplicità si immagina che la produzione dei beni di consumo coincida con la produzione agricola. In questa, parte notevole del capitale fisso è data dal bestiam (scorta viva) che deve avere rapido ciclo di rimpiazzo.

Gli elementi costitutivi sono i classici componenti del capitale, secondo le annotazioni proposte nell'«Abaco di Marx» e il metodo di scrittura e lettura algebrico.

Linee verticali:  nella prima colonna il logorio del capitale fisso -e nella seconda il capitale costante circolante -, che costituiscono tutto il capitale costante nella terza colonna. Si chiarisce che anche il capitale fisso è capitale costante, una sua partizione. Marx dedica a questa distinzione un certo studio, non per fare dell'accademia, ma per dimostrare come la diversa rubricazione delle spese che riguardano il capitale fisso consenta, nelle grandi società per azioni, un aumento dei dividendi a favore degli azionisti. Nella merce non entra, evidentemente, tutto il valore delle macchine e degli impianti, ma appunto la loro quota di ammortamento, solo una parte aliquota di valore del capitale fisso: nel nostro esempio il 10% annuo, posto in dieci anni il tempo per la ricostituzione del capitale fisso. Il capitale costante circolante è costituito da materie prime e ausiliarie.

Nella quarta colonna il capitale variabile, v, forza lavoro, cioè salari. Nella quinta il plusvalore, p.  Nella sesta il valore globale del prodotto che, secondo la consueta annotazione è: = c più v più p, vale a dire: capitale costante, nelle sue partizioni dfi capòitale fisso e circolante, più capitale variabile-salari, più plusvalore.

Nella settima colonna il capitale che l'azienda deve anticipare, ed esattamente tutto il capitale costante ed il capitale salari e il valore integrale del capitale fisso. Si deve chiarire, però, che il capitale variabile è anticopato rfispetto alla realizzazione del costo globale della merce prodotta, ma viene speso dall'azienda soltanto dopo che è stato consumato nel prodotto. Questo chiarimento va premesso non tanto per la spiegazione del nostro quadro, quanto come anticipazione di un fenomeno che Marx chiama del «capitale liberato», durante le rotazioni del capitale. Infatti, i salari vengono pagati agli operai non anticipatamente, ma dopo che questi hanno prestato la loro opera, una settimana, quindicina, mese, a seconda del periodo di paga. Oggi, per esempio, è invalso il costume di pagare mensilmente, con acconti quindicinali, soprattutto nelle grandi aziende, che giustificano tale periodicità con il minor peso degli interessi passivi da pagare alle banche. Tuttavia, dovendo essere anticipatamente disponibile una certa somma di denaro corrispondente al capitale variabile, la si deve intendere nello schema per già consumata.

