Fiat-Mirafiori: con l’accordo del 23 dicembre, il collaborazionismo  sindacale si piega ancor più alle leggi della competitività aziendale

(«il comunista»; N° 119; Dicembre 2010 / Gennaio 2011)

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Come ormai tutti sanno, le condizioni poste dalla Fiat ai lavoratori dello stabilimento di Mirafiori con un “Accordo” da “prendere o lasciare” sono state accettate dalle organizzazioni sindacali Fim, Uilm, Fismic, UGL Metalmeccanici e dall’Associazione Capi e Quadri Fiat nell’incontro del 23 dicembre 2010. Questa “accordo” strangola-operai è passato con il referendum del 14 gennaio scorso con il 54% dei sì (cui ha contribuito in modo determinante il voto degli impiegati, dei capi e quadri Fiat) contro il 46% di no. Andiamo a vedere un po’ in dettaglio che cosa è stato fatto ingoiare ai proletari con il ricatto del posto di lavoro, visto che la Fiat si propone di estendere queste condizioni agli stabilimenti di Melfi e di Cassino, e visto che sono molti gli imprenditori che lo prenderanno come esempio per ricattare anche i propri operai!

Questo “Accordo” inizia subito con il mettere sotto un vincolo preciso tutte le sigle sindacali che lo firmano e i loro delegati in fabbrica perché nel momento in cui si riscontra “il mancato rispetto” da parte di un singolo delegato e nel caso in cui si riscontrino “comportamenti individuali o collettivi dei lavoratori” valutabili come ostacoli alla realizzazione del “Piano” concordato, questi fatti  “liberano l’Azienda dagli obblighi” contrattuali in materia di contributi sindacali, permessi sindacali retribuiti degli organi direttivi delle Organizzazioni Sindacali e permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dallo Statuto dei Lavoratori. In pratica, i sindacati firmatari, attraverso i loro delegati, devono adoperarsi perché tutto proceda senza ostacoli al “Piano” stabilito, altrimenti “pagano” perdendo i privilegi di carattere sindacale fino ad ora goduti.

A proposito dei “contratti individuali di lavoro”, le clausole dell’Accordo di Mirafiori vanno ad integrare la loro regolamentazione in modo tale da prevedere che “la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi, secondo gradualità, degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari, conservativi e non”; l’ipotesi che si può fare sull’applicazione di queste “clausole integrative”, in previsione dell’assunzione da parte delle nuove società Fiat degli operai licenziati dalle vecchie società, facendo loro firmare, uno per uno, l’accordo individualmente, è che tutti gli operai – e non solo i nuovi assunti in Fiat – piomberebbero di fatto sotto la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro sottoposti ai provvedimenti disciplinari fino al licenziamento se il lavoratore “ostacola” in qualche modo (ad esempio con lo sciopero?) il famoso Piano produttivo (licenziamento previsto, di fatto, fino ad oggi, nei contratti individuali di lavoro che sono temporanei e perciò contengono strutturalmente il licenziamento alla loro scadenza).

E’ prevista una Commissione Paritetica di Conciliazione formata da un componete per ogni organizzazione sindacale firmataria e un numero pari dei rappresentanti dei padroni, che esaminerà “eventuali specifiche situazioni…sul mancato rispetto degli impegni”; questa Commissione può essere convocata dai padroni entro 48 ore, deve esaminare entro e non oltre 4 giorni dalla data di convocazione la questione, e se non c’è una “valutazione congiunta delle Parti”, l’Azienda sarà comunque libera di procedere secondo quanto previsto dalla “clausola di responsabilità” (cioè in materia di permessi e contributi sindacali).

Insomma, se ci dovesse essere qualche problema, c’è un tempo breve per discuterne al termine del quale l’Azienda se valuta che la situazione determinatasi sia inerente alla produzione e ai suoi interessi, bene, altrimenti procede con la “punizione”.

