L'astensionismo rivoluzionario della Sinistra Comunista d'Italia

(«il comunista»; N° 125; maggio 2012)

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Quando il problema dell'utilizzo del parlamento per la lotta contro il parlamentarismo si pose in seno all'Internazionale Comunista, la nostra correte, la Sinistra Comunista d'Italia, si batté per l'adozione della tattica dell'astensionismo nei paesi di vecchia tradizione democratica, in opposizione alla tattica del "parlamentarismo rivoluzionario" sostenuta dai bolscevichi.

Senza dubbio, sul terreno dei principi, i portavoce di ciascuna delle due soluzioni erano uniti da una solida piattaforma comune. Gli uni e gli altri escludevano, non solo la possibilità, sostenuta dai socialisti, del passaggio al socialismo per la via parlamentare, ma anche di ogni altra prospettiva avanzata da una "estrema-sinistra" antimarxista: democratizzazione delle istituzioni borghesi, come primo passo verso la rivoluzione proletaria; tappe intermedie fra la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato, formazione di governi nel quadro dello Stato borghese; mescola fra istituzioni parlamentari e organi del potere proletario.

Gli uni e gli altri proclamavano che la via unica e obbligatoria per l'emancipazione proletaria era la rivoluzione violenta, la distruzione dello Stato borghese (e quindi anche del parlamento), la dittatura del proletariato esercitata dal partito comunista rivoluzionario, la coercizione verso la vecchia classe dominante - il che significa la fine di qualsiasi "democrazia". La discussione fra i bolscevichi e la nostra corrente non poneva in forse i punti di principio, che tutte le correnti e i partiti che si richiamano al marxismo hanno rinnegato fino ad oggi. Si trattava invece di una questione tattica del tutto secondaria rispetto a quei punti di principio: nel quadro della lotta comunista, antidemocratica e antiparlamentare, "mentre non abbiamo la forza per abbatterlo", dobbiamo utilizzare la "tribuna" del parlamento per mobilitare le masse contro la borghesia e il suo sistema politico?

Come ci si aspettava, il II Congresso dell'Internazionale Comunista (luglio-agosto 1920) adottò le tesi del "parlamentarismo rivoluzionario" presentate e sostenute da Lenin, Bucharin, Zinoviev e Trotsky. Negando la prospettiva della conquista dei parlamenti, queste tesi affermavano che si doveva partecipare ad essi con il solo obiettivo di distruggerli. Questa risoluzione, che tutti i gruppi di estrema sinistra inzuppati di elettoralismo hanno bell'e dimenticato, era accompagnata da una serie di misure draconiane. Siccome il parlamento nei paesi a capitalismo sviluppato si era trasformato in uno strumento della menzogna e dell'inganno del proletariato, il perno dell'azione comunista non poteva essere l'attività elettorale e parlamentare. L'essenziale di questa azione doveva avvenire al di fuori del parlamento, sostenere l'azione di massa diretta dal partito il cui obiettivo era l'insurrezione e la guerra civile.

Di conseguenza, l'attività elettorale e parlamentare doveva limitarsi strettamente alla preparazione della lotta rivoluzionaria nel quadro della quale l'attività elettorale e parlamentare non era che un mezzo sussidiario ed accessorio. D'altra parte le tesi nom facevano della partecipazione ai parlamenti una regola assoluta; al contrario, queste affermavano la necessità di boicottarli, in certe circostanze definite chiaramente di ascesa rivoluzionaria: i bolscevichi lo fecero in vari momenti, dal boicottaggia della prima Duma concessa dallo Zar nel 1905, passando per l'uscita dal parlamento di Kerensky nel febbraio 1917, fino alla dissoluzione dell'Assemblea Costitruente, nel gennaio 1919, lo stesso giorno della sua convocazione...

Infine, i bolscevichi ponevano come condizione, per il funzionamento del "parlamentarismo rivoluzionario", l'esistenza di veri partiti comunisti che avessero rotto totalmente con tutte le tendenze riformiste o centriste (rivoluzionarie a parole, riformiste nei fatti) che consideravano non come "tendenze del movimento operaio", ma come agenti del nemico di classe.

