Dalla Francia

Il «Patto di responsabilità» e i grandi organizzatori delle sconfitte operaie

(«il comunista»; N° 134; Aprile 2014)

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I grandi organizzatori delle sconfitte operaie - intendiamo parlare della tristemente nota «Intersindacale» che raggruppa CGT, FO, FSU e Solidaires (sindacati SUD) -  hanno lanciato un appello per una giornata di «mobilitazione di massa» da tenersi il 18 marzo.

Ma perché questo appello? Nel loro comunicato si legge che bisogna «esigere misure urgenti a favore dei salari, dell’impiego, della protezione sociale e del servizio pubblico». Vi si trovano critiche degli «annunci legati al “Patto di responsabilità”», ma inutilmente vi si cercherebbe una chiara denuncia del patto stesso, e ancor meno l’obiettivo della lotta contro di esso, né una richiesta di aumenti dei salari (è sufficiente «esigere»!).

Ricordiamo che il Patto annunciato dal governo e approvato dal MEDEF (1) (in realtà proposto dal MEDEF – nel luglio scorso Gattaz, il suo presidente, aveva chiesto una misura analoga – e approvato dal governo) mira a tagliare 50 miliardi di euro di “oneri sociali” pagati dalle imprese.

Questi oneri sociali sono quelli che vengono chiamati salario «indiretto» o «differito»: una parte del salario dei lavoratori non viene versato loro direttamente, ma è «socializzato», cioè utilizzato per finanziare le varie prestazioni sociali. Ridurre questa parte significa in realtà ridurre i salari reali, col vantaggio che questa riduzione all’immediato risulta indolore, perché il salario netto non viene toccato da questa misura; i capitalisti quindi non dovranno temere le stesse reazioni che si produrrebbero se i lavoratori constatassero una decurtazione di quanto percepiscono direttamente. Le conseguenze per i proletari della riduzione degli oneri si faranno tuttavia inevitabilmente sentire sia attraverso una diminuzione delle prestazioni sociali, sia attraverso un aumento delle imposte o delle tasse, o attraverso una combinazione di entrambi: si determinerà quindi inevitabilmente un abbassamento del loro tenore di vita.

La riduzione degli oneri sociali non è iniziata con il governo Hollande; già a partire dagli anni ’90 le misure di riduzione, alleggerimento o taglio di questi oneri si sono moltiplicate. Gli economisti parlano di «diminuire il costo del lavoro», riconoscendo così che si tratta proprio di diminuire i salari reali (per il capitalista  il «costo del lavoro» è rappresentato da quello che lui paga al proletario, cioè il salario). Ma i tagli di cui si discute attualmente sono senza precedenti: neppure il governo Sarkozy aveva osato arrivare a questo punto. Come sempre, i partiti della sinistra, grazie all’implicito appoggio delle organizzazioni sindacali e delle varie associazioni riformiste impiantate fra i proletari, riescono a realizzare per il capitalismo ciò che i partiti della destra non riuscirebbero a fare senza rischiare di scatenare una tempesta sociale.

 

RIFORMISTI KEYNESIANI

 

Annunciando il suo patto, Hollande l’ha presentato come una misura inserita in una «politica dell’offerta» e l’ha giustificato come lotta per l’occupazione. Grazie alla diminuzione degli oneri, le imprese potrebbero assumere più facilmente per poter produrre di più («offrire» al mercato, innanzitutto). Gli economisti keynesiani, come il premio Nobel Krugman, hanno avuto gioco facile a ricordare l’assurdità della politica dell’offerta teorizzata molto tempo fa dall’economista Say: le imprese in realtà producono di più solo se pensano che esista uno sbocco per l’ulteriore merce prodotta.

I seguaci dell’economista inglese Keynes sono sostenitori di una «politica della domanda»: le imprese non producono più, la crescita ristagna, perché i mercati sono saturi. Pertanto, non bisogna ridurli ulteriormente attraverso delle politiche di austerità, bensì allargarli, attraverso spese statali o attraverso un aumento del potere d’acquisto della popolazione; a quel punto le imprese aumenteranno la loro produzione per soddisfare questa nuova domanda del mercato.

Non c’è da stupirsi che tutti i riformisti siano keynesiani: secondo questo schema, infatti, l’aumento dei salari e del livello di vita dei lavoratori non solo è compatibile con il buon funzionamento dell’economia capitalistica, ma ne è addirittura una condizione!

Sfortunatamente per i riformisti e per tutti coloro che sognano la possibilità di conciliare gli interessi dei proletari con quelli dei capitalisti, l’economia capitalista non funziona secondo questo bello schema. Ciò che è determinante per l’economia capitalista è il corso dei profitti (più precisamente del tasso di profitto, cioè il profitto rapportato al capitale investito). Ebbene, il tasso di profitto delle imprese francesi è sensibilmente più basso di quello dei loro concorrenti, fatto che pesa sulle loro possibilità di investimento – sul rinnovamento delle attrezzature, sull’aumento della produttività, sulla possibilità di sviluppare nuovi prodotti ecc. – e spiega la perdita da parte loro di quote di mercato. Ne vediamo tutti i giorni le conseguenze: fallimento di imprese, chiusura di fabbriche – o, per quelle che possono, delocalizzazione in paesi con bassi salari allo scopo di ritrovare dei tassi di profitto sufficienti; in realtà il solo modo che hanno le imprese per far fronte alla concorrenza in questa guerra economica aggravata dalla crisi capitalistica consiste nell’aumentare i propri profitti, cioè nell’accrescere lo sfruttamento dei propri salariati (l’unica fonte del profitto), abbassando i salari o aumentando la «produttività del lavoro» attraverso la diminuzione del numero di salariati per quantità di merce prodotta.

