La donna e il socialismo (11)

Di August Bebel

La donna nel passato, nel presente e nell’avvenire

(«il comunista»; N° 137; Novembre 2014 - Gennaio 2015)

 Ritorne indice

 

(continua dal n. 136)

 

 

II. La donna nel presente

 

LA  SOCIALIZZAZIONE  DELLA  SOCIETÀ

 

*   *   *

 

Una volta che tutta la produzione della nuova società è posta sopra tali basi, la società non produce più “merci” ma soltanto oggetti di consumo per i suoi immediati bisogni. Cessa quindi anche il commercio, il quale può coesistere soltanto con una società che riposa sulla produzione mercantile. Si mobilizza quindi per la produzione un immenso esercito di persone d’ambo i sessi e di tutte le età (113). Entra quindi nella produzione una grande armata di persone che concorreranno a fabbricare gli oggetti necessari e renderanno quindi possibile da un lato un maggiore consumo, e dall’altro una ulteriore limitazione della durata del lavoro socialmente necessario, persone che finora vivevano più o meno da parassiti del lavoro degli altri, e si affaticano spesso nella odierna società senza trovare il modo di guadagnarsi la vita. Nella società nuova costoro sono inutili come i negozianti, albergatori, sensali, mediatori. Nella condizione loro si trovano coloro che lavorano a mercede e i domestici, dei quali ve ne erano in Germania, nel 1882, 400.000 in cifra rotonda. In luogo di dozzine, centinaia e migliaia di botteghe e di negozi d’ogni genere che oggi ogni comune possiede in ragione della sua grandezza, sorgono grandi magazzini, grandi ed eleganti bazar, depositi di provvigioni, esposizioni che richiedono un personale relativamente assai scarso. Questa trasformazione rappresenta una rivoluzione di tutte le istituzioni che funzionano fin qua. Tutto il movimento del commercio moderno viene trasformato mediante l’accentramento in una amministrazione incaricata della distribuzione, la quale deve compiere funzioni semplicissime, semplificate ancora più mediante l’accentramento di tutte le istituzioni sociali. Anche tutto il sistema dei trasporti subisce una totale trasformazione.

Telegrafi, ferrovie, poste, navigazione fluviale e marittima, ed i veicoli, che servono di mezzo di trasporto per la società borghese, diventano ora proprietà sociale.

Il fatto che molte di queste istituzioni, come le poste, i telegrafi e le ferrovie quasi tutte, sono oggi governative, facilita la loro trasformazione in proprietà sociale. Qui non ci sono da ferire interessi privati. Se lo Stato continua a lavorare in questo senso, tanto meglio. Queste industrie però, esercitate dallo Stato, non hanno proprio carattere socialistico, come fu erroneamente ritenuto. Sono semplicemente industrie che vengono sfruttate dallo Stato con intenti capitalistici come sarebbe se fossero esercitate da imprenditori privati. Né gli impiegati, né gli operai hanno una partecipazione qualunque ai guadagni, essendo trattati dallo Stato né più né meno come li tratterebbe un imprenditore privato; cosicché, se per esempio, negli stabilimenti della marina imperiale, viene emanato l’ordine di non ammettere al lavoro gli operai che hanno superato i 40 anni, sarebbe questa una regola che può sollevare gli operai contro lo Stato. Tali norme ed altre simili che emanano dallo Stato quale assuntore di operai, sono anche più dannose di quelle che emanano da un imprenditore privato, perchè quest’ultimo non è, alla fine, rispetto allo Stato che un piccolo imprenditore e l’impiego che egli nega, può essere forse assicurato da un altro. Lo Stato al contrario, come quello che esercita come una specie di monopolio del lavoro, può ad un tratto gettare nella miseria migliaia di persone. Ora ciò si dice trattare non già con criteri socialisti, ma puramente capitalistici, e i socialisti devono protestare affinché le industrie oggi esercitate dallo Stato non vengano considerate come industrie a base socialistica e come la realizzazione delle aspirazioni socialistiche.

Nel sistema socialistico non c’è chi dà lavoro e chi è superiore agli altri, come non vi sono padroni e soggetti, perché tutti sono in eguale posizione e tutti hanno uguali diritti. Ora, siccome al posto di tutti i milioni di produttori privati, di commercianti, d’intermediari d’ogni specie, ci sono dei grandi stabilimenti centrali, anche il trasporto dei prodotti assume una forma diversa. I milioni di piccole spedizioni, che andavano giornalmente ad altrettanti proprietari, diventano oggi grandi e potenti trasporti che passano nei depositi generali e nei centri di produzione. Anche qui il lavoro viene enormemente semplificato. Come, per esempio, il trasporto dei materiali greggi si forma in modo infinitamente più semplice per una industria che occupa mille operai, di quello che per mille piccole industrie, che consumano solo la stessa quantità di materiale greggio che viene consumata da un grande stabilimento, così accentrando i luoghi di produzione e distribuzione per tutti i comuni o per una gran parte di essi si ottiene un risparmio ancora maggiore di tempo, di lavoro, di materia, di trasporto e di stabilimenti di produzione, e tutto ciò giova a tutta la società e quindi anche al singolo.

La fisonomia dei nostri stabilimenti di produzione dell’industria dei trasporti e specialmente delle nostre abitazioni, verrà completamente mutata ed acquisterà un aspetto molto più favorevole. Lo strepito, la folla, il viavai delle nostre grandi città coi loro mille veicoli d’ogni specie, viene modificata di molto e assume un carattere molto diverso. La costruzione e la pulizia delle strade, le comunicazioni degli uomini fra loro, tutto un modo di vivere e di abitare subiranno una grande trasformazione. Allora potranno attuarsi con facilità e comodità precetti igenici che oggi non si possono attuare senza grandi spese ed anche in tal caso imperfettamente, e che ad ogni modo vennero applicati soltanto per i quartieri più eleganti. Il “popolo” non ne ha bisogno, egli deve aspettare finchè ci sono i mezzi, i quali poi non si trovano mai.

Naturalmente il comunismo riceve la sua più grande diffusione ed applicazione come lo comporta lo stato della scienza. Siccome le vie di comunicazione sono le vene che portano il sangue, e cioè lo scambio dei prodotti in tutto il corpo sociale, servono di mezzo alle relazioni personali e intellettuali degli uomini fra loro, e sono il mezzo più adatto per portare ad un uguale livello il benessere e la cultura di tutta la società, così la estensione e la diramazione dei mezzi più perfetti di trasporto fino ai punti più remoti delle più lontane provincie rappresenta una necessità e un generale interesse sociale. Vi sono quindi anche in questo campo della società nuova problemi che oltrepassano di molto quelli che la società presente è in grado di fare. Nel tempo stesso questo sistema di comunicazioni perfezionato e diffuso nel più alto grado favorirà il decentramento delle masse di uomini accumulate dalle grandi città e dai centri industriali ed anche dagli stabilimenti di produzione, su tutto il paese, e sarà quindi utilissimo tanto per la salute quanto per le esigenze morali e materiali della civiltà.

 

*   *   *

 

Anche la terra, come gli strumenti di lavoro e della produzione nell’industria e nel traffico è materia prima di ogni lavoro umano, e base di ogni esistenza umana, della società. La società riprende nel suo più alto grado di progresso ciò che le apparteneva in origine. Noi vediamo come presso tutti i popoli della terra arrivati a un certo grado di civiltà primitiva, la proprietà della terra era comune e come cotesta comunità di dominio ci sia anche oggi là dove questi popoli esistono ancora. La proprietà comune formava la base di ogni associazione primitiva, che non sarebbe stata altrimenti possibile. Col sorgere e con lo svilupparsi della proprietà privata e delle forme varie di dominio connesse con tale sviluppo, anche l’ultimo residuo di proprietà comune disparve sotto le asperrime guerre che infierirono fino al presente, e fu usurpato come possesso privato. Lo spoglio della terra e la sua trasformazione in proprietà personale formò, come vedemmo, la prima causa della servitù, la quale è passata attraverso tutte le gradazioni della schiavitù fino al “libero” salariato del secolo XIX; finchè i servi, dopo migliaia d’anni di sviluppo, tramuteranno anche la terra in proprietà comune. L’aver riconosciuta l’importanza della terra per tutta l’esistenza umana ha fatto sì che, in tutte le guerre sociali del mondo, in India, nella Cina, in Egitto, in Grecia, (Cleomene), a Roma (i Gracchi), nel medio-evo cristiano (sette religiose, guerra dei contadini), nel regno degli Aztechi e degli Inca, nelle rivoluzioni sociali dell’era moderna, il possesso della terra fu la prima e principale pretesa, ed anche oggi vi sono uomini i quali trovano legittima la proprietà comune del suolo – Adolfo Samter, il professore Adolfo Wagner, il dott. Schäffle – pure essendo disposti a fare le più grandi concessioni e ad accettare accomodamenti in altro campo (114).

Dalla coltura e dal godimento della terra dipende principalemnte il benessere della popolazione. E’ di interesse generale che questa coltura si porti al più alto grado possibile. Abbiamo già esposto in qual modo questa coltura non è possibile e non può aver luogo nel sistema della proprietà privata, né con le grandi proprietà, né con le proprietà media e piccola. Per trarre dalla terra il maggior utile possibile non basta amministrarla separatamente, ma bisogna tener conto dei fattori che sono più potenti di qualunque gran proprietario e anche di qualunque potente associazione, fattori i quali in date circostanze esorbitano dai confini nazionali, e devono trattarsi con criteri internazionali. La società deve, prima di tutto, considerare la terra come un tutto, e quindi la sua topografia, le sue montagne, le sue pianure, i suoi boschi, fiumi, stagni, le sue paludi, le sue maremme. Questa topografia, insieme con la posizione geografica, che è immutabile, esercita certe influenze sul clima e sulla natura del suolo. Ecco non solo un campo vastissimo di attività, ma anche tale, sul quale si possono tentare molte esperienze.

Quello che lo Stato fece fin qua in questo indirizzo, è poca cosa.

Anzitutto egli impiega scarsi mezzi a scopo di coltivazione, e trova poi, anche se volesse fare di più, un ostacolo nei grandi proprietari privati, i quali hanno oggi voto decisivo nella legislazione. Senza intaccare profondamente la proprietà privata, non potrebbe lo Stato moderno far nulla in tale campo. Ma la sua esistenza dipende dalla conservazione della proprietà privata dichiarata “sacra”, e quindi gli manca naturalmente la forza e la volontà di procedere su questa via. Per la società nuova si tratta di grandi ed estese migliorie, di rimboschimenti e disboschimenti, di irrigazioni e prosciugamenti, di cambiamenti di terreni, di piantagioni, ecc.

Una questione importante nei riguardi della coltura della terra, è pur quella di provvedere il suolo di canali e di fiumi sistematicamente coordinati secondo i principi della scienza.

