Alcuni cenni sulla Siria (4)

LA SIRIA INDIPENDENTE

(continua dal n. 126-127)

(«il comunista»; N° 129; febbraio-aprile 2013)

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Il regime di al Assad, il pugno di ferro al servizio dello sviluppo capitalistico

 

Al suo arrivo al potere nel novembre 1970, sullo sfondo della sinistra vicenda del "settembre nero" palestinese, Hafiz al- Assad fu festeggiato come salvatore dagli artigiani e dai mercanti del suk di Damasco mobilitati dalla borghesia urbana (1): egli rappresentava in effetti la vittoria della frazione del partito Ba'th che difendeva soprattutto gli interessi della borghesia commerciante, principalmente di Damasco.

Il movimento cosiddetto di "rivoluzione correttiva" si tradusse immediatamente, a livello di politica economica, nell'intervento dello Stato nell'economia per sviluppare una base industriale: eliminazione delle restrizioni nel commercio estero, restituzione di alcuni beni nazionalizzati, misure di incoraggiamento al rimpatrio dei capitali, facilitazioni del credito alle imprese private ecc. La conseguenza di queste misure fu il forte aumento del settore privato nell'economia del paese (2) mentre veniva prospettata una prima apertura agli investimenti esteri.

Sul piano politico un "Fronte Nazionale Progressista" (FNP), raggruppante diversi partiti ("comunisti", nasseriani, socialisti arabi...) che accettavano di subordinarsi al partito Ba'th, era stato costituito per dare una facciata di pluralismo e allargare la base politica di un regime repressivo e autoritario che, negli anni, si sarebbe appoggiato sempre più sui legami comunitari aluiti per proteggere meglio i propri interessi.

In un primo tempo, però, è l'ideologia nazionalista araba ad essere esaltata, secondo la classica tradizione ba'athista.

La partecipazione a fianco dell'Egitto nella guerra dell'ottobre 1973 contro Israele (nota come Guerra del Kippur, dal 6 al 25 ottobre 1973) si concluse con una nuova sconfitta militare araba, ma con una vittoria politica del regime siriano: Hafiz al-Assad potè vantarsi verso la propria popolazione come verso altri Stati arabi non solo del fatto che le truppe siriane lanciate alla riconquista delle alture del Golan, perse nella guerra del 1967 (nota come la guerra dei 6 giorni, dal 5 al 10 giugno 1967) con Israele, avevano validamente tenuto testa agli israeliani, ma che a differenza dell'egiziano Sadat, egli non aveva sottoscritto nessuna pace separata con il nemico.

Di conseguenza, mentre l'Egitto era escluso dalla Lega Araba (organizzazione che raggruppava tutti gli Stati arabi), la Siria riceveva dagli Stati arabi, arricchitisi grazie al rialzo del prezzo del petrolio, un aiuto importante che le permetterà di superare le distruzioni dei bombardamenti israeliani e di conoscere un rilancio della crescita economica e dello sviluppo industriale (3). Ma dal 1975-76 la crescita lasciava il posto ad una crisi economica (in sintonia con la crisi economica mondiale) che si aggravava a causa del blocco dei versamenti, all'inizio del 1976, da parte dell'Arabia Saudita.

 

La reazionaria opposizione islamista, espressione degli scontri di interessi borghesi

 

Una forte inflazione ed un progressivo aumento della disoccupazione, causati dalla crisi della produzione di cotone, mentre la generalizzazione della corruzione e il rapido arricchimento di un pugno di affaristi provocava la collera di larghi strati della popolazione, provocarono una serie di manifestazioni e di moti ad Hama, Aleppo e Homs, duramente repressi dall'esercito (4).

Nel frattempo era scoppiata la guerra civile in Libano e il primo giugno 1976 le truppe siriane intervennero in questo paese per impedire la vittoria dei combattenti del campo detto "palestinese progressista". Rafforzate dall'intervento siriano, le truppe falangiste cristiane poterono passare all'offensiva, attaccando in particolare il campo palestinese di Tall-el-Zaatar ditruggendolo dopo 52 giorni di combattimento e massacrando più di 3000 civili... (5).

L'intervento militare siriano aveva ricevuto l'avallo, implicito o esplicito, dell'imperialismo americano e degli Stati borghesi della regione (Israele aveva dato l'assenso a condizione che le truppe siriane non giungessero alla sua frontiera, cioè nel sud del Libano) (6): una vittoria dei combattenti palestinesi rifugiati in Libano e dei loro alleati avrebbe certamente destabilizzato l'ordine imperialista regionale; una volta di più Hafiz al-Assad, il rappresentante del sedicente "Fronte del rifiuto" contro Israele e l'imperialismo, agiva quindi, con l'accordo di Israele, al servizio dell'imperialismo internazionale attaccando i palestinesi!

La presenza militare siriana nel Libano durerà praticamente trent'anni (7), costituendo per la borghesia e la gerarchia militare siriane (8) una vera e propria rendita per aver moltiplicato gli affari in ogni campo. Ma, in un primo tempo, essa aggravò le difficoltà economiche e politiche interne. Un'ondata di assassinii politici caratterizzò la fine degli anni '70; essa fu all'inizio imputata dalle autorità siriane all'Iraq, prima che fosse attribuita ai Fratelli Musulmani (o ad una loro frazione). Il regime rispose con l'ormai abituale ferocia. Oltre alla creazione di forze militari pesantemente armate e specializzate nell'annientamento dei moti urbani, furono costituite delle milizie armate reclutate soprattutto fra i membri aluiti del partito Ba'th, e incaricate della repressione in tutto il paese. Questi veri e propri squadroni della morte si resero responsabili di molti massacri.

