In Libia, alla repressione dei rivoltosi da parte di Gheddafi e dei suoi sostenitori si aggiunge ora l’intervento militare dei paesi imperialisti più interessati alla colonizzazione del Nord Africa e del Medio Oriente

 

(Supplemento a «il comunista»; N° 119; Dicembre 2010 / Gennaio 2011)

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20 marzo 2011.

Come Gheddafi e la sua fazione non difendono gli interessi del “popolo libico”, ma solo gli interessi di classe della borghesia cui appartengono, così l’intervento dei paesi imperialisti, primi fra tutti in Europa, Francia, Gran Bretagna e Italia, e naturalmente gli Stati Uniti, non ha nulla di “umanitario” ma solo cinici interessi di potenza in una zona strategicamente vitale come il Nord Africa e il Medio Oriente.

I proletari non hanno nulla di buono da attendersi né da Gheddafi, né dalla coalizione imperialista intervenuta, né dalla Lega Araba e dall’Unione Africana che in un primo momento avevano dichiarato il loro assenso alla no fly zone per “fermare” Gheddafi ma poi hanno criticato l’intervento militare. I proletari non hanno nulla di buono da attendersi nemmeno dal Consiglio Nazionale Libico che, dallo scorso 17 febbraio, ha preso la testa della rivolta attestandosi a Bengasi, ha formato un governo provvisorio sotto le insegne della bandiera del Regno di Libia ed ha risposto con le armi alla repressione dell’esercito e delle milizie ghedaffiane. Nei fatti, i proletari libici e i proletari immigrati in Libia dalla Tunisia, dall’Egitto, dal Bangladesh, dal Pakistan e da molti altri paesi, stanno subendo le conseguenze più gravi non solo a causa della spietata repressione da parte delle milizie ghedaffiane, ma anche a causa della guerra scatenata dalla fazione di Gheddafi contro le fazioni libiche avversarie e, ora, dalle potenze imperialistiche contro Gheddafi.

Dopo i primi giorni in cui la rivolta popolare, iniziata a Bengasi, si era estesa in tutta la Cirenaica e stava giungendo alle porte di Tripoli, mettendo in grande difficoltà la tenuta del governo guidato da Gheddafi, quest’ultimo, riorganizzato il suo esercito e le sue milizie rafforzate con qualche migliaio di mercenari assoldati dal Ciad e dalla Nigeria, ha iniziato il contrattacco da Tripoli e da Sirte riprendendo il controllo delle città e dei punti strategici per il petrolio e il gas come Ras Lanuf, Brega, Zawiya, assediando Misurata e arrivando alle porte di Bengasi.  Se nelle prime due settimane l’azione degli insorti, sullo slancio della rivolta, appariva irresistibile nonostante un’organizzazione militare raffazzonata e un armamento assolutamente insufficiente, dall’inizio di marzo la controffensiva di Gheddafi riconquistava molto del terreno perduto fino a mettere sotto assedio Bengasi e il Consiglio Nazionale Libico. E’ a questo punto che le cancellerie imperialiste più interessate allo scacchiere nordafricano e mediorientale hanno deciso di intervenire militarmente a sostegno del Consiglio Nazionale Libico e contro il regime di Gheddafi. La guerra civile che si è sviluppata in Libia in questo ultimo mese sta prendendo le caratteristiche di una vera e propria guerra che può essere definita asimmetrica quanto si vuole, ma è certamente guerra.

