A proposito della costituzione di una  “rete sindacale internazionale”

(«il comunista»; N° 132; ottobre 2013)

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Alla fine dello scorso mese di marzo si è tenuta a Parigi un incontro sindacale internazionale, organizzato da Solidaires (i sindacati SUD), dalla CGT spagnola (un piccolo sindacato con la reputazione di organizzazione combattiva) e dal sindacato brasiliano CSP Conlutas (una scissione del sindacato CUT, diretto dai trotskisti della LIT) che ha riunito più di duecento persone; vi hanno partecipato rappresentanti di organizzazioni sindacali “alternative” o “di base” di quasi trenta paesi di Europa, Africa del Nord e America Latina; fra le più numerose figuravano le organizzazioni italiane: coordinamento No Austerity, organizzazioni sindacali alternative (Sicobas, CUB), frazioni d’opposizione della CGIL (rete 28 aprile), libertari dell’USI ecc.

Al termine della riunione si è deciso la costituzione di una “Rete sindacale internazionale di solidarietà e di lotta”. Non si tratta, secondo l’Appello pubblicato in questa occasione (1), di una nuova organizzazione sindacale, ma di una rete di coordinamento su scala internazionale del sindacalismo di lotta.

Il sindacalismo con il quale noi ci identifichiamo non avallerà patti con il potere costituito per convalidare misure antisociali. Il sindacalismo ha la responsabilità di organizzare la resistenza su scala internazionale per costruire, attraverso le lotte, la necessaria trasformazione sociale. Il nostro sindacalismo mira a rovesciare il modello economico fondato sull’egemonia della finanza, del profitto e della competitività.”(…)

L’Appello afferma inoltre: “Il nostro sindacalismo associa la difesa dei lavoratori e delle lavoratrici a una volontà di profondo cambiamento sociale. Non si limita al solo terreno rivendicativo economico, ma ingloba questioni quali il diritto alla casa, alla terra, la parità fra uomini e donne, l’antirazzismo, l’ecologia, l’anticolonialismo ecc.

 

L’”errore teorico” di Battaglia Comunista

 

La costituzione di questa rete ha suscitato la critica di Battaglia Comunista, organizzazione che si richiama alla Sinistra Comunista d’Italia (2). Per Battaglia, organizzazioni come il coordinamento No Austerity si collocano su una base teorica falsa quando affermano che le burocrazie sindacali sono le principali responsabili della “frammentazione delle lotte” e non capiscono che è la “pratica sindacale” stessa, e il credere nei sindacati rossi, ad essere l’ostacolo da superare nei luoghi di lavoro per rilanciare la lotta di classe” (3).

La Rete sindacale internazionale esprime, secondo Battaglia, “un errore teorico più grave di quelol precedente, perché non solo ci si illude e si illudono i proletari che il sindacalismo sia ancora uno strumento utile per il conflitto di classe, ma che addirittura possa essere veicolo di lotte non solo economiche ma anche politiche, come l’eguaglianza di genere, il rifiuto di ogni discriminazione, la difesa dell’ambiente. Tutte questioni centrali, assolutamente fondamentali per poter gettare le basi di una società radicalmente diversa da quella in cui viviamo, ma che sono irrisolvibili finché il capitalismo e il suo regime resteranno in piedi.

Detto ciò, è evidente che non potrà certo essere il sindacato, la cui funzione è del tutto interna ai meccanismi di conservazione del sistema capitalistico, a porsii come guida per il superamento rivoluzionario della società borghese”.

I professori in marxismo di “Battaglia” condannano, dunque, dottamente i tentativi di organizzazione proletaria, tanto a livello nazionale quanto a livello internazionale, in nome della teoria.

Ma in realtà sono loro a commettere un grave errore teorico, di tipo idealista, che li pone all’opposizione rispetto ai bisogni reali della classe operaia. Ammettono l’esistenza nel corso della lotta rivendicativa di “comitati di agitazione e sciopero”, “di organismi assembleari con delegati revocabili in qualunque momento”, ma a condizione che queste forme organizzative, dato che non siamo in presenza di una situazione prerivoluzionaria che metterebbe “all’ordine del giorno la creazione di consigli operai”, scompaiano una volta finita la lotta. Secondo la loro posizione tradizionale, “da quando il capitale è entrato nella sua fase monopolistica” i sindacati non possono più svolgere la funzione di “cinghia di trasmissione tra la classe e le sue vere o presunte avanguardie politiche”; essi addirittura rappresentano “il principale freno alla ripresa della lotta di classe sul terreno dell’anticapitalismo e anche un ostacolo al pieno sviluppo della lotta sul semplice terreno rivendicativo”.