Aleppo, che è la più importante città industriale e commerciale del paese, a partire dal 1979 fu teatro di numerose manifestazioni, attentati e assassinii dopo l'arresto del capo religioso oppositore del regime; nonostante la repressione, nel marzo 1980, scoppiò uno sciopero dei commercianti e la chiusura del quartiere degli affari durò 2 settimane; rispondendo all'appello degli islamisti, le contestazioni si diffusero ad altre città e anche Damasco sembrò in procinto di seguirne le orme. In questa situazione di grande incertezza per il regime, il presidente delle Camere di commercio siriane riunì i grandi commercianti di Damasco perché proclamassero pubblicamente il loro sostegno al governo,  con l'intento di far fallire il movimento di opposizione: i ceti borghesi di Damasco manifestavano in questo modo il loro appoggio al regime di Hafiz al-Assad grazie al quale avevano ottenuto molti più vantaggi rispetto ad altre regioni.

Avendo messo al sicuro in questo modo la capitale, il governo potè mobilitare molte migliaia di soldati con centinaia di blindati che, dopo aver arrestato e massacrato più di 200 persone nella località di Jisr al Shugur dove dei manifestanti avevano preso d'assalto la sede del partito Ba'th, instaurarò un regime di terrore ad Aleppo per più di un anno. Il numero dei morti è stato stimato ad almeno 2000, a cui bisogna aggiungere un numero indefinito di persone arrestate, brutalizzate, torturate.

Tuttavia gli attentati continuarono, toccando anche la capitale. Nel giugno 1981, dopo un tentativo di assassinio contro Hafiz al-Assad, circa 55 detenuti accusati di essere membri o simpatizzanti dei Fratelli Musulmani per rappresaglia furono uccisi a sangue freddo nelle loro celle della prigione di Palmyre (9).

 

Il massacro di Hama

 

Ad Hama, nel febbraio 1982, il regime si trovò di fronte per la prima volta ad una vera insurrezione: alcune centinaia di insorti assaltarono i posti di polizia e gli edifici pubblici ufficiali e presero il controllo della città. Furono inviati più di 10.000 soldati per schiacciare gli insorti che si trincerarono nei vecchi quartieri e nell'inestricabile rete di vicoli. I combattimenti durarono 3 settimane e la repressione, particolarmente violenta, fece dalle 10 alle 25 mila vittime (più di un decimo degli abitanti della città) (10), molte delle quali, spesso famiglie intere, ammazzate sul posto. Di numerose persone imprigionate non si seppe più nulla.

La rivolta di Hama, e più in generale i moti di questo periodo, sono perlopiù presentati come una insurrezione confessionale, come una lotta essenzialmente religiosa. Ma, anche se la rivolta contro il regime si è vestita della bandiera dell'islamismo, della lotta contro la setta degli aluiti e/o del nazionalismo antisionista, si trattò in verità di un conflitto tra fazioni borghesi.

"Non è tanto la 'devozione religiosa' che si solleva contro il laicismo del partito Ba'th, quanto le grandi famiglie industriali delle città rovinate dalle fabbriche statali (...). E se Aleppo diventa l'epicentro del movimento islamista, è in parte perché i suoi ceti borghesi hanno particolarmente sofferto le conseguenze della riforma agraria e perché Aleppo, la capitale del Nord, è stata svantaggiata rispetto a Damasco, sua rivale. Le élites tradizionali delle grandi città sunnite, Aleppo, Homs e Hama, che stanno dietro alle manifestazioni urbane successivamente al 1971, sono gli alleati oggettivi dei Fratelli [Musulmani, NdR]. Esse forniscono loro fondi e armi", scrive uno specialista della Siria (11). Va aggiunto che ingerenze esterne a sostegno dei movimenti di rivolta sono più che probabili (12).

Ma ciò che è più importante rilevare, è che le frazioni borghesi regionali, danneggiate dalle misure economiche del regime, hanno fatto e fanno di tutto per mobilitare e deviare a loro profitto, grazie all'ideologia religiosa, il malcontento di larghi settori della piccola borghesia e degli strati impoveriti della popolazione urbana.

La classe operaia, ridotta al silenzio e paralizzata fin dalle origini da parte del regime del partito Ba'th - con l'appoggio dei prestesi 'comunisti' - che vieta il diritto di sciopero e di organizzazione sindacale indipendente (codice del lavoro del 1985), non è assolutamente in grado di manifestarsi come forza autonoma e ancor meno come forza di classe che combatta il capitalismo, ciò che sarebbe stata la condizione per ridurre l'influenza dell'islamismo reazionario sulle masse e la condizione per mettersi, appoggiandosi sul malcontento generale, alla testa della lotta contro un regime particolarmente odioso. La situazione si sta ripetendo, disgraziatamente, trent'anni dopo...

Il massacro di Hama segnò la fine dell'opposizione islamista al regime e di ogni altra opposizione (se si eccettua il fallito tentativo di Rifaat al-Assad di impadronirsi del potere in occasione della malattia del fratello Hafiz) all'epoca in cui, a partire dal 1986, la Siria stava attraversando una grave crisi economica. Virtualmente in fallimento, lo Stato si trovò nell'impossibilità di pagare i propri debiti quando, nello stesso tempo, si trovava nella necessità di far fronte  ad importanti spese militari che corrispondevano alla metà del bilancio statale: fu quindi obbligato a ricorrere al FMI.

