Nuove misure del collaborazionismo sindacale tricolore e del padronato per difendere la caduta dei profitti aumentando lo sfruttamento proletario

(«il comunista»; N° 128; novembre 2012 - gennaio 2013)

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Nel nuovo patto sociale (“Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia”, firmato da Cisl, Uil, Ugil, e imprese il 21 novembre 2012) il centro di tutto diviene il contratto aziendale; anche gli aumenti di salario, che dovrebbero essere elargiti (una vera miseria) tendenzialmente per il recupero dell’inflazione, sono previsti sostanzialmente a livello aziendale legandoli ad accordi dove le parti – sindacati collaborazionisti e padronato – si mettono d’accordo per riorganizzare gli orari di lavoro al fine di aumentare la produttività.

Si rende possibile, dunque, derogare a livello aziendale agli orari di lavoro prestabiliti nei contratti nazionali: pause, straordinari obbligatori, flessibilità dell’orario di lavoro, turni, ecc.;  e al salario minimo di base che, finora, almeno formalmente,era uguale per tutti i lavoratori da Nord a Sud, andando così incontro alle richieste dei padroni in “crisi”.

La Cgil formalmente rifiuta di firmare il Patto, ma nello stesso tempo è disponibile a fare di tutto per aumentare la crescita economica del paese; la Cgil, di fatto, è per l’aumento della produzione, ossia accetta di subordinare le esigenze dei proletari a quelle dei padroni e dei loro profitti. Non ha nessuna intenzione di organizzare una lotta dura per difendere il salario e le condizioni di lavoro specifiche dei lavoratori: sostenere la crescita, in un mercato asfittico, dove è la sovrapproduzione di merci a impedire la loro trasformazione in profitti, vuole dire, in realtà, accettare uno sfruttamento più intensivo dei lavoratori che, sempre meno numerosi e sempre più precari, restano in produzione, abbassandone il costo così da rendere le merci più competitive cercando di battere i concorrenti. Questa politica serve solo a salvaguardare un tasso di profitto soddisfacente per i capitalisti.

La classe borghese capitalistica è determinata a recuperare i tassi di profitto precedenti l’ultima crisi economica e, visto che  i proletari non sono ancora in grado di opporre una forza unita per difendere con altrettanta determinazione il proprio salario e condizioni di lavoro tollerabili, i borghesi insistono nell'opera di demolizione di tutti quegli accordi sindacali che finora costituivano una barriera al deterioramento delle condizioni di esistenza proletaria. In quest'opera di demolizione la classe borghese dominante trova al suo fianco l'opportunismo politico dei partiti che pretendono di rappresentare gli interessi dei lavoratori e il collaborazionismo sindacale anche se, ogni tanto, quest'ultimo si prende il lusso di fare la voce grossa, di dire "no" a qualche accordo - che tanto passa egualmente - e di proclamare con molto anticipo una mobilitazione o una sciopero, giusto per non perdere la quota di influenza che ancora detiene sulle masse operaie. Il primo atto che determinerà il cambio di rotta e, quindi, di prospettiva, per i proletari, sarà la rottura netta con i mezzi, i metodi e gli obiettivi che il collaborazionismo sindacale ha per decenni imposto loro.

Il collaborazionismo sindacale tricolore, in particolare quello della Cgil, proprio perché più numerosi sono i suoi iscritti, ha un compito, assegnatogli dal potere borghese e dal suo Stato: deve organizzare i proletari, neutralizzando i più combattivi, per mantenerli rassegnati a subire le misure dei padroni. Nello stesso tempo, il sindacalismo tricolore, per svolgere il suo compito di pompiere e di guardiano del proletariato, ha interesse ad ottenere la fiducia da parte dei suoi organizzati ricorrendo a forme di "opposizione" alle pretese esagerate del pardonato, in modo che il suo ruolo di "rappresentante dei lavoratori", legittimato e giuridicamente riconosciuto dallo Stato borghese, sia riconosciuto anche dai lavoratori. Ma la politica perseguita dal sindacalismo tricolore, proprio perché dipendente dalle esigenze dell'economia aziendale e nazionale borghese, porta alla   divisione dei proletari perché contribuisce ad aumentare la concorrenza fra di loro, azienda per azienda, reparto per reparto, settore per settore, categoria per categoria.  Il sindacalismo tricolore, oltre al mito della crescita economica propaganda anche il mito del wellfare al quale dovrebbe pensare in particolare lo Stato, come se lo Stato fosse un organismo neutro, al disopra delle classi e dei loro interessi contrapposti. Ma lo Stato borghese è lo Stato della classe dominante e difende sempre e comunque gli interessi di classe della borghesia. Questo è ancor più evidente in tempi di crisi come quello che stiamo attraversando da cinque anni; lo Stato taglia ancor più i servizi più elementari a sostegno delle condizioni di vita dei lavoratori nel campo della sanità, dei trasporti, della previdenza, delle pensioni, e ciò va ad aggiungersi alla precarietà del lavoro sempre più diffusa e alla disoccupazione crescente sia nelle fasce giovanili che nelle fasce dei cinquantenni e sessantenni - mentre per legge passa la "riforma delle pensioni" con la quale si alza l'età per andare in pensione e si introducono calcoli che abbattono la pensione stessa.

