La teoria marxista della moneta (2)

(«il comunista»; N° 133; Novembre 2013 - Gennaio 2014)

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3. LA MONETA NEL SENSO FORTE

 

Nel Capitale questo capitolo è intitolato: La moneta. Il segno del valore (nell’edizione francese: La moneta o il denaro). Si tratta di considerare la terza funzione del denaro che, mentre corona le due prime, le contiene in potenza. Questo capitolo è d’altronde importantissimo sia per la comprensione dei meccanismi monetari più complessi, in particolare quelli della moneta di credito, sia perché considera anche i rapporti fra la circolazione delle merci e del denaro all’interno di un dato paese e la loro circolazione su scala internazionale.

 

 a.  La tesaurizzazione

 

La tesaurizzazione si presenta come una interruzione temporanea del processo di circolazione delle merci. Abbiamo visto che questo ha un carattere circolare: M - D - M, almeno per quel che concerne la circolazione delle merci. Per il denaro, invece, il processo di circolazione si traduce nella tendenza a fuggire dalle mani del compratore verso quelle del venditore, che del resto diventa a sua volta compratore, e così via. Il tesaurizzatore da parte sua non comprerà dopo di aver venduto, ma conserverà la quantità di denaro che ha ricevuto dalla vendita facendole abbandonare la sfera della circolazione: M - D ... “Così il denaro si pietrifica in tesoro e il venditore di merci diventa tesaurizzatore” (Il Capitale, I, 1, pag.145, Ed. Rinascita).

Ma c’è tesoro e tesoro. Ciò che il tesaurizzatore moderno accumula non è dell’oro o dell’argento in quanto metalli preziosi che il talento degli artisti potrà trasformare in gioielli, vasellame o ornamenti diversi. Il suo tesoro sarà un tesoro monetario, egli accumulerà del denaro in quanto tale, costituirà delle riserve di equivalente generale delle merci. La tesaurizzazione appare dunque come il complemento delle due prime funzioni del denaro, perché le suppone tutte due. Il tesaurizzatore mette in riserva questa merce particolare che è la misura del valore di tutte le altre, ma anche lo strumento della circolazione delle merci. Sotto forma di ricchezza astratta, momentaneamente sottratta alla sfera attiva della produzione e della circolazione, egli accumula i mezzi per partecipare domani all’attività che regna in questa sfera.

Se la tesaurizzazione appare a tutta prima come dovuta alla volontà individuale di un singolo che persegue suoi fini personali, essa è anche una necessità economica generale, che si realizza per questa via traversa: la terza funzione del denaro gioca il ruolo di regolatore delle altre due. Studiando la moneta come mezzo di circolazione, abbiamo visto che le contrazioni ed espansioni periodiche degli scambi implicavano un rimpicciolimento ed una espansione simultanei della massa monetaria circolante. Poiché la massa monetaria esistente rimane per un periodo dato relativamente fissa, occorre che una parte abbandoni la sfera della circolazione per rientrarvi quando se ne farà sentire il bisogno: la tesaurizzazione funge da valvola di sfogo che permette di regolare il flusso della moneta circolante: “Affinché la massa di denaro che è realmente in corso corrisponda sempre al grado di saturazione della sfera della circolazione, la quantità di oro o di argento presente in un paese dev’essere maggiore di quella impegnata nella funzione di moneta. A questa condizione adempie la forma di tesoro del denaro. Le riserve dei tesori servono assieme come canali di deflusso e di afflusso del denaro circolante, il quale quindi non fa mai straboccare i suoi canali circolatori”. (Il Capitale, I , 1, pag.149, Ed. Rinascita).

Se da un lato la tesaurizzazione si presenta come un’interruzione del processo di circolazione, essa rappresenta altrettanto la possibilità di riprendere in avvenire questo processo momentaneamente interrotto. Si può osservare, anticipando largamente su quanto seguirà, che qui risiede anche “la possibilità, ma solo la possibilità, di crisi”, perché la crisi si manifesta, fra l’altro, con la rarefazione del denaro-mezzo di circolazione.