Saranno lo sviluppo della produzione petrolifera, diventata la prima risorsa di esportazione siriana, e l'arruolamento della Siria nella coalizione americana all'epoca della prima guerra americana contro l'Iraq, che permetteranno un rilancio della crescita economica a partire dagli anni Novanta.

Gli aiuti finanziari dell'Arabia Saudita (dove le truppe siriane proteggevano le installazioni petrolifere) e dei paesi del Golfo, una apertura (sebbene limitata) agli investimenti stranieri e delle misure di liberalizzazione economica, compensarono più che  abbondantemente la perdita dell'alleato sovietico: seguì un vero boom economico, con una crescita del PIL, per qualche tempo, del 10%.

Ma non fu che un fuoco di paglia; a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la crescita rallentò e l'economia, a causa dell'abbattimento del prezzo del petrolio, entrò in recessione. A questo proposito, un rapporto ufficiale del nuovo governo instaurato da Bachar al-Assad sosteneva che gli anni 1997-2003 erano stati "anni persi" per l'economia siriana.

 

Le illusioni della "primavera di Damasco"

 

La salita al potere di Bachar al-Assad alla morte del padre nel 2000 fu seguita da un periodo di liberalizzazione politica, senza dubbio limitata, ma che dava un taglio al periodo precedente; per la prima volta si potevano leggere nella stampa ufficiale delle critiche agli orientamenti economici del regime, i partiti membri del FNP erano autorizzati ad avere una certa indipendenza, veniva annunciata la lotta contro la corruzione ecc. Un centinaio di intellettuali firmarono una dichiarazione pubblica domandando la fine dello stato di emergenza, la liberazione dei prigionieri politici, il pluralismo politico, e vennero organizzati dei forum di discussione fra intellettuali...

Ma non ci si poteva illudere. Non ci volle molto perché si dissipassero le illusioni di una democratica "primavera di Damasco" vantata dai media di mezzo mondo. Appena Bachar rafforzò il suo potere, i servizi di sicurezza arrestarono gli intellettuali e gli oppositori democratici che avevano abboccato all'amo!

Tuttavia, per l'imperialismo, ciò che era importante era la prospettiva di "riforme economiche" e di apertura ai capitali internazionali che il nuovo governo metteva in campo.

Chirac, come portavoce di un imperialismo francese che non poteva restare ai margini di una regione in cui ha sempre avuto importanti interessi, si offrì di introdurre il giovane presidente siriano presso le potenze capitaliste europee; fu siglato un accordo di associazione economica con l'Unione Europea, in discussione da anni, che prevedeva la liberalizzazione dell'economia siriana; degli specialisti francesi furono incaricati di realizzare un "audit" delle strutture economiche statali della Siria in vista della loro riforma e privatizzazione; fu promessa alla Total (già presente nel paese nel settore dell'estrazione del petrolio) la concessione di un importante gaicimento di gas naturale ecc.

Ma, anche in questo ambito le prospettive d'apertura si rivelarono presto illusorie; le misure di privatizzazione e di liberalizzazione economica furono realizzate soprattutto a beneficio dei capitalisti locali; l'accordo con l'Unione Europea non venne mai applicato e la concessione del giacimento di gas alla Total sfumò (13).

Ferito nell'onore e negli interessi, l'imperialismo francese, in contrasto con gli interessi siriani in Libano (ad esempio a proposito dell'eventuale privatizzazione del porto di Beirut), incitò il primo ministro libanese Hariri a depositare con la Francia e gli Stati Uniti una mozione al Consiglio di sicurezza dell'ONU per esigere il ritiro delle truppe siriane dal Libano. La risposta di Damasco non si fece attendere: qualche mese più tardi, nel febbraio 2005, il miliardario Hariri, "amico personale" di Chirac, legato all'Arabia Saudita e che era stato messo a capo del governo libanese dalla Siria prima di diventare un suo oppositore, fu ammazzato in un attentato (14). In ogni caso, le pressioni americane, europee e saudite furono tali che costrinsero la Siria a mettere fine alla sua presenza militare in Libano; ciò non significò la fine, ma solo l'affievolimento della sua multiforme influenza in questo paese.

Sotto l'ostracismo da parte degli Stati Uniti all'epoca di Bush, a causa del suo sostegno al regime di Samma Hussein e alla sua alleanza con l'Iran, e per le stesse ragioni in contrasto con l'Arabia Saudita e con l'Europa dopo l'assassinio di Hariri, la Siria, abbandonando ormai la sua rivendicazione territoriale sulla regione di Antiochia (Alessandretta) donata dalla Francia alla Turchia alla vigilia della seconda guerra mondiale, si è rivolta al governo di Ankara visti i suoi rapporti sempre più deteriorati con Israele. Essa ha, nello stesso tempo, accresciuto i legami economici con la Cina e il Qatar.

Ma i suoi principali sostenitori rimangono l'Iran che, attraverso l'Iraq sciita si garantisce un accesso al Mediterraneo e al commercio mondiale attraverso la Siria; e  la Russia, che dispone sulla costa siriana dell'unica base navale militare nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Inesorabilmente allontanata, nel corso degli ultimi decenni, dalle sue posizioni nella regione da parte dell'imperialismo americano, con la perdita di questa base navale, per quanto limitata sia, la Russia sarebbe praticamente relegata al rango di una potenza bloccata nel Mar Nero senza più alcun accesso facile ai "mari caldi"!