Nella nuova Organizzazione del Lavoro si prevede l’applicazione definitiva del sistema “Ergo-UAS” dal 4 Aprile 2011 in tutte le lavorazioni, dopo che questo era già stato sperimentato fin dal luglio 2008. Si tratta di un sistema che dovrebbe fare una valutazione ergonomica del sovraccarico biomeccanico relativo a tutto il corpo di ogni singolo lavoratore, valutando il carico statico, il carico dinamico, le applicazioni di forza, le vibrazioni e la movimentazione manuale dei carichi, e di conseguenza le condizioni di lavoro in relazione alle operazioni/cicli di lavoro e alle posture degli addetti: in pratica è una valutazione fatta per calcolare quanto sforzo, per un certo carico, per un certo periodo di tempo, con quale intensità di lavoro, in una certa posizione di lavoro, mediamente un lavoratore può “reggere” senza andare incontro a rischi e patologie fisiche nell’immediato. Questi dati vengono poi integrati nella “Metrica del Lavoro”, cioè in un sistema che ha lo scopo di determinare il tempo necessario all’esecuzione di un dato lavoro. Si parte da quello che viene definito: “il rendimento normale del 100%” descritto come “il rendimento di un uomo mediamente ben allenato, che conosce bene il lavoro e che dà un costante rendimento senza stancarsi”, per stabilire poi tutta una serie di condizioni tecniche ottimali tali da permettere il raggiungimento di quell’obiettivo, con tempi che verranno assegnati di volta in volta più stretti per ogni operazione/ciclo.

“I reclami e le controversie riguardanti le applicazioni dei tempi base o del tempo standard della postazione” da parte dell’Azienda devono seguire una procedura: a) il lavoratore fa reclamo al proprio responsabile, il quale lo esamina e richiede una verifica all’Ente di stabilimento che controllerà il tempo, di norma entro 7 giorni lavorativi; questo Ente, tramite il capo responsabile, comunica al lavoratore la eventuale variazione o la conferma documentata del tempo;  b) il lavoratore, qualora non si ritenga soddisfatto, fa reclamo scritto agli Enti preposti tramite la Rappresentanza Sindacale dei lavoratori che lo rappresenterà nella discussione della controversia, il cui esame si esaurirà entro 7 giorni dalla presentazione del reclamo scritto; c) in ogni caso, qualora la controversia non trovi soluzione concordata tra le Parti, la questione potrà essere sottoposta ad una Commissione specifica (Comissione Paritetica Sindacati/Padroni) che la esaminerà entro i 5 giorni successivi, ma in ogni caso durante tutto questo periodo le Parti si devono astenere da intraprendere iniziative unilaterali, e comunque sino alla definizione della controversia, il reclamo non sospende l’esecutività dei tempi assegnati.

Tornando sul capitolo dell’Organizzazione del Lavoro, si sostiene che le “soluzioni migliorative ergonomiche”, grazie all’applicazione del sistema Ergo-UAS, permettono, sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo, nell’arco del turno di lavoro, al posto delle attuali tre pause di cui però due da 15 minuti e una da 10. I 10 minuti di incremento della prestazione lavorativa saranno monetizzati in una voce retributiva specifica denominata “indennità di prestazione collegata alla presenza”.

In pratica, ai lavoratori che subiscono il carico snervante principale della produzione non solo si tolgono 10 minuti di pausa collettiva, ma i 10 minuti che lavoreranno in più saranno retribuiti solo a chi è presente in produzione; inoltre tale importo (0,1877 euro lordi/ora) non farà da base per il calcolo del Trattamento di Fine Rapporto (ex liquidazione).

Nel capitolo “Abolizione Voci Retributive”, a partire dal mese di Aprile 2011, viene tolta tutta una serie di incentivi come: paghe di posto, indennità disagio linea, premio mansione e premi speciali, che viene trasformata in una voce “superminimo individuale non assorbibile”, il che significa che queste indennità – risultato delle lotte passate per avere un salario più alto in conseguenza di lavorazioni o mansioni particolarmente dure – vengono trasformate in una voce che, di norma, una volta, era a discrezione del padrone (cioè veniva data o tolta proprio per mettere in concorrenza i lavoratori tra di loro), quindi non saranno più legate ad una particolare lavorazione.