Le misure annunciate da Hollande non sono motivate da un’improvvisa fede nella giustezza del vecchiume teorico di un Jean-Baptiste Say, ma semplicemente dalla preoccupazione di aumentare i profitti delle imprese francesi. Quanto alle dichiarazioni secondo le quali prioritaria nell’azione governativa sarebbe la lotta contro la disoccupazione, queste servono da utile propaganda per far passare queste misure filocapitalistiche: la loro priorità assoluta è quella di ripristinare il tasso di profitto del capitale!

 

L’INSOSTITUIBILE RUOLO DEGLI APPARATI SINDACALI NEL MANTENERE LA PACE SOCIALE

 

Le dichiarazioni di Hollande e del governo hanno ricevuto l’approvazione degli «ambienti economici» in Francia e all’estero (uno dei segnali è stato dato dalle agenzie di rating internazionali che hanno mantenuto il giudizio positivo concesso all’economia francese), mentre le critiche hanno riguardato essenzialmente la capacità del governo di tradurre queste dichiarazioni in azioni concrete. I dirigenti tedeschi, per esempio, si preoccupavano della reazione dei sindacati e dell’atteggiamento del governo francese nei loro confronti (2).

Adesso si possono tranquillizzare! In un primo tempo, il segretario geneale della CGT Thierry Lepaon aveva dichiarato alla stampa che era contrario alla proposta del sindacato FO di organizzare una giornata di mobilitazione perché la CGT non voleva che venissero rimesse in discussione le decisioni del governo; alla fine la «giornata d’azione» è stata indetta, ma abbiamo visto che gli organizzatori hanno posto la massima cura nel non criticare il Patto e nel non incitare alla lotta contro di esso.

Inoltre, (ad eccezione di Solidali, che ci tiene a mantenere una piccola foglia di fico contestataria) hanno partecipato alle riunioni fra sindacati e MEDEF, incaricati di negoziare poche briciole come «contropartita» alla riduzione dei salari reali decisa dal governo. Come si è giustificato un dirigente di FO, il sindacato più di punta nella denuncia – puramente verbale – del Patto, non si tratta di praticare la politica della «sedia vuota» (al tavolo dei «partner sociali» dove si discute di sacrificare gli interessi proletari) anche se FO, come la CGT, non firmerà nulla (bisogna ben salvaguardare un minimo di credibilità agli occhi dei proletari se si vuole evitare che le loro reazioni creino problemi ai capitalisti).

Questa ripugnante commedia lo dimostra ancora una volta: gli apparati sindacali, finanziati dai padroni (3), e le varie istituzioni borghesi di collaborazione interclassista rappresentano uno dei principali ostacoli alla lotta operaia; collaborazionisti fino al midollo, tenacemente attaccati alla difesa dell’economia francese, non possono essere che decisi avversari di ogni lotta estesa che rischierebbe di indebolire il capitalismo nazionale (non parliamo della lotta rivoluzionaria per abbatterlo!).

È assolutamente impossibile contare su di essi per offrire la benché minima resistenza agli attacchi padronali che continuamente si allargano (le attuali misure del governo preludono inevitabilmente ad altre, perché saranno insufficienti per «raddrizzare» un’economia capitalista che non fa che indebolirsi rispetto ai suoi concorrenti) (4): queste organizzazioni si danno da fare da mesi, come hanno sempre fatto, per sostenere alla loro maniera l’azione filocapitalista del governo – soprattutto quando quest’ultimo concede loro una sedia alle riunioni antiproletarie.

La rottura con questi apparati collaborazionisti, con questi artefici della paralizzante pace sociale, il ritorno all’organizzazione e alla lotta indipendenti di classe, senza lasciarsi fermare dagli incantesimi borghesi a favore dell’economia nazionale, regionale o locale, e senza lasciarsi fuorviare dalle proposte di riforma del capitalismo, diviene una necessità sempre più imperiosa per la difesa degli interessi proletari.

 

SALARIO CONTRO PROFITTO!

CLASSE CONTRO CLASSE!

 

Queste sono le parole d’ordine che devono guidare i proletari.

 


 

(1) MEDEF, Mouvement des entreprises de France, è un’organizzazione padronale fondata nel 1998 ed è rappresentante dei dirigenti d’azienda francesi.

(2) A questo proposito un dirigente, parlamentare tedesco, dichiarava a Le Monde del 17/1: «sono curioso di vedere se il presidente Hollande ha il potere necessario per far fronte ai sindacati». Questo parlamentare della CDU (il partito della Merkel), abituato alla «cogestione» in Germania, avrebbe dovuto informarsi sui sindacati francesi: si sarebbe così accorto che giocano esattamente lo stesso ruolo che nel suo paese…

(3) Il processo Gautier-Sauvagnac, il dirigente della UIMM (organizzazione padronale della siderurgia) accusato per aver distribuito somme considerevoli in contanti ai sindacati per “ungere i rapporti sociali” (!), sta a dimostrarlo, ammesso che ce ne sia bisogno.

(4) Le raccomandazioni della Commissione Europea all’inizio di marzo esprimono i desiderata dei capitalisti: le riduzioni previste degli oneri per le imprese sono insufficienti, il salario minimo è troppo elevato e, più in generale, il costo del lavoro troppo oneroso – per non parlare del deficit pubblico che non si riduce a sufficienza e abbastanza in fretta.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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