DIZIONARIETTO

(«il comunista»; N° 123-124; novembre 2011 - febbraio 2012)

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Soprattutto in tempi di crisi economica, da ogni parte dello schieramento borghese, sia dalla voce dei rappresentanti del grande capitale che dalla voce dei rappresentanti delle molteplici formazioni del  riformismo collaborazionista, si levano alti gli appelli a consumare di più per far riprendere la crescita economica, cioè la produzione. Se, da un lato, i capitalisti affermano che la strada da percorrere è quella dei sacrifici di “tutti gli strati sociali” – sacrifici che pesano, in realtà, soprattutto sulle condizioni di esistenza delle masse proletarie – grazie ai quali il capitale recupererebbe i profitti che ha perso a causa della sua crisi, dall’altro, i sostenitori democratici e romantici di un capitalismo “dal volto umano” insistono perché le masse proletarie siano messe nelle condizioni di consumare di più, in modo da “far girare l’economia”, da permettere ai capitalisti di vendere e smaltire le scorte accumulate nei cicli produttivi precedenti ma non assorbite dal mercato, e suoperare in questo modo la crisi in cui l’economia è precipitata. La teoria è: se si consuma di più, si produce di più, quindi la produzione capitalistica, inceppatasi perché la quantità di merci prodotte non si vende, riprenderebbe la sua corsa. La visione completamente distorta, appositamente falsata dagli opportunisti, di un’economia capitalistica la cui salute dipenderebbe dalla distribuzione, dal consumo, e non dalla produzione – e quindi dal modo di produzione – è vecchia quanto l’ideologia borghese che il marxismo ha già svelato e combattuto fin dalle origini in tutte le molteplici facce quella visione distorta si è presentata. Tra i tanti brani della critica marxista all’interpretazione borghese dell’economia capitalistica, ne proponiamo uno di Lenin, ricavato dal suo scritto del 1897, Le caratteristiche del romanticismo economico, nel quale svolgeva la critica delle posizioni di Sismondi e dei sismondisti russi dell’epoca; brano in cui, con parole semplici, si delinea perfettamente la caratteristica principale dell’accumulazione capitalistica: il consumo dipende dalla produzione, e dall’accumulazione, non viceversa. Il che si traduce in un aumento sempre crescente della produzione di mezzi di produzione a discapito della produzione di mezzi di consumo: capitale costante contro capitale variabile; in parole semplici: il rapporto tra capitale costante e salario segue inesorabilmente questa linea: la crescita del capitale costante corrisponde alla diminuzione del capitale salari, è la teoria della miseria crescente. E’ senza dubbio utile ricordare che l’economista svizzero Sismondi era noto, come afferma Lenin, per “la sua teoria del reddito, del rapporto del reddito con la produzione e la popolazione”. Sismondi “è un fervente sostenitore della piccola produzione e protesta contro gli assertori e gli ideologi della grande produzione (così come protestano anche gli odierni populisti russi)”; da qui il grande interesse, nella battaglia teorica e politica dell’epoca in Russia, nello studiare e criticare la sua dottrina. Ma la visione romantica, utopisticamente reazionaria, dei populisti russi non è semplicemente un fatto storico del passato; è ben presente, aggravata da più di un secolo di teorizzazioni rancide delle diverse correnti opportuniste, anche oggi presso i vari partiti e partitelli “di sinistra”, ma anche “di destra”, che difendono, e non solo per ragioni elettorali, la piccola produzione, il piccolo risparmiatore, la piccola bottega contro lo “strapotere” dei “poteri forti”, cioè del grande capitale.

 

 

L’accumulazione nella società capitalistica

 

“(...) Essenza stessa del modo di produzione borghese (...) l’accumulazione è un’eccedenza della produzione sul reddito. (...) La produzione si crea effettivamente un mercato: per la produzione sono necessari i mezzi di produzione, che costituiscono un settore particolare della produzione sociale, il quale impiega una determinata parte degli operai e fornisce un particolare prodotto, che viene realizzato in parte all’interno di questo stesso settore, in parte mediante lo scambio con l’altro settore, con il settore della produzione dei beni di consumo. L’accumulazione è effettivamente l’eccedenza della produzione sul reddito (beni di consumo). Per estendere la produzione (‘accumulare’, nell’accezione rigorosa del termine), è necessario produrre anzitutto i mezzi di produzione, e a tal fine occorre quindi estendere il settore della produzione sociale che produce mezzi di produzione, occorre attrarre verso di esso gli operai che già cominciano a chiedere anche beni di consumo. Il ‘consumo’ si sviluppa pertanto sulle orme della ‘accumulazione’ o sulle orme della ‘produzione’; per quanto ciò possa sembrare strano, nella società capitalistica non potrebbe accadere diversamente. Nello sviluppo di questi due settori della produzione capitalistica non solo non è obbligatoria l’uniformità, ma al contrario è inevitabile la mancanza di uniformità. E’ noto che la legge di sviluppo del capitale consiste apunto nel fatto che il capitale costante cresce più rapidamente di quello variabile, ossia una parte sempre maggiore dei capitali di nuova formazione viene indirizzata verso il settore dell’economia sociale che produce mezzi di produzione. E quindi questo settore deve svilupparsi più rapidamente di quello che produce mezzi di consumo. (...) Di conseguenza, nel volume complessivo della produzione capitalistica i prodotti per il consumo individuale occupano un posto sempre minore. Ciò corrisponde pienamente alla ‘missione’ storica del capitalismo e alla sua specifica struttura sociale: la prima consiste appunto nello sviluppo delle forze produttive della società (la produzione per la produzione); la seconda esclude la loro utilizzazione da parte della massa della popolazione”.

(Lenin, Le caratteristiche del romanticismo economico, Opere, Editori Riuniti, Roma 1970, vol. 2, cap. V, pp. 143-144)

 

 

Partito comunista internazionale

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