Nel capitolo “Assenteismo”, l’applicazione della nuova regolamentazione sul trattamento per malattia non riguarderà i lavoratori che avranno un ricovero ospedaliero o particolari malattie gravi e invalidanti elencandone alcune specificatamente, come: lavoratori sottoposti a emodialisi, affetti dal morbo di Cooley, neoplasie, epatite B e C, gravi malattie cardiocircolatorie, affetti da TBC, patologie gravi richiedenti terapie salvavita, cioè i lavoratori che hanno già seri problemi nel mantenere la propria vita oltre che una presenza discontinua in fabbrica; in esso si stabiliscono delle percentuali di assenteismo “tollerabili” al di sopra delle quali non si pagano i primi giorni di malattia al lavoratore (ricordiamo che l’INPS inizia a pagare dal 4° giorno in poi la malattia, mentre i primi tre giorni sono a carico dell’azienda; la copertura di questo periodo è stato ottenuto con le lotte per via contrattuale). Dunque un’altra Commissione Paritetica (Sindacato/Padroni) avrà proprio il compito di monitorare l’andamento del “fenomeno assenteismo per malattia” iniziando in questo modo: a luglio 2011 verificherà che nei 6 mesi precedenti la percentuale media sia inferiore al 6%; se questa percentuale viene superata, allora a tutti i dipendenti, a partire dal 1° luglio 2011, che si assentano per malattie di durata non superiori ai 5 giorni che precedono o seguono le festività o le ferie o il giorno di riposo settimanale, in caso di assenze ripetute nell’arco dei precedenti 12 mesi per oltre due volte e per eventi giustificati come “malattia” e caratterizzate da identiche modalità (cioè verificatesi nelle giornate che precedono o seguono le festività o le ferie o il giorno di riposo settimanale di durata non superiore ai 5 giorni) non verrà loro riconosciuto per il primo giorno d’assenza alcun trattamento economico a carico dell’azienda. Successivamente, sempre la stessa Commissione, nel gennaio 2012 verificherà che nel secondo semestre 2011 il tasso di assenteismo sia sceso al di sotto del 4%; in caso contrario, i giorni d’assenza non pagati diventeranno due, ma dal 2012 in poi il tasso dovrà essere inferiore al 3,5% perché i primi due giorni tornino ad essere pagati. In sostanza, l’Azienda, con la collaborazione dei sindacati firmatari l’accordo, spinge i dipendenti a lavorare anche in condizioni precarie di salute, penalizzandoli nel salario, punendoli se tentano di allungare feste o ferie e riposi già stabiliti con la malattia, e se non riuscirà ad impedire questo tipo di assenze perché le dure condizioni di lavoro portano gli operai a difendersi mettendosi in malattia,  essa comunque ci guadagnerà risparmiando sul salario da pagare!

Nel capitolo “Cassa Integrazione Guadagni”, si prevede di ricorre - a partire dal 14 febbraio 2011 - alla cassa integrazione straordinaria per un anno e, a seconda delle esigenze dell’azienda e sulla base delle esigenze tecnico-organizzative della produzione di determinati modelli di auto attualmente in produzione, si potrà richiamare o meno il personale necessario a quella produzione.

E’ presente un altro elemento di pressione sui lavoratori, visto che precede l’avvio del “nuovo modello di produzione” con la Joint Venture con la Chrysler. Infatti nel capitolo “Formazione”, a fronte di un previsto investimento dell’Azienda per preparare i lavoratori e metterli in condizioni di “operare” con corsi specifici, l’Azienda prevede l’obbligatorietà della frequenza a questi corsi di formazione: il rifiuto immotivato e la mancata frequenza ai corsi, oltre ad essere perseguita per legge, costituirà comportamento disciplinare perseguibile, anche se l’azienda non darà alcuna integrazione al salario dei lavoratori in cassa integrazione che saranno chiamati a frequentare questi corsi.

Gli operai, quindi, dovranno obbligatoriamente imparare le nuove metodologie del loro maggiore sfruttamento nell’interesse dell’azienda ma a salario ridotto!