Per quel che concerne l'imperialismo francese, la dura posizione di Chirac nei confronti del regime di al-Assad è stata criticata nei circoli imperialisti interessati alla regione, in qualche modo allarmati per il fatto che Germania, Italia e Spagna si stanno impadronendo di una parte del mercato siriano perduta dalla Francia, ma soprattutto desiderosi di giungere ad un accordo con la Siria per il Libano. Così, dalla sua elezione a presidente, Sarkozy cercò di riannodare i rapporti con Damasco, iniziando dalla cooperazione come polizia anti-islamista, per continuare sulla questione libanese (accordi detti di Doha sotto l'egida del Qatar per la formazione di un governo libanese di "unione nazionale") e, infine, per integrare la Siria nel suo fumoso progetto imperialista di "Unione per il Mediterraneo".

"Anche se non vi fossero dei siriani, vi sarebbe un problema siriano", ha scritto uno storico citato di frequente (15). La posizione geostrategica della Siria le conferisce un'importanza nella politica regionale e mondiale dell'imperialismo che va aldilà del suo peso economico proprio e del regime insediato.

E' per questo che nella guerra civile attuale, come in tutte le crisi precedenti, le potenze capitaliste locali e internazionali non possono non intervenire per difendere e far avanzare ognuno i propri interessi. E' quel che ha fatto e fa l'imperialismo francese, e sulla sua scia gli altri imperialismi interessati, in vista della caduta del regime, come è già avvenuto in Libia. Ed è ciò che ha fatto e fa la Turchia, rompendo con un regime che si è dimostrato incapace di mantenere l'ordine sul suo territorio: a più riprese il governo di Ankara ha agitato la minaccia di un intervento militare, in particolare nel caso in cui i Kurdi di Siria riuscissero a diventare indipendenti. E se la situazione in Siria evolvesse verso un caos "incontrollabile" per l'imperialismo, la Turchia, rammentando il vecchio dominio ottomano, sarebbe la sola potenza in grado di inviare truppe militari per ristabilire il tallone di ferro dell'ordine borghese...

Quale che sia lo sbocco a breve della tragedia siriana attuale, anche nel caso del tutto straordinario di un accordo negoziato sotto l'egida dell'imperialismo mondiale che mettesse fine ai combattimenti, e fino a quando il proletariato non avrà rovesciato il capitalismo internazionale, la Siria e, più in generale, il Medio Oriente resteranno una zona di tempeste, un focolaio di tensioni sempre pronte ad esplodere e a generare scontri violenti e guerre fra le diverse potenze capitaliste, regionali e mondiali, di cui le masse sfruttate e oppresse sono sempre le vittime predestinate.

 

Una situazione economica e sociale esplosiva

 

La popolazione attuale del paese sarebbe, secondo alcune stime, superiore ai 22 milioni di abitanti. Una forte crescita demografica ha fatto sì che in cinquant'anni i dati della popolazione si sono moltiplicati di 4,5 volte circa: nel 1960 la popolazione era di circa 5 milioni. E' un aumento nettamente superiore a quello dei suoi vicini come Israele (che registra 7,5 milioni di abitanti), il Libano (4,5 milioni), la Giordania (6 milioni) o la Turchia che, con i suoi 79 milioni di abitanti, resta tuttavia un vero gigante in confronto agli altri paesi dell'area. Solo l'Iraq, con 32 milioni di abitanti, ha conosciuto un aumento della popolazione paragonabile (4,2 volte il dato del 1960). Se il tasso di natalità si è abbassato, soprattutto a causa della crisi nella metà degli anni '80, resta comunque superiore a quello della maggioranza dei paesi arabi, mentre il tasso di fecondità è di 3,5 figli per ciascuna donna.

Questa importante crescita della popolazione si è accompagnata ad uno sviluppo indiscutibile della Siria e a un profondo cambiamento del paese un tempo essenzialmente agricolo. All'epoca della "grande rivolta" del 1925 l'agricoltura occupava quasi il 70% della popolazione attiva e non vi erano che 150 imprese industriali con capitali per la maggior parte europei (soprattutto francesi), delle quali solo alcune avevano al massimo 300 operai.

Secondo le statistiche ufficiali, e a seconda delle fonti, l'agricoltura, all'inizio degli anni 2000, non occupava che il 25-30% della popolazione attiva (contro il 50% negli anni Sessanta), ma solo il 14% nel settore chiamato "formale" e il resto, cioè circa 1 milione di persone, si trovava nel "settore informale parallelo" (cioè, contandini senza terra e operai agricoli senza alcun diritto). Nel 2007 l'agricoltura rappresentava il 20,4% del PIL, mentre l'industria (nell'accezione più larga, ivi compresa, dunque, l'industria estrattiva del petrolio) ne rappresentava il 31,6% (di cui il 7,8% costituito dall'industria propriamente detta, nel gergo anglosassone, manifatturiera) e il settore dei servizi (dal commercio alla funzione pubblica) il 48%.