Cerchiamo di chiarire la questione del tutto ingarbugliata da Battaglia.

Le attuali grandi organizzazioni sindacali e la loro pratica costituiscono indubbiamente un freno o un ostacolo alla ripresa della lotta anticapitalista e anche alla semplice lotta rivendicativa immediata, che essi sostengono solo se possono contenerla strettamente entro i limiti compatibili con il buon funzionamento del capitalismo, sabotandola però quando rischia di allargarsi.

Ciò accade proprio perché compaiono tentativi, indubbiamente più o meno confusi,  di organizzazione indipendente dagli apparati sindacali irreversibilmente integrati nel sistema borghese di collaborazione di classe! Ma, dedurre da questo fatto incontestabile che qualunque organizzazione proletaria per la lotta immediata sia inevitabilmente condannata a passare dalla parte della borghesia se non si dissolve alla fine della lotta, e che ogni “pratica sindacale” (lotta su obiettivi immediati e limitati) sia un ostacolo alla lotta anticapitalista, è un’assurdità.

I proletari non possono non lottare contro gli attacchi capitalistici che continuamente subiscono. Questa lotta elementare di resistenza non è certamente ancora la grande lotta rivoluzionaria, ma è comunque vitale, perché, come diceva Marx, “se la classe operaia cedesse per viltà nel suo conflitto quotidiano con il capitale, si priverebbe essa stessa della capacità di intraprendere un qualsiasi movimento più grande” (4): una classe operaia ridotta all’impotenza e del tutto sottomessa ai capitalisti sarebbe assolutamente incapace di lanciarsi all’assalto rivoluzionario contro di loro.

È in queste lotte, se vengono condotte in modo corretto, che i proletari possono prendere coscienza della loro forza, serrare le file e divenire capaci di dar vita a movimenti “di maggiore portata”; per riprendere l’espressione di Engels, le lotte divengono allora una “scuola di guerra del comunismo”. E per condurre questa battaglia, per difendersi contro lo sfruttamento padronale e l’oppressione borghese, i proletari hanno un bisogno vitale di un’organizzazione permanente, che non si debba faticosamente ricostruire ad ogni lotta: la previous organization di Marx, che deve esistere prima che scoppi la lotta; in poche parole, quello che in altre occasioni si è definito sindacato di classe.

È pur vero che oggi – “all’epoca del capitalismo monopolista” – la potenza totalitaria della borghesia è ben più grande di quanto non fosse all’inizio del XX secolo, e che quindi gli sforzi di organizzazione proletaria indipendente sono ben più complicati e i loro risultati ben più aleatori. Ma questa non può essere una ragione valida per condannare tali sforzi e per opporsi a qualunque prospettiva di organizzazione di classe per la lotta rivendicativa, a meno che non si consideri eterno il potere della borghesia; ma allora è alla lotta politica e alla prospettiva rivoluzionaria, ben più difficile, che bisogna rinunciare!

Quando l’organizzazione di classe rinascerà, in un periodo di forte tensione sociale e di relativo indebolimento del dominio borghese, potrà indubbiamente assumere le forme più varie, a seconda dei paesi e delle situazioni, ma la caratteristica di questa organizzazione di classe per la difesa “immediata” degli interessi proletari (tanto sul piano strettamente “economico” e salariale, quanto sul piano più ampio della difesa delle condizioni di vita e di lavoro, della lotta contro la repressione e le discriminazioni  ecc.) sarà di essere aperta a tutti i proletari pronti a mobilitarsi e a lottare, indipendentemente dalle loro idee politiche, filosofiche o religiose.

Secondo il materialismo, la partecipazione di questi ultimi alla lotta è la sola via per rendere manifesta la contraddizione fra la difesa dei loro interessi e le concezioni reazionarie che, nel loro complesso, non possono non avere in quanto membri della classe sfruttata, oppressa e dominata, anche ideologicamente, dalla borghesia; è la sola via, dunque, per permettere agli elementi più combattivi di respingere queste concezioni.

Per la maggior parte del proletariato, sarà necessaria la rivoluzione perché questa emancipazione intellettuale si possa realizzare. Come scriveva Marx contro l’idealismo: “La rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in  una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la societài”(5).

