Spagna

La monarchia di Felipe VI e la III Repubblica non sono altro che forme di governo della classe borghese e quindi di sfruttamento e miseria per i proletari

(«il comunista»; N° 135; Luglio 2014)

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L’abdicazione di re Juan Carlos I a favore del figlio Felipe ha il solo obiettivo di rivedere alcuni aspetti formali dello Stato. Sei anni di crisi economica, accompagnati dagli scandali causati dalla corruzione in casa reale e dal sempre maggiore malcontento di ampi strati della società nei confronti della monarchia hanno messo in discussione un modello che si è imposto durante la Transizione (dal franchismo alla democrazia) e che nel corso degli ultimi 39 anni ha avuto il compito di garantire la sottomissione della classe proletaria alle esigenze della borghesia sotto la veste della collaborazione democratica fra le classi. 

Alla morte di Franco, un’altra crisi economica, quella chiamata “del petrolio”, aveva dato origine a un considerevole aumento degli scontri fra proletari e borghesi sul terreno della lotta immediata per il salario, le condizioni  di vita e, inoltre, su aspetti “sociali” che negli ultimi anni della dittatura generavano tensioni sotterranee (la questione basca e catalana, la condizione della donna ecc.). Per di più, l’esempio del vicino Portogallo, dove la decennale guerra coloniale arrivò a liquidare la dittatura di Salazar e a rendere incontenibile la lotta di vasti strati di classe operaia, attraversava come uno spettro infernale la mente della classe borghese spagnola ed europea.

La cosiddetta Transizione democratica fu un gran patto sociale capitanato apparentemente dal re, ma in realtà diretto dalla regia delle borghesie europee e americana con la collaborazione di tutti i settori del Regime e dell’opposizione. Si trattava, quindi, di garantire il governo della classe borghese che si trovava ad affrontare tanto un’acutizzazione della lotta di classe quanto un’imperiosa necessità di riorganizzare i settori strategici dell’economia nazionale per difendere la propria posizione nei confronti dei suoi rivali imperialisti, e questo compito non avrebbe potuto realizzarsi se la forma dello Stato avesse continuato ad essere la “democrazia organica” che esisteva dalla fine della guerra civile: era necessario realizzare una riforma democratica che permettesse di estendere la commedia in cui il proletariato potesse vedere realizzate le sue aspirazioni non attraverso la lotta di difesa dei propri interessi di classe, ma attraverso la collaborazione con la borghesia che garantiva le elezioni, il Parlamento, la Costituzione e la Monarchia parlamentare, e in cui avrebbe dovuto accettare i sacrifici che gli venivano richiesti a vantaggio del bene comune, della democratizzazione dello Stato e del buon funzionamento dell’economia. La borghesia tedesca attraverso il suo partito democratico, la borghesia come principale potenza con interessi in Spagna, gli stessi Stati Uniti e, ovviamente, la cosiddetta opposizione democratica (che andava dal nazionalismo basco e catalano fino ai partiti di estrema sinistra uniti sotto il nome di Platajunta democratica passando per il PCE) collaborarono gomito a gomito per garantire che questa riforma istituzionale si realizzasse con il minimo costo possibile (anche se, certamente, vi furono costi inevitabili che si accollarono senza problemi: la Transizione fu tutt’altro che pacifica come dimostrano le centinaia di morti durante questo periodo).

Si trattò, in definitiva, di un rimaneggiamento del regime franchista (che era già considerevolmente diverso da quello che si impose nel 1939) realizzato dallo stesso apparato dello Stato, che strinse la mano ai partiti dell’opposizione, a cui diede l’incarico di far sì, grazie alla loro influenza sulla classe operaia, che i lavoratori rispettassero il patto sociale stabilito. In questo modo la Costituzione monarchica fu accettata tanto dai settori del regime franchista, che da quasi quarant’anni rappresentavano il dominio della borghesia, quanto dai cosiddetti partiti operai che hanno sottomesso i proletari alla disciplina necessaria affinché il processo si realizzasse senza eccessive difficoltà. Di fatto questi partiti, capitanati da PCE e PSOE, hanno imposto l’ordine anche nelle strade, attaccando senza riguardi qualunque sciopero o protesta che rappresentasse un pericolo per gli aspetti anche secondari della riforma, obbligando i proletari ad accettare che gli interessi nazionali prevalessero sui propri interessi di classe e a collaborare alla sporca guerra diretta  soprattutto contro i militanti dell’ETA… Coloro che oggi invocano la III Repubblica non solo sono stati tra gli estensori della Costituzione monarchica, ma addirittura l’hanno difesa lancia in resta contro chiunque vi si opponesse.