Dall'arrivo di Bachar al-Assad al potere una "controriforma" è stata collegata alla privatizzazione delle aziende agricole di Stato, concesse in parcelle ai vecchi proprietari espropriati dalla riforma agraria e ai contadini senza terra. Inutile dire che ciò ha dato origine alla ricostituzione delle grandi proprietà, accentuando un processo già avviato, ma in modo mascherato, nella forma dell'allocazione delle terre (16). Dal 1986 le imprese agricole private, alla  condizione di versare allo Stato un quarto della loro produzione, sono state esentate dal rispettare le leggi relative ai contratti di lavoro, da tutte le restrizioni sul possesso di valuta e da tutte le regole inerenti all'import-export.

Con lo sviluppo della tecnica di irrigazione, queste misure avevano dato un colpo di frusta alla produzione delle colture per l'esportazione, facendo dell'agricoltura negli anni Novanta una componente importante del prodotto nazionale e del commercio estero. I principali prodotti agricoli esportati sono stati il cotone grezzo, seguito dal bestiame e dai prodotti agro-alimentari.

Ma l'agricoltura, in un paese arido come la Siria, è molto dipendente dalle variazioni  climatiche, e 4 anni di siccità, a partire dal 2007, hanno costretto per la prima volta ad importare il grano (la cui produzione era nel frattempo quintuplicata dopo il 1970), e nello stesso tempo hanno provocato una accelerazione dell'esodo rurale (20-30% della migrazione dal 2008 al 2009) e la ricomparsa della fame nei villaggi del nord conseguente al rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari. 800.000 persone di questa regione avrebbero perso i propri mezzi di sopravvivenza, mentre dai 2 ai 3 milioni di persone si sarebbero trovate in "situazione di insicurezza alimentare". La reazione governativa è stata tardiva e insufficiente, mentre dei piani per affrontare la siccità sono in discussione... da dieci anni! (17).

 

Un paese capitalisticamente poco sviluppato

 

Sul piano del commercio estero, la Siria ha ancora il profilo di un paese sottosviluppato che esporta essenzialmente materie prime; se si prende il PIL per abitante come un indice, senza dubbio grossolano ma certamente istruttivo, dello sviluppo capitalisitico, si constata che è significativamente inferiore alla metà dei Paesi Arabi del Vicino Oriente: 1822 euro contro 2998 (cifre del FMI).

A dispetto di questo sottosviluppo relativo, la Siria ha tuttavia conosciuto una importante evoluzione economica dopo la sua indipendenza, Dopo la venuta al potere di Baas, lo Stato si è speso per favorire uno sviluppo industriale di cui è stato il principale attore dopo le nazionalizzazioni - nella seconda metà degli anni Sessanta - delle rare grandi installazioni indutriali esistenti e, a partire dagli anni Settanta, della loro creazione ex novo.

Ma, con la crisi finanziaria del 1986, le risorse per gli investimenti statali si inaridiscono, e il governo si rivolge nuovamente ai capitalisti privati. La crescita del settore industriale privato sarà rapida (spettacolare la crescita dell'industria farmaceutica con produzione su licenza o di medicinali generici, che arriva a coprire l'80% del fabbisogno del paese).

E' soprattutto lo sviluppo della produzione petrolifera a partire da quel periodo che ha permesso alla Siria di superare le sue difficoltà. Questa produzione, modesta per la verità (0,5% della produzione mondiale nel 2010), è realizzata essenzialmente dalla Shell (400.000 barili al giorno all'inizio degli anni 2000) e dalla Total (in precedenza Elf) associata alla società statale SPC (Syrian Petroleum Company) (50.000 barili al giorno negli stessi anni). Il petrolio rappresenta oggi il 20% delle esportazioni siriane e costituisce il 23% delle entrate dello Stato. Ma le riserve di petrolio sono in via di esaurimento e la produzione di 610.000 barili al giorno del 1995 è precipitata a 385.000 nel 2010. Si stima che da qui ad una quindicina di anni la Siria tornerà ad importare petrolio.

Secondo la Banca Mondiale, la crescita dell'industria propriamente detta era del 14,9% all'anno nel decennio 1997-2007 (prima dello scoppio della crisi economica internazionale che, come dappertutto, ha avuto conseguenze negative). Ma le industrie statali sono poco redditizie e soffrono di mancanza di investimenti, mentre le imprese private sono di piccole dimensioni: nel 2008 vi erano, secondo le statistiche ufficiali, non meno di 199.000 imprese industriali, che impiegavano un totale di 700.000 persone, ossia una media di 3,5 impiegati per impresa!

Le sole grandi imprese, in pratica, sono solo quelle di Stato, mentre l'immensa maggioranza delle imprese private "industriali" non sono in realtà che delle aziende artigianali. Per la poca competitività sul mercato mondiale, le aziende industriali siriane soffrono del fatto di aver perso il loro mercato nei paesi del blocco sovietico, come dimostra il caso del tessile.

L'industria tessile e dell'abbigliamento, seconda dopo l'Egitto nel mondo arabo, è la principale industria siriana. Le 26mila imprese censite (con una media di  3,8 dipendenti l'una)   impiegano circa un quarto della manodopera industriale del paese e sono situate ad Aleppo e nella sua regione. Specializzate nella produzione di bassa gamma, esse sono sottoposte ad un'aspra  concorrenza da parte della Turchia (con la quale sono stati sottoscritti degli accordi di libero scambio) e da parte di altri paesi asiatici e arabi alla quale esse non hanno la possibilità di resistere se non attraverso il pagamento di salari sempre più bassi alla manodopera: la produzione tessile siriana ha subito una diminuzione dell'80% fra il 2009 e il 2010! Ci si può immaginare le conseguenze di questa caduta sulle migliaia di micro-aziende: i loro padroni rovinati e i loro dipendenti gettati nella disoccupazione sono andati a raggiungere i ranghi degli oppositori al regime...