Finché permane il dominio della classe borghese, solo una piccola minoranza di proletari si trova nella condizione di respingere l’intera ideologia borghese, di acquisire la coscienza comunista e, di conseguenza, di aderire al partito di classe che, difendendo gli interessi storici e generali del proletariato, avanza la prospettiva della distruzione del capitalismo e dell’instaurazione della società comunista. Questo non significa che la massa dei proletari rimanga passiva: è, al contrario, capace di entrare in lotta – e anche di fare la rivoluzione! – ancor prima di aver “preso pienamente coscienza” di questi interessi generali e delle vie e dei mezzi per realizzarli.

I “rivoluzionari” che considerano con disprezzo le lotte immediate, o che condannano gli sforzi di proletari che tentano di organizzarsi in modo indipendente per condurre queste lotte contrapponendovi la “costruzione del partito”, rompono con il marxismo e con il materialismo: ma soprattutto dimostrano la loro incomprensione del difficile movimento reale della classe operaia verso la sua emancipazione e dell’apporto che i comunisti devono darle.

 

Necessità fondamentale di una posizione di classe

 

Iniziative come la creazione di questa rete internazionale, o di altri coordinamenti corrispondono a una necessità oggettiva della lotta proletaria, devono essere apprezzate e giudicate sulla base di come rispondono a questo bisogno e non in rapporto a teorizzazioni idealiste di una lotta proletaria che potrebbe essere direttamente rivoluzionaria e guidata dal partito.

In una situazione in cui le sue crescenti difficoltà economiche e le sue crisi ricorrenti obbligano il capitalismo a intensificare lo sfruttamento, a degradare le condizioni di vita e di lavoro dei proletari e quindi ad accrescere il dispotismo a tutti i livelli, l’incapacità degli apparati sindacali di difendere gli interessi operai e la loro sottomissione all’ordine costituito si fa sempre più evidente; questo suscita e susciterà reazioni da parte dei proletari e tentativi di organizzazione per rimediare alla “carenza” sindacale. Tuttavia è comprensibile che queste reazioni facciano una gran fatica a liberarsi dalle influenze riformiste, collaborazioniste, democratiche pacifiste ecc., in una parola borghesi, che oggi sono dominanti e di cui anche le organizzazioni che si proclamano “rivoluzionarie” si fanno tramite: non è facile rompere rapidamente con decenni di prassi collaborazionista e di intossicazione riformista, democratica, pacifista e legalitarista.

È questo comunque l’esempio fornito dalla “Rete internazionale”, a giudicare dalle sue dichiarazioni. Battaglia ha senza dubbio torto a criticare il fatto che la Rete voglia condurre la lotta anche su un piano non strettamente economico e immediato, ma di natura politica, perché a suo parere entrerebbe in un campo che è esclusivo del partito; ha tuttavia ragione a criticare l’uso di “concetti interclassisti” come quello di “popolo”. In questo risiede in effetti il problema: che delle organizzazioni proletarie non si limitino strettamente alle sole rivendicazioni immediate, ma tocchino problemi più ampi, si alzino a un livello politico nel senso pieno del termine. Ciò non è solo inevitabile, ma è positivo, in quanto apre la possibilità di superare le strettoie spontanee, corporative, categoriali e così via, su cui poggia la politica sindacale collaborazionista del riformismo. A condizione, però, che non si tratti di una politica borghese, ma di una politica proletaria di classe! La Rete proclama la propria “autonomia rispetto a qualunque organizzazione politica”, ma non è autonoma rispetto alla politica riformista, cioè, in definitiva, alla politica di sottomissione agli interessi borghesi. L’Appello dichiara di opporsi “frontalmente al padronato, ai governi e alle istituzioni che sono al loro servizio”, ma non è un caso che non parli di opposizione frontale al capitalismo, di lotta di classe, né, ovviamente, di rivoluzione.