Questo era il parlamentarismo rivoluzionario di Lenin. Non aveva nulla in comune con la pratica dei suoi pretesi discepoli di estrema sinistra che facevano della partecipazione elettorale il punto più alto della loro attività alla quale consacrare il meglio delle loro energie e risorse. Lontani dal vedervi un'occasione per diffondere i principi rivoluzionari, essi si sforzavano al massimo per impedire la rottura del proletariato con il riformismo. Essi  vedevano nel parlamentarismo, addirittura il mezzo per costruire il partito proletario, mentre in realtà il parlamentarismo rivoluzionario dei bolscevichi si giustificava storicamente in un paese dove la rivoluzione borghese non era ancora avvenuta (come nella Russia zarista, nelle colonie o nei paesi arretrati: in questi paesi, la democrazia rivoluzionaria significava la fine delle vecchie strutture feudali, era perciò un obiettivio rivoluzionario borghese conquistato armi alla mano, che il proletariato sosteneva).

La tattica del parlamentarismo rivoluzionario avrebbe potuto essere utile nei paesi di giovane capitalismo, quando in questi paesi esso rappresentava il centro della vita politica ed era in parte un'arena della lotta fra le classi.. Là, la partecipazione alle elezioni e al parlamento era un mezzo di propaganda e di agitazione per strappare i proletari dall'influenza dei partiti borghesi di sinistra, in opposizione all'apoliticismo anarchico nonostante il pericolo di cadere, come diceva Marx, nel "cretinismo parlamentare", ossia accordare un postio enormemente importante all'attività parlamentare a detrimento delle lotte sociali e degli scontri fra le classi. Di contro,la nuova fase aperta dallo scoppio della prima guerra mondiale imponeva a tutti i partiti e alla classe operaia la necessità di consacrare tutte le energie alla preparazione diretta della rivoluzione proletaria. Una tattica molto più rigorosa era necessaria in tutti i grandi paesi capitalisti dove il parlamento e e la gran parte delle istituzioni democratiche non erano che delle armi controrivoluzionarie di difesa indiretta contro la lotta proletaria, un potente freno all'estensione della rivoluzione che iniziò in Russia.

Dopo decenni di elettoralismo e di parlamentarismo ruiformisti, la selezione rigorosa di minoranze rivoluzionarie era impossibile nei paesi capitalisti senza la rottura decisa e netta con le inerzie, i compromessi interclassisti e le illusioni della democrazia borghese - e perciò con la pratica elettorale e parlamentarista. Sebbene fosse necessario proteggere i partiti comunisti appena nati contro la "malattia infantile" dell'estremismo, era tuttavia più importante immunizzarli, o sbarazzarli, dalle correnti falsamente rivoluzionarie che, obbligate a tenere discorsi rivoluzionari dovuti alla radicalizzazione della classe operaia, nei fatti rimanevano inesorabilmente appiccicati alla pratica socialdemocratica.

La tattica del "parlamentarismo rivoluzionario" rendeva, in verità, molto difficile la rottura con il centrismo, questo riformismo di "sinistra" che si mimetizza con fradi "anti-capitaliste". Inoltre, avendo consacrato una parte delle proprie energie all'attività elettorale, i giovani partiti comunisti correvano il pericolo di intralciare la loro azione extra-parlamentare  e la loro preparazione ai compiti di direzione dell'azione rivoluzionaria. Il pericolo era molto concreto perché questi partiti mancavano di una tradizione di lotta  rivoluzionaria e di azione illegale, su cui invece contavano i boscevichi, ed avevano difficoltà reali a rompere con una passata tradizione riformista di azione puramente legale e parlamentare radicatasi in tutti i partiti della Seconda Internazionale.

La necessità di spiegare chiaramente e senza tentennamenti ai proletari imprigionati nella rete delle istituzioni democratiche e imbottiti di illusioni pacifiste, l'impossibilità pratica di andare alla distruzione del capitalismo con mezzi elettorali, parlamentari e pacifici, imponeva ai partiti comunisti di non utilizzare "tatticamente" questi stessi metodi, ma di concentrare tutti gli sforzi di propaganda e di agitazione alla lotta rivoluzionaria, chiamando i proletari a voltar le spalle alla diversione elettorale.