Le tre funzioni del denaro sono quindi strettamente legate le une alle altre. Il denaro non sarebbe uno strumento di circolazione se non fosse anche la misura dei valori; ma la circolazione è così fatta, che suppone alternativamente la tesaurizzazione e il suo contrario, la spesa di denaro precedentemente accumulato: infine la tesaurizzazione ha per oggetto l’equivalente generale, cioè la moneta nel senso forte, insieme misura dei valori e mezzo di circolazione delle merci. Di più, questa accumulazione di denaro momentaneamente sottratto alla sfera della circolazione da cui è nato servirà di base, quando saranno maturate le condizioni economiche generali, al risparmio e quindi anche al credito capitalistico, che a sua volta modificherà profondamente i caratteri formali della moneta.

 

b.  Il denaro mezzo di pagamento e il denaro universale

 

Nel suo ruolo di mezzo di circolazione, la moneta d’oro può essere sostituita da semplici segni. La pratica del credito commerciale caccerà a loro volta questi segni dalla sfera della circolazione per sostituirli con titoli di credito, cioè con promesse di pagamento. Se un commerciante acconsente a cedere la sua merce a un altro contro la promessa scritta di pagarla a termine, la merce avrà cambiato di mano senza che l’oro né alcuno dei suoi rappresentanti abbia giocato il minimo ruolo, se non nella valutazione del prezzo della merce, funzione “ideale” che, come abbiamo visto, non esige la presenza “materiale” del denaro. La promessa di pagamento a termine, debitamente consegnata su una cambiale, può quindi bastare a mettere in circolazione le merci. L’equazione del primo atto della circolazione della merce non è più M - D, ma piuttosto M - cambiale (... D), il denaro riapparirà nella sfera di circolazione solo al termine fissato; la circolazione della merce si sarà compiuta senza il suo intervento e esso non avrà più altra funzione che di saldare una transazione già realizzata: da mezzo di circolazione, il denaro diventa mezzo di pagamento. “Il denaro, ossia lo sviluppo autonomo del valore di scambio, non è più la forma mediatrice della circolazione delle merci, ne è bensì il risultato conclusivo... Esso entra in circolazione come unico equivalente adeguato della merce, come esistenza assoluta del valore di scambio, come ultima parola del processo di scambio, in breve come denaro e cioè come denaro nella funzione determinata di mezzo di pagamento generale. In questa funzione come mezzo di pagamento il denaro appare come merce assoluta ma entro la circolazione stessa, non come tesoro al di fuori di questa”. (Per la Critica dell’Economia Politica, cit., pag.124-125).

Notiamo che una delle manifestazioni della crisi è appunto il crollo del credito, e che allora il denaro di cui si faceva tranquillamente a meno fino a quel momento come mezzo di circolazione in senso stretto, è di nuovo reclamato a gran voce per assolvere a questa funzione. Comunque, se l’oro è stato cacciato dalla sfera della circolazione dalla carta-moneta, lo stesso processo si delinea anche per quest’ultima; ma il denaro non può essere completamente eliminato dalla circolazione delle merci e riappare periodicamente sotto forma di mezzo di pagamento cioè in quanto denaro in senso forte.