 

La condizione operaia

 

Una prima spiegazione della mancanza di reazione della classe operaia siriana in quanto tale la troviamo nella struttura stessa dell'industria: in Siria non esistono grandi concentrazioni operaie paragonabili alle gigantesche fabbriche tessili del nord dell'Egitto che, attraverso le loro lotte, hanno dato il colpo d'avvio ai movimenti di protesta che hanno condotto alla caduta di Mubarak. I proletari salariati siriani sono per lo più mescolati nelle masse popolari dei piccoli artigiani, dei piccoli commercianti e dei contadini, dei quali essi condividono i costumi e il modo di vivere; numerosi sono, inoltre, coloro che provengono dal mondo rurale e vi ritornano quando il lavoro salariato salta. Si è avuto, ad esempio, all'inizio degli anni Novanta, un ritorno allo sfruttamento agricolo nella periferia di Homs di lavoratori che l'avevano abbandonata per andare a lavorare nell'industria chimica o nelle amministrazioni dalle quali poi sono stati licenziati (18): lo stesso fenomeno si è sicuramente riprodotto in molte altre parti del paese.

Di fronte alle cattive condizioni di vita e di lavoro, di fronte ad una disoccupazione che supera velocemente il 20%, esiste anche una via d'uscita più facile della lotta in un paese ultra-repressivo e supercontrollato (nelle aziende, l'adesione al sindacato unico, vero poliziotto dei lavoratori, è obbligatoria): l'emigrazione, soprattutto verso il vicino Libano. Non esistono cifre ufficiali, ma si stima che i lavoratori siriani rifugiati in Libano siano dai 500mila al milione; essi costituivano circa il 30% della manodopera esistente in Siria alla fine degli anni Ottanta (19). Il ritiro delle truppe di Damasco all'inizio degli anni 2000 provocò la partenza in massa di questi lavoratori, ma fu una partenza solo temporanea.

Relegati come i Palestinesi ai lavori più difficili e mal pagati, perfino vittime di veri pogrom, senza alcun diritto sociale, essi hanno trovato in Libano, nonostante ciò, condizioni migliori che nel loro paese d'origine, cosa che ha rappresentato una valvola di sfogo delle tensioni sociali in Siria. Ma le difficoltà economiche in Libano tendevano, nell'ultimo periodo, a restringere questa possibilità per i lavoratori siriani.

Dopo le misure di "aggiustamento strutturale" degli anni Novanta in Siria, la disoccupazione raggiunse livelli elevati; ufficialmente al 16% nel 2009, era stimata in generale superiore al 20% della popolazione attiva, colpendo soprattutto le donne e i giovani. Bisogna dire che ogni anno arrivavano sul mercato del lavoro 300.000 persone, ma l'economia siriana non era certo in grado di assorbire un simile numero di lavoratori.

Nel 2003, il 38% degli impieghi si trovavano nel settore "informale" (*), senza alcun diritto né copertura sociale; in realtà, una buona parte dei lavoratori facenti parte teoricamente del settore formale erano a tutti gli effetti anch'essi "informali": solo dal 14 al 22%, a seconda degli studi statistici, degli impiegati del settore privato formale erano iscritti alla Sicurezza Sociale, che era obbligatoria. In totale i due terzi degli impieghi (64%) di cui l'89% nel settore privato, sarebbero stati informali; e per la schiacciante maggioranza erano occupati nelle costruzioni, nei trasporti e nell'agricoltura. Dopo questa data la situazione è peggiorata, in particolare a causa dell'arrivo di centinaia di migliaia di rifugiati iracheni.

I salari in Siria sono sempre stati molto bassi, come abbiamo già detto. Nel 2003 il salario medio era di 4500 Livres, ossia 3 euro al giorno (20)! E in agricoltura l'80% dei lavoratori salariati avevano un salario ancora più basso! I salariati della funzione pubblica godevano un tempo di una situazione privilegiata, ma il loro salario è stato bloccato e anche loro hanno conosciuto un forte abbattimento del proprio tenore di vita. Nonostante gli aumenti concessi negli anni 2000, i loro salari reali sono sempre molto inferiori a quelli che percepivano negli anni Sessanta e Settanta.

Si stima oggi che l'80% dei funzionari pubblici ricevevano un salario tale da permettere ad una famiglia con figli piccoli di vivere soltanto una decina di giorni al mese. Trovare un secondo lavoro è quindi vitale per loro, visto che non possono più approfittare della loro posizione per estorcere bustarelle: un insegnante diventerà così anche un tassista, un guardiano notturno...

Ma la situazione peggiore in assoluto è quella dei giornalieri del settore informale; ricevendo salari da fame, senza alcuna certezza del domani, essi sono legati mani e piedi ai padroni disposti a dar loro un lavoro...

A fronte di questa drammatica  situazione dei proletari, prolifera uno strato di nuovi capitalisti che accumulano fortune favolose grazie alle loro buone relazioni, come il famoso Makhlouf, cugino di al- Assad, l'uomo più ricco della Siria che controllerebbe il 60% dell'economia attraverso le sue varie holding (21).