Le rivolte popolari in Tunisia e in Egitto, che stanno segnando questo inizio di 2011, si sono caratterizzate per la rabbia incontenibile delle masse proletarie e povere che non sopportavano più condizioni di sopravvivenza insostenibili sia per il gravoso e repentino aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, sia per le conseguenze di una disoccupazione soprattutto giovanile sempre più cronica e vasta, che per un generale disgusto verso i ceti più ricchi e privilegiati che vivono nel lusso e nella corruzione più sfacciata. La repressione poliziesca non ha fermato quelle masse, non le ha scoraggiate; più la repressione poliziesca diventava dura più sembrava che desse loro addirittura più forza per resistere nella protesta in generale pacifica, legalitaria e richiedente un ambito politico e sociale più “democratico”. Indiscutibilmente, la forza di questi movimenti è stata assicurata dalle masse proletarie, e soprattutto dai giovani proletari che a mani nude si sono scontrati con la polizia; ma questa forza, non essendo guidata da obiettivi di classe e rivoluzionari, è andata a favorire semplicemente il ricambio di personale politico con un governo che è sempre borghese ed è, e sarà, antiproletario come lo sono stati i governanti precedenti. In Tunisia, i nuovi governanti, egualmente legati all’imperialismo francese come i precedenti, a due mesi di distanza dalla defenestrazione di Ben Alì non hanno fatto nulla di concreto a favore delle masse proletarie e povere del paese, tanto che, a migliaia, continuano ad imbarcarsi per fuggire dalla fame e dalla situazione di miseria e di disoccupazione. In Egitto, l’esercito, che ha mostrato chiaramente di essere il vero ago della bilancia tra il potere poliziesco di Mubarak e le masse dei manifestanti, non intervenendo a favore del clan di Mubarak ha, di fatto, favorito la richiesta dei movimenti di piazza  per la detronizzazione di Mubarak, ma, nello stesso tempo, ha ristabilito sotto altre provvisorie forme governative il suo potere (che non è altro che il potere della fazione borghese egiziana più legata agli Stati Uniti e a loro più fedele).

Il movimento d’opposizione a Gheddafi in Libia, pur mobilitando anche le masse proletarie più disagiate e discriminate – come nel caso dei proletari dell’islamica Cirenaica – è un’espressione più “politica” e di provenienza piccoloborghese con la quale si tenta di farla finita con lo strapotere delle tribù tripoline più legate al clan di Gheddafi. L’ondata di ribellione che ha scosso Tunisia, Egitto, Algeria e che si estende ai paesi arabi del Golfo e del Vicino Oriente ha dato respiro anche alle aspirazioni borghesi e piccoloborghesi delle fazioni avversarie di Gheddafi che hanno cavalcato l’onda della protesta che sta scuotendo i paesi del Mediterraneo, nel tentativo di ritagliarsi un ruolo e una fetta di potere in un paese ricco di petrolio e di gas naturale e con una popolazione relativamente modesta.