L’oro progressivamente cacciato dalla sfera della circolazione interna, regna invece da padrone assoluto negli scambi internazionali. “Solo sul mercato mondiale il denaro funziona in pieno come quella merce la cui forma naturale è allo stesso tempo forma immediatamente sociale di realizzazione del lavoro umano in abstracto. Il suo modo di esistenza diventa adeguato al suo concetto”. (Il Capitale, I, 1, pag.157 - 158). Ma, anche qui, la funzione di mezzo di circolazione del denaro si attenua, mentre predomina il denaro come mezzo di pagamento, che salda le bilance commerciali, internazionali a termini fissati. D’altronde, ogni Stato deve costituirsi un tesoro per far fronte sia alle vicissitudini commerciali, sia alle necessità di guerra. Val la pena di notare, a questo proposito con Marx, che “i paesi a produzione borghese sviluppata limitano al minimo richiesto dalle loro specifiche funzioni i tesori concentrati in massa nei serbatoi delle banche. Con qualche eccezione, il fatto che i serbatoi di tesori siano colmi in modo notevole al di sopra del loro livello medio, indica un ristagno della circolazione delle merci o una interruzione nel flusso della metamorfosi delle merci”(Il Capitale, I,1, pag. 161). Riassunti così brevemente i risultati principali dell’analisi marxista del ruolo del denaro nella circolazione semplice delle merci, potremo passare allo studio delle metamorfosi subite dal denaro, dalla moneta, nell’economia capitalistica pienamente sviluppata: è questo l’oggetto del capitolo seguente.

 

 

LA MONETA NELLA CIRCOLAZIONE DEL CAPITALE

 

 

1. LA TRASFORMAZIONE DEL DENARO IN CAPITALE

 

Come abbiamo visto, Marx conduce la sua analisi fondamentale sulla natura e sulle funzioni del denaro sulla base di una economia mercantile in cui il capitalista e l’operaio salariato non hanno ancora fatto la loro comparsa. Appena questi due personaggi entrano in scena, il denaro subisce una profonda metamorfosi, che esprime la rivoluzione avvenuta nei rapporti fra le classi. Da innocente mezzo di circolazione delle merci, il denaro si trasforma in capitale-denaro e, benché questo prenda a prestito dal “tesoro” la sua forma esteriore, ne differisce profondamente per la sostanza. Finora, le merci recitavano la parte principale e il denaro appariva come l’ausiliario del loro movimento; appena il modo di produzione capitalista si è impadronito della produzione, la moneta, il denaro, figura invece come prima donna mentre le merci si accontentano di servire a loro volta di strumenti della circolazione del denaro. Le parti sono così capovolte, ma è vero che nel frattempo lo stesso denaro ha cambiato natura per diventare capitale.

Nella circolazione semplice delle merci, anche se il rapporto di produzione monetario impone una via traversa, e così oscura un rapporto fra i produttori che per il fatto stesso dello scambio appare formalmente come rapporto tra i loro prodotti (le merci), il fine stesso del movimento dei prodotti rimane evidente. Vendere per comperare, vendere i prodotti il cui valore d’uso eccede i bisogni del produttore per permettergli di acquistare valori d’uso corrispondenti a bisogni che egli non può soddisfare direttamente con il risultato della sua attività produttiva; in tutto questo non v’è alcun mistero. Ben diversamente stanno le cose nella produzione capitalistica: il capitalista compera per vendere invece di vendere per comperare (cosa che si applica già a quel precursore del capitalista moderno che è il semplice mercante). Se la circolazione delle merci può essere schematizzata con M - D - M, la circolazione del denaro trasformato in capitale si presenta invece come D - M - D.

Da un punto di vista formale, il denaro appare nell’uno e nell’altro degli schemi di circolazione; ma il loro modo rispettivo di circolazione non è lo stesso: “Denaro come denaro e denaro come capitale si distinguono in un primo momento soltanto attraverso la loro differente forma di circolazione” (Il Capitale, I, 2, cap. IV. pag.163).