Nel capitolo “Orario di Lavoro” (addetti e collegati alla produzione) vengono definiti degli schemi di orario da applicare a seconda delle esigenze della produzione, che comportano l’adozione di 15 turni settimanali e oltre, di 8 ore di utilizzo degli impianti sino a 6 giorni alla settimana.

- Il primo schema è quello dell’utilizzo degli impianti per 24 ore al giorno per 5 giorni a settimana, 15 turni con 3 turni giornalieri di 8 ore ciascuno, a rotazione, con orario settimanale individuale di 40 ore (è quello previsto già dai contratti collettivi nazionali vigenti).

- Il secondo schema prevede l’utilizzo degli impianti per 24 ore giornaliere per 6 giorni a settimana, comprensivi del sabato dunque, con una turnazione articolata su 18 turni. Fermo restando la durata media di 40 ore dell’orario di lavoro individuale settimanale, è previsto però che una settimana si lavori 6 giorni e un’altra 4 giorni. Quindi anche se l’orario medio rimane 40 ore aumenta la flessibilità dell’operaio per far funzionare lo schema.

Nel momento in cui si dovesse passare dai 15 ai 18 turni, si è disposto anche, per un periodo non inferiore a 12 mesi, l’eventuale “sperimentazione” di uno schema di orario che utilizzi gli impianti per 6 giorni alla settimana per 12 turni settimanali (cioè 10 ore al giorno per 2 turni al giorno). In pratica, ciò significherebbe che gli impianti vengono utilizzati per 20 ore al giorno per 6 giorni alla settimana, l’operaio lavora 10 ore al giorno per 4 giorni e poi ha 2 giorni di riposo a scorrimento, con l’orario del primo turno che va dalle 6 alle 16 e il secondo dalle 20 alle 6 (con la mezzora retribuita per la mensa all’interno del turno).

L’allungamento dell’orario giornaliero di lavoro, come in questi casi, è un altro colpo e ancora più duro alle condizioni di lavoro esistenti, e lo è anche rispetto al lavoro a turni che già era conosciuto dagli operai come massacrante soprattutto nel turno di notte.  

Nel capitolo “Lavoro Straordinario Produttivo” - che si lega direttamente agli schemi previsti nelle varie turnazioni - “si richiede esplicitamente che per far fronte alle esigenze produttive di avviamenti, recuperi o punte di mercato, l’Azienda potrà far ricorso al lavoro straordinario per 120 ore annue pro capite, senza nessun preventivo accordo sindacale, da effettuare a turni interi, in caso di utilizzo impianti a 10 e 15 turni settimanali nelle giornate di sabato a due turni e negli altri schemi di orario nelle giornate di riposo. In particolare, nel caso dell’organizzazione dell’orario di lavoro sulla rotazione a 18 turni, il lavoro straordinario potrà essere effettuato a turni interi nel 18° turno”. L’azienda comunicherà con 4 giorni di anticipo la necessità dello straordinario all’operaio, dopo di che terrà conto delle sue “esigenze personali” entro il limite del 20% sostituendolo con personale volontario. Inoltre, visto che comunque i vecchi contratti prevedevano un massimo di 200 ore di straordinario pro capite, le altre 80 ore potranno essere richieste sempre per esigenze produttive questa volta però previo accordo sindacale.

Insomma, l’azienda potrà avere da un minimo di 10 ore mensili a un massimo di 16 in più di lavoro per operaio rispetto all’orario “normale” di lavoro a scapito del suo tempo di riposo, risparmiando su nuove assunzioni e pagando una misera maggiorazione prevista per l’orario straordinario.

Nel capitolo dove si parla della “Mezzora retribuita per la Refezione” si prevede che in futuro, fatta eccezione per il lavoro con lo schema a 12 turni settimanali (10 ore al giorno per 2 turni giornalieri), dove la mezz’ora retribuita per il pasto rimane all’interno del turno, negli schemi a 15 e 18 turni la mezz’ora verrà collocata alla fine di ciascun turno di lavoro.