Non è un caso che, a rappresentare il Consiglio Nazionale Libico installatosi a Bendasi, sia l’ex ministro della giustizia di Gheddafi, Al Jeleil, nato in Cirenaica, lo stesso ministro accusato dall’Human Rights Watch nell’agosto 2010 per gli arresti a prolungata detenzione senza processo di cittadini libici; non è un caso che, dopo che il CNL si è autonominato, a una settimana dalla sua costituzione formale, unico legittimo rappresentante della Repubblica libica il 5 marzo, il 6 marzo la Francia lo riconosca come unica autorità legittima del paese procedendo allo scambio di diplomatici; non è un caso che la Gran Bretagna invii, sempre il 5 marzo, un suo gruppo diplomatico a Bengasi , e delle pattuglie di militari con il compito di fare rilevamenti delle postazioni militari governative. Come non è per caso che la Francia prima, seguita dalla Gran Bretagna e alla fine anche dagli Stati Uniti, abbiano insistito coi partner europei della Nato e nel consiglio di sicurezza dell’ONU per un intervento militare in Libia. Gli Stati Uniti, vista l’importanza vitale assunta da quest’area per i rifornimenti di energia (petrolio e gas) ai paesi dell’Europa, hanno un interesse primario a controllare ciò che avviene nel Mediterraneo e nel Golfo Persico: è un fatto ben presente a tutti che gli alleati di oggi possono diventare nemici domani… Ma, paradossalmente, l’ondata di rivolta, che ha sconvolto poteri considerati stabili e amici dell’Occidente, come in Tunisia e in Egitto, ha messo in moto contemporaneamente, in un certo senso accelerandone il processo, un riassetto delle influenze imperialistiche nei diversi paesi. Riassetto che diventa sempre più necessario, date le conseguenze della crisi economica che ha colpito in modo molto serio soprattutto i paesi occidentali e la necessità da parte dei paesi europei, prima di tutti, di assicurarsi rifornimenti energetici in vista di futuri scontri interimperialistici e di guerre. La crisi di governo e sociale che ha investito la Libia è diventato perciò un ulteriore pretesto che le maggiori potenze imperialistiche – Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia in primis, seguite da vicino da Germania, Cina, Russia – hanno colto, dopo l’Iraq e i Balcani, per tornare a confrontarsi in territori strategici (e per gli europei “alle porte di casa”), rimettendo in discussione per l’ennesima volta l’egemonia mondiale statunitense. Il “caso Libia” ridà a Gran Bretagna e Francia l’occasione per tornare a “dettar legge” nel Mediterraneo, oltre al fatto di potersi impiantare in modo più radicato nei paesi petroliferi. E dietro di loro, ma sempre sotto il manto della difesa dei “diritti dei popoli” e della “lotta contro i regimi che massacrano i propri popoli”, avanzano a rivendicare un parte del futuro “bottino” anche la Spagna, che ha interesse diretto verso il Marocco, l’Italia che, come si sa, cercava di impiantarsi in Libia già con l’amico Gheddafi, mentre Canada e Danimarca accompagnano la guerra di rapina in vista di benefici petroliferi futuri.. Gli Emirati Arabi, a loro volta, impegnandosi direttamente coi propri caccia a sostegno delle operazioni militari della coalizione imperialistica anti-Gheddafi, mentre offrono la meschina copertura “ideologica” alle potenze occidentali perché queste ultime non siano considerate dalle popolazioni arabe e islamiche come le rappresentanti di una nuova colonizzazione bianca “anti-araba”, cercano in questo modo di deviare l’attenzione dei media internazionali sulla repressione delle proteste che stanno attuando nei propri paesi.

La guerra scatenata contro Gheddafi, e che attualmente è limitata alla guerra aeronavale senza sbarchi di fanteria e carri armati, è una guerra di rapina imperialistica alla stessa stregua delle guerre che l’hanno preceduta in Ciad, in Sudan, in Iraq, in Libano, in Afghanistan; alla stessa stregua delle guerre arabo-israeliane, alle guerre nei Balcani e nel Caucaso.

Dal punto di vista di classe il problema per i proletari non è di sostenere il potere borghese più debole contro lo strapotere delle potenze imperialistiche più forti: la posizione di classe, comunista e rivoluzionaria, è di opposizione contro entrambi i belligeranti, borghesi e antiproletari entrambi. La classe dei proletari è massacrata di fatica e di lavoro in pace, qualsiasi sia il potere borghese che la domina; è massacrata di fatica, di lavoro e nel sangue in ogni guerra borghese, qualsiasi sia il motivo della guerra sia che il proprio paese sia “aggredito” che “aggressore”, sia che il governo borghese in carica adotti la sistematica repressione per soffocarne ogni anelito di vita economica migliore e di vita sociale  e politica più libera, che un “contro-governo” borghese usi la protesta e la forza d’urto delle manifestazioni di piazza per scalzare dal potere le fazioni avversarie.