Il testo afferma chiaramente che la Rete difende gli interessi della classe operaia, ma aggiunge subito che questi interessi si “articolano” (?) con quelli dei popoli del mondo, in altri termini delle altre classi. Ma una vera organizzazione operaia di classe si caratterizza per la difesa esclusiva degli interessi proletari, indipendentemente e, se necessario, contro gli interessi di tutte le altre classi, compresi gli strati piccoloborghesi più prossimi. Se nei periodi rivoluzionari questi ultimi possono orientarsi verso il proletariato, ciò accade nella misura il cui questo dimostra la propria forza e la propria capacità di combattere l’oppressione e la miseria delle masse, di risolvere la crisi mortale in cui è  precipitata la società capitalista, attraverso l’unica soluzione possibile: il rovesciamento rivoluzionario del potere borghese e l’instaurazione del proprio potere; e non perché ha fatto suoi, in tutto o in parte, gli interessi di queste classi.

Niente di tutto questo è detto nell’Appello, e non per caso!

Vi si trovano, al contrario, le tradizionali mitiganti e insipide formule riformiste di “trasformazione sociale” per poi giungere a una società fondata sulla “ripartizione delle ricchezze” (dunque non viene rimessa in causa la produzione capitalistica delle ricchezze, ma solo la loro ripartizione!), sui “diritti dei lavoratori” (dunque non viene rimessa in causa l’esistenza di lavoratori salariati e di capitalisti, di sfruttati e sfruttatori!), sullo “sviluppo ecologicamente sostenibile” (dunque non viene rimesso in causa lo sviluppo capitalistico, ma solo le sue conseguenze sull’ambiente!!!): questa società non è altro che il fumoso sogno piccoloborghese di un capitalismo migliore! Per definire quale  sia l’obiettivo, l’Appello afferma che si tratta di “rafforzare, estendere, rendere più efficace una rete di sindacalismo combattivo, democratico, alternativo, femminista, internazionalista”. Evidentemente, dunque, questo sindacalismo non è né di classe, né anticapitalista, né rivoluzionario…

Secondo alcuni commenti, questo testo, così come è stato adottato, rappresenterebbe “un punto di equilibrio” fra le varie organizzazioni – cioè fra le diverse correnti politiche – che hanno partecipato all’incontro (6): se così è, questo significa che il riformismo, forse combattivo e alternativo a parole, è ciò che in sostanza le tiene insieme. Comunque sia, non ci si poteva aspettare altro tenendo conto del fatto che Solidaires,  che ha ospitato l’incontro, si è in realtà integrato nell’Intersindacale che – vero e proprio stato maggiore antiproletario collaborante con l’Eliseo – da due anni impedisce una vera lotta contro la riforma delle pensioni! Questo permette di attribuire il giusto valore alle dichiarazioni di combattività e di opposizione frontale riguardo alle politiche padronali e governative…

I rivoluzionari marxisti e i proletari di avanguardia devono partecipare e contribuire per quanto possibile ai tentativi di organizzazione proletaria indipendente che non mancheranno di presentarsi; ma, affinché questi sforzi siano fruttuosi,  è indispensabile che conducano una lotta risoluta per sconfiggere tutti gli orientamenti riformisti, anche “alternativi”, “radicali” o di “estrema sinistra” presenti.

Solo una posizione di classe, una rottura con il riformismo chiaramente affermata e concretamente adottata, può in effetti fare in modo che queste eventuali organizzazioni resistano all’influenza borghese e costituiscano dei punti d’appoggio reali per le lotte proletarie, altrimenti queste sono condannate a ricadere nel campo nemico.

 


 

(1) http://www.sudeducation.org/Appel-du-Reseau-syndical.htlm - Per quanto ne sappiamo, non è stato pubblicato alcun resoconto ufficiale di queste giornate.

(2) Battaglia Comunista è l’organo del Partito Comunista Internazionalista che, con la britannica Communist Workers Organization, anima la Tendenza Comunista Internazionalista (ex Bureau International pour le Parti Révolutionnaire). È alla rottura con questa corrente, avvenuta tra il 1951 e il 1952,  che risale la costituzione del partito a cui noi apparteniamo.

(3) http://www.leftcom.org/it/articles/2013-06-12/critica-al-coordinamento-no-austerity-e-al-sindacalismo-radicale

(4) Cfr. Marx, “Salario, prezzo e profitto”, Editori Riuniti, Roma 1977, cap. 14, pp. 112-113. Si tratta di un’esposizione fatta da Marx nel giugno 1865 al Consiglio Generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (Prima Internazionale).

(5) Cfr. Marx-Engels “L’ideologia tedesca”, Editori Riuniti, Roma 1979, cap. I, Feuerbach, p. 29.

(6) Cfr. http://www.emancipation.fr/spip.php?article889

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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