La liberalizzazione economica avviata da Bachar al-Assad, criticata per la sua timidezza dai capitalisti internazionali, ha tuttavia ben funzionato sul piano delle condizioni di lavoro proletarie: il nuovo codice del lavoro adottato nell'aprile 2010 ha per scopo essenzialmente quello di alleggerire i vincoli più pesanti che gravano sugli imprenditori (che già nei fatti erano raramente rispettati) e di sopprimere quelle rare misure esistenti di supposta garanzia a favore dei lavoratori. Per esempio, i funzionari possono essere licenziati, secondo il nuovo codice, senza motivo particolare e senza poter fare alcun ricorso legale...

 

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Questo rapido giro d'orizzonte dimostra che le cause della brutalità e dell'onnipresenza della repressione in Siria non vanno cercate nel temperamento sanguinario di al-Assad padre o figlio, ma nella situazione di un capitalismo tanto più feroce quanto più debole; senza questa repressione, il paese avrebbe conosciuto da lungo tempo un'esplosione sociale contro il bestiale sfruttamento che si è reso necessario allo sviluppo del capitalismo nazionale. Ma l'indebolimento dello Stato siriano, a causa dell'esaurimento della crescita economica, ha fatto sì che, nonostante la potenza del suo apparato repressivo, esso non abbia potuto, come ad Hama nel 1982, schiacciare i focolai di rivolta.

Di fronte ai progressi della ribellione, il regime siriano può ancora appoggiarsi sulle divisioni tra le diverse comunità che il colonialismo francese aveva coltivato secondo la vecchia politica del "divide et impera", e che ha lasciato in eredità alla Siria indipendente.

Ma, per il capitalismo, la grande fortuna è l'assenza in Siria della sola forza che lo può mettere in discussione: l'assenza del proletariato in quanto classe, organizzato in partito e in lotta per rovesciare il potere borghese attraverso la rivoluzione comunista. Questa assenza, le cui cause non sono né locali né contingenti, dovute alla storia o alla cultura siriana, ma a cause storiche e generali (la sconfitta internazionale della rivoluzione proletaria nel secolo scorso e la formidabile espansione del capitalismo dopo il bagno di sangue della guerra mondiale), è la vera tragedia dell'epoca attuale.

I sanguinosi avvenimenti di Siria sono un avvertimento ai proletari di tutto il mondo: se essi non trovano la forza di rompere con ogni orientamento borghese, cha sia religioso, nazionale o democratico, per riprendere la via della lotta e dell'organizzazione indipendente di classe, le crisi più acute si ripercuoteranno soprattutto contro di loro, che finiranno per trasformarsi in carne da cannone negli scontri di guerra borghesi.

Il solo modo di esprimere un vero aiuto  ai proletari della Siria non è nel sostegno senza principi o, eventualmente, in collaborazione col "nostro" imperialismo, alle organizzazioni ribelli integralmente borghesi e antiproletarie (o, peggio ancora, al regime di Assad "aggredito dall'imperialismo"), ma lavorando, qui, in casa propria, alla ricostituzione dell'organizzazione di classe e alla ripresa della lotta proletaria rivoluzionaria.

Solo allora potrà suonare il momento della riscossa vendicando tutte le innumerevoli vittime del capitalismo, il più crudele e barbaro dei modi di produzione che la storia umana abbia mai conosciuto.

 

( fine )


 

(1) Cfr. Caroline Donati, "L'Exception syrienne", Ed. La Découverte 2009, p. 60.

(2) Benché la maggior parte delle nuove imprese private industriali fossero di piccola e piccolissima taglia, il settore privato realizzava nel 1972 più di un terzo della produzione industriale e impiegava il 62% della manodopera del paese. Cfr. Fred H.  Lawson "Why Syria goes to war", Cornell University Press 1996, p. 79.

(3) Gli Stati arabi si impegnarono a fornire alla Siria un aiuto di 1 miliardo di dollari all'anno, che serviva, oltre che alla ricostruzione, alla creazione di grandi stabilimenti industriali. Come spesso succede in queste situazioni, si trattò spesso di "elefanti bianchi" improduttivi su cui si arricchivano soprattutto le multinazionali e i fornitori locali. Il caso più celebre in Siria di questo disastro per le finanze statali è stato quello di una cartiera costruita da un consorzio italo-austriaco e di una fabbrica di ammoniaca costruita dalla francese Creusot-Loire. Cfr. Patrick Seale, "Assad. The struggle for the Middle East", IB Tauris and co., 1990, p. 448.

(4) Cfr. Fred H. Lawson, "Why Syria goes to war", op. cit., pp. 83-93.

(5) Sulla strage di Tall-el-Zaatar, vedi l'articolo In memoria dei proletari di Tall-el-Zaatar, in "il programma comunista", n. 15 del 1980.

(6) Questo accordo di Israele, detto della "linea rossa", fu definito in una lettera a Kissinger, che fu trasmessa a Damasco. Cfr. Patrick Seale, op. cit., pp. 279-280. Israele voleva avere le mani libere nel sud del Libano, ma la conseguenza è stata che i rifugiati palestinesi vi instaurarono una vera "Fatahland", Quando nel 1982 le truppe israeliane invasero il Libano per mettervi fine, le truppe siriane, rispettando alla lettera l'accordo del 1976, non mossero un dito per venire in aiuto ai palestinesi. Questo però non impedì agli israeliani di attaccarli allo scopo di buttarli fuori dal Libano dove volevano instaurare un regime  ai loro ordini. Gli americani dovettero intervenire più volte per imporre alle truppe di Sharon di fermare gli attacchi contro i siriani.