La classe dei proletari ha interessi diametralmente opposti a quelli delle fazioni borghesi che lottano fra di loro per assicurarsi maggiori vantaggi e privilegi economici, sociali, politici; ha il compito di organizzare la difesa dei propri interessi di classe in modo totalmente indipendente dagli apparati e dai partiti borghesi, perché solo in questo modo essa potrà perseguire efficacemente gli obiettivi dell’emancipazione dalla miseria, dalla disoccupazione, dalla fame, dall’incertezza costante della vita, dallo sfruttamento bestiale da parte di imprenditori e governanti che si accaparrano ogni ricchezza prodotta dal lavoro del proletariato; in una parola: emancipazione dal capitalismo. Ma per imboccare la strada dell’emancipazione proletaria bisogna combattere anche le illusioni democratiche, le illusioni di un reale miglioramento di vita attraverso un’eguaglianza che si dimostra falsa immediatamente dopo aver depositato il proprio voto nell’urna. Ardua è la via della lotta di classe, della lotta che i proletari devono e dovranno attuare per difendersi dai soprusi e dalle vessazioni delle burocrazie politiche e amministrative di ogni Stato borghese, dalla repressione poliziesca e dalla prepotenza di ogni uomo in divisa, dal costante calpestare nei fatti i diritti che si trovano scritti in tutte le riforme e in tutte le costituzioni borghesi.

Il partito di classe incarna la lotta per l’emancipazione del proletariato di ogni paese dal capitalismo e dal potere borghese: è la vera forza storica che il proletariato possiede perché è l’unico partito politico in grado di leggere chiaramente le dinamiche profonde dei contrasti di classe e delle contraddizioni sociali, di tirarne le conseguenze reali e di dirigere le energie di classe verso l’obiettivo storico dell’emancipazione dal capitalismo. Questo partito, che rappresenta la lotta di classe del proletariato e ne influenza il processo di sviluppo, oggi esiste soltanto dal punto di vista della teoria e del bilancio storico delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni; ma, fisicamente e presente in tutti i paesi più importanti, oggi non c’è, come d’altra parte non c’è l’aperta, vasta e unificante lotta di classe del proletariato dei diversi paesi e in grado di modificare i rapporti di forza tra le classi. Ma le rivolte come quelle scoppiate nei paesi arabi, e come quelle che ancora esploderanno, dimostrano che le contraddizioni economiche e sociali profonde della società borghese capitalistica mettono in movimento le masse lavoratrici, oggi dei paesi della periferia dell’imperialismo, domani quelle dei paesi imperialisti: scava, vecchia talpa, scava! Decine di migliaia di proletari immigrati scappati dalla Libia per tornare ai propri paesi d’origine sono stati accolti con fraterna solidarietà dai tunisini appena passata la frontiera,e questo è un altro segno della lotta proletaria che non si vedeva da moltissimo tempo.Su questa strada riprenderà la lotta di classe, e rinascerà il partito comunista rivoluzionario nella tradizione marxista delle Internazionali proletarie che si sono succedute nella storia e, soprattutto, nella continuità degli insegnamenti che ne hanno tratto Lenin e la Sinistra comunista d’Italia.