Il denaro che funziona come mezzo di circolazione delle merci si mantiene costantemente nella sfera della circolazione, mentre le merci ne escono continuamente per essere consumate: il denaro è qui un semplice intermediario della circolazione delle merci e perciò cambia continuamente di mano. Il denaro che funziona come capitale circola invece in un altro modo. All’origine, esso si presenta come un “tesoro” accumulato che viene gettato in blocco nella circolazione per acquistare delle merci (vedremo poi quali; per ora, si può considerare che si tratti solo di capitale commerciale), ma lo scopo dell’operazione non è di ottenere dei valori d’uso da consumare: le merci acquistate saranno al contrario gettate di nuovo nella circolazione e quindi scambiate contro denaro. Il denaro si presenta come il punto di partenza e il punto di arrivo del ciclo, come lo scopo stesso della circolazione, e quindi riaffluisce costantemente verso il personaggio che ha dato l’avvio al ciclo con un certo anticipo di capitale denaro. Invece di mantenersi esclusivamente nella sfera della circolazione, come il denaro in quanto mezzo di circolazione delle merci, e quindi sfuggire sempre al suo detentore provvisorio, il capitale-denaro è destinato a riaffluire verso il suo detentore, che se ne è disfatto temporaneamente solo perché scontava questo riafflusso. “Il fenomeno del riafflusso come tale ha luogo appena la merce comperata è rivenduta, e così il ciclo D - M - D è descritto completamente. E questa è una distinzione tangibile fra la circolazione del denaro come capitale e la circolazione del denaro come puro e semplice denaro” (Il Capitale, I, ibid., pag.165).

Apparentemente, la circolazione del capitale-denaro presenta un carattere di assurdità. Se il ciclo M - D - M  ha per termini estremi dei valori di scambio equivalenti, l’operazione ha un senso nella misura in cui questi valori di scambio equivalenti sono incarnati in merci di diversi valori d’uso. Merci di valore di scambio equivalente possono circolare (scambiarsi) solo in quanto hanno diversi valori d’uso. Se alle due estremità del ciclo del capitale-denaro si ritrova il denaro, per giustificare questo movimento non si possono invocare valori d’uso diversi, perché il denaro ritirato alla fine è evidentemente identico, da questo punto di vista, a quello anticipato all’inizio. Il ciclo ha quindi un senso solo se il valore di scambio ottenuto alla fine del ciclo è superiore al valore anticipato: la circolazione del capitale-denaro si presenta perciò, fin dall’inizio, come una “violazione” della legge del valore, dello scambio fra equivalenti, perché il valore di scambio ottenuto alla fine deve superare il valore di scambio messo in gioco all’inizio: “Il ciclo M - D - M  comincia da un estremo, che è una merce, e conclude con un estremo, che è un’altra merce, la quale esce dalla circolazione per finire nel consumo. Quindi il suo scopo finale è il consumo, soddisfazione di bisogni, in una parola, valore d’uso. Il ciclo D - M - D  comincia invece dall’estremo denaro e conclude ritornando allo stesso estremo. Il suo motivo propulsore e il suo scopo determinante è quindi il valore stesso di scambio” (Il Capitale, I, ibid., pagg.165 - 166).

Il ciclo del capitale-denaro non è quindi D - M - D  ma piuttosto D - M - D’, in cui  D’ = D + ?D, cioè una somma superiore al denaro inizialmente anticipato D. La differenza fondamentale tra la circolazione delle merci e la circolazione del capitale-denaro si riconduce perciò al fatto che la prima ha il suo motore nell’appropriazione di valori d’uso, il che le dà un carattere relativamente “rigido”, come dice Marx (infatti i bisogni non sono estensibili a volontà, per uno stadio dato della produzione sociale), mentre la seconda è per essenza illimitata. Poiché lo scopo della circolazione del capitale-denaro è il suo proprio accrescimento, essa non conosce né limite né fine, e ciò che definisce il capitale-denaro (e il capitale in generale) non è il suo volume e neppure l’accrescimento derivante dal compiersi del suo ciclo, ma la ripetizione necessaria (9) e quindi l’estensione illimitata di questo accrescimento: il capitale è definito dal suo proprio moto, ed è un moto “perpetuo”; può accelerarsi o rallentarsi, ma deve sempre proseguire, pena la morte del capitale stesso:

Nella circolazione, il valore originariamente anticipato non solo si conserva, ma altera anche originariamente la propria grandezza di valore, mette su un plusvalore, ossia si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale” (Il Capitale, I, ibid., pag. 167).

La circolazione semplice delle merci - la vendita per la compera - serve di mezzo per un fine ultimo che sta fuori della sfera della circolazione, per la appropriazione di valori d’uso, per la soddisfazione di bisogni. Invece, la circolazione del denaro come capitale è fine a se stessa, poiché la valorizzazione del valore esiste soltanto entro tale movimento sempre rinnovato. Quindi il movimento del capitale è senza misura” (Il Capitale, I, ibid., pag. 168).

Non è necessario qui sviluppare la teoria del plusvalore; accontentiamoci di ricordare qual è la merce speciale il cui acquisto permette al capitalista di trarre dalla circolazione del suo capitale “un di più”, un plusvalore. Consideriamo oramai il capitalista industriale, non più soltanto il capitalista commerciale. Entrambi acquistano per vendere; ma il primo non rivende semplicemente le merci acquistate, fa loro subire una trasformazione attraverso un processo di produzione. Il capitale-denaro, egli lo trasforma anzitutto in mezzi di produzione (edifici, attrezzature produttive, utensili, macchine ecc.) e in oggetti di produzione (materie prime) che acquista al loro valore sul mercato; questa frazione del suo capitale prende il nome di capitale costante. Ma, per animare questo “capitale morto”, egli deve anche acquistare sul mercato il lavoro umano che, applicato ai mezzi di produzione, trasformerà gli oggetti di produzione in prodotti. Il capitalista compera contro salario la forza-lavoro di un certo numero di operai per un periodo di tempo determinato e si chiamerà capitale variabile la frazione di capitale anticipata che giocherà questo ruolo. Anche qui, la merce sarà pagata, in media, al suo valore, che può essere soltanto l’equivalente in valore dei prodotti necessari a conservare la forza-lavoro dell’operaio; cioè, a mantenerlo in grado di produrre normalmente e di assicurare la propria discendenza.

Compiuto il processo di produzione, il capitalista avrà trasformato in merci il suo anticipo di capitale-denaro; ma il valore di queste merci supererà quello dell’anticipo iniziale. In realtà, la forza-lavoro è una merce particolare il cui uso fornisce appunto del lavoro umano. Ora, se durante il processo di produzione essa trasmette alle nuove merci prodotte il valore anteriormente contenuto nell’anticipo di capitale costante, vi aggiunge però, in più, un valore supplementare che supera l’anticipo di capitale variabile effettuato dal capitalista: se la forza-lavoro di un operaio può essere utilizzata dieci ore al giorno, l’insieme dei prodotti il cui valore equivale al salario giornaliero rappresenterà, per esempio, soltanto cinque ore di lavoro medio. La differenza, o plusvalore, sarà intascata dal capitalista, che non avrà perciò meno rispettato, diversamente da quello che a tutta prima parrebbe, la legge dello scambio fra equivalenti, nei confronti sia del salariato che del compratore delle sue merci. Troviamo qui definito nel modo più breve possibile il rapporto fondamentale, specifico del modo di produzione capitalista, quello che permette di distinguerlo dai modi di produzione anteriori (benché essi abbiano in comune certe categorie economiche) e, a maggior ragione, dal modo di produzione socialista  (10).

La merce, la moneta, il denaro sono esistiti prima del capitalismo, anche se quest’ultimo ne ha immensamente esteso la sfera di azione, ma il denaro non ha per se stesso la virtù di funzionare come capitale. Perché subisca questa metamorfosi, deve essere soddisfatta una doppia condizione: è necessario che a un polo della società si sia verificata una accumulazione di denaro e che all’altro si sia realizzata una massiccia espropriazione dei produttori indipendenti - espropriazione che sola permetterà di trasformare la forza-lavoro in merce e perciò il denaro in capitale, cioè gli permetterà di comprare della forza-lavoro.

