Siria. Dietro gli appelli alla ragione democratica ed umanitaria si nascondono i sordidi interessi della ragione imperialista

(«il comunista»; N° 123-124; novembre 2011 - febbraio 2012)

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Anche se l’impietosa e sanguinosa repressione del governo siriano è riuscita ad impedire l’estensione della rivolta a tutto il paese e soprattutto alla capitale Damasco, essa non è tuttavia riuscita finora a riportare la “calma” – fosse la calma dei cimiteri – dappertutto. Le manifestazioni anti-regime continuano ad Homs nonostante i soprusi dell’esercito e dei cecchini di Bachar El Assad, e nonostante l’arrivo degli ossservatori della Lega Araba che è stato, invece, colto come occasione per organizzare nuove e più grandi manifestazioni in  numerose città.

Si assiste oggi, in realtà, alla  internazionalizzazione della crisi siriana. La Russia sostiene sempre il suo alleato siriano (anche perché è il suo ultimo punto d’appoggio nella regione), quando l’Europa sta mettendo in opera sanzioni economiche contro questo paese. La Lega Araba, da parte sua, tenta una mediazione fra i rivoltosi e il governo, sempre preoccupata che il contagio della rivolta giunga fino alla penisola araba, e mentre sinistre pressioni si fanno sentire da parte di alcuni Stati membri dell’ONU: il governo Turco parla di instaurare una “zona di sicurezza” nella parte della Siria confinante, e il governo francese  ha proposto l’idea di stabilire un “corridoio umanitario” in territorio siriano: Quando gli imperialisti parlano di azioni umanitarie, vuol dire che preparano la guerra; sembra infatti che Francia, Stati Uniti e altri Stati sia già pronti ad armare o ad istruire le reclute di un fantomatico “Esercito Siriano di Liberazione” di cui già parlano i media occidentali. Gli interventi militari recenti, ad esempio in Libia e altrove, hanno mostrato che ciò che motiva effettivamente i capitalisti occidentali – particolarmente interessati alla zona del Mediterraneo e del Vicino Oriente – non è certamente la preoccupazione per i popoli oppressi e massacrati, ma unicamente i sordidi interessi imperialisti di rapina. L’articolo che iniziamo a pubblicare sulla Siria, come quelli precedenti sulla Libia (su cui torneremo), mostrano chiaramente come l’imperialismo francese da un lato, e quello italiano dall’altro, si siano macchiati dei peggiori crimini contro le popolazioni civili dei paesi che finivano nel raggio della loro influenza e dei loro interessi. Sta al proletariato dei paesi imperialisti, di Francia, d’Italia, della Gran Bretagna e degli altri paesi coalizzati nella rapina, ad opporsi ai nuovi crimini che le proprie borghesie nazionali stanno per aggiungere ai vecchi crimini, smascherando le pretese umanitarie dietro le quali nascondono solo ed esclusivamente interessi imperialisti.

I proletari devono riservare ai loro fratelli di classe di Siria, d’Egitto, di Tunisia, di Libia non la loro compassione ma la loro solidarietà di classe in una lotta che li vede accumunati sullo stesso fronte contro le borghesie capitaliste e imperialiste che, pur rivali sul mercato internazionale, uniscono le proprie forze quando si tratta di sfruttare, reprimere, massacrare i proletari che si rivoltano contro condizioni di vita e di sopravvivenza intollerabili per qualsiasi essere umano. Lottare contro il regime sanguinoso di un Mubarak, di un Ben Alì, di un Gheddafi, di un El Assad, di un Saleh per instaurare una regime democratico, e appoggiato dalle democrazie imperialiste d’Europa e d’America, significa di fatto lottare per una gigantesca illusione come la repressione dei movimenti popolari e degli scioperi operai da parte del governo militare in Egitto sta dimostrando. La lotta per la democrazia, oggi, sotto il dominio delle potenze imperialiste, non cambia le condizioni di esistenza delle grandi masse proletarie e contadine povere dei paesi arabi che hanno conosciuto le grandi rivolte di massa dal gennaio del 2011 in poi; la crisi economica che colpisce anche il tenore di vita più alto dei proletariati dei paesi ricchi, è destinata a erodere ancor più le già misere condizioni di sopravvivenza delle masse di questi paesi i cui proletari, se non vogliono cadere nel più spietato asservimento agli interessi del capitale, dovranno necessariamente imboccare la strada della riorganizzazione classista sul piano della difesa immediata come su quello politico più generale.

La grande prospettiva della fratellanza di classe internazionale lanciata al mondo dall’Internazionale Comunista nel 1919-1920 tornerà ad essere il legame che unirà le lotte di tutti i proletari sotto qualsiasi cielo, e a far tremare le cancellerie imperialiste di tutto il mondo. La parola non sarà più data alla democrazia, alla conciliazione fra le classi, alla difesa della patria, ma alla lotta di classe del proletariato internazionale per la rivoluzione comunista e l’abbattimento non di un governo, per quanto inviso e sanguinario, ma del potere politico dittatoriale della classe borghese – anche se mimetizzato sotto le vesti della democrazia – spezzando per sempre il suo Stato e sostituendolo con l’aperta dittatura di classe proletaria. Questo obiettivo storico sarà il risultato dell’incontro tra il riorganizzato movimento proletario di classe che detiene la forza storica della rivoluzione anticapitalistica e il partito politico di classe – il partito comunista internazionale – che detiene la conoscenza del materiale processo storico che porterà la classe proletaria di tutto il mondo ad unirsi sotto le bandiere della rivoluzione proletaria e comunista per farla finita per sempre col capitalismo.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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