La questione dei trasporti “più a buon mercato” sulle vie d'acqua, questione tanto importante per la società moderna, non è presa in considerazione dalla nuova società dal punto di vista della facilità dei trasporti derivante dalla mitezza delle tariffe, perché la società nuova non ha più il concetto del prezzo “caro” e “mite”; ma tutto si riduce a poter fare – e quindi le vie d'acqua devono considerarsi comodo mezzo di trasporto, del quale si può profittare per il consumo minimo di forze e di materiali. Il sistema fluviale e quello della canalizzazione nei riguardi della sua influenza sul clima, può avere importanza decisiva per un completo sistema di irrigazione e di prosciugamento, per fornire gli ingrassi e i materiali atti a migliorare il terreno, come pure per il trasporto dei raccolti ecc. L’esperienza insegna che i paesi poveri d’acqua soffrono assai più il freddo e il caldo che non i paesi ricchi di acqua, e quindi, per esempio, i paesi vicini alle coste non conoscono le temperature estreme ovvero non le conoscono che di passaggio. Ora codesti estremi non sono vantaggiosi né alle piante, né agli uomini. Un esteso sistema di canali sarebbe quindi benefico, specialmente se coordinato alle norme relative alla coltura dei boschi. Tale sistema potrebbe poi servire, una volta aperti grandi bacini, come collettore e serbatoio d’acqua, quando le acque formate dalle nevi e dagli acquazzoni violenti fanno gonfiare e straripare fiumi e torrenti. Sarebbero quindi impossibili le innondazioni e la loro opera devastatrice. Inoltre la superficie acquea, una volta ampliata, renderebbe probabilmente, coll’aumento dell’evaporazione, più regolari le piogge. Ove però manca per qualche tempo l’acqua per la coltura delle terre, pompe e macchine destinate a sollevare le acque potrebbero facilmente condurle sui fondi. Questa irrigazione artificiale trasformerebbe quindi estese campagne, fino ad oggi poco o per nulla fruttifere, in campagne ubertose. Là dove ora appena la capra trova sufficiente nutrimento, e dove, nella migliore ipotesi, dei pini intisichiti protendono al cielo i magri rami, potrebbero prosperare copiosi raccolti e trovare abbondante alimento una densa popolazione. Così, ad esempio, non è che questione di spesa la trasformazione della vasta e sabbiosa regione della “Marca”, dello “spolverino del sacro impero germanico” in un eden ubertoso. Sennonché né i grandi né i piccoli proprietari della Marca possono intraprendere i lavori necessari di miglioramento, le aperture di canali, l’irrigazione, la mescolanza dei terreni ecc., e quindi vasti tratti di terreno rimangono incolti proprio alle porte della capitale dell’impero, ciò che sarà incomprensibile ai posteri.

D’altra parte verrebbero prosciugate e rese suscettibili di coltura, mediante la canalizzazione, maremme, paludi e stagni, così nella Germania settentrionale, come nel sud della Baviera ecc. Inoltre codesti corsi d’acqua potrebbero utilizzarsi per la piscicoltura offrendo così una nuova e copiosa fonte di alimentazione, e formando in estate altrettante stazioni balneari per quei comuni che non sono bagnati da un fiume.

Ecco alcuni esempi dell’azione esercitata dalla irrigazione. Nelle vicinanze di Weissenfels, 7 ettari e mezzo di prati bene irrigati producevano 480 quintali di fieno, mentre 5 ettari di prato della stessa qualità di terreno, ma non irrigati, non produssero che 32 quintali. I primi avevano dunque una rendita dieci volte superiore a quella dei secondi. Vicino a Riesa, in Sassonia, 65 acri di prato irrigatorio fecero salire la rendita netta da 5.850 a 11.100 marchi. Le grosse spese di irrigazione rendevano. Vi sono però ancora in Germania, oltre la Marca, intere provincie il cui suolo essenzialmente sabbioso dà una rendita discretamente buona, se l’estate è molto umida.

Queste provincie, quando siano solcate da canali ed irrigate e quando se ne migliori altrimenti la natura del suolo, daranno in breve una rendita cinque, dieci volte maggiore. La Spagna porge degli esempi che la rendita di terreni bene irrigati superò di trentasei volte quella delle terre non irrigate.

Dove sono i privati, dove gli Stati, i quali possano fare ciò che è possibile e necessario? Se alla fine uno Stato cede davanti alle proteste violente dei danneggiati da lunga serie di calamità, come procede adagio, con circospezione e cautela. Potrebbe parergli già troppo se egli dovesse abbandonare a cuore leggero l’idea di costruire delle caserme, per mantenere alcuni reggimenti. E poi, se “si aiuta troppo” uno, vengono gli altri a chiedere pure assistenze. “Uomo, aiutati, che Dio ti aiuta”, dice il credo borghese. Ognuno per sè, nessuno per tutti. Quindi non passa anno, senza che non succedano parecchie volte più o meno grandi inondazioni nelle provincie, negli Stati per lo straripamento di fiumi, torrenti e rivi. Vaste zone di suolo ubertoso sono portate via dalla furia delle onde e coperte di sabbia, di pietre, di rovine. Intere piantagioni di alberi da frutto, che impiegarono decine di anni per crescere, sono sradicate e divelte. Case, ponti, strade, argini vengono corrosi dalle acque, le vie ferrate rovinate, il bestiame soffocato, molte vite umane sacrificate, i miglioramenti fatti alle terre e i prodotti distrutti e rovinati. Estesi tratti della campagna esposta più di frequente al pericolo d’innondazione, vengono coltivati assai poco per evitare danni maggiori.

D’altronde il pericolo dell’inondazione viene aumentato dalle modificazioni inadatte apportate nel corso dei fiumi e torrenti principali per interessi unilaterali nel “campo del commercio e del traffico”.

Cotesto pericolo è reso ancora più grave dal fatto che sulle montagne, e specialmente per opera dei privati, si abbattono i boschi. La distruzione insensata dei boschi, distruzione consigliata dallo scopo di trarre “profitto” è fatale per il clima, e si deve ad esso la diminuzione della produzione nelle provincie della Prussia e della Pomerania, nonchè nella Stiria, in Italia, in Francia, nella Spagna ecc.

Le frequenti inondazioni sono la conseguenza della distruzione dei boschi sulle montagne. Quelle del Reno, dell’Oder, della Vistola sono dovute principalmente alla devastazione dei boschi della Svizzera e rispettivamente della Gallizia e della Polonia. Col disboschimento delle Alpi Carniche, il clima di Trieste e di Venezia deve essere notevolmente peggiorato. Per gli stessi motivi devono averci perso in linea di fertilità Madera, vaste regioni della Spagna, ed estesi territori dell’Asia anteriore una volta così fertili ed ubertosi.

S’intende che la società nuova non può risolvere d’un tratto tutti questi gravi problemi; ma lo farà colla maggiore possibile prontezza e col concorso di tutte le forze, perchè suo unico compito è quello di risolvere i problemi della civiltà senza tollerare ostacoli e freni.

Questa società quindi creerà nel corso dei tempi opere e problemi da risolvere, ai quali la società presente non può volgere la mente senza che le vengano le vertigini al solo pensarci. Il godimento e l’amministrazione comune della terra si organizzeranno nella società nuova assai meglio, sia con le norme già designate, sia con altre simili.

Sennonché per altre vie si possono rialzare le rendite del suolo. Vi sono oggi molte miglia quadrate di terre coltivate a patate che vengono impiegate in quantità enormi per la fabbricazione dell’acquavite, che viene consumata quasi esclusivamente dai poveri. L’acquavite è il solo eccitante che faccia dimenticare le cure e le miserie della vita, e che essi possano procurarsi. Ora, siccome questo consumo d’acquavite non si farà più nella società nuova, così la produzione delle patate e dei cereali a tale scopo e quindi anche la terra e le forze lavoratrici saranno rivolte a produrre un nutrimento più sano. Abbiamo già esposto come la speculazione destini le nostre terre più ubertose alla coltura della barbabietola da zucchero. Il nostro esercito, la produzione, il traffico e i trasporti, l’agricoltura, ecc. richiedono l’uso di centinaia di migliaia di cavalli ed una superficie corrispondente per l’alimentazione, il pascolo e l’allevamento dei puledri. La trasformazione radicale delle condizioni sociali e politiche metteranno a disposizione una gran parte della superficie destinata a quegli usi; e saranno quindi destinati a soddisfare ad altri bisogni della civiltà.

Il regime della terra, dei boschi e delle acque è oggi oggetto di discussione di una letteratura scientifica assai copiosa; è tale materia questa che non può restare senza discussione: il regime forestale, l’irrigazione e i prosciugamenti, la coltura delle piante di alto fusto, dei legumi e delle piante tuberose, la coltura degli alberi da frutto e da fiori, da ornamento, la coltivazione delle piante alimentari per l’allevamento del bestiame, per le praterie, l’allevamento razionale degli animali, dei pesci e dei volatili, e la vendita dei loro prodotti, i concimi e gli ingrassi, lo spaccio e il consumo delle scorie nell’economia e nell’industria, l’analisi chimica delle terre e la sua applicazione per questa o quella coltura, macchine ed attrezzi, qualità delle sementi, abitazioni, condizioni climateriche ecc., tutto ciò rientra nel campo delle discussioni e delle ricerche scientifiche.

Non passa giorno senza che si facciano nuove scoperte e nuove esperienze, e senza che vengano segnalati miglioramenti e progressi in questo o in quel campo.

L’agronomia è diventata già dal tempo di von Liebig (*) una scienza, e anzi una delle scienze principali e più importanti, che raggiunse un grado d’importanza tale che non pochi rami dell’attività umana hanno raggiunto. Ma se noi mettiamo tutti questi progressi in riscontro con lo stato reale della nostra agricoltura, allora bisogna constatare che solo pochissimi proprietari furono in grado di profittarne in giusta misura, e fra questi non vi è certamente alcuno, il quale non abbia cercato di fare il suo interesse personale, senza riguardo al bene generale. La massima parte dei nostri campagnuoli e ortolani, si può anzi dire il 98% di essi, non è in grado di profittare di tutti i possibili vantaggi, e in quanto ne profittano gli altri dipende unicamente dalla loro volontà.

La nuova società trova pertanto in questo campo, un terreno assai meglio preparato, così teoricamente come praticamente, alla sua attività, sul quale essa non ha che da organizzare e da cominciare per ottenere risultati migliori di quelli ottenuti fin qua.

L’accentramento dell’industria una volta spinto al suo più alto grado, produrrà già per se stesso grandi vantaggi. Confini, strade per i pedoni e per i carri, fra tutte le proprietà suddivise, apriranno nuovi campi di azione e di lavoro: l’applicazione delle macchine è vantaggiosa soltanto su grandi superfici; le grandi macchine per la lavorazione del suolo, e gli aiuti che porgono la chimica e la fisica, trasformeranno in fruttifere le terre oggi sterili; e di tali campagne desolate ve ne sono ancora dappertutto.

La concimazione dei campi applicata scientificamente e aiutata da riforme radicali, la irrigazione e i prosciugamenti faranno aumentare rilevantemente la capacità produttiva di ogni paese; e la scelta accurata delle sementi e la difesa contro le male erbe – un campo questo ove si commettono oggi molti errori – faranno aumentare ancora più le rendite.