La crescita economica di cui si riempiono la bocca sindacalisti, politici e imprenditori, sotto il capitalismo in crisi significa una cosa sola: aumento bestiale dello sfruttamento del lavoro salariato su una massa di proletari occupati diminuita. Alla sovrapproduzione di merci corrisponde una sovrapproduzione di operai, mentre la crisi manda in rovina anche ampi strati di piccola borghesia che si proletarizza, ingrossando in questo modo la massa di proletari che cercano di sopravvivere in qualche modo.

Tra le organizzazioni sindacali, la Cisl si adegua più prontamente alle esigenze del capitale adoperandosi per farle passare tra i proletari soprattutto quelli più arretrati. La Cgil, invece, che sostiene le stesse esigenze del capitale in crisi, deve illudere soprattutto i proletari meno arretrati  affermando che esiste una politica "diversa": pur sostenendo le leggi del mercato e della competitività, dichiara che è possibile salvaguardare sia le esigenze del capitale che le esigenze dei proletari, magari discutendo con i borghesi più “illuminati” per dare in questo modo l'esempio anche agli altri imprenditori. Essa opera pienamente nella collaborazione con la classe borghese, ma, non firmando determinati accordi, formalmente si smarca lasciando la responsabilità diretta alle altre organizzazioni collaborazioniste tricolori che fungono così da parafulmini delle tensioni proletarie più acute.

Sta di fatto che l'antagonismo di classe tra proletariato e borghesia non scompare mai, non ammette pause, e se i proletari non lottano contro i padroni per difendere i loro interessi immediati, significa semplicemente che lasciano il campo completamente in mano al nemico di classe: i padroni tentano sempre di ottenere dai lavoratori il massimo del lavoro, sia in termini di tempo di lavoro che di intensità di lavoro, per dare loro in cambio il minimo di salario, proprio perché da questo rapporto deriva il loro profitto; e quando il tasso di profitto non è soddisfacente in rapporto al capitale impiegato, i padroni aumentano la pressione sui lavoratori, o chiudono la fabbrica e la riaprono là dove i proletari costano ancora meno e sono più disponibili a farsi sfruttare fino alla morte.

Il caso della Fiat e degli accordi capestro sottoscritti a partire da quello di Pomigliano il 29 dicembre del 2010, che attaccavano pesantemente le condizioni di lavoro, di salario, e di organizzazione sindacale dei lavoratori, per aumentarne la produttività, insegna che, quando viene attaccato un settore del proletariato, l’interesse di classe è che tutti i proletari di tutti i settori insorgano come un sol uomo per impedirne l’attuazione, perché quelle condizioni peggiorative passeranno inesorabilmente in tutti gli altri settori. E' quel che sta avvenendo oggi con il Patto sul Lavoro e col contratto dei Metalmeccanici sottoscritto ultimamente il 5 dicembre 2012 dalla Fim-Cisl e dalla Uilm-Uil con la Federmeccanica (lasciando fuori la Fiom-Cgil).

Finora, i collaborazionisti della Fiom-Cgil cercavano di accordarsi con i padroni più “illuminati” facendo accordi azienda per azienda sulla base delle loro piattaforme che avrebbero voluto (in realtà sempre stilate sulla base della collaborazione con le aziende e le loro esigenze) più rispettose delle esigenze dei proletari, illudendo questi ultimi che ciò era possibile sulla base delle loro intenzioni e del loro maggiore peso per numero di iscritti. Ora che i padroni, di fronte alla crisi, tirano dritto e si accordano con gli altri sindacati collaborazionisti che dimostrano di piegarsi senza tante storie ai loro interessi, si appellano allo Stato democratico, alla magistratura, ai giudici più “democratici”, illudendo per l’ennesima e per altra via che queste siano neutrali portando i proletari su un falso terreno. Il giorno stesso in cui la Fiom-Cgil aveva proclamato uno sciopero generale il 6 dicembre e indetto delle manifestazioni regionali per portare avanti la propria piattaforma sindacale, Fim-Cisl e Uilm-Uil firmavano il nuovo contratto capestro dei Metalmeccanici con Federmeccanica proprio sulla base di quello passato 2 anni prima alla Fiat. Il segretario della Fiom-Cgil, Landini, dal palco della manifestazione a Padova non trovava di meglio che appellarsi al giudice, e alla Costituzione italiana, chiedendo che il nuovo contratto non venga applicato dal momento che la maggioranza degli iscritti al sindacato da lui rappresentato non lo ha firmato. Cosa significa questo se non la completa sfiducia nella forza operaia che il sindacato stesso pretende di rappresentare ma che, in realtà, non fa che “disorganizzare” affinché la sua lotta non danneggi gli interessi capitalistici? Che cosa significa questo se non il totale cedimento alle esigenze del capitale mascherato dall'impotente ricorso alle istituzioni dello Stato borghese perché sia questo vero comitato d'affari del capitale a prendersi a cuore gli interessi  proletari?