Attualmente, la mezzora, secondo i vecchi contratti, è prevista all’interno del turno. Con questo “accordo” l’azienda ha pensato bene di recuperare efficienza anche intorno all’orario di mensa: gli operai pensino prima di tutto a lavorare senza “pesi nello stomaco” per tutto il loro turno di lavoro con un rendimento migliore e senza perdere minuti preziosi tra lo stacco dal lavoro per andare in mensa e la ripresa del lavoro dopo aver mangiato, con evidente calo della prestazione; poi potranno pure rifocillarsi - una volta prodotto il quantitativo stabilito -  quando dovranno uscire dalla fabbrica per andare a casa; per quelli che avranno il turno di 10 ore non potrà pretendere la stessa cosa… perché c’è la possibilità che non riescano a stare in piedi durante il turno senza mangiare… come se otto ore filate possono passare lavorando senza mettere nulla nello stomaco!

Nel capitolo “Indennità di prestazione collegato alla presenza” si stabilisce che, ai lavoratori addetti alle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, sarà erogata una “indennità di prestazione” che sarà pagata solo per le ore effettivamente lavorate(vengono escluse tutte le ore di inattività, la mezzora per la refezione, le assenze retribuite che per legge o contratto sarebbero parificate alla prestazione lavorativa), indennità che risulta essere di 0,1877 euro lordi/ora per i lavoratori che operano sui turni di 8 ore, e di 0,2346 euro lordi/ora per quelli che operano su turni di 10 ore; anche queste “indennità” sono escluse dalla base di calcolo per il TFR (ex liquidazione).

Si evidenzia, anche in questo caso, come sulla base dell’incentivo individuale alla presenza, e al produrre effettivamente, venga legato un eventuale aumento di salario, esasperando la concorrenza tra lavoratori.

Nell’allegato 1 “Sistema delle Relazioni Sindacali” c’è una “premessa” dove si dice che “le Parti devono riconoscersi interlocutori stabili per un corretto sistema di relazioni teso a valorizzare le risorse umane, ampliare i momenti di dialogo e a ridurre le occasioni conflittuali, al fine di affrontare i problemi di comune interesse in modo costruttivo”; il testo continua precisando che il metodo partecipativo deve assumere l’impegno a prevenire il conflitto, e avere obiettivi comuni nel coinvolgere i lavoratori e migliorare le condizioni per difendere la competitività dell’Azienda. A questo scopo viene creata una serie di Organismi congiunti (Commissioni) composti da rappresentanti della Direzione e delle Organizzazioni sindacali firmatarie del presente accordo; la Rappresentanza sindacale dei lavoratori deve operare secondo un’articolazione, competenze e modalità riportate nell’accordo:- Commissione Paritetica di Conciliazione: è quella che dovrà esaminare il mancato rispetto degli impegni assunti dalle Organizzazioni Sindacali firmatarie il presente accordo, nonché dare l’operatività delle conseguenze previste nei confronti delle stesse Organizzazioni (mancato versamento di contributi sindacali e l’erogazione dei permessi sindacali retribuiti), fermo restando che in assenza di valutazione congiunta l’Azienda sarà libera di procedere comunque secondo quanto previsto dalla clausola di responsabilità inclusa nell’accordo.

- Commissione Pari opportunità: dovrebbe, in “teoria”, promuovere pari opportunità nell’accesso al lavoro, nelle condizioni di impiego e formazione professionale, evitando ogni forma di discriminazione delle donne: cioè studiare fattibilità, proporre iniziative, esaminare eventuali controversie, occuparsi della questione delle molestie, del reinserimento dopo la maternità, dell’accessibilità al tempo parziale di lavoro, ecc.

- Commissione Prevenzione e Sicurezza del Lavoro: tutta tesa a migliorare il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori nelle iniziative volte a diffondere la “cultura” della prevenzione e della sicurezza.

- Commissione Organizzazione e Sistemi di Produzione: questa ha lo scopo di operare con finalità precise cioè favorire la messa in opera di iniziative volte a raggiungere obiettivi condivisi per “ottimizzare” il posto di lavoro, relativamente a 1) aspetto ergonomico; 2) funzionalità delle attrezzature e degli impianti; 3) razionalizzazione delle attività lavorative. Inoltre, migliorare l’efficienza dei macchinari relativamente a guasti, attrezzaggi, inattività, velocità di trasformazione; identificare tutte le procedure suscettibili di miglioramento. In sintesi, questo è il vero organismo dal quale dipendono tutti gli altri e nei quali l’azienda intende inquadrare tutte le relazioni di carattere sindacale.