Oggi il cosiddetto juancarlismo ha toccato il fondo: la figura del re era estremamente logorata a causa di un progressivo calo generale della fiducia nelle istituzioni pubbliche e degli scandali privati che hanno riguardato la famiglia reale. Con l’abdicazione di Juan Carlos I si cerca di far sopravvivere il mito della collaborazione democratica, al di là dello stesso re, di attenuare la tensione sociale provocata dal malcontento degli ultimi anni e di rinnovare il peso dello Stato insieme alla fiducia in esso; in poche parole, di contribuire a rendere governabile un paese in crisi anche attraverso questa via.

Mentre la monarchia rappresentata da Juan Carlos I si è screditata a tal punto da rappresentare più un elemento di tensione che di coesione sociale, il malessere generalizzato che colpisce tanto il proletariato quanto alcuni settori della piccola borghesia ha trovato la sua espressione politica in una vecchie e nuova sinistra parlamentare che difende l’illusione democratica secondo la quale un cambiamento del modello di Stato, cioè il passaggio dalla monarchia costituzionale alla repubblica borghese democratica, riuscirebbe a migliorare le condizioni di vita del popolo. Questa illusione si basa su due punti. Il primo è l’idea che la repubblica sia la massima espressione della democrazia e che la democrazia, a sua volta, sia un regime politico che si colloca oltre il capitalismo e che esso, pertanto, sia definitivamente esente da  crisi e miseria. Il secondo è la fantasiosa idea che le penose condizioni di esistenza in cui è stato precipitato il proletariato – classe che costituisce l’assoluta maggioranza  della società nel mondo capitalistico – non siano conseguenza di una crisi capitalistica dovuta alla caduta del saggio medio di profitto delle imprese, ma di una frode attraverso cui l’élite dirigente avrebbe spogliato le classi popolari dei loro diritti sociali ed economici. Partendo da questi punti la repubblica borghese permetterebbe di riorganizzare il paese in modo che tutte le classi sociali possano un domani convivere in armonia, senza scontrarsi e con maggiore vantaggio dell’economia nazionale (ovviamente posta, a questo punto, al servizio del popolo).

Il meccanismo è lo stesso adottato nel 1978 per la Costituzione monarchica: rendere possibile che in un paese, mediante la riforma democratica, tutte le classi sociali coesistano in pace. Non deve esserci, quindi, lotta fra proletariato e borghesia, ma conciliazione democratica (monarchica ieri, repubblicana oggi).  Ed è esattamente questo che la borghesia spagnola difende facendo abdicare Juan Carlos. L’equivalenza fra monarchia e repubblica viene mostrata con chiarezza dai rispettivi difensori, che hanno usato e usano gli stessi argomenti e mirano agli stessi fini. Infatti i partiti repubblicani che hanno difeso un’ipotetica III Repubblica lo hanno fatto nel massimo rispetto della Costituzione monarchica del 1978, che è la principale legge con cui la borghesia sancisce il suo dominio sul proletariato: convocazione di un referendum, modificazione democratica dello Stato, ruolo centrale del parlamento nel processo  di cambiamento...  Pretendono che lo Stato si riformi da solo, cambiando veste per meglio svolgere la sua funzione di classe. Di fatto si tratterebbe di una ripetizione del famoso harakiri che le Cortes franchiste fecero per dare via libera alla monarchia costituzionale: in entrambi i casi si tratta di difendere fino in fondo lo Stato borghese, qualunque sia la sua forma.