Gheddafi può, d’altra parte, contare sull’atteggiamento molto meno ostico di Russia e Cina che sono entrambe interessate ad approfittare politicamente ed economicamente delle difficoltà in cui si vengono a trovare gli imperialismi euro-americani concorrenti, “costretti” ad intervenire militarmente contro la Libia prima che le truppe di Gheddafi riprendessero il controllo di Bengasi, viste le loro continue dichiarazioni di difesa dei diritti dei popoli e di aiuto umanitario verso le popolazioni massacrate da poteri autoritari fino a poco prima, però, sostenuti e ricevuti con tutti gli onori nelle rispettive residenze governative. L’intervento militare della coalizione imperialista denominata “dei volenterosi” ha, nel contempo, sollevato resistenze e disaccordi nei paesi arabi i quali avrebbero preferito che la guerra civile libica avesse trovato “soluzione” all’interno stesso della Libia (vincesse Tripoli o Bengasi) senza interventi militari esterni. Ciò che interessa, in realtà, a tutti i governanti e regnanti dei paesi arabi è che l’onda delle rivolte popolari non travolga come uno tsunami gli attuali assetti di potere; e se un Ben Alì e un Mubarak sono stati detronizzati e un Gheddafi sta per essere dimezzato, l’importante per i governanti di Riyadh, di Damasco, di Rabat, di Amman, di San’na o di Bagdad, è che coloro che ne  prenderanno il posto siano in grado di normalizzare la situazione interna in modo da spegnere i focolai di rivolta che inevitabilmente producono e produrrebbero incendi anche negli altri paesi. Se poi, per raggiungere questi obiettivi, non si può fare a meno di passare attraverso l’intervento militare di una coalizione imperialistica simile a quella che si è mossa contro la Serbia (senza occupazione militare del territorio), ci si può lamentare, ci si può dissociare, si può dichiarare ufficialmente il proprio disaccordo – come hanno fatto Unione Africana prima e Lega Araba poi – ma si è obbligati a lasciare nelle mani di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Italia, Canada, Spagna, Danimarca, ossia dei paesi coinvolti direttamente nelle azioni militari contro le postazioni governative libiche, la “responsabilità” delle azioni di guerra e dell’inevitabile vendetta dei ghedaffiani.

Dal 19 marzo è iniziata l’operazione “Odissea all’alba”, il che ha significato 120 missili tomawack lanciati dalle navi da guerra e dai sottomarini su 20 postazioni militari governative libiche sulle coste tripoline, dopo che i cacciabombardieri francesi avevano già bombardato dei convogli militari governativi nei dintorni di Bengasi. Non si hanno notizie certe sulle vittime civili già in questa prima bordata missilistica e su quanto potrà durare l’intervento militare imperialistico contro la Libia, né se Gheddafi continuerà a spingere le sue truppe e le sue milizie nella guerra contro gli “insorti”, se aprirà i porti che controlla all’esodo di masse affamate e terrorizzate per andare a sbarcare su coste più “sicure” in Italia, in Grecia, o in Spagna dando seguito alle sue minacce di lanciare masse di proletari come “bombe umane” contro i paesi che gli stanno facendo la guerra. Con la presenza del corposo naviglio militare della coalizione imperialistica davanti alle coste libiche non è certo facile per i profughi scappare ora dalla guerra in Libia; la loro presenza assomiglierà sempre più ad un assedio permanente grazie al quale l’esodo dei profughi potrebbe trasformarsi in una trappola per topi dato che potrebbero diventare bersagli, più o meno involontari, dei reciproci cannoneggiamenti. Ed anche da questo si evince che i proletari sono gli unici a pagare il prezzo più alto di una guerra esclusivamente tra borghesi nemici! Non è escluso, d’altronde, che Gheddafi giochi sulla pelle del suo popolo le carte che possono servirgli, un domani, in uno stallo di guerriglia senza sbocco, per trattare con le potenze imperialistiche per una tregua in cui concordare eventualmente la divisione della Libia mantenendo il controllo su una parte dei pozzi petroliferi e delle riserve di gas naturale.

E’ drammatico constatare, però, che i proletari italiani, francesi, inglesi, spagnoli, per non parlare degli statunitensi, dei canadesi o dei danesi, ossia dei paesi imperialisti che oggi hanno inviato i propri militari contro la Libia, non alzino un dito per opporsi alla guerra che la propria borghesia sta facendo sulla sponda sud del Mediterraneo. Come se questa guerra non li riguardasse, come se le brutali aggressioni che la propria borghesia imperialista sta attuando fossero un esercizio umanitario… solo un po’ più “complicato”: la propaganda borghese dello “Stato canaglia”, del “terrorismo islamico”, dello “scontro di civiltà” si arricchisce di un nuovo titolo: dittatore pazzo e sanguinario, che massacra il suo stesso popolo!, giustificando in questo modo l’intervento militare imperialistico.

I proletari, però, non devono dimenticare che gli Stati canaglia, gli Stati che adottano il terrorismo, siano islamici, cristiani o ebrei, e i dittatori pazzi e sanguinari, alla pari degli Stati più democratici del mondo, poggiano da sempre sulle stesse basi: economia capitalistica, potere politico borghese nelle forme che la storia dei contrasti e della concorrenza capitalistica ha prodotto nei diversi paesi, contrasti insanabili tra capitalismi nazionali acuiti ancor più dalla decantata globalizzazione, prevaricazione da parte degli Stati imperialisti più forti su tutti gli altri Stati del mondo, costante passaggio dalla politica di pace alla politica di guerra, e viceversa, secondo i rapporti di forza economica e militare dei diversi Stati. Con queste basi, il potere borghese sarà sempre, prima o poi, pazzo sanguinario, canaglia, terroristico. E’ il potere borghese in quanto tale, qualsiasi sia la sua forma, monarchica, repubblicana, dittatoriale, costituzionale, a partito unico, fascista, democratico parlamentare, oligarchica, a rappresentare il vero nemico delle classi lavoratrici. Il potere borghese più debole si fa forte del potere borghese più potente allo scopo di sfruttare vantaggiosamente il proprio proletariato; ma, se il potere borghese più potente, imperialista, si erge contro i metodi di governo adottati dal potere borghese più debole, allora quest’ultimo si richiama al popolo, ai lavoratori, ai proletari e ai contadini, insomma alle masse, perché si mobilitino a difesa della patria aggredita, contro il nemico esterno e il nemico interno… che si fa aiutare dallo straniero. Con quale scopo? Con lo scopo di tornare ad avere la possibilità di sfruttare nuovamente il proprio proletariato per ricavarne vantaggi e profitti capitalistici. E’ quanto sta succedendo in Libia, ma è quanto avveniva e avviene in ogni paese che si trova a dover affrontare una crisi economica, sociale e politica che mette in pericolo i privilegi fino a quel momento sicuri per le fazioni borghesi al potere.

In Libia le ragioni della crisi politica e sociale, ed ora militare, non vanno cercate immediatamente nella situazione di depressione economica delle masse ma vanno cercate più sulla spinta a rompere i forti recinti politici e polizieschi in cui la popolazione è mantenuta con il pungo di ferro governativo (dal 1971 la legge punisce con la pena di morte tutti coloro che si vogliono riunire in associazioni od organizzazioni non previste dalla legge). Negli altri paesi dell’area come il Marocco, dove sono in corso altre manifestazioni di protesta represse dalla polizia, la Siria, la Giordania, e ancora lo Yemen fino all’Iran, l’onda della ribellione a condizioni economiche peggiorate pesantemente in questi ultimi anni e a condizioni politiche costantemente strette tra oppressione economica e oppressione poliziesca, continuerà ad avanzare sugli effetti della crisi economica capitalistica, del rialzo smisurato dei prezzi dei generi di prima necessità e del contagio delle ribellioni già avvenute. Non basterà la presenza nel Golfo della Sirte di portaerei, sottomarini, incrociatori e cacciatorpediniere, come non basterà lo scorazzare dei più moderni aerei militari che gli imperialisti fanno sfrecciare sui cieli della Libia, a sedare l’ondata di rivolta. Questa potrà per un certo tempo calmarsi, ma tornerà a cicli sempre più ravvicinati ad infrangersi contro le dighe politiche e militari che le borghesie nazionali continueranno ad alzare nel tentativo di difendere saldamente i loro poteri e i loro privilegi. Fino a quando il proletariato, stanco di lottare per cause non sue e di versare sudore e sangue per ingrassare una cinica minoranza di capitalisti, non ritroverà la sua strada ridiventando protagonista della storia in quella che sarà l’unica guerra che valga la pena di combattere: la guerra di classe contro ogni potere borghese, a cominciare dalla borghesia del proprio paese!

 

 

Partito comunista internazionale

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