- Commissione Servivi Aziendali: avrà competenze di attività di controllo nei locali della cucina, nel verificare il rispetto delle norme di legge in materia di igiene, conservazione e preparazione degli alimenti. Verifica della congruità del sistema di trasporto pubblico, in relazione agli orari dei turni dei lavoratori; nel sensibilizzare gli Enti Pubblici competenti al fine di assicurare il miglior servizio possibile. Verifica della possibilità di portare all’interno della fabbrica punti di accesso a servizi come: banche, assicurazioni ed uffici anagrafici (è certo infatti che gli operai avranno “poco tempo” per svolgere queste operazioni fuori dalla fabbrica, le potranno fare lì… magari saltando la mensa…).

- Commissione Verifica Assenteismo: deve monitorare l’andamento del tasso di assenteismo per malattia ed esaminare casi specifici a cui non applicare quanto previsto dal presente accordo in relazione alla non copertura retributiva a carico dell’azienda di particolari casistiche di assenza giustificata come malattia.

 

Per quanto riguarda poi il capitolo dei “Diritti Sindacali” all’art. 1, “Costituzione e tutele delle Rappresentanze sindacali aziendali” si ritorna in pratica alle RSA cioè alle rappresentanze sindacali in fabbrica previste dallo Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970) dove all’art. 19 si recita «che possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito:  a) delle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette Confederazioni che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva». In pratica, i delegati in fabbrica vengono nominati dai sindacati firmatari l’accordo, mentre viene stracciato l’accordo del 23 luglio 1993 dove Cgil-Cisl-Uil insieme a padronato e governo stabilivano la costituzione delle RSU (rappresentanze sindacali unitarie) nel quale anche chi non firmava i contratti o non faceva parte dei sindacati “ufficiali” aveva diritto a partecipare alle elezioni per l’RSU raccogliendo almeno il 5% di firme dei lavoratori. Anche se i sindacati stipulanti i CCNL avevano comunque nell’ambito del numero dei componenti dell’RSU la possibilità di designarne 1/3 direttamente, mentre gli altri 2/3 venivano eletti in base al maggior numero di voti presi dai lavoratori, di fatto, chi non faceva parte dei sindacati “ufficiali” rimaneva una minoranza, ma anche se avesse potuto “conquistare” la maggioranza dell’RSU avrebbe dovuto “negoziare in azienda secondo le disposizioni di legge e di contratto” (almeno questo prevedeva il regolamento di Cgil-Cisl-Uil sui compiti delle RSU). Quindi dal momento che la Fiom-Cgil non ha firmato l’ultimo contratto dei metalmeccanici nel 2009 sottoscritto da Fim-Cisl, Uilm-Uil e Ugl, (ma riteneva ancora valido il contratto firmato nel 2008 che scadeva a fine 2011, prontamente disdetto da Federmeccanica nel novembre scorso) e non ha firmato il presente accordo, di fatto il ritorno da parte dell’azienda alle RSA sembra una mossa fatta apposta per lasciare “fuori” la Fiom-Cgil o comunque qualsiasi organizzazione di carattere sindacale che non assuma un comportamento ancora più strettamente legato alle esigenze di perseguire gli obiettivi aziendali collaborando alla massima efficienza dell’apparato produttivo e per ottenere la migliore competitività dell’azienda sul mercato, ossia il sistema più efficace di sfruttare la forza lavoro salariata.