Linee orizzontali: il titolo Sezione I - beni strumentali o mezzi di produzione. Per questa sezione si è convenuto che ciascuna rotazione consista in cinque settimane, cioè che il tempo di produzione o di lavoro e il tempo di circolazione della merce sia di cinque settimane; e che l'anni consti di conseguenza di dieci rotazioni, supposto di 50 settimane per semplicifcare. La rotazione del capitale è, infatti, l'insieme del tempo necessario a produrre integralmente una certa merce finita e quello indispensabile perché questa merce compia la duplice metamorfosi dello scambio: sia portata al mercato per essere scambiata, nella vendita, con una massa equivalente di denaro, la quale a sua volta serve per acquistare materie prime e ausiliarie, e salari per riprendere il ciclo della produzione della merce determinata. nel nostro caso, allora la stessa quantità di capitale anticipato servirà per compiere dieci rotazioni annue, stabilito che ogni rotazione consta di cinque settimane. Chiamiamo r la rotazione, a il numero delle rotazioni nell'anno e il valore del capitale fisso nel suo ciclo totale. Allora nella prima settimana entreranno nel prodotto 20 di capitale fisso, pari a 1/500 del capitale fisso totale, essendo il suo ciclo decennale, ovvero di 500 settimane; 60 di capitale costante circolante-materie prime ed ausiliarie; 20 di capitale variabile-salari; 20 di plusvalore. Il prodotto alla fine della prima settimana, addizionando 20 più 60 più 20 più 20, è di 120. Supposta la rotazione di cinque settimane (seconda linea orizzontale del quadro), il prodotto totale alla fine  della rotazione delle cinque settimane, è di 600 e nell'anno (terza linea orizzontale) di 6.000. Resta da chiarire 10.500 del capitale anticipato già all'inizio della prima settimana. Prima che abbia inizio il ciclo produttivo, alla prima settimana, l'azienda deve disporre di una somma di capitale pari al capitale costante necessario all'integrale produzione della merce, vale a dire quelle materie prime e ausiliarie di cui la merce è composta; dell'aliquota per deperimento del capitale fisso (non interessandoci per ora né in questa sede il fenomeno contraddittorio per cui il capitale fisso cede valore al prodotto e non s'incorpora in esso se non sotto forma di puro valore calcolato in forma monetaria, ricostituendosi, così, in forma di denaro) e del capitale salari ( v ); somma che settimanalmente è di 100, la quale moltiplicata per 5, tante quante sono le settimane necessarie per espellere e vendere merce, fanno 500 (c più v della seconda linea orizzontale). A queste 500, vanno aggiunte 10.000, valore globale del capitale fisso, macchine ed impianti, che l'azienda ha dovuto pagare anticipatamente per potere iniziare la produzione. Come Marx dice esplicitamente (astraendo dal deposito in banca che frutta interesse) le 20 settimane della colonna c¹ si accumulano per 10 anni (500 settimane utili) fino alle 10.000 che saranno spese tutte insieme a ripristino di tutti il c¹ di partenza. E' chiaro che il ciclo chiuso di produzione e circolazione (rotazione) consta di 5 settimane e che, quindi, per produrre 6.000 nell'anno (terza linea orizzontale, sesta colonna) bastano sempre 500 della prima rotazioone, che si ricostituiscono automaticamente ad ogni rotazione.

Salta subito agli occhi il fenomeno del tasso di plusvalore. Marx lo distingue in tasso assoluto e in tasso annuale. Il tasso assoluto, cioè il rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile nel periodo (p/v) è sempre 100/100, cioè 100%. Nel nostro quadro, infatti, 20/20, 100/100, 1.000/1.000, se si considera la settimana, la sotazione, e le 10 rotazioni, valgono appunto il 100%. Ma se invece si considera la massa di plusvalore realizzata nell'anno (quinta colonna-terza linea orizzontale) in rapporto al capitale anticipato per salari (I° rotazione) - vedi quarta colonna-seconda orizzontale - allora è evidente che il saggio di plusvalore è dieci volte maggiore del saggio assoluto e cioè del 1.000/100, cioè 1.000%. vale a dire che il tasso annuo del plusvalore è uguale al tasso assoluto moltiplicato per il numero delle rotazioni nell'anno. In effetti, cioè, una azienda per realizzare 1.000 di plusvalore nell'anno non ha bisogno di disporre di una massa salari di 1.000, ma gli basta una massa ridotta di 100, ammesso che questa massa compia 10 rotazioni l'anno.

Sezione II- beni di consumo. In questa sezione è unica nell'anno, avendo per presupposto la ciclicità annua del raccolto agricolo. Valgono per questa sezione i chiarimenti della prima, con la sola differenza che non compare qui il fenomeno del tasso annuo di plusvalore maggiore di quello assoluto, in quanto l'uno coincide con l'altro. da qui si spega, per esempio, come la maggior parte del capitale venga investita nella industria (I sezione), piuttosto ceh nell'agricoltura (II sezione). nella prima il profitto è di gran lunga superiore, in quanto è possibile un maggior numero di rotazioni. Nella seconda, il ciclo produttivo è direttamente vincolato a fenomeni naturali che, malgrado i tentativi di forzarli, sono presso che immutati.