L'astensionismo della Sinistra Comunista non aveva, e non ha, nulla in comune con l'attitudine metafisica delle correnti "infantili" o anarchiche. Per la nostra corrente, il rifiuto dell'utilizzo del parlamento non era motivato da ragioni morali - rifiuto del compromesso, paura di sporcarsi le mani, rifiuto di principio ad utilizzare i mezzi legali -, o per indifferentismo politico, o per orrore dei "capi". Il nostro rifiuto discendeva dalla necessità della preparazione rivoluzionaria, nel quadro di una precisa analisi storica.

Nel 1920, la questione poteva essere discussa: da allora, la storia ha dimostrato che le critiche della Sinistra Comunista d'Italia erano pienamente giustificate. Del parlamentarismo rivoluzionario inteso come semplcie tribuna rivoluzionaria, si è passati in maniera impercettibile all'utilizzo del parlamento per "fare la rivoluzione", e poi per difendere lo Stato borghese "democratico"contro il fascismo e, infine, per "rivalutare il ruolo del parlamento" all'interno dello Stato stesso.

Certamente, la degenerazione del movimento comunista e della Terza Internazionale è stata provocata da una serie di fattori materiali molto più profondi e vasti che non l'attitudine verso la questione elettorale. Questa degenerazione fu possibile, innanzi tutto, perché il processo di formazione dei partiti comunisti si realizzò nella maniera peggiore: in questi partiti, oltre alla fatica inenarrabile nel definire senza tentennamenti il programma comunista rivoluzionario in rottura netta coi  programmi sociademocratici esistenti, si lasciò da parte la selezione delle forze che dovevano comporli, ammettendovi intere ali dei vecchi partiti riformisti che fin dall'inizio iniziarono l'opera di debilitazione sistematica, impedendo in questo modo la più gfranca rottura con le pratiche socialdemocratiche. Il fatto che l'astensionismo, "test" della rottura col riformismo non sia stato applicato, contribuì senz'altro a questa debilitazione.

Si dirà: oggi, la situazione è del tutto differente rispetto agli anni 20.

Evidentemente sì! Ma in che senso è differente?

Oggi non esiste l'Internazionale rivoluzioanria. I principi della rivoluzione, della dittatura del proletariato, del comunismo sono stati scagliati nel dimenticatoio. La classe operaia è infettata fino al midollo del democratismo e dal legalismo. La stessa lotta quotidiana di difesa delle condizioni di esistenza contro gli effetti dello sfruttamento capitalista è ostacolata dal cosiddetto "dialogo" e dalla "concertazione". La situazione è ben differente, è certo, ma nel senso che oggi, la rottura con i metodi e i modi paralizzanti della democrazia rappresentativa e parlamentare, è ancor più necessaria, imperativa!

L'esigenza di questa rottura sociale è inseparabile dalla denuncia di ogni pace sociale, di ogni collaborazione di classe, di ogni solidarietà nazionale.

Coloro che pretendono di chiamare indistintamente alla lotta di classe e alla partecipazione alla carnevalata elettorale, coloro che si dicono rivoluzionari e chiamano a votare per un governo di sinistra o contro un governo di destra, non fanno che minare alla radice le spinte di classe proletarie che pretendono di favorire.

Ci si obietterà: la vostra voce non ha alcuna eco.

E' la stessa obiezione che impiegano da sempre i traditori della causa proletaria. Lenin annunciò la presa del potere, che avvenne nell'Ottobre 17, nell'aprile dello stesso anno, in piena guerra imperialista, dopo 4 anni di una dura e isolata battaglia contro-corrente: "Vale molto di più restare soli come Liebknecht, perché questo significa stare dalla parte del proletariatio rivoluzionario".

Non importa la distanza - grande, senza dubbio -che ci separa dallo slancio finale; questo non potrà essere preparato se non orientando, senza oscillazione e contro-corrente, la lotta contro le politiche e le pratiche riformiste e collaborazioniste, e contro l'intossicazione democratica ed elettoralista che ne fa parte.

Sia quel che sia il rapporto di forze fra proletariato e borghesia, il dilemma resta sempre lo stesso: o preparazione rivoluzionaria, o preparazione elettorale!

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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