L’accordo Fiat Mirafiori è una conferma ulteriore che i sindacati tricolore hanno a cuore, e opera con tutte le loro forze, esclusivamente il benessere delle aziende, quindi del capitale. Piegati fin dalla loro nascita alle esigenze delle aziende e della concorrenza sul mercato, essi non potevano che abbracciare in tutto e per tutto il diktat del Marchionne di turno. Col pretesto della crisi di mercato i capitalisti usano senza scrupoli il ricatto del posto di lavoro e acutizzano brutalmente la concorrenza fra proletari, del nord e del sud Italia come d’Italia e di Serbia o di Polonia. I sindacati collaborazionisti, sempre pronti a “gestire” per conto del padrone di turno il controllo sulle masse lavoratrici, oggi, di fronte all’aggressività dei padroni della Fiat, si sono trovati nella situazione di smascherare rapidamente la loro funzione andando dritti a cavalcare il ricatto Fiat contro tutti i lavoratori e anche i propri iscritti. La Fiom non ha ceduto, formalmente, al ricatto Fiat, mentre cede regolarmente ad ogni ricatto capitalistico in moltissime altre fabbriche delle quali i media nazionali e internazionali in genere non si interessano. La Fiom si è presa sulle spalle un’altra funzione: mentre i sindacati Cisl, Uil, Ugl si sono presi il compito di “rappresentare” i proletari indecisi e arretrati, impauriti dalla situazione di crisi e della prospettiva della disoccupazione ma non predisposti alla lotta, la Fiom si è presa il compito di “rappresentare” i proletari più decisi, predisposti alla lotta e che, in situazione di più alta tensione, potrebbero sfuggire al controllo delle organizzazioni sindacali ufficiali; li “rappresenta” ma con l’intento di attenuare la tensione, di spegnere la spinta alla lotta deviando la protesta sul piano della pacifica contrapposizione del “diritto al lavoro” rispetto al “ricatto del posto di lavoro” e comunque pronta a firmare qualsiasi accordo strangola-operai (come ha fatto in centinaia di accordi con altre aziende) alla condizione di essere considerata un’organizzazione sindacale con cui “si deve” negoziare, alla condizione di essere considerata “prima” tra le “controparti” mantenendo in questo modo il prestigio di cui si vanta da decenni. Ma questa volta i padroni della Fiat hanno colto l’occasione per dare un colpo duro sia al burocratismo sindacale che allo stesso burocratismo confindustriale: la concorrenza sul mercato mondiale preme, spinge i capitalisti a prendere decisioni rapide circa le condizioni salariali e di lavoro dei propri operai dai quali hanno bisogno di ottenere sacrifici più consistenti di quanti già non ne abbiano ottenuti finora, soprattutto nei paesi ricchi. I sindacati collaborazionisti devono piegarsi velocemente alle esigenze modificate delle aziende; se non lo fanno rischiano di essere messi ai margini delle trattative, come è successo alla Fiom.

I proletari, da questi sindacati, se già nei decenni scorsi non riuscivano ad essere organizzati in una difesa efficace dei propri interessi immediati, oggi ci riescono ancor meno! La pratica del collaborazionismo interclassista ha una sua parola inesorabile: mentre rafforza il fronte borghese  padronale, di cui lievita l’arroganza con la crisi capitalistica che divora i profitti, indebolisce il fronte proletario, facendolo precipitare sempre più nella melma della concorrenza fra operai e nell’individualismo. La forza sociale proletaria non potrà però sopportare oltre un certo limite di essere schiacciata nel tormento del lavoro, della miseria, della disoccupazione; la caldaia nella quale il magma sociale si sta accumulando prima o poi scoppia, facendo tremare l’intera società del profitto capitalistico. E’ questa tremenda prospettiva che fa paura ai collaborazionisti di ogni risma, e che teme la stessa borghesia dominante. Ma è la prospettiva alla quale il proletariato, al contrario, deve guardare con interesse e speranza, e per la quale le sue avanguardie sono chiamate a far tesoro delle esperienze negative di questi ultimi decenni e di cui l’accordo Fiat non è che un ulteriore punto a favore dei capitalisti; far tesoro per imboccare la via della ripresa della lotta di classe, l’unica via nella quale la forza sociale proletaria da forza virtuale diventa finalmente forza viva e dirompente. Allora, la lotta per l’emancipazione dal lavoro salariato, dalla produzione capitalistica, dalla società borghese, sarà un fiume di lava in piena, inarrestabile. 

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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