(7) Le truppe siriane si lanciarono in diversi attacchi, tanto contro i cristiani quanto contro i "palestino-progressisti" prima che la loro presenza fosse definitivamente accettata. Nel febbraio 1987, esse penetrarono a Beirut Ovest con la benedizione imperialista per impedire che i combattimenti fra i "partiti progressisti" e gli sciiti di Amal sboccassero in una situazione "incontrollabile".

(8) Secondo alcune stime, i borghesi siriani ritirarono in forma diretta o indiretta circa 2 miliardi di dollari all'anno per la propria presenza in Libano (Libération, 29/4/2005). Un dispaccio dell'AFP del 2/3/2005 stimava questi prelievi in soli 750 milioni di dollari. Sia quel che sia, non v'è dubbio che ciò rappresentava una vera manna per certi settori della borghesia e della gerarchia militare siriana impegnati in tutta una varietà di traffici.

(9) Vedi Nikolaos Van Dam, "The struggle for power in Syria", IB Tauris, 2011, pp. 105-112.

(10) Il governo siriano riuscì ad impedire che circolasse notizia del massacro di Hama. Si può consultare su internet una breve storia di questo massacro al seguente indirizzo: www.massviolence.org/Article?id_article=139.

Alcune informazioni sostengono che vi furono dei soldati che si rifiutarono di obbedire agli ordini, e anche dei soldati che disertarono raggiungendo i ribelli (cfr. Seale, op. cit., p. 133). Ma i Fratelli Musulmani affermarono che le truppe inviate ad annientare l'insurrezione furono scelte affinché non vi fossero soldati originari della regione e perché gli ufficiali fossero per la maggioranza aluiti, proprio allo scopo di impedire le diserzioni o il rifiuto di obbedienza (cfr. Van Dam, op. cit., pp. 114-5).

(11) Vedi Caroline Donati, op. cit., p. 91. Scrive anche che la carta dei Fratelli Musulmani, pubblicata nel 1980, "riflette gli interessi della piccola e media borghesia". "Priorità alla proprietà e al settore privato, libertà economica per i mercanti e gli artigiani, protezione dello Stato per i piccoli imprenditori". I quadri del movimento islamista sono dei religiosi (uléma) provenienti da famiglie di commercianti: "al loro fianco si trovano elementi della piccola borghesia mercantile del suk, emarginata dai nuovi imprenditori, penalizzata dalla politica di modernizzazione dei grandi stabilimenti industriali del settore pubblico intorno ad Aleppo e ad Hama (...) infastiditi dall'intervento dello Stato nel commercio".

(12) Gli Iracheni, che volevano far pagare al regime siriano il suo sostegno all'Iran nella guerra in corso, diffusero alla radio gli appelli degli islamisti alla generalizzazione della rivolta. Le autorità di Damasco chiamarono in causa gli Stati Uniti e Israele, mentre a Parigi alcuni giornali parlarono del sostegno francese agli islamisti siriani, come rappresaglia per gli attentati siriani...

(13) Secondo l'economista Samir Aita, capo redattore dell'edizione araba del Monde Diplomatique, l'esclusione della Total è generalmente vista come la principale causa del conflitto fra la Siria e la Francia nel corso di questi anni. Cfr. "La Syrie au présent", Acte Sud, 2007, p. 571.

(14) Secondo il giornale economico americano Fortune, l'assassinio di Hariri sarebbe legato allo scandalo del fallimento della banca libanese Al Madina che proteggeva gli interessi siriani. Cfr. Fortune Magazine, 11/5/2006.

(15) Vedi Albert Hourani, "Syria and Lebanon. A political essay", Oxford University Press, 1946, p. 6.

(16) Cfr. "La Syrie au présent", op. cit., pp. 739-745. Il risarcimento dei grandi proprietari espropriati dalla riforma agraria è stato evocato a più riprese, senza dubbio per cercare di conciliarsi con questa classe sociale il cui sostegno all'islamismo è accertato.

(17) Cfr. Libération, 29/9/2010.

(18) Cfr. http://remmm.revues.org/2719

(19) Vedi John Chalcraft, "The invisible cage. Syrian migrant workers in Lebanon", Stanford University Press, 2009, p. 148.

(20) Riprendiamo qui i dati contenuti nello studio "Les travailleurs arabes hors-la-loi. Emploi et droit du travail dans les pays arabes de la Méditerranée", L'Harmattan 2011. Si tratta di uno studio commissionato dal sindacato Comisiones Obreras e dal governo spagnolo nel quadro di un "Projet de Coopération syndicale" euro-méditerranéen, espressione della collaborazione di classe per tentare di prevenire gli scontri sociali...

(21) Cfr. Financial Times del 21/4/2011. Secondo questo quotidiano della finanza britannica, il malcontento dei borghesi siriani non ha cessato di crescere a causa dell'accaparramento, da parte della ristretta cerchia organizzata intorno alla famiglia presidenziale, delle redditizie opportunità apertesi grazie alla liberalizzazione economica.

(*) Per settore "informale" qui si intende il settore di un precariato senza diritti e senza garanzie di alcun tipo, che da noi chiameremmo lavoratori in "nero", estremamente ricattatorio nei loro confronti.

 

 

Partito comunista internazionale

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