Abbasso la guerra imperialista in Irak e in Siria!

(«il comunista»; N° 137; Novembre 2014 - Gennaio 2015)

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All’inizio dello scorso agosto il governo americano decideva di dare il via a un’«azione umanitaria» limitata – sotto forma di bombardamenti! – in Irak, dopo una campagna internazionale di mobilitazione dell’opinione pubblica a proposito delle minoranze yazide e cristiane che sarebbero state minacciate di «genocidio» dall’avanzata dei ribelli islamisti dello «Stato islamico in Irak e nel Levante» (meglio noto sotto l’acronimo inglese ISIS). Oggi nessuno parla più né degli yazidi né dei cristiani, mentre è la sorte dei curdi a essere utilizzata per la propaganda bellica: l’operazione «umanitaria» si è trasformata in una vera guerra, per il momento esclusivamente aerea. Gli Stati Uniti sono di gran lunga la principale forza militare: hanno effettuato più di 200 bombardamenti in Irak, decine in Siria e hanno inviato parecchie centinaia di soldati in Irak (paese dal quale si erano totalmente ritirati nel 2011!); ma sono riusciti a creare intorno a loro una vasta coalizione internazionale: a loro dire ne farebbero parte una quarantina di paesi, ma il fatto che non ne abbiano fornito l’elenco getta qualche dubbio su questa affermazione.

Per quanto riguarda il governo francese, esso aveva tenuto a manifestare con il massimo clamore possibile la sua partecipazione all’intervento americano, essendo il secondo paese a effettuare bombardamenti in Irak contro l’ISIS (ciò ha comportato da parte di questa organizzazione, che non possiede aerei per bombardare la Francia, un appello a uccidere dei cittadini francesi, di cui un turista francese è stato la sfortunata vittima). Anche i governi canadese, olandese, australiano, seguiti da quelli inglese, belga e danese, hanno deciso di partecipare alla guerra aerea, esattamente come i governi della Giordania, dell’Arabia Saudita, degli Emirati e del Qatar. Altri paesi che si sono uniti alla coalizione internazionale, fra cui Germania e Italia, hanno annunciato l’invio di armi. La Spagna ha deciso di non partecipare ai combattimenti ma di fornire un «aiuto logistico». Pur senza far parte della coalizione, la Russia, che è stata invitata alla conferenza internazionale tenutasi alla metà di settembre, ha annunciato che avrebbe fornito anch’essa un «aiuto logistico» all’impegno militare internazionale (infatti già da alcuni mesi invia armi al governo di Bagdad).

Anche se in questa fase per i vari Stati che partecipano alla coalizione non si tratta ancora di truppe combattenti di terra, la Francia, il Canada, la Germania e la Gran Bretagna, come gli Stati Uniti, hanno inviato in Irak, in alcuni casi da «parecchie settimane», dei «consiglieri militari» e altre «forze speciali» per addestrare e inquadrare i combattenti anti-islamisti, curdi e non.

 

UN INTERVENTO MOTIVATO UNICAMENTE DA SORDIDI INTERESSI MPERIALISTICI E NON DA PRETESE DISINTERESSATE PREOCCUPAZIONI «UMANITARIE»

 

L’intervento militare è stato giustificato dalle atrocità commesse dall’ISIS nelle regioni in cui è presente (e di cui, in alcuni casi, non ha esitato a pubblicare i video su internet): massacri di prigionieri anche civili, decapitazioni di ostaggi e via dicendo; il terrore che intende ispirare è una delle armi dell’ISIS, ma oggi viene anche usata contro di lui per sollecitare l’adesione all’intervento militare: ogni guerra ha bisogno di esibire vittime innocenti, vere o presunte, per giustificarsi.

Ma fino all’ultimo periodo, finché avevano avuto luogo in Siria (dove l’ISIS le ha perpetrate fin dalla sua nascita), queste atrocità non avevano scosso la buona coscienza degli imperialisti occidentali, buona coscienza che non è scossa nemmeno dai crimini e dai soprusi commessi dal regime di Bagdad che si appoggia a veri e propri squadroni della morte per mantenere la sua autorità mediante il terrore!

Tutto è cambiato all’inizio di quest’anno, quando i combattenti dell’ISIS, con l’appoggio dei quadri militari e delle forze baathiste del vecchio regime di Saddam Hussein, hanno sbaragliato l’esercito regolare iracheno rappresentando una minaccia diretta per Bagdad. La caduta del regime insediato dopo la guerra vittoriosa dell’amministrazione Bush e all’ombra del quale hanno avuto accesso al petrolio iracheno era, per gli Stati Uniti, inaccettabile: questo li ha portati alla decisione di intervenire militarmente, e non una pretesa pressione della loro «opinione pubblica» che non è mai altro che una creazione dei media.

Il grosso dei giacimenti petroliferi iracheni, sfruttati da società americane (Exxon…), britanniche (BP, Shell), russe (Lukoil), italiane (ENI), francesi (Total) e cinesi (PetroChina…), si trova nel sud, nella zona sciita, dove l’ISIS e i suoi alleati sunniti non hanno alcuna possibilità di penetrare. Ma una parte non trascurabile è situata nella regione del nord attorno a Mossul, che i nazionalisti curdi rivendicano da tempo nei confronti di Bagdad; allargando di quasi il 40% il proprio territorio, l’hanno in parte occupata approfittando della disfatta dell’esercito iracheno e ora vogliono difenderla contro i borghesi sunniti collegati con l’ISIS. D’altronde il governo autonomo del Kurdistan aveva deciso di recente, contro il parere di Bagdad, di accordare concessioni alle grandi aziende petrolifere occidentali, in particolare ai colossi americani Exxon e Chevron e alla francese Total. Fornendo armi ai combattenti curdi (e appoggiando di fatto l’indipendentismo curdo) (1), gli americani e i francesi proteggono gli interessi delle loro grandi società petrolifere! (2)

D’altra parte, né i grandi imperialismi né gli Stati della regione vedono di buon occhio la rimessa in causa delle frontiere stabilite dalla colonizzazione e dalla spartizione imperialista del mondo per opera di un gruppo «incontrollato» come l’ISIS, che ha rispolverato la vecchia chimera del nazionalismo arabo versione Baath di una unione fra Siria e Irak, ridipingendola con i colori dell’islam radicale.

RICOMPOSIZIONE IN CORSO IN MEDIO ORIENTE

 

L’accordo concluso l’estate scorsa sotto l’egida della Russia per l’eliminazione delle armi chimiche del regime siriano aveva segnato una svolta nella politica americana: significava che, dato il suo fallimento nel tentativo di trovare o creare una forza politica affidabile fra i ribelli, la caduta del regime di El Assad comportava in queste condizioni, per l’amministrazione Obama, troppi rischi per la stabilità dell’ordine imperialistico regionale.

I ribelli siriani sono divisi in svariati gruppi armati più o meno autonomi e più o meno riuniti in vari «fronti», a seconda dei finanziamenti ricevuti dai borghesi locali o dei paesi vicini e dagli imperialisti, o sovvenzionati da rapine, estorsioni o contrabbando.  I paesi arabi del Golfo inizialmente hanno finanziato i vari gruppi più islamisti e la Turchia forniva loro aiuti, il tutto sotto l’occhio vigile di Washington. Dietro ai loro riferimenti reazionari comuni alla religione e alla legge islamica e facendo leva sull’odio suscitato dal sanguinario regime di Damasco, tutti questi gruppi in realtà difendono solo interessi borghesi particolari e spesso rivali; per esempio, l’ISIS deve il suo successo in gran parte al fatto di essere riuscito a finanziarsi garantendosi con vari mezzi il controllo di una parte della produzione e del contrabbando del petrolio siriano verso la Turchia. Nessuno di questi gruppi merita l’appoggio dei proletari, di cui in realtà sono nemici altrettanto determinati quanto lo Stato siriano. I continui sforzi (tanto in denaro quanto in armi) degli americani (appoggiati da francesi, inglesi e da altri imperialismi) per riunire alcuni di questi gruppi a formare un «Esercito siriano libero» al proprio servizio e per reclutare, fra i politici siriani emigrati, una forza politica «islamista moderata» che goda di un minimo di credibilità in Siria, sono stati tutti degli insuccessi. A tal punto che la filoamericana ASL (che funziona come una vera e propria mafia) non solo è arretrata rispetto alle forze del regime, non solo è stata bersagliata dalla concorrenza di altre organizzazioni ribelli più dinamiche, ma addirittura, per resistere agli attacchi della nuova organizzazione che ha preso il nome di ISIS, si è alleata con un potente gruppo islamista, il Fronte Al Nosra, che si richiama apertamente ad Al Qaeda, il nemico numero 1 degli Stati Uniti!

Le decine di bombardamenti degli americani e dei loro alleati in Siria contro le postazioni dell’ISIS e quelle di Al Nosra (3) testimoniano che il nemico dell’imperialismo americano in Siria non è più il regime di Bachar Al Assad, benché colpevole più degli islamisti dei più efferati crimini e massacri: ecco una nuova dimostrazione del fatto che non è mai la sorte delle popolazioni a determinare l’azione degli imperialisti e dei borghesi di tutti i paesi!

Nell’attuale situazione di instabilità, che è frutto tanto della crisi economica quanto delle feroci rivalità interborghesi, in Medio Oriente si stanno creando nuovi allineamenti di forze: l’imperialismo americano prospetta un riavvicinamento con l’Iran, che solo poco tempo fa minacciava di bombardare; la Turchia, dopo aver utilizzato l’ISIS, si prepara a invadere una parte della Siria per stabilirvi una «zona cuscinetto»; Israele, che rifiuta qualunque ipotesi di autodeterminazione dei Palestinesi, si dichiara a favore dell’indipendenza dei Curdi, e così via. A causa delle sue risorse petrolifere, ma anche della sua posizione geostrategica, la regione è di importanza cruciale per il capitalismo mondiale; e fin quando esso esisterà, la regione è condannata a essere teatro di violenti scontri di interessi destinati fatalmente a sfociare nelle guerre, «locali» o più generali, nelle quali le vittime sono le popolazioni. Oltre ai morti e ai feriti nei combattimenti e  nei bombardamenti, centinaia di migliaia di persone in fuga dagli scontri hanno dovuto abbandonare, in queste ultime settimane, i luoghi in cui vivevano per rifugiarsi in Turchia o in altre parti dell’Irak; questi si aggiungono alle centinaia di migliaia di rifugiati siriani che hanno trovato un rifugio oltremodo precario in Libano, in Giordania o da qualche altra parte. Inutile dire che la tragica sorte di questi rifugiati condannati a una miseria nera non preoccupa affatto i borghesi…

 

SOLO LA GUERRA DI CLASSE PUÒ OPPORSI ALLA GUERRA BORGHESE!

 

I governi chiamano la popolazione in generale, e i proletari in particolare, a un’«unione nazionale» a sostegno dell’intervento militare in corso, riprendendo quasi parola per parola i vecchi discorsi utilizzati un secolo fa, ai tempi della prima guerra mondiale. Tutti sanno che questi magniloquenti appelli alla «sacra unione» in difesa della «patria» sono serviti e servono solo a chiamare i lavoratori a sacrificarsi per difendere i sordidi interessi dei «loro» sfruttatori, del «loro» capitalismo nazionale.  I rivoluzionari bolscevichi denunciarono la menzogna della «difesa della patria»; chiamando al «disfattismo rivoluzionario», riprendendo la parola d’ordine del socialista tedesco Liebknecht: il vero nemico dei proletari è nella loro patria, è la classe dei capitalisti; è contro di loro che bisogna lottare, è il capitalismo che bisogna abbattere con la rivoluzione.

Da questo punto di vista oggi non è cambiato nulla. Il nemico dei proletari non è un nebuloso «terrorismo» da cui bisognerebbe proteggersi per mezzo di interventi militari e guerre (per anni, secondo il primo ministro inglese Cameron) in altri continenti e per mezzo di misure repressive qui; la «propria» borghesia, il «proprio» capitalismo sono cento volte più colpevoli e criminali di tutti i «jihadisti» messi insieme. Da quando ha fatto la sua comparsa, il capitalismo ha messo il pianeta a ferro e fuoco, ha seminato miseria e distruzione per soddisfare la sua sete di profitto, ha provocato decine e decine di milioni di morti nelle guerre, conducendo una lotta senza tregua contro i proletari di ogni paese. Oggi impone loro politiche di austerità, li butta in mezzo a una strada e li abbandona alla brutalità e ai crimini polizieschi, nel tentativo di recuperare la sua traballante salute economica; gli appelli all’unità nazionale per la guerra guerreggiata non sono altro che il corrispettivo degli appelli all’unità nazionale per la guerra economica. E se il proletariato non riuscirà a fermarlo prima, il capitalismo precipiterà inevitabilmente l’umanità in una terza guerra mondiale, ancora più distruttiva delle precedenti, allo scopo di superare le proprie contraddizioni interne che controlla con sempre maggior difficoltà.

Per fermarlo non esiste che una sola via, quella indicata dal marxismo e da tutta la storia del movimento operaio: la via della ripresa della lotta di classe, dell’organizzazione indipendente di classe, della costituzione del proletariato in classe e dunque in partito (Il Manifesto comunista) per dirigere la lotta proletaria fino alla vittoria della rivoluzione comunista internazionale e l’instaurazione del potere dittatoriale del proletariato, tappa necessaria per sradicare il capitalismo mondiale.

È questa la strada che bisogna preparare iniziando a rifiutare qualunque unione nazionale con i capitalisti e il loro Stato, qualunque sacrificio per gli interessi dell’economia borghese, qualunque rinuncia alla difesa esclusiva degli interessi proletari, qualunque appoggio agli interventi militari, qualunque partecipazione alle campagne di mobilitazione imperialiste, anche, e soprattutto, quando sono camuffate con alibi «umanitari».

 

Abbasso l’ennesino intervento imperialista in Medio Oriente!

No all’unità nazionale in sostegno dell’imperialismo!

Per la rinascita della lotta di classe anticapitalista!

Per la rivoluzione comunista internazionale! 

 

5/10/2014


 

(1) La politica americana consiste finora nella difesa dell’unità irachena; è questa la ragione per cui i curdi si oppongono all’evacuazione del petrolio curdo attraverso un oleodotto turco e alla sua vendita sul mercato mondiale. Gli interessi turchi sono esattamente il contrario.

(2) Le autorità francesi giustificano il loro intervento militare anche con il fatto che sono in corso negoziati con l’Arabia Saudita per importanti contratti riguardanti gli armamenti. Si pensa di morire per la patria e invece si muore per i mercanti di cannoni, si diceva già all’epoca della prima guerra mondiale…

(3) Dei gruppi ribelli, benché finanziati dagli americani, hanno condannato pubblicamente questi attacchi. Per quanto riguarda Al Nosra, che accusa l’ISIS di non combattere sul serio il regime di Damasco e di non seguire con sufficiente rigore i principi islamisti (!), rivendicava di essere stato tolto dalla lista americana delle organizzazioni terroriste, vale a dire di essere riconosciuto dagli Stati Uniti.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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