Internazionalismo da operetta

(«il comunista»; N° 121; luglio 2011)

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Nell’ultimo numero del nuovo “il programma comunista” (1), l’editoriale porta questo titolo: “Contro il nazionalismo! Per un fronte internazionale di lotta proletaria!”.

Vi si elencano succintamente un po’ di argomenti per dimostrare che le classi dominanti borghesi, attraverso la propaganda del “nazionalismo”, preparano le condizioni ideologiche e pratiche per un futuro sforzo bellico, per un ulteriore conflitto mondiale, come già in precedenza, sottolineando che questa “strategia” – di “progressiva intensificazione della retorica nazionale, patriottica e sciovinista” – si accompagna ad una seconda “strategia” – “di incessante segmentazione, di ossessiva creazione di barriere, confini, territori separati, in cui rinchiudere gli individui, i gruppi, gli strati sociali, le classi”. In pratica, dopo aver detto che “all’interno di ogni nazione, si moltiplicano le segmentazioni che isolano, frantumano, allontanano, separano”, e che queste segmentazioni sono necessarie “per portare il calderone al punto di fusione necessario per lo sforzo bellico”, si dà il giudizio finale: “Si divide oggi per poter meglio fondere domani”, fondere in quell’unione sacra che serve alla classe dominante borghese per il compattamento nazionale più efficiente possibile, “al fronte come nelle retrovie, nella guerra delle armi come nella guerra delle parole, degli atti, delle idee, delle passioni”.

Nella società, di fronte all’opera di “frantumazione di ogni sua componente” e delle “strategie convergenti” verso “la sacra unione nazionale” della classe dominante borghese, come si dovrebbe comportare il proletariato? E come dovrebbe rispondere il partito comunista rivoluzionario?

I proletari, si afferma, “Dovranno rifiutare sia il richiamo delle bandiere nazionali con tutto lo schifo razzista e sciovinista che esso comporta, sia il ripiegamento su se stessi, nella difesa di un illusorio ‘piccolo mondo separato’. Dovranno compattarsi, sì, ma lungo linee di classe: difendendo i propri interessi, che l’approfondirsi della crisi mostrerà inevitabilmente contrari a quelli del padronato, dell’economia nazionale, dello Stato che la sostiene e la difende. Dovranno reagire alla frantumazione delle proprie vite e delle proprie reazioni: superando le barriere che li dividono, collegandosi al di sopra delle categorie artificiali create dal capitale a tutti i livelli (sul posto di lavoro come nella vita quotidiana), frantumando tutti gli ostacoli che si oppongono alla creazione di un vero fronte unico di classe”. Un proletario interessato e non distratto, a questo punto, dopo aver preso nota di quello che, secondo il verbo del nuovo “programma comunista”, i proletari dovranno fare (creare il vero fronte unico di classe in difesa dei propri interessi), si attende di sapere come svolgere questi compiti e, soprattutto, come risalire dall’abisso della “frantumazione delle proprie vite e delle proprie reazioni” e prepararsi a svolgerli: insomma, come creare il “vero fronte unico di classe”?. Ed ecco la risposta: “Solo se riconosceranno, lungo un cammino che sarà inevitabilmente accidentato e faticoso, la propria guida necessaria, quello stato maggiore che non se ne è stato in disparte a osservare, ma che, nelle lotte della classe sfruttata e nello scontro con la classe dominante, s’è guadagnato la fiducia dei proletari, al di sopra dei confini nazionali e locali. Se riconosceranno e sosterranno, insomma, il partito comunista internazionale”.

Ai proletari, dunque, che lottano e si scontrano con la classe dominante, mancherebbe soltanto un passaggio: riconoscere il suo “stato maggiore”, la sua “guida”, il partito di classe.

Al nuovo “programma comunista” non è venuto in mente nemmeno lontanamente che, per il successo della lotta proletaria di classe, la organizzazione e la preparazione alla lotta e allo scontro con la classe dominante, già sul terreno della lotta immediata, sono altrettanto importanti e indispensabili, per il proletariato, quanto essere influenzato e diretto da uno “stato maggiore” all’altezza dei compiti che la lotta di classe porrà concretamente sul terreno accidentato dello scontro di classe. Questa preparazione non avviene per “presa di coscienza” nella testa di ogni singolo proletario, né nella testa di gruppi, strati sociali o classe intera, ma nella lotta immediata che i proletari elementarmente e spontaneamente sono spinti a fare in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro; e solo nello sviluppo della lotta di difesa immediata, nell’esperienza pratica fatta nella sua conduzione, nella sua organizzazione, nella sua difesa e nelle sue sconfitte, i proletari possono rendersi conto dei problemi più generali che la lotta immediata pone e dalla quale saranno espresse le proprie avanguardie, le famose “scintille di coscienza di classe”, di cui parla Lenin  nel “Che fare?”, che faranno da collegamento tra la masse proletaria e il partito di classe. Ogni lotta sociale, per avere una percentuale non irrisoria di successo, deve contare su organizzazioni che tendano ad unire sul terreno degli interessi immediati comuni i proletari dei diversi rami d’industria, delle stesse categorie, delle diverse nazionalità, delle diverse attività economiche in cui il modo di produzione li divide e li frammenta; deve contare su organizzazioni che si pongano obiettivi di esclusivo interesse proletario, rifiutando la collaborazione interclassista, e che usino metodi e mezzi di lotta coerenti con gli obiettivi di classe. In assenza delle associazioni di tipo economico con queste caratteristiche di classe, il proletariato non avrà alcuna possibilità di successo sul terreno della lotta immediata e non avrà alcuna possibilità reale di prepararsi adeguatamente ad una lotta ben più impegnativa e generale come la lotta politica per il potere. Il “fronte unico di classe”, di cui il nuovo “programma comunista” parla, senza peraltro definirne con precisione i limiti e la funzione, se perseguito sul terreno immediato – quello che è stato per la Sinistra comunista il “fronte unico sindacale” del 1921, opposto al fronte unico politico coi partiti socialisti e socialdemocratici voluto e perseguito dall’Internazionale Comunista i cui successivi disastri tattici sono stati oggetto di molti studi di partito – può essere realizzato soltanto attraverso organizzazioni economiche a tipo sindacale di classe; mai potrebbe essere realizzato sull’onda di una spontanea e informe aggregazione di proletari spinti alla lotta. Ma di questo problema non di poco conto, il nuovo “programma comunista” non si interessa, e passa oltre.

Parlare di lotta al nazionalismo borghese e di internazionalismo proletario, parlare di “fronte unico di classe” senza accennare minimamente all’arduo compito che si trova di fronte oggi il proletariato – ma anche il partito di classe – sul terreno della riorganizzazione classista delle associazioni di tipo economico, per risalire da decenni di collaborazionismo interclassista a tutti i livelli (immediato, sindacale, sociale e politico), significa illudere i proletari che le organizzazioni di tipo economico per la difesa immediata non servono più, che essi possono passare sul terreno della lotta contro la classe dominante in un fronte unico che si forma automaticamente, senza alcuna preparazione organizzata, senza esperienze, alla sola condizione di …riconoscere e sostenere… il partito di classe! Partito di classe che, d’altra parte, è ancora in formazione, nel senso che pur esistendo a livello di partito storico (teoria, programma, principi, testi politiche e tattiche storicamente definite), non esiste come partito formale, capace di influenzare in modo determinante le organizzazioni immediate del proletariato e guidare praticamente le lotte proletarie contro la classe dominante borghese. Una visione simile, così distorta e ridicola della ripresa della lotta di classe, la poteva esprimere finora soltanto “battaglia comunista” con la sua teoria della negazione del ruolo dell’organizzazione economica immediata del proletariato in quanto …congenitamente corrotta. Ora possono andare a braccetto entrambi, il nuovo “programma comunista” e “battaglia comunista”, nella loro propaganda …alle coscienze di ogni proletario… in barba alla classica lotta della Sinistra comunista contro il culturalismo e contro l’anarchismo.

In una occasione precedente, in cui il nuovo “programma comunista” ha detto la sua a proposito dell’internazionalismo proletario, o del “fronte internazionale di lotta proletaria” come ama ribadire anche  nell’editoriale oggetto della nostra critica, si trattava di esprimere una posizione rispetto ad una iniziativa sulla quale, per la prima volta in Italia, si mobilitavano apertamente i proletari immigrati. Si trattava dello sciopero organizzato per il 1° marzo 2010 (2).