Il modo di produzione capitalista è definito dall’esistenza generalizzata del salariato, la cui nascita suppone a sua volta un’economia mercantile sviluppata. Denaro e capitale-denaro non sono la stessa cosa; la trasformazione del denaro in capitale-denaro esprime, in una sfera particolare, l’introduzione di un rapporto di produzione determinato. Il denaro può ormai comperare la forza-lavoro come un’altra merce; il salariato è nato e il capitale con esso.

Lo scambio dei prodotti deve già possedere la forma della circolazione delle merci perché la moneta possa entrare in scena: “Le forme particolari del denaro... indicano di volta in volta, a seconda dell’estensione e della relativa preponderanza dell’una o dell’altra funzione, gradi diversissimi del processo sociale di produzione. Eppure, a norma dell’esperienza, una circolazione delle merci relativamente poco sviluppata è sufficiente per la produzione di tutte quelle forme.

Ma, per il capitale, la cosa è differente. Le sue condizioni storiche d’esistenza non sono affatto date di per se stesse con la circolazione delle merci e del denaro. Esso nasce soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come venditore della sua forza-lavoro, e questa sola condizione storica comprende tutta una storia universale.

Quindi il capitale annuncia fin da principio un’epoca del processo sociale di produzione. Quello che dà il carattere all’epoca capitalistica è il fatto che la forza-lavoro assume anche per lo stesso lavoratore la forma di una merce che gli appartiene, mentre il suo lavoro assume la forma di lavoro salariato. D’altra parte, la forma di merci dei prodotti del lavoro acquista validità generale solo da questo momento in poi” (Il Capitale, I, 2, pag. 187 e nota).

 (2- continua)

 


 

(9) Nel presentare le loro panacee riformiste, gli opportunisti “operai” invertono i termini dei rapporti reali. La necessità oggettiva che anima il movimento del capitale determina anche la volontà soggettiva dei suoi agenti, i capitalisti; per gli opportunisti, la causa della marcia del capitale sarebbe invece la volontà del capitalista, la sua sete di guadagno, la malvagità dei monopoli ecc. Questa visione infantile del modo di produzione capitalista trascura il fatto che, se il capitalista è in realtà assetato di guadagno, gli è che deve esserlo: la concorrenza si incarica di insegnargli che un capitalista “generoso” cessa rapidamente di essere capitalista, cioè fallisce. È dunque solo falsificando grossolanamente la realtà economica e sociale del modo di produzione capitalista e le sue leggi, che l’opportunista può pretendere di modificarle, non diciamo con una rivoluzione politica da tempo mandata in soffitta, ma nemmeno con una riforma dello Stato (democrazia popolare, democrazia vera, ecc.), mentre solo una rivoluzione sociale può sperare di infrangere i rapporti di produzione capitalistici.

(10) L’economia politica staliniana arzigogolò a lungo sul problema di sapere se si potesse parlare di plusvalore in URSS e, i più demagoghi fra gli accademici sovietici si scandalizzarono che certi economisti impiegassero questo vocabolo nella enumerazione delle categorie economiche del socialismo marca Cremlino; è vero che si scandalizzavano assai meno dell’esistenza, nella realtà sociale e non solo nella testa degli economisti di grido, del salariato. Oggi, tutti questi pudori sono stati spazzati via dalla realtà concreta (come dicono loro) dell’accumulazione del plusvalore in Russia, quindi si cantano le lodi del profitto, della redditività, di una giusta politica dei salari (equivalente alla famosa “politica dei redditi” del mondo occidentale): l’ipocrisia economica è così ridotta al minimo; è bon ton appiccicare l’aggettivo “socialista” a tutte le categorie economiche del capitalista - profitto “socialista”, salario “socialista” ecc. E non si tratterebbe che di giochi di parole spassosi, se non fossero tatuati sulla pelle del proletariato russo!

 

 

Partito comunista internazionale

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