Gli interessi della casse proletaria non verranno soddisfatti né sotto la monarchia di Felipe né sotto la III Repubblica. Per il proletariato quello che conta non è la forma adottata dallo Stato borghese, ma l’esistenza stessa dello Stato borghese, che esercita la funzione di imporre e difendere gli interessi del capitalismo nazionale sia per quanto riguarda la situazione interna sia per quanto riguarda la sua rivalità con gli imperialismi stranieri. Questo non vuol dire che la forma dello Stato gli sia indifferente; questa forma risponde a forze materiali all’interno delle quali occupa un posto importante lo scontro fra le classi. Non si può escludere che un domani, a causa dell’acutizzarsi della lotta del proletariato, la borghesia, sottoposta alla pressione di questa lotta, facesse volgere lo Stato verso forme repubblicane. Si tratterebbe di un modo per stemperare temporaneamente la tensione sociale e instradare il proletariato, di nuovo, verso la via della sottomissione alle forze politiche della borghesia. Così accadde nel 1931, quando la borghesia spagnola si vide incapace di governare il paese attraverso la via monarchica e le bastarono alcune elezioni municipali per cacciare Alfonso XIII e imporre un governo di partiti repubblicani. Un anno dopo la Repubblica assassinava  i contadini di Casas Viejas; due anni dopo toccò ai proletari dell’Alto Llobregat; nel 1934 agli asturiani e nel 1936 iniziava il massacro del proletariato rivoluzionario che sarebbe sfociato nel regime franchista.

Per le aspirazioni del proletariato non esistono soluzioni all’interno del sistema capitalista e del suo Stato. La classe proletaria è contrapposta alla classe borghese come conseguenza dello stesso sistema capitalista, che generalizza la produzione sociale ma sottomettendola alla proprietà privata e al lavoro salariato, attraverso il quale la classe che produce precipita sempre più nella povertà, viene utilizzata come carne da cannone nelle guerre imperialiste, viene sterminata come forza lavoro eccedente quando l’economia nazionale non ne ha bisogno… Il movimento della classe proletaria porta in sé un nuovo modo di produzione che sorgerà sulle fondamenta di quello attuale che è basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ma, per imporre il nuovo modo di produzione, essa deve lottare innanzitutto per annientare lo Stato borghese, qualunque sia la forma adottata, totalitaria o democratica, repubblicana o monarchica, perché esso rappresenta lo strumento politico usato dal suo nemico di classe per sottometterla. Deve sostituire questo Stato con il proprio Stato di classe, che in realtà non è uno Stato nel senso comune del termine (Engels), e, attraverso di esso, esercitare la propria dittatura sui resti della classe borghese e delle classi sue alleate, che indubbiamente non abbandoneranno la loro epoca storica senza combattere all’ultimo sangue. Attraverso questa dittatura si dovrà non solo rompere  la resistenza della borghesia, ma anche intervenire dispoticamente sull’economia per cominciare a porre le basi della trasformazione socialista della società, una trasformazione che alla fine renderà inutile l’esistenza di qualunque tipo di Stato nella misura in cui spariranno le classi sociali (e non solo lo “scontro” fra le classi, come stupidamente sostengono i riformisti di ogni genere), rendendo superfluo qualunque tipo di coercizione politica.

Di fronte al dilemma monarchia o repubblica, il proletariato ha solo un’alternativa: costituirsi in classe, e pertanto in Partito politico, per imporre il suo progetto storico, la rivoluzione comunista. Di fronte alle proposte repubblicane, che pretendono di vincolare la classe proletaria a una lotta interclassista insieme a piccoloborghesi e borghesi, con la stupida aspirazione di porre fine all’antagonismo fra le classi senza porre fine alle classi, il proletariato può dare solo una risposta, iniziando a lottare sul terreno delle proprie esigenze immediate contro la borghesia (piccola e grande); rispondendo alle aggressioni che subisce a causa della crisi capitalistica con le proprie aggressioni di classe agli interessi dei suoi nemici; sviluppando ed estendendo le proprie organizzazioni di classe che siano formate solo da proletari e che rompano la pressione che la concorrenza fra operai esercita sui salari e sulle condizioni di vita; imboccando la via che dalla lotta economica di difesa si elevi, grazie all’intervento del partito di classe, a lotta politica generale, classe contro classe.

Di fronte alla bandiera rojigualda o alla bandiera tricolore, il proletariato può solo alzare la bandiera rossa della rivoluzione per la conquista del potere politico, della distruzione dello Stato borghese e del superamento del modo di produzione capitalistico.

 

Abbasso la monarchia, la repubblica e qualunque forma di Stato borghese!

Per la ripresa della lotta di classe!

Per la rivoluzione comunista!

5/6/2014  

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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