Due anni prima la Fiat forzò la situazione stracciando tutti gli accordi precedenti e lo stesso modello della contrattazione nazionale. Già si sapeva che quelle esigenze riguardavano tutti i padroni in preda alla crisi economica e alla necessità di recuperare profitti. Allora, la Fiom-Cgil non trovava di meglio che indire uno sciopero molto in ritardo, con il contagocce e relegando successivamente la lotta alle sole aziende Fiat, isolando quindi dal contesto tutti gli altri lavoratori che invece dovevano essere coinvolti per aumentare la forza di opposizione all'attacco del più grande capitalista italiano. L'attitudine rinunciataria e servile del sindacalismo tricolore non poteva che incoraggiare i padroni ad andare avanti su questa strada dove non trovavano di fatto nessun reale ostacolo.

La lotta deve ripartire dai lavoratori mettendo al centro delle azioni di lotta le loro reali esigenze, i loro obiettivi specifici di classe, i metodi e i mezzi per difenderli in maniera efficace. La lotta operaia deve riconquistare il terreno dell'antagonismo di classe, altrimenti subisce inevitabilmente la forza degli interessi padronali e del collaborazionismo sindacale, da quello più dichiarato a quello più ambiguo della Fiom-Cgil. La forza operaia viene costantemente deviata nel pantano dei negoziati inconcludenti, del rispetto delle esigenze padronali quando le esigenze dei proletari vengono sistematicamente calpestate, nel pantano del legalitarismo parolaio e della democrazia parlamentare. La rabbia operaia che monta spontaneamehte da condizioni di vita e di lavoro intollerabili, invece di essere indirizzata e organizzata per difendere gli interessi proletari, viene stemperata nel "dialogo" coi padroni e con lo Stato, nelle trattative interminabili sostenute da ammortizzatori sociali che si vanno sempre più spegnendo, in maniera che non incida sugli interessi padronali e sul loro regime di sfruttamento.

Ma prima o dopo quella rabbia sarà talmente incontenibile che esploderà comunque lanciando scintille di classe che cominceranno a orientare avanguardie della classe operaia e a lasciare tracce di organizzazioni indipendenti ed autonome dalla politica collaborazionista e tricolore; rabbia che andrà a contagiare inevitabilmente altre lotte, altre situazioni proletarie e altri settori. Queste avanguardie proletarie, queste organizzazioni indipendenti e autonome dal collaborazionismo interclassista, riprenderanno inevitabilmente i mezzi e i metodi di lotta che le esperienze passate della lotta di classe del proletariato hanno lasciato storicamente come consegna alle generazioni successive: sciopero senza preavviso e ad oltranza, picchetti per tenere fuori i crumiri, massimo allargamento della lotta fuori dai limiti dell’azienda, della categoria, del settore; obiettivi che tendano alla drastica riduzione dell’orario di lavoro giornaliero a parità di salario, e un forte aumento generale del salario sulla base inizialmente dell’aumentato costo della vita,  obiettivi che finalmente saranno fecondi per la classe degli sfruttati e per lo sviluppo della sua lotta di emancipazione.

Per quanto drammatica sia oggi la situazione della classe operaia, ancora lontana dal suo terreno specifico di lotta per i propri obiettivi classisti, con i mezzi e i metodi diretti della lotta contro la borghesia  direttamente proporzioli allo sfruttamento bestiale che subisce, tutti i proletari più avanzati devono necessariamente combattere la politica e i metodi del collaborazionismo sindacale per non cadere prigionieri o anche semplicemente avallare quella  politica, quei metodi opportunisti e fondamentalmente impotenti. Gli opportunisti si rivolgono ai proletari prendendoli in giro proponendo le solite “alternative” e “scorciatoie” alla lotta diretta e classista, che agli operai possono sembrare azioni più facili, rispetto ai metodi e ai mezzi che la lotta organizzata classista impone, (vedi la Fiom-Cgil sul referendum proposto per ripristinare la tutela per legge dal licenziamento, modificata dal governo a proposito dell’art. 18… basta mettere una firma su un foglio, oppure la denuncia ai giudici per incostituzionalità democratica della firma separata sul CCLN dei metalmeccanici praticata da Fim-Cisl e Uilm-Uil, o della proposta di legge da far approvare al parlamento per obbligare tutti gli operai a votare le piattaforme CCNL perché possano essere legali, ecc.), ma non faranno che allontanarli da quella possibilità unica che hanno nei fatti di difendersi dalla furia del capitale e dallo schiacciamento che stanno subendo con la crisi economica e le misure imposte dalla borghesia al governo.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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