Ebbene, in occasione di quello sciopero, questo gruppo lanciò i suoi tremendi strali contro questa iniziativa, sostenendo che “lanciare la parola d’ordine dello sciopero dei lavoratori immigrati vuol dire procedere lungo la strada del tradimento” (3). A parte il fatto che, finché non esisteranno organizzazioni a tipo economico di classe, le mobilitazioni e gli scioperi raramente si realizzano al di fuori del controllo delle organizzazioni opportuniste e tricolori (infatti, possono assumere le caratteristiche della ribellione violenta, come a Rosarno o a Villa Literno), resta il fatto che, per cercare di controllare e deviare una spinta spontaneamente classista che i proletari immigrati esprimono ribellandosi a pesanti condizioni di precarietà, di clandestinità e di supersfruttamento, varie organizzazioni pacifiste e opportuniste hanno “preparato” e “diretto” questa mobilitazione in Italia, in Francia, in Spagna e in Grecia. Nonostante questa impronta democratica, pacifista, legalitaria e sostanzialmente opportunista, i comunisti rivoluzionari avevano, e hanno, il compito di intervenire dove possono per prospettare a proletari particolarmente in difficoltà anche solo per “farsi vedere”, un modo diverso di lottare, un modo diverso di organizzarsi e difendere le proprie condizioni di esistenza, il modo di classe, appunto. E’ sempre stata, d’altronde, posizione del partito ieri e della Sinistra comunista sempre, quella di non boicottare mai uno sciopero proletario anche se organizzato e controllato dai sindacati tricolore, perché i proletari, oltre a distinguere tra crumiri e scioperanti, devono imparare a distinguere tra coloro che indicono lo sciopero perché non possono più fermare la spinta proletaria ma cercano di fare tutto quel che possono per deviarlo, depotenziarlo, disorganizzarlo, farlo fallire, e coloro che, invece, vogliono che lo sciopero assuma la maggior forza possibile sia in termini di obiettivi, che, soprattutto, in termini di metodo e di mezzi per la sua preparazione, la sua conduzione, la sua tenuta nel tempo e la sua conclusione. Gli operai devono poter distinguere, perciò, tra coloro che vogliono usare lo sciopero come un’arma efficace di pressione per difendersi dagli attacchi dei padroni e dello Stato borghese, e coloro che lo sciopero, in realtà, lo subiscono usando mille stratagemmi per renderlo meno dannoso possibile agli interessi dell’azienda, dell’economia aziendale, dell’economia del paese, della pace sociale, dell’ordine costituito ecc. Per il nuovo “programma comunista”, invece, il boicottaggio di uno sciopero è perfettamente lecito; ieri si sono lanciati contro lo sciopero degli immigrati, domani contro quale sciopero si lanceranno?

Per questi internazionalisti da operetta, o tutti i proletari, autoctoni e immigrati, e in tutti i paesi, scendono in lotta contemporaneamente, superando ogni divisione e ogni frammentazione  prodotte dal capitalismo e dal suo sviluppo nella concorrenza mondiale più spietata, oppure è alto tradimento della causa proletaria se soltanto un gruppo, ad esempio di immigrati, si spinge a mobilitarsi quando si sente pronto senza attendere che tutti gli altri gruppi e strati proletari siano allo stesso modo pronti per lottare in difesa di condizioni di esistenza che in realtà riguardano tutti i proletari. Questa visione ultimatista, che solo un estremismo stupido e infantile può avere, è una delle più insidiose deviazioni che il movimento comunista internazionale ha prodotto nella sua storia e che ci ritroviamo ancora tra i piedi. Più insidiose ancora, oggi, perché in un periodo in cui è assente la lotta di classe proletaria, in cui perciò i proletari non hanno davanti a sé esempi concreti di atteggiamenti pratici per lo sviluppo della lotta di classe, è facile confondere gli elementi che si avvicinano a posizioni che richiamano un passato rivoluzionario glorioso, che però non hanno esperienze dirette nelle lunghe battaglie della critica marxista contro ogni deviazione opportunista. E allora un verbalismo rivoluzionario, come quello che abbiamo appena descritto, che ammette la ripresa della lotta di classe solo se avviene a livello internazionale e senza bisogno di un faticoso e contrastato lavoro di riorganizzazione classista a livello immediato, può anche attirare l’attenzione di qualcuno, ma non sarà mai in grado di esprimere forza di classe e rivoluzionaria come “partito comunista internazionale” al quale, in realtà, quel gruppo politico da quasi trent’anni ha voltato le spalle.

 


 

1) Vedi n. 3, maggio-giugno 2011.

2) Vedi il nostro articolo “Viva lo sciopero dei lavoratori immigrati!”, n. 115, nov. 2009-genn.2010 de “il comunista”.

3) Cfr “1° marzo 2010: La beffa dello sciopero dei lavoratori immigrati”, in “il programma comunista” n.2, marzo-aprile 2010.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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