Nell'ultima partizione orizzontale sono collocati i due totali sociali, per anno e per decenniuo, della produzione globale delle due sezioni, che si ottiene addizionando gli elementi annui della I sezione (terza linea orizzontale) con quelli della II sezione (quinta orizzontale), e decennali.

 

 

 

PRIME CONCLUSIONI

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Da quanto precede, si deve in primo luogo por mente alla stridente contraddizione tra gli elementi costitutivi del capitale, e segnatamente tra il capitale anticipato e il prodotto sociale. Il capitale costante circolante e il capitale variabile - limitatamente alla I sezione, regno della produzione capitalistica - si ricostituiscono integralmente di rotazione in rotazione, per l'immediato loro consumo, essendo il loro valore d'uso il soddisfacimento di immediati bisogni: si potrebbero cghiamare merci comuni.  Marx li chiama addirittura entrambi capitale circolante, per le loro caratteristiche di mobilità e consumo. Il capitale fisso,  invece, è una merce speciale, con proprietà che trascendono la sua forma materiale, per la funzione che compiono nella produzione capitalistica. Attraggono e succhiano lavoro vivo in maniera impressionante, I nostri opportunisti, nella loro caccia alle streghe, insegnano agli operai di inseguire il capotalista, che realizza la regola dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. In realtà, essi nascondono il tremendo e impressionante fenomeno sociale dello sfruttamento del capitale morto su quello vivo, del capitale per antonomasia sul lavoro salariato in particolare e sul lavoro sociale in genere.

Per produrre è ineluttabile che si trovi già predisposta una massa crescente di lavoro morto, sotto forma di capitale fisso, macchine, impianti, attrezzi, il cui volume è preponderante rispetto agli altri elementi del capitale. Nel nostro schema, si parte con 10.000 di capitale fisso e con solo 500 per realizzare la prima rotazione che consenta la produzione di merce. Ora, non è per opera dello spirito paraclito che è già pronto un capitale fisso di 10.000. Questo è il risultato di accumulazione di plusvalore di generazioni di proletari salariati, cristallizzato in lavoro morto, il quale non trova altra giustificazione di esistemnza se non di essere messo in movimento, di essere costantemente risuscitato dal soffio vitale del lavoro vivo. Per poi accrescersi di nuovo, gonfiarsi e richiedere ancora lavoro.

Non solo, ma alla luce della riproduzione allargata (perché la riproduzione semplice è valida soprattutto per spiegare la prima), su cui poggia l'economia moderna, dovendo il capitale fisso ricostituirsi periodicamente non nella stessa forma naturale e tecnica iniziale, ma con aumentate proprietà produttive, per aumentare la produttività del lavoro, e far diminuire i costi della produzione, una massa ingente di macchine e attrezzi inutilizzati o comunque non in grado di produrre con le proprietà competitive dei più moderni, giace inerte.

Questo capitale fisso, allora, sarebbe il caso di domandarsi, crea o distrugge ricchezza?

Ed infine per adempiere agli scopi di una maggiore realizzazione di plusvalore, il modo di produzione capitalistico è costretto a trasformare una parte crescente del plusvalore creato dal lavoro salariato in capitale fisso, con l'eterna tautologia della produzione e riproduzione di capitale fine a se stessa.

Va da sé che soltanto la rivoluzione proletaria può spezzare questo cerchio vizioso e demente, e finirla una volta per tutte di sacrificare al Moloch la giovinezza della specie umana.

(Continua)

 


 

(1) Cfr «il programma comunista» n. 20 del 1962, il resoconto del "Gruppo di rapporti alla riunione interfederale di Milano del 9-10 giugno '62" - le riunioni generali di partito venivano ancora chiamate con la vecchia formula delle riunioni interfederali - sotto il titolo generale: Alle insidiate vicende delle battaglie proletarie mondiali solo la teoria offensiva del marxismo è direttiva inflessibile che lega le grando tradizioni al domani di potente riscossa.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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