Le semine, le piantagioni e fruttificazioni hanno luogo naturalmente allo scopo di ottenere la più gran copia di prodotti contenenti principi nutritivi. La coltura delle piante da frutta, l’orticoltura e il giardinaggio avrà uno sviluppo mai fino ad ora raggiunto, e moltiplicherà considerevolmente la rendita. Quanti errori e quante colpe si commettono impunemente da noi in ordine alla coltura della frutta, basta a provarlo un semplice sguardo ai nostri alberi fruttiferi i quali si distinguono per l’assoluta mancanza delle cure necessarie. Ciò vale anche per la coltura delle piante da frutto nei paesi più rinomati per questa cultura, per es. il Württemberg. L’accentramento delle stalle, dei magazzini per le provigioni, delle concimaie, degli stabilimenti per i foraggi, nelle quali istituzioni si son fatti già i più grandi progressi, ma che solo una minima parte dei coltivatori può applicare per trarne profitto, aumenteranno di molto, se generalizzati, la rendita dell’allevamento del bestiame, e renderanno facile il procacciarsi un materiale tanto importante per la concimazione. Ci saranno macchine ed attrezzi della più alta perfezione e dei quali [la gran parte] dei coltivatori moderni non si servono. La produzione e l’uso dei prodotti animali, come il latte, le uova, la carne, il miele, i peli, la lana, verranno disciplinati scientificamente. Quali miglioramenti e vantaggi si siano tratti dall’impiego del latte da alcune grandi società è risaputo da tutti, e si fanno tutti i giorni nuove invenzioni e miglioramenti nuovi. Vi sono però cento altri rami dell’industria rurale, ove si possono raggiungere gli stessi ed anche più grandi vantaggi.

Nella lavorazione dei campi e nella raccolta si impiegheranno grandi masse di lavoratori, traendo abilmente profitto dalla temperatura, così come non è ovunque possibile oggidì. Grandi asciugatoi ecc. renderanno possibile la raccolta anche nelle condizioni climateriche più sfavorevoli e risparmieranno quindi le perdite oggi così frequenti.

Quali progressi nella coltura delle piante, degli alberi da frutta e dei fiori renda possibile l’impiego del calore artificiale e dell’umidità nei larghi loggiati protetti dalle intemperie, è dimostrato dai nostri giardinieri. I negozi di fiori delle nostre grandi città mettono in mostra nel più rigido inverno una flora che gareggia con quella dell’estate. La “vigna” artificiale del direttore dei giardinieri signor Haupt a Brieg nella Slesia, porge un esempio dei grandi progressi fatti nel campo della coltura artificiale che facciamo, per eccezione, seguire qui appresso una lunga descrizione trascrivendola dal “Vossische Zeitung” del 27 settembre 1890.

Ecco cosa vi si legge:

“Sopra una superficie quasi quadrata di 500 metri quadrati, cioè 1/5 di jugero, è costruita la casa di vetro alta da 4 a 5 metri, le cui mura sono orientate esattamente verso nord, sud, est, ovest. Nella direzione da sud a nord si inalzano 12 file di doppie spalliere, lontane m. 18 l’una dall’altra, le quali servono nel tempo stesso di sostegno al tetto a superficie piatta.

“In un’aiuola di terra, profonda m. 1,25, sopra un rialzo dello spessore di 25 centimetri, entro il quale si stende una rete di canali provvisti di altri canali verticali per la ventilazione del suolo, aiuola ‘il cui letto è reso soffice, permeabile e fertile mediante la calce e le muriccie, la sabbia, il concime, le ceneri d’ossa e i sali di soda’, il signor Haupt piantò a quella spalliera 360 magliuoli della vite che danno i migliori vini del Reno, e cioè il Riessling, il Trainer bianco e rosso, il Moscatello e il Borgogna bianco e turchino.

“La ventilazione si ottiene, oltreché per mezzo di molti fori nelle pareti laterali, mediante grandi coperchi lunghi venti metri nel tetto, i quali possono venire chiusi ed aperti da un apparecchio di ferro a leva, munito di perno a vite e di un manubrio, e collocato in qualunque luogo; 26 inaffiatoi, lunghi 1 metro e 25 centimetri, danno acqua alle viti, i quali inaffiatoi sono alimentati da un acquedotto, da cui si staccano dei tubi di gomma del diametro di 2 centimetri. Però il signor Haupt introdusse un altro sistema veramente ingegnoso e geniale per dare presto e bene acqua alla sua “vigna”, e cioè: un generatore artificiale della pioggia. In alto, sotto il tetto, ci sono quattro lunghi canali di rame i quali, alla distanza di un mezzo metro, sono forati sottilmente. I sottili getti d’acqua salendo in su attraverso queste aperture incontrano dei piccoli vagli rotondi di velo, e, passando attraverso di essi, vengono polverizzati: ci voglion sempre parecchie ore per spruzzare convenientemente mediante i tubi di gomma, mentre basta aprire un grilletto per spruzzare dall’alto per tutto l’ampio edificio una pioggia rinfrescante e minuta sui pampini, sul terreno, e sui sentieri. L’aumento della temperatura operato senza riscaldamento artificiale dalle qualità naturali dell’edificio, si fa salire fino a 8 a 10 gradi R. su quelli dell’aria esterna. Per difendere, occorrendo, le viti dalle insidie dei nemici, i pidocchi della vite, basta chiudere i canali e aprire tutti  i grilletti dell’acquedotto. E’ noto che questo nemico non resiste all’azione dell’acqua. Il coperto di vetro e le pareti proteggono la vigna artificiale contro i temporali, il freddo, il gelo e le piogge; contro la grandine, le reti di filo metallico; contro la siccità, l’inaffiamento artificiale. Il proprietario di tale “vigna” è il meteorologo di se stesso, il quale può ridersela dei pericoli, dei capricci dello “scetticismo” e delle crudeltà della natura, che minacciano di distruggere i frutti delle fatiche e dei sudori del viticoltore. Ciò che il signor Haupt si attendeva è successo. I magliuoli prosperano in un clima uniformemente caldo. I grappoli giunsero a maturità e produssero già nell’autunno del 1885 un mosto il quale, per il contenuto zuccherino e per il piccolo grado d’acidità, non la cede per nulla ai mosti più prelibati dei vini del Reno. E non meno ottimamente riuscirono le uve nel 1886 e nell’annata del 1887 pure tanto sfavorevole. In questa superficie si potranno fare circa 20 ettolitri di vino ogni anno, quando le viti avranno raggiunto la loro completa altezza di 5 metri, e ogni bottiglia di vino fino non costerà più di 40 pfenning.

“Nessuna circostanza potrebbe sopravvenire, per quanto è prevedibile, la quale impedisca che da una industria, così perfettamente organizzata, si possano ritrarre rendite altrettanto remuneratrici, anche in una più vasta coltura.

“Non v’è dubbio che si possono costruire edifici di vetro, simili a quello che si descrive, provvisti dello stesso sistema di ventilazione, di irrigazione e di inaffiamento, anche sopra una superficie più vasta di quella che ha formato oggetto di questo esperimento.

“Anche in questi nuovi stabilimenti, la vegetazione comincerà alcune settimane prima della vegetazione all’aria aperta, e le viti saranno difese durante la fioritura dai geli, dalle piogge e dal freddo, durante il periodo dello sviluppo dei grappoli dalla siccità, dagli uccelli e da altri nemici delle uve, nonchè dalla umidità nel periodo della maturazione, ed infine dai pidocchi delle viti per tutto l’anno, e i grappoli resteranno appesi ai tralci fino a novembre e dicembre. Nella relazione fatta alla società per promuovere la coltura degli orti, dalla quale attinsi alcuni dati tecnici per la presente descrizione, l’inventore e il fondatore della vigna espresse nelle conclusioni queste seducenti speranze per l’avvenire: Ora essendo possibile questa coltura della vite in tutta la Germania, ed anche nelle terre sterili, sabbiose e sassose (per esempio su quelle pessime della Marca) possono essere dissodate ed irrigate, così è manifesto il grande interesse che per la coltura del paese presenta la ‘coltura della vite sotto il vetro’. Io designerei questa coltura col nome “Viticoltura dell’avvenire”.

“Allo stesso modo che il signor Haupt ha dato la dimostrazione pratica che, camminando su questa via, si possono ritrarre dalla vite delle uve bellissime e sane, egli ha dimostrato anche qual vino eccellente e gradito e quale liquido fino, codeste uve possono dare, mercé una conveniente applicazione del torchio.

“Dei bevitori e dei conoscitori più competenti e più esperti di me, hanno tributato dopo un esame rigorosissimo un elogio entusiastico al Riessling del 1888, al Traminer del 1889, al Moscatello ed al Borgogna del 1888 torchiati dalle uve di questa vigna, ed io profano, durante la mia visita a Brieg, ho trovato motivo ed occasione di associarmi pienamente a questo elogio.

“Inoltre può aggiungersi che la vigna lascia ancora spazio sufficiente per praticarvi contemporaneamente altre colture secondarie e intermedie, non meno remuneratrici.

“Così il signor Hupt pianta sempre fra due orti un rosaio, che presenta la più bella fioritura in aprile e maggio, e alle pareti orientali e occidentali dei peschi a spalliera, la cui pomposa fioritura in aprile deve dare all’interno di codesto palazzo di vetro un aspetto dei più vaghi e leggiadri.

“Possa codesto quadro seducente dell’avvenire, sbozzato dal padrone e dal fondatore di questa vigna, tradursi in realtà in un tempo non troppo lontano, e possa così il vino generoso diventare effettivamente la ‘bibita nazionale dei tedeschi’ accessibile a tutti!

“Nulla si oppone seriamente che in avvenire si beva dappertutto in patria, sia o no propizia la stagione, l’umor della vite, ottimo sempre ed egualmente generoso, e dove non era che un’arida landa, ora si goda la sorgente della gioia”.

L’entusiasmo col quale il relatore descrive in uno dei giornali più seri codesta “vigna” artificiale, prova la profonda impressione in lui prodotta dall’opera dell’Haupt. Nulla vieta però che stabilimenti simili ed eguali vengano istituiti, soltanto in proporzioni maggiori, per le colture più svariate, in modo che noi possiamo procurarci il lusso di un doppio raccolto per molti prodotti del suolo.

Tutte codeste intraprese sono oggidì sopratutto questione di “reddito” e i loro prodotti non sono accessibili che ai privilegiati della società, i quali possono pagarli, mentre una società a base socialistica non conosce altra questione eccetto quella delle forze lavoratrici; quando queste ci sono, l’opera si compie a vantaggio di tutti.

L’aumento della rendita fondiaria e la conservazione del suolo in condizioni di produttività, dipende principalmente da un buon concime, ed è perciò che il produrlo e il conservarlo pare uno dei compiti più importanti anche per la società nuova (115).

Il concime è per la terra precisamente quello che è per l’uomo il nutrimento, ed anzi è tanto poco vero che ogni concime ha per la terra la stessa importanza, quanto è poco vero che ogni alimento è per l’uomo egualmente nutriente. Bisogna dare al suolo quegli stessi componenti chimici, che ha perduto per effetto della raccolta, e bisogna poi dargli preferibilmente tali componenti chimici in quantità maggiore, quali sono richiesti nella coltura di una determinata specie di piante. Perciò lo studio della chimica e le sue applicazioni pratiche raggiungeranno una estensione fino ad oggi sconosciuta.

Ora i rifiuti animali ed umani contengono in prevalenza quei componenti chimici che sono adattatissimi alla riproduzione dell’alimentazione umana. Si deve dunque cercare di trarne il massimo profitto possibile e di ripartirli convenientemente. E in ciò si commettono oggi innumerevoli errori. Sono le città specialmente e i centri industriali, che ricevono enormi quantità di generi alimentari, quelli i quali non danno alla terra che in minima parte i preziosi rifiuti e le materie di scarto (116).

Ne segue, che tutti i fondi lontani dalle città e dai centri industriali, che vi conducono ogni anno la massima parte dei loro prodotti, sentono vivamente la mancanza di materie d’ingrasso – poiché queste materie di contenuto umano e animale esistente nei fondi non bastano, consumando tale contenuto solo una piccola parte del raccolto – e quindi subentra un sistema di esaurimento che svigorisce il terreno, diminuisce la rendita, e fa aumentare i prezzi delle materie alimentari.

Tutti i paesi che esportano principalmente prodotti del suolo, ma non ricevono di ritorno materie d’ingrasso, a poco a poco si esauriscono necessariamente, come l’Ungheria, la Russia, i Principati Danubiani, l’America, ecc. E’ bensì vero che i concimi artificiali, e specialmente il guano, rimpiazzano il concime animale e umano, ma molti agricoltori non possono procurarselo in quantità sufficiente, perchè è troppo caro e, in ogni caso, sarebbe fare le cose a rovescio trasportare il concime da lontano, mentre si lascia andare a male quello che è vicino. Secondo l’Heiden un uomo sano e adulto abbandona ogni anno kg. 48,8 di escrementi solidi, e 438 kg. di escrementi liquidi. Questa materia rappresenta oggi, ammesso che possa impiegarsi senza le perdite dipendenti dalla evaporazione ecc., un valore di marchi 11,8. Ammettendo che la popolazione della Germania sia di 48 milioni, e calcolando in media un valore degli escrementi di un uomo in 8 marchi, si ha un totale di 348 milioni di marchi, che vanno in gran parte perduti per gli agricoltori, data la mancanza di regolamenti e la ignoranza assoluta del valore di questa materia.

Oggidì la difficoltà grave di trarne tutto il profitto possibile, consiste nell’aprire adatti e vasti stabilimenti collettivi, e nell’elevatezza delle spese di trasporto. Oggi, per trasportare dalle città delle materie di ingrasso, si spende di più che per trasportare il guano dai luoghi d’oltre mare produttori di concime; i quali luoghi vanno esaurendosi naturalmente nella misura stessa che aumenta la domanda.

Le somme che si devono spendere oggi per il concime sono enormi. La Germania spende ogni anno dagli 80 ai cento milioni di marchi, mentre si spreca certo nel paese quattro volte più (117).

Si rifletta che ogni uomo spreca annualmente in materie di ingrasso poco meno di quello che è necessario per concimare un campo sul quale possono essere coltivati i mezzi di nutrimento sufficienti per un uomo: ciò posto, è evidente che la perdita è enorme. Una gran parte degli escrementi delle città s’immette nei fiumi e nei torrenti, che perciò ne restano inquinati ed appestati. Ivi finiscono anche i rifiuti delle cucine, dei negozi e delle industrie; pur potendosi impiegare allo stesso scopo vengono spesso sciupati a cuor leggero.

La società nuova troverà anche in questo campo i mezzi atti a raggiungere l’importante scopo. Ciò che si fa oggidì, non è che un palliativo del tutto insufficiente. Valgano d’esempio, le canalizzazioni dispendiose della capitale Germanica, sul cui valore è molto divisa l’opinione dei competenti. La società nuova risolverà più facilmente questo problema, alla fine col sopprimere a poco a poco le grandi città, col decentramento della popolazione.

Nessuno considererà la formazione delle nostre grandi città come un prodotto sano. Il presente sistema industriale ed economico trae perennemente, verso le città più popolose, grandi masse di popolazione (118).

Là è la sede principale delle industrie e del commercio; ivi mettono capo tutte le vie di comunicazione e i mezzi di trasporto; ivi hanno residenza i grandi signori, le autorità centrali, i comandi militari, i tribunali. Là i grandi istituti educativi, le accademie di belle arti, i luoghi di cultura, di passatempo, di divertimenti, le adunanze, le esposizioni, i musei, i teatri, le sale da concerto ecc. Molti vi sono chiamati per ragione di impiego, molti altri dalle attrative dei piaceri, ma più ancora dalla speranza di guadagnarsi i mezzi di vivere agiatamente.

La formazione di queste grandi città fa, per dirla simbolicamente, l’impressione di un uomo il volume del cui ventre continuò a crescere, mentre le gambe diventano sempre più magre, finchè non possono più sopportarne il peso.

I paesi che fanno corona alle città assumono pure carattere di città, ed è là dove si agglomera il proletariato. I comuni poveri, senza risorse, devono appigliarsi alle imposte come ad estremo rimedio, ma senza risultati apprezzabili, perché, anche con le imposte, molti bisogni rimangono insoddisfatti; finché, avvicinatisi essi alla capitale e questa ad essi, ci cascano dentro come casca dentro al sole un pianeta che gli si è troppo avvicinato, senza che ciò giovi a migliorare le loro condizioni di esistenza.

Queste condizioni si fanno anzi peggiori in conseguenza dell’eccessivo agglomeramento di molta gente nelle abitazioni.

Questo agglomeramento che la nostra civiltà rese necessario e che concorse in qualche modo a formare delle città altrettanti centri di rivoluzione, nella società nuova non ha più ragione di essere. Esso cesserà a poco a poco, allorché la popolazione passerà dalle grandi città alle campagne a fondarvi nuovi comuni che rispondano alle condizioni moderne e ad esercitare insieme con l’agricoltura l’attività industriale.

 Non appena la popolazione della città potrà, mercé la trasformazione dei mezzi di trasporto e dei sistemi di produzione ecc., trasferire in campagna tutto il patrimonio della sua cultura, e vi troverà i suoi musei, i suoi teatri, le sale di concerto, quelli di lettura, le biblioteche, i circoli, gli istituti di educazione ecc.; allora senza dubbio comincerà tosto ad esulare. La vita avrà tutti i vantaggi e le agiatezze delle grandi città, senza averne i danni. La popolazione abiterà case più sane e più belle. La popolazione agricola prenderà parte alle industrie, la popolazione industriale prenderà parte all’agricoltura e all’orticoltura; mutamento di occupazioni di cui pochi soltanto possono permettersi il lusso, ed anche in tal caso, solamente sotto condizioni di un lavoro eccessivamente lungo e faticoso.

Qui pure, come dappertutto, il mondo borghese prepara il terreno alla vagheggiata trasformazione, perché la erezione di stabilimenti industriali nelle campagne si fa d’anno in anno sempre più frequente.

Le sfavorevoli condizioni di esistenza delle grandi città, il fitto caro, i salari più alti, costringono a ciò molti imprenditori, e, d’altro lato, molti grandi possidenti si vanno facendo industriali (fabbricanti di zucchero, di birra, di carta, distillatori di alcool ecc.). Nella società nuova, anche il concime e le immondizie verranno facilmente restituite all’agricoltura, massime con l’accentramento della produzione e degli stabilimenti destinati ad allestire le materie alimentari. Ogni comune forma intorno a sè una specie di zona di coltura, ove esso si coltiva una gran parte di ciò che è necessario a soddisfare i suoi bisogni. La orticoltura e il giardinaggio, la più gradita di quasi tutte le occupazioni pratiche, raggiungerà il suo più alto sviluppo. La coltivazione dei legumi, della frutta, dei fiori, delle piante da ornamento porgono un campo inesauribile all’attività umana, ed è lavoro questo eminentemente minuzioso, che esclude l’applicazione delle grandi macchine.

Il decentramento della popolazione farà cessare l’antagonismo da lungo tempo esistente fra la popolazione della campagna e quella delle città.

Il contadino, questo ilota moderno, che, nella solitudine della campagna, per così dire tagliato fuori dal mondo, non partecipava al progresso della civiltà, ora è un uomo libero poiché egli diventa un uomo civile nel più alto grado (119).

Il desiderio una volta manifestato dal principe di Bismarck, di vedere soppresse le grandi città, viene appagato, ma in un senso molto diverso, da quello da lui vagheggiato (120).

 

*   *   *

 

Se noi poniamo mente a ciò che abbiamo esposto fin qua, troviamo che, abolendo la proprietà privata degli strumenti di lavoro e di produzione e trasformandoli in proprietà sociale, scompaiono a poco a poco tutti i mali e gli inconvenienti che la società moderna ci presenta.

Quando la società applica tutta la sua attività in modo conforme al sistema vagheggiato, e la guida e controlla, cessa da sè l’attività perturbatrice e dannosa dei singoli o di classi intere. Come dallo sfruttamento dell’uomo contro l’uomo, mediante il sistema del salario, così ogni campo, è sottratto all’inganno e alla frode, alla adulterazione dei generi alimentari ed alla caccia alla borsa. L’atrio del tempio di Mammona resterà vuoto, perchè i biglietti di Stato, le azioni, le lettere di pegno, i certificati ipotecari ecc. sono diventati cartaccia (*). La frase di Schiller (**): “Il registro dei debiti sia distrutto, e pacificato il mondo”, è divenuto realtà, e la frase biblica: “Tu devi guadagnare il pane col sudore della fronte” vale ormai anche per gli eroi della borsa, e i fuchi del capitalismo.

Frattanto il lavoro che essi devono prestare come membri della società aventi eguali diritti, non li opprimerà e la salute del corpo ci guadagnerà.

Non avranno più la preoccupazione per ciò che possedono, quella preoccupazione che, secondo le patetiche assicurazioni dei nostri industriali e capitalisti, è più molesta e intollerabile, della incertezza del meschino salario dell’operaio.

La febbre della speculazione che è causa di tanti dolori e di tante rovine, e, quasi sempre, di inquietudine nervose per i nostri sensali di borsa, saranno risparmiate. L’assenza di pensieri per sè e per i posteri sarà ora il loro destino, e se ne troveranno benissimo.

Abolita la proprietà privata e tolti gli antagonismi di classe, cade a poco a poco anche lo Stato; la sua organizzazione sparirà senza che ce accorgiamo.

“Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la società, la sua sintesi in un corpo visibile, ma lo era, in quanto  era lo Stato di quella classe che per il suo tempo rappresentava, essa stessa, tutta quanta la società. (...). Ma, diventando alla fine effettivamente il rappresentante di tutta la società, si rende, esso stesso, superfluo.

“Non appena non ci sono più classi sociali da mantenere nell'oppressione, non appena con l'eliminazione del dominio di classe e della lotta per l'esistenza individuale fondata sull'anarchia della produzione sinora esistente,saranno eliminati anche le collisioni e gli eccessi che sorgono da tutto ciò, non ci sarà da reprimere più niente di ciò che rendeva necessario una forza repressiva particllare, uno stato.

“Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, è ad un tempo l'ultimo suo atto indipendente in quanto Stato. (...)

“Al posto del governo sulle persone appare l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi” (121).

Insieme allo Stato spariscono anche i suoi rappresentanti: ministri, parlamenti, eserciti permanenti, polizia e gendarmi, tribunali, avvocati e procuratori del Re, impiegati carcerari, amministrazione delle gabelle e dei dazi, insomma tutto il meccanismo politico, caserme ed altri edifici militari, palazzi per la giustizia e per l’amministrazione, carceri, ecc., aspettano ora una destinazione migliore. Migliaia di leggi, di ordinanze sono diventati carta straccia, senza altro valore che per la storia. Le grandi e piccole battaglie parlamentari, nelle quali gli oratori si figurano di dominare e governare il mondo coi loro discorsi, sono sparite, facendo posto ai collegi amministrativi e alle delegazioni amministrative, le quali attenderanno a migliorare i sistemi di produzione, a distribuire e procacciare le provvigioni necessarie, a introdurre le novità ed applicarle convenientemente all’arte, all’istruzione, al commercio, ai processi produttivi ecc.

Tutte queste son cose pratiche, visibili e palpabili, che ognuno guarda obbiettivamente, perchè ogni interesse personale per lui manca.

Il singolo non ha un interesse che non sia interesse della generalità, il quale consiste in ciò, che tutto venga disposto e regolato nel modo migliore, più opportuno e più vantaggioso per tutti.

Le migliaia dei vecchi rappresentanti dello Stato si daranno a professioni più differenti; concorrendo con la loro intelligenza e colle loro forze fisiche e morali a moltiplicare la ricchezza sociale e gli agi della vita. Non ci saranno in avvenire né crimini, né delitti politici, e nemmeno reati comuni. I ladri spariranno, collo sparire della proprietà privata, e ognuno potrà, con un onesto lavoro, appagare, come tutti gli altri, facilmente e comodamente i propri bisogni. Non ci saranno più “disoccupati e vagabondi”, prodotto di una società che riposa sulla proprietà privata; caduta questa, anche essi cesseranno. Omicidi perché se ne dovrebbero commettere? Nessuno può arricchire a spese di un altro, e l’omicidio per odio o vendetta dipende sempre più o meno direttamente dalle presenti condizioni sociali.

Spergiuri, falsificazione di documenti, frodi, ricatti, bancarotta fraudolenta? Manca la proprietà privata, contro la quale e per la quale questi reati possono venire commessi. Incendi? Chi dovrà procurarsi questa soddisfazione dal momento che la società gli toglie ogni motivo di rancore e di odio? Falsa moneta! “Ahimè, il danaro è solo chimera”, e sarebbe inutile affaticarsi per possederlo. Oltraggi alla religione? Un assurdo, perchè si lascerà al “Dio onnipotente e infinitamente buono” la cura di punire chi lo offende, supposto che si disputi ancora sulla esistenza di Dio. Adunque tutti i principi fondamentali dell’ “ordinamento” presente diventeranno un mito. I genitori ne parleranno ai figli, soltanto come si parla dei tempi antichi, e i fanciulli scuoteranno il capo, nè potranno comprendere tutto ciò. I racconti delle persecuzioni di cui sono fatti bersaglio gli uomini delle idee nuove, faranno loro quella stessa impressione che noi riceviamo dall’apprendere che le streghe e gli eretici venivano fatti bruciare.

Saranno dimenticati tutti i nomi dei “grandi uomini” che allora si distinsero per aver perseguitate le idee nuove e che ebbero le approvazioni dei loro ciechi contemporanei. Noi non vogliamo oggi dire quali saranno le riflessioni che lo storico dell’avvenire farà sul presente, perché non siamo ancora nell’età felice in cui l’umanità potrà, alfine, respirare liberamente. Come dello Stato, così avverrà della religione. Non verrà “abolita”; “Dio non verrà destituito”; “non si strapperà la religione dal cuore della popolazione”, come suonano le frasi onde si accusano oggi i socialisti-democratici che hanno principi ateistici.

Questi tiri, noi socialisti-democratici li lasciamo agli ideologi borghesi, i quali li misero alla prova nella rivoluzione francese, ma senza risultati, perchè naturalmente fallirono. Senza violenze e senza oppressioni di qualunque natura esse siano, la religione sparirà da sé a poco a poco.

La religione non è che il riflesso trascendentale delle condizioni sociali. Nella misura in cui l’umanità progredisce, la società si trasforma, e con essa anche la religione.

Le classi dominanti cercano di conservarla come strumento del loro potere, e ciò si esprime col noto adagio: “Bisogna conservare la religione per il popolo”. La religione diventa una importante funzione ufficiale in una società che riposa sulla divisione di classe. Si forma una casta, che esercita questa funzione e rivolge tutta la sua acutezza a conservare e ampliare l’edificio, perchè in tal modo cresce anche la potenza e l’autorità sua.

Il feticismo dei gradi più bassi della civiltà, e dei primi nuclei sociali, diventa la religione del politeismo in un’epoca più progredita, e del monoteismo in uno stadio di civiltà ancora più avanzato. Non sono gli Dei che creano gli uomini, ma sono gli uomini che si fanno i loro Dei, il loro Dio. “Lo creò a immagine e somiglianza sua” (cioè dell’uomo) deve dirsi, e non viceversa. Ma già il monoteismo si è risolto in un panteismo universale. Le scienze naturali fecero della “creazione” un mito, l’astronomia, la matematica e la fisica fecero del “Cielo” una rappresentazione dell’aria, dei “piccoli astri” della volta celeste ove risiedono gli “angioletti” altrettante stelle fisse e altrettanti pianeti, la cui natura esclude ogni vita angelica.

La classe dominante che vede minacciata la sua esistenza, si tiene stretta alla religione che rappresenta il sostegno di ogni autorità, e per tale ritenuta finora da tutte le classi dominanti (122).

Anche la borghesia non è credente, perché il suo stesso sviluppo e la scienza moderna uscita dal suo seno distrussero la fede nella religione e nella autorità. La sua fede non è dunque che apparente, e la Chiesa accetta l’aiuto della falsa amica, perchéessa stessa ha bisogno del suo aiuto. “La religione è necessaria per il popolo”.

Per la società nuova riguardi non ce ne sono più. Il progresso umano e la scienza sono la sua bandiera, alla quale essa resterà fedele. Se vi sarà ancora alcuno che abbia bisogno di religione, lo appagherà da se stesso. La società non se ne incarica. Per vivere, il prete deve lavorare nella società, e poiché anche il prete impara, verrà anche per lui il tempo in cui comprenderà che il più che si debba essere è di essere un uomo.

Costumatezza e morale han nulla a che fare colla religione; i bachettoni e i sempliciotti attestano il contrario. Morale e costumatezza servono ad esprimere i principi che regolano i rapporti e le azioni degli uomini fra loro, mentre la religione disciplina i rapporti degli uomini con l’ente soprasensibile. Ma come la religione, così anche il concetto della morale dipende dalle condizioni sociali degli uomini. Il cannibale considera sommamente morale il cannibalismo, i Greci e i Romani consideravano morale la schiavitù; i signori feudali del medio evo consideravano morale la schiavitù e il vassallaggio; altamente morale è considerato il sistema del lavoro salariato dei capitalisti moderni, lo esaurire le donne col lavoro notturno, e la demoralizzazione dei fanciulli mediante il lavoro nelle fabbriche.

A quattro stadi di civiltà corrispondono quattro diversi concetti della morale, uno più elevato dell’altro, ma nessuno il più elevato. Lo Stato moralmente più elevato è indubbiamente quello in cui gli uomini sono uno di fronte all’altro in condizioni di libertà e di eguaglianza, in cui l’alto principio morale: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso” regola tutti i rapporti umani. Nel medio evo valeva l’albero genealogico dell’uomo, oggi quello che conta è che cosa possiede, nell’avvenire conterrà l’uomo come uomo. E l’avvenire, è il socialismo in azione.

 

*   *   *

 

Il defunto dott. Lasker tenne nel 1870 a Berlino una conferenza, nella quale conchiuse: essere possibile uno stesso livello di cultura per tutti i membri della società.

Ma il dott. Lasker era antisocialista, un rigido fautore della proprietà privata, e del sistema della produzione capitalistica; mentre oggi la questione della cultura è eminentemente quistione di denaro. Quindi, in tali condizioni, è impossibile portare ad uno stesso livello la cultura generale. Singoli individui dotati di energia, i quali si trovano in una posizione relativamente favorevole, possono procacciarsi, superando gravi difficoltà e impiegando molta energia, che pochi hanno, una cultura più elevata, ma non altrettanto possono le masse, finchè sono oppresse e soggette (123).

Nella società nuova le condizioni di esistenza sono eguali per tutti. Bisogni e inclinazioni sono vari e differenti, e rimarranno tali perchè codesta varietà trova la sua parte nella natura umana, ma ognuno deve vivere e svilupparsi in relazione alle condizioni di esistenza eguali per tutti.

La uniformità della uguaglianza, che si attribuisce al socialismo, è una menzogna e un assurdo. Anche volendola, essa sarebbe irrazionale, sarebbe in contraddizione colla natura umana, e si dovrebbe rinunziare a vedere la società svilupparsi secondo i suoi principi. Se anche le riuscisse a sorprendere la società e a costringerla a subire condizioni contrarie a natura, in poco tempo queste condizioni, le quali non potrebbero essere che catene, verrebbero spezzate, ed essa sarebbe giudicata per sempre. La società si sviluppa da sé per virtù di leggi immanenti, e questa società agirà, non appena abbia conosciuto le leggi del proprio sviluppo e di quello dell’umanità (124).

Uno dei compiti precipui della società nuova sarà quello di educare convenientemente la sua discendenza. Ogni fanciullo, sia maschio o femmina, è il benvenuto per la società, perchè in lui essa scorge la possibilità della continuità sua e del suo sviluppo; e quindi sente anche il dovere di provvedere con tutte le sue forze al nuovo essere. Oggetto delle sue prime cure deve essere quindi la madre. Abitazioni comode, piacevoli vicinanze, istituti d’ogni specie, quali si addicono allo studio della maternità, cura attenta per essa e il bambino; ecco la condizione prima. S’intende da sé che bisogna che il bambino venga allattato dalla madre quanto è possibile e necessario. Moleschott, Sonderegger, tutti gli igienisti ed i medici sono d’accordo nell’affermare che nulla vale a sostituire il nutrimento materno (125).

Fatti più grandi, li aspettano i coetanei ai comuni giuochi, e sotto una comune vigilanza. Eccoci ancora davanti al quesito di ciò che può farsi, secondo il grado delle umane nozioni e della intelligenza, per lo sviluppo fisico e intellettuale. Insieme colle sale per i giuochi, abbiamo i giardini d’infanzia; poi l’insegnamento dei primi elementi della scienza e dell’attività umana, fatto per mezzo del giuoco. C’è il lavoro intellettuale e fisico, collegato col nuoto, cogli esercizi ginnastici e nel campo dei giuochi e col patinaggio. Passeggiate, lotte agli anelli, ed esercizi per entrambi i sessi si alternano e si completano. Deve formarsi una razza sana, avvezza alle fatiche, e formalmente sviluppata così di corpo, come di spirito. Poi di mano in mano terrà dietro la preparazione alle diverse forme di operosità pratica, o siano le fabbriche, l’orticoltura, l’agricoltura, o, in generale, la tecnica dei processi produttivi. Né verrà trascurata la educazione nelle varie branche della scienza.

Nei sistemi educativi si preferirà quel processo di miglioramento e di semplificazione che si segue nei processi di produzione, e si determinerà in tal modo la caduta di quei metodi e di quelle materie d’insegnamento antiquati, inutili, ed anzi dannosi allo sviluppo fisico e intellettuale, che oggi si seguono e si insegnano. La conoscenza dei fenomeni naturali, spiegati naturalmente, accenderanno negli animi il desiderio d’imparare più di quello che possa accenderlo un sistema di educazione nel quale una materia di insegnamento fa i pugni con l’altra, con cui per esempio da un lato s’insegna religione in senso ortodosso, dall’altro s’insegnano le scienze naturali e la storia naturale. Si fonderanno scuole, istituti, e si applicheranno tutti i mezzi e gli strumenti di educazione rispondenti all’alto grado di cultura della società. Tutti i mezzi e gli strumenti di educazione, di insegnamento, vesti, mantenimento, forniti dalla società non verranno usufruiti dall’uno a danno dell’altro (126).

Ecco un capitolo che fa andare su tutte le furie i nostri borghesi “uomini dell’ordine” (127). Voi, ci si oppone, volete fare della scuola una caserma e togliere ai genitori ogni influenza sui loro figliuoli. Ma queste accuse sono infondate. Infatti, siccome i genitori nella società dell’avvenire avranno a loro disposizione molto più tempo di quello che hanno oggi nel maggior numero dei casi, basti rammentare la durata del lavoro che è dalle 10 alle 15 ore al giorno per gli operai, per gli impiegati delle poste, delle ferrovie, delle carceri e della polizia, e basti rammentare la giornata di lavoro degli industriali, dei piccoli agricoltori, dei commercianti, dei militari ecc., essi potranno, volendo, dedicarsi alla educazione dei loro figli così come è impossibile oggidì. Inoltre, i sistemi educativi sono completamente nelle mani dei genitori, perchè sono essi che dettano le norme e le istruzioni che devono essere introdotte. Noi allora viviamo in una società amministrata affatto democraticamente.

D’altra parte è certo che i ragazzi si trovano meglio fra loro eguali, e imparano di più e giocano più volentieri con essi educandosi reciprocramente. La influenza dei fanciulli più grandi e più vecchi su quelli più giovani e più piccoli è molto maggiore di quelle che esercitano i genitori sui figli, come è chiaramente dimostrato dal Fourier (128). I nostri avversari parlano come se i genitori provassero piacere ad avere i figlioli tutto il giorno in casa per educarli, mentre la realtà è assai diversa. Quante difficoltà e quanta fatica costi la educazione ed il mantenimento di un figlio in una famiglia che non abbia che un figlio solo, possono dirlo tutti quei genitori che si trovano in questa condizione. Parecchi figli rendono l’educazione più facile, ma in pari tempo è tanta la fatica e il lavoro, che il padre, e specialmente la madre, che ne sente più di tutti il peso, sono ben lieti quando s’aprono le scuole e i figlioli rimangono fuori di casa per una buona parte del giorno. Si aggiunga che la maggior parte dei genitori non possono educare i loro figlioli che in un modo limitato e imperfetto. Alla maggioranza dei padri e delle madri manca quasi il tempo di attendere alla educazione, i padri a motivo dei loro affari, le madri per le faccende domestiche, senza contare che ci sono anche dei doveri sociali da soddisfare. Che se pur avessero tempo sufficiente per dedicarsi alla educazione dei figli ne mancherebbe loro, in moltissimi casi, la capacità. Quanti genitori sono in condizione, anche se ne avessero tutto l’agio, di tener dietro all’andamento della educazione dei loro figli nella scuola e aiutarli a fare a casa i compiti assegnati dal maestro? Pochissimi. La madre che lo potrebbe fare più di tutti nel maggior numero dei casi, manca della capacità relativa, non essendo stata sufficientemente educata. Inoltre i metodi insieme alle materie d’insegnamento cambiano con tanta frequenza che queste materie e questi metodi divengono estranei e ignoti ai genitori.

Inoltre la casa è organizzata in modo così difettoso e manchevole, che la grande maggioranza dei fanciulli non vi trovano né la comodità, né l’ordine, né la quiete necessaria per fare i loro compiti di scuola, né uno svago adeguato. Spesso manca loro addirittura tutto. La abitazione è angusta, ingombra; i fratelli grandi e piccini si muovono in uno spazio ristretto, il mobilio non basta e non offre la minima comodità al fanciullo che ha voglia di lavorare. Non di rado mancano la luce e il calore; i materiali di studio e di lavoro, anche se ve ne sono, sono di pessima qualità, e spesso perfino la fame tormenta i poveri ragazzi togliendo loro la voglia di lavorare. Si aggiunga, per completare il quadro, che migliaia di fanciulli vengono distratti dai lavori domestici e industriali d’ogni maniera, che ne amareggiano la giovinezza, e li rendono incapaci a disimpegnare i loro doveri di scolari. Non è raro poi che i fanciulli debbano subire l’ostilità dei genitori, quando vogliono pigliarsi il tempo per i loro compiti di scuola o per i loro giuochi.

Insomma, gli ostacoli sono tanti che, se si volesse passarli tutti in rivista, si dovrebbe stupirsi soltanto che i giovani siano ancora tanto istruiti. Una prova che la natura umana è sana e sente in sé lo stimolo di progredire e perfezionarsi.

Anche la società borghese riconosce in parte questi inconvenienti poiché facilita per quanto è possibile l’educazione della gioventù. Essa introduce il principio dell’istruzione gratuita, e qua e là provvede gratuitamente anche ai mezzi di insegnamento, due cose che, sino a pochi anni fa, il ministro dei culti di Sassonia denunziava come “pretese socialiste e democratiche” davanti ai deputati socialisti della Dieta provinciale. In Francia, ove la istruzione popolare fa grandi progressi, dopo un lungo periodo di trascuranza, si è andati, almeno a Parigi, anche più in là, accordando il nutrimento dei fanciulli a spese del Comune, in modo che i poveri ricevano l’alimento gratuito e i ragazzi delle famiglie agiate paghino un piccolo contributo alla cassa comunale. Questo è già un ordinamento pienamente socialistico, che fece ottima prova con soddisfazione dei genitori e dei ragazzi.

Ma nelle scuole si è fatto ancora di più, perchè si è introdotto il sistema di fare i compiti assegnati per casa in iscuola, sotto la vigilanza del maestro, essendosi riconosciuta la insufficienza di quelli fatti nella casa paterna. In questo ultimo caso, gli scolari più ricchi hanno un vantaggio in confronto dei più poveri non solo per la loro stessa condizione, ma anche perché in casa questi ragazzi delle famiglie più agiate sono aiutati dalle governanti e da precettori privati. D’altro lato l’infingardaggine e la negligenza è favorita nello scolaro appartenente a famiglia ricca dal fatto che la ricchezza, il lusso e l’agiatezza dei genitori gli fanno sembrare superfluo l’istruirsi, ed anche dal fatto che gli vengono davanti agli occhi degli esempi in linea di morale i più deplorevoli e tali che finiscono per corromperlo. Chi ode e vede tutti i giorni e tutte le ore come il rango, la condizione, il danaro e la ricchezza vogliono dir tutto, si forma un concetto singolare dell’uomo e dei suoi doveri, delle istituzioni politiche e sociali.

Se non che a noi pare anche che la borghesia non abbia alcun motivo di osteggiare il sistema della istruzione comunistica della gioventù, poichè ha già introdotto parzialmente tale sistema, sebbene in modo mostruoso, anche per le classi privilegiate.

Ricordiamo i collegi dei cadetti e gli alunnati, i seminari, le scuole per sacerdoti, i collegi per gli orfani di militari, ecc. In questi istituti vengono educati e preparati all’esercizio di una data professione migliaia e migliaia di giovani appartenenti in parte ai così detti ceti migliori della società, e vi ricevono una istruzione unilaterale e sbagliata accompagnata da una rigorosa clausura da convento. Inoltre sono appunto i membri delle classi elevate, come medici, preti, impiegati, proprietari di fabbriche, possidenti, grandi agricoltori che abitano in campagna o in piccoli paesi ove mancano istituti superiori di educazione, quelli che mandano a pensione nelle città i loro figli e non li vedono che all’epoca delle ferie, quando pure li vedono.

E’ quindi un vero controsenso che i nostri contraddittori censurino ed osteggino il sistema dell’educazione comunistica della gioventù e vadano sulle furie perché si allontanano i figli dai genitori, mentre lo hanno già applicato ed introdotto, almeno in parte, ma in modo pessimo, sbagliato, assolutamente falso ed insufficiente, per i loro stessi figliuoli. Se si scrivesse un capitolo sulla educazione dei fanciulli appartenenti alle classi abbienti, impartita dalle nutrici, dalle aie (*), dalle governanti e dai precettori domestici, si getterebbe una luce sinistra sulla vita delle loro case e delle loro famiglie, e si vedrebbe davvero che anche qui regna l’ipocrisia dappertutto.

Il numero degli insegnanti deve aumentare in misura corrispondente ai mutati sistemi di educazione, che devono proporsi per scopo lo sviluppo fisico e intellettuale e la educazione della gioventù, e in modo speciale devono dar vita e vigore alle istituzioni per l’educazione fisica, oggi ancora molto deficienti. Bisogna curare la educazione dei rimessiticci (*) della società almeno nella stessa guisa nella quale si provvede nell’organismo militare alla educazione del soldato; un sott’ufficiale istruisce al massimo 10 soldati semplici. Se in avvenire si faranno istruire 10 scolari da un maestro si otterrà ciò che si deve ottenere. Anche l’insegnamento delle arti meccaniche in laboratori perfezionati, nonchè quello della orticoltura e dell’agricoltura formeranno parte essenziale della istruzione della gioventù. Tutto ciò si saprà introdurre ed applicare alternando convenientemente i lavori, evitando l’applicazione eccessiva, e così si perfezionerà al massimo possibile la educazione dell’uomo.

L’istruzione sarà inoltre comune ed eguale per entrambi i sessi. La loro separazione è giustificata soltanto nei casi in cui la differenza del sesso la renda assolutamente necessaria. Questo sistema di educazione una volta che sia bene disciplinato e sottoposto a sufficiente controllo durerà fino all’età in cui la società dichiara il giovane maggiorenne. Entrambi i sessi sono allora pienamente capaci di compiere in ogni direzione i doveri e di esercitare tutti i diritti che la società impone e riconosce in tutti i suoi membri adulti. La società può ora essere perfettamente sicura di aver educato degli uomini vigorosi e valenti e perfettamente sviluppati, uomini ai quali è estraneo tutto ciò che non è umano e naturale, e che conoscono non meno la natura propria e la propria essenza che la natura e l’essenza della società della quale essi fanno parte.

Spariranno le mostruosità che si fanno ogni giorno più numerose in seno alla nostra gioventù e che sono la conseguenza naturale della corruzione e della decomposizione della società. La sguaiataggine, la indisciplinatezza, l’immoralità, il desiderio di godere, quali si notano nella gioventù dei nostri istituti superiori di educazione, dei ginnasi, dei politecnici, delle università, ecc., alimentati dallo sfacelo e dalla perturbazione della vita domestica, la influenza perniciosa della vita sociale, come l’eccessiva ricchezza e l’eccessiva miseria, le letture che demoralizzano col dare incentivi e stimoli agli appetiti, con i discorsi ambigui della stampa periodica, cogli effetti perniciosi dei sistemi di lavorazione nelle fabbriche; la insufficienza delle abitazioni; la libertà e la indipendenza assoluta in una età in cui l’uomo ha più che mai bisogno di essere frenato ed educato a governare se stesso, tutti questi ed altri mali saranno evitati facilmente dalla società dell’avvenire, senza impiegare perciò la violenza e la tirannia. Le istituzioni sociali e l’ambiente le renderanno impossibili.

Come nella natura le malattie e la morte non colpiscono che gli organismi in cui si verifica un processo di decomposizione, che forma i malati, così avviene anche nella società.

Nessuno può negare che tutto l’organismo delle nostre scuole presenti inconvenienti gravi e pericolosi, ed anzi che gli istituti e le scuole superiori ne presentino più ancora che le inferiori. Una scuola rurale è un modello di moralità in confronto al ginnasio; una scuola femminile di lavoro per le fanciulle povere è un modello di moralità in confronto a un gran numero di distinti pensionati.

E la ragione non è difficile a scoprire. Nelle classi superiori della società è spenta ogni aspirazione agli alti intenti umanitari; queste classi non hanno più alcun ideale. Mancando gli ideali e ogni nobile iniziativa a imprese generose, queste classi si dànno in preda alla dissolutezza alimentata da una brama smodata di piaceri e di godimenti, con tutte le loro fatali conseguenze fisiche e morali. Come può la gioventù cresciuta in mezzo a tale ambiente essere diversa da quella che è? Il solo scopo che essa vede e conosce è quello dei piaceri materiali senza misura e senza limiti.

Perché dovrebbero affaticarsi se la ricchezza accumulata dai genitori fa parere inutile ogni fatica? Il maximum della cultura dei nostri figli della borghesia consiste nel prendere ogni anno l’esame. Quando questo è superato, credono di aver superato il Pelio e l’Ossa (**), si vedono vicini all’Olimpo, e si sentono Dei di secondo rango. Quando poi arrivano ad avere in tasca una patente d’ufficiale della riserva, allora la loro superbia e il loro orgoglio non ha più confini. L’influenza che esercita questa generazione nella maggioranza dei suoi membri, debole di carattere e vuota di mente, ma pretenziosa e audace, permette di designare questo periodo come il secolo dei luogotenenti della riserva. La sua caratteristica è la mancanza di carattere e di sapere compensata da molte pretese: si è brutali e orgogliosi verso chi stà in basso, e servili verso chi sta in alto.

Le figlie della nostra borghesia ricevono una educazione da bambole e da donne di società, le quali frenetiche per la moda passano di piacere in piacere e infine sazie di noia soffrono di tutte le malattie immaginarie e reali e, vecchie, finiscono per diventare bacchettone,  che stralunano gli occhi davanti alla depravazione del mondo, e predicano l’ascetismo e la religione.

Per le classi inferiori si tenta di limitare il livello della istruzione; perchési teme che il proletario diventi troppo astuto, si stanchi della sua condizione sociale, e si ribelli ai suoi numi. Quindi anche nelle questioni relative alla educazione e alla istruzione, la società moderna cammina alla cieca come in tutte le altre questioni sociali. Che fa essa? Invoca il bastone e bastona, predica religione, astinenza e soggezione, e fonda per gli elementi pessimi degli stabilimenti di correzione sotto influenze pietistiche. Con ciò la sua sapienza pedagogica è quasi esaurita.

La società nuova, dopo avere educato il suo rampollo fino all’età designata giusta i principi suesposti, può anche lasciare che ogni individuo pensi alla sua cultura ulteriore. La società può essere sicura che tutti profitteranno delle occasioni favorevoli per far scattare e sviluppare i germi dell’istruzione ricevuta. Ognuno fa quello a cui lo spingono le inclinazioni naturali e il suo ingegno. Questo si dà a studiare un ramo delle scienze naturali: antropologia, zoologia, botanica, mineralogia, geologia, fisica, chimica, scienze preistoriche, ecc.; quello si dà alle scienze storiche, alla linguistica, all’arte, ecc. Altri diventa musicista, altri pittore, un terzo scultore, un quarto attore comico. Non ci saranno corporazioni di artisti, come non ci saranno corporazioni di maestri e di artefici. Mille ingegni brillanti, che restarono soffocati fino ad oggi, si sveleranno e si faranno valere, mostrando alla società quanto sanno e quanto possono fare, ove si presenti l’occasione. Non vi saranno più musicisti, attori, artisti e insegnanti di professione, ma ve ne saranno molti di più per ispirazione di talento e di genio. E le opere di costoro supereranno quanto si fa oggidì in questi campi; le opere dell’oggi nel campo delle industrie, della meccanica e dell’agricoltura verranno superate da quelle della società dell’avvenire. Vedremo quindi sorgere per le arti e le scienze un’era, quale il mondo non vide mai, e le creazioni sue risponderanno ai progressi di quella civiltà.

Nientemeno che Riccardo Wagner ha riconosciuto, e manifestato già fino dal 1850 nel suo scritto: “Arte e rivoluzione” quali trasformazioni subirebbe l’arte e a quale vita nuova questa rinascerebbe se le condizioni sociali fossero degne dell’umanità. Questo scritto è notevole specialmente perchè comparve subito dopo lo scoppio di una rivoluzione, alla quale partecipò Wagner, e per cui egli dovette fuggire da Dresda. In tale scritto Wagner prevede chiaramente ciò che è nascosto in grembo all’avvenire, e si rivolge direttamente alla classe operaia, perché aiuti gli artisti a fondare l’arte vera. Ecco ciò che egli dice fra altro: “Se lo scopo della vita degli uomini liberi dell’avvenire non sarà più quello di guadagnarsi il pane, ma, mercè una fede nuova e viva, ovvero mercè il sapere, sarà loro assicurato il pane verso il corrispondente esercizio dell’attività naturale, quando cioè, l’industria non sarà più la nostra signora, ma serva nostra, allora noi faremo consistere lo scopo della vita nella gioia dell’esistenza, e cercheremo di creare i nostri figlioli in modo da renderli capaci di godere effettivamente questa gioia. L’educazione essendo la risultante dell’esercizio della forza e della cura della bellezza fisica, diventerà puramente artistica per l’amore tranquillo verso i bambini e la gioia di perfezionare la bellezza, ed ognuno sarà davvero sotto qualche rapporto un artista. La diversità delle inclinazioni naturali condurrà le più varie e molteplici attività a una inaspettata ricchezza! ” Ora queste sono idee perfettamente socialistiche.

 

*   *   *

 

La vita sociale diventerà in avvenire prevalentemente pubblica, e tale vuol essere già presentemente, come vedemmo chiaramente quando esponemmo il cambiamento subìto dalla posizione della donna in confronto del passato.

La vita domestica si limiterà allo strettamente necessario, mentre si farà largo campo ai bisogni della socievolezza. Grandi e vasti locali di riunione per conferenze, discussioni e per la trattazione di tutti gli interessi sociali, sui quali in avvenire tutti saranno chiamati a decidere sovranamente, sale di gioco, di pranzo e di lettura, biblioteche, sale di concerto e teatri, musei, palestre e piazze per i giochi, parchi e passeggiate, bagni pubblici, istituti di educazione e d’istruzione di ogni maniera, laboratori, ospedali per malati e per gli infermi, e tutto ciò ordinato e arredato nel miglior modo possibile, offriranno a ogni specie di passatempo, all’arte e alle scienze frequenti occasioni di arrivare al sommo della perfezione.

Come dovrà parere piccino, al confronto, il nostro secolo tanto decantato! Questo scodinzolare intorno ai potenti per ricevere grazie e favori, questa viltà di caratteri che si piegano a leccare le zampe, questa lotta accanita coi mezzi più odiosi e più bassi per raggiungere un posto privilegiato. Di qui il poco coraggio d’esprimere la propria opinione, di qui ancora l’abito di nascondere le buone qualità che potrebbero dispiacere, la mancanza di carattere e l’ipocrisia così nelle idee come nei sentimenti. Quello che eleva e nobilita l’uomo, e cioè il sentimento di sé, la indipendenza e la incorruttibilità della coscienza, l’inflessibilità del convincimento, la libera manifestazione delle proprie idee e dei propri principi sono considerati dalla nostra società come altrettanti difetti. Vi sono qualità che rovinano immancabilmente chi ne è dotato, se non si cura di soffocarle. Molti non sentono la loro umiliazione perchè alla umiliazione sono avvezzi. Il cane trova naturale di avere un padrone che gli dia da assaggiare la frusta in un momento di mal umore.

Anche la letteratura presenterà un aspetto profondamente diverso, dati i mutamenti della vita sociale che abbiamo dinanzi accennati. La letteratura teologica, la quale presenta il maggior numero di pubblicazioni letterarie nei cataloghi annuali, sparirà completamente insieme alla letteratura giuridica; ed altrettanto si dirà di tutte le produzioni che si riferiscono alle istituzioni politiche, ed anche queste istituzioni saranno sparite. Gli studi relativi avranno soltanto un interesse storico. Non ci sarà più una pletora di quelle produzioni letterarie frivole e vuote le quali sono possibili soltanto colla corruzione del gusto, col favore o col sacrificio che porta la vanità dell’autore.

Dal punto di vista delle nostre presenti condizioni si può dire già, senza esagerazione, che almeno quattro quinti di tutta la produzione letteraria possono sparire dal mercato senza che ne soffra menomamente l’interesse della cultura. Così enorme è il numero delle opere superficiali e dannose, o apertamente vergognose.

Allo stesso modo saranno colpite le belle lettere e il giornalismo. Non c’è nulla di più superficiale, di più tristo, di più insipido della maggior parte della nostra letteratura giornalistica. Se si dovesse giudicare dal contenuto della massima parte dei nostri giornali lo stato della nostra civiltà e dei nostri orizzonti scientifici si troverebbe che siamo molto in basso. L’operosità degli individui e lo stato delle cose viene giudicato da un punto di vista che risponde ai secoli passati, e sono additati dalla scienza già da gran tempo come ridicoli e insostenibili. Una parte notevole dei nostri letterati-giornalisti sono persone “che fallirono alla loro vocazione”, ma il cui grado di cultura e le cui pretese in linea di mercede corrispondono all’interesse della borghesia per l’ “affare”. Inoltre questi giornali, come pure la maggior parte dei fogli letterari, nella parte riservata agli annunzi, hanno il compito di favorire la reclame più oscena e di fruttificare la moralità borghese; la parte riservata ai listini di borsa in altro campo allo stesso interesse.

La produzione letteraria non è, in media, molto migliore della letteratura giornalistica; qui si coltiva specialmente il campo sessuale in tutte le sue superfetazioni, e si rende omaggio ora alla rassegna superficiale, ora ai pregiudizi più sciocchi e alla superstizione. Scopo di tutto questo è di far apparire il mondo borghese, malgrado tutti i difetti che in piccola parte si ammettono, come il migliore dei mondi.

In questo campo vasto e importante, la società dell’avvenire avrà da operare radicali trasformazioni. Non ci saranno che la scienza, il vero, il bello, la lotta delle idee per il meglio, e ad ognuno sarà offerta l’opportunità di prendervi parte perché valente e operoso. Allora egli non dipenderà più dal favore dei librai, dall’interesse pecuniario e dal pregiudizio, ma dal giudizio di uomini competenti e imparziali, che egli stesso designerà e contro la cui decisione, ove questa non gli garbasse, potrà sempre appellarsi al pubblico. Ciò che non gli è possibile di fare oggi coi redattori dei giornali, né coi librai, i quali non pigliano consiglio che dal loro interesse personale. L’idea che la lotta delle opinioni non possa combattersi in una società retta a sistema socialistico, non può essere divisa e sostenuta che da coloro, i quali considerano il mondo borghese come il migliore dei mondi e cercano, perché ostili al socialismo, di screditarlo e di rimpicciolirlo. Una società che riposa sulla completa eguaglianza democratica, non conosce oppressioni e tirannie. Solo la completa libertà di opinione rende possibile la continuità del progresso, che è il principio vitale della società. Inoltre è una illusione di rappresentare la società borghese come quella che difende la libertà di opinione. I partiti che difendono gli interessi di classe, non pubblicheranno che quanto non pregiudichi questi interessi, e guai a colui il quale osi fare dell’opposizione. Egli porrebbe il suggello alla sua rovina, come sanno tutti coloro i quali conoscono le nostre condizioni sociali. Non vi è scrittore il quale non sappia come i librai non vogliano lanciare dei lavori letterari che loro non convengono.

 

*     *     *

 

Siccome l’individuo deve educarsi completamente, e questo deve essere lo scopo della connivenza umana, così egli non deve essere legato alla gleba, nella quale il caso lo fece nascere.

Egli può imparare dai libri e dai giornali a conoscere gli uomini e il mondo, ma non arriva a conoscerli mai profondamente. Ci vuole intuizione personale e studio pratico. La società dell’avvenire deve quindi rendere possibile a tutti ciò che è possibile a molti nella società moderna, sebbene nella maggior parte dei casi il pungolo del bisogno serva di eccitamento. La necessità di modificare tutte le relazioni della vita è radicata profondamente nella natura umana. Questa necessità corrisponde all’istinto del perfezionamento che è immanente in ogni essere organizzato. La pianta che sorge in uno spazio senza luce si allunga e cerca la luce, come avesse coscienza, che cade da qualche apertura. Altrettanto si dica dell’uomo. E un istinto che è congiunto all’uomo, e che è perciò un istinto naturale, deve essere appagato secondo ragione.

Lo stato della società nuova non contrasta il soddisfacimento di questo istinto di cambiamento, ma anzi rende possibile che tutti giungano ad appagarlo. I suoi scambi portati al loro più alto sviluppo lo facilitano, e i rapporti internazionali lo provocano. Tutti quindi potranno fare “i loro viaggi feriali”, né sarà difficile organizzarli. Si potranno visitare paesi e regioni straniere, spedizioni e colonizzazioni d’ogni genere quando si agisca nell’interesse sociale.

Gli organi amministrativi della società dovranno vegliare affinché non manchino le provviste destinate a soddisfare tutti i bisogni della vita. Come ciò si possa effettuare è facile dedurre dalle premesse. La società regola la durata del lavoro secondo il bisogno, rendendola ora più lunga, ora più corta, secondo le sue esigenze e le stagioni che le fanno apparire opportuno. In un dato periodo essa potrà dedicarsi più alla produzione rurale e in un altro periodo alla produzione industriale, disciplinando e dirigendo le forze lavoratrici a seconda del bisogno. Essa potrà ancora, mercé il perfezionamento delle istituzioni tecniche e per effetto del lavoro collettivo, compiere senza alcuna difficoltà imprese che oggi sembrano impossibili.

Come la società assume sopra di sé la cura della gioventù, così essa assumerà ancora quella dei vecchi, dei malati e degli invalidi. Chi per qualunque circostanza è diventato inabile al lavoro, ha diritto che la società lo aiuti. Egli può essere sicuro che gli si useranno tutte le cure, tutti i riguardi possibili; ospedali e ricoveri che presentano tutto quello che la tecnica e la scienza hanno saputo fare di meglio cercheranno di restituirlo presto alla società sano e vigoroso, ovvero gli renderanno meno triste la vecchiaia se egli è vecchio e malaticcio. Non lo turberà il pensiero che altri stiano aspettando la sua morte per “ereditare” da lui; e nemmeno lo turberà il pensiero di essere gettato da una parte come un limone spremuto, se vecchio e privo di assistenza. Egli non sarà abbandonato alla carità ed alla assistenza dei suoi figlioli, né alla elemosina del pubblico. E’ un fatto troppo noto quello della condizione nella quale si trovano la maggior parte dei genitori che devono raccomandarsi all’aiuto dei figli. E in quale guisa demoralizzante agisce di regola sui figli, ed ancor più sui parenti la speranza di “poter ereditare”. Quali abominevoli passioni si risvegliano, quanti delitti vengono provocati da questa speranza. Assassinii ed omicidi, sottrazioni, ricatti, falsi giuramenti, estorsioni, ecc. La società borghese non ha alcun motivo di andare superba del suo diritto ereditario perchè a questo diritto si deve una gran parte dei delitti che si commettono ogni anno, mentre la maggioranza nulla ha da lasciare in retaggio e nulla da ereditare (129).

Lo stato morale e fisico della società, i sistemi di lavoro, le abitazioni, il modo di nutrirsi e di vestirsi, la sua vita sociale, tutto concorrerà a impedire ed a prevenire le disgrazie, le malattie precoci e le infermità croniche. La morte naturale, lo spegnersi della forza vitale diventerà sempre più la regola, e il convincimento che il “Cielo” è sulla terra e che essere morto significa aver finito, condurrà gli uomini a vivere naturalmente. Gode di più chi gode più a lungo. Questo sa bene apprezzare il clero che apparecchia gli uomini per l' “al di là”, perché i preti in media hanno vita più lunga degli altri.

Condizione prima d’un metodo di vita naturale è il mangiare e bere. Vi sono degli amici del cosiddetto “metodo di vita secondo natura” i quali spesso domandano perchè i socialisti democratici restino indifferenti davanti all’alimentazione vegetale. Questa domanda ci porge motivo di trattare in poche righe questo argomento. Il vegetarianismo, cioè la dottrina che prescrive di nutrirsi di prodotti esclusivamente vegetali, è diffuso specialmente in quei ceti, i quali sono in grado di poter scegliere fra l’alimento vegetale e l’alimento animale. Per la grandissima maggioranza degli uomini tale questione oggi non esiste, perché questa maggioranza è costretta a vivere secondo i suoi mezzi la cui penuria la costringe in molti casi a cibarsi esclusivamente o quasi di prodotti vegetali, ed anzi perfino di quelli meno nutrienti. Per una gran parte della popolazione operaia della Slesia, della Sassonia, della Turingia e di tutti i distretti industriali, il cibo principale è la patata. Il pane viene in seconda linea, e la carne non si vede quasi mai in tavola, e le rare volte che c’è trattasi di carne di pessima qualità. Altrettanto può dirsi di una gran parte della popolazione rurale sebbene essa allevi il bestiame, perchè questa popolazione è costretta a venderlo per soddisfare, col danaro che ne ritrae, altri bisogni.

Per tutti questi vegetariani forzati una solida bistecca e una buona coscia di castrato determinerebbe, secondo noi, un miglioramento nella loro nutrizione. Se la dottrina dei vegetariani mira a combattere l’abuso dell’alimentazione animale, allora ha ragione, ma ha torto se ne combatte l’uso, con ragioni in parte troppo sentimentali. Per esempio, col dire che il sentimento naturale vieta di uccidere gli animali e di mangiare un “cadavere”. Ora il desiderio di una vita agiata e tranquilla ci costringe a dichiarare guerra ad un gran numero di esseri viventi sotto forma di insetti nocivi d’ogni genere e a distruggerli e per non essere divorati noi dobbiamo pure uccidere e distruggere delle bestie feroci. Lasciando vivere in pace i “buoni amici dell’uomo” e cioè gli animali domestici, questi buoni amici in pochi anni ci si getteranno addosso in numero così grande che ci “divoreranno” prendendoci il cibo. E’ falso anche affermare che il cibo vegetale susciti miti sentimenti. Nei miti indiani che si nutrivano di piante si è ridestata “la bestia” quando la durezza dell’Inglese li fece ribellare.

Coglie nel segno secondo noi il Sondegger quando dice: "Non vi è un ordine di gradi della necessità dei mezzi di nutrizione, ma vi è bensì una legge immutabile per il miscuglio delle loro materie nutritive".

Certamente è giusto che nessun uomo possa cibarsi soltanto di nutrimento animale, ma ben piuttosto di cibi vegetali, dato ch'egli possa sceglierli opportunamente. D'altra parte nessuno vorrà accontentarsi di un dato cibo vegetale anche se questo fosse il più nutriente. Così le fave, i piselli, le lenticchie in una parola le piante leguminose sono le sostanze più nutrienti di tutte, ma sarebbe spaventoso se dovessero costituire il nostro esclusivo nutrimento. Così Carlo Marx nel suo "Capitale" riferisce che i proprietari di miniere del Cile costringono i loro operai a mangiare per anni ed anni le fave, perché queste rinvigoriscono e li rendono atti a portar pesi più di qualunque altro cibo. Gli operai spesso rifiutano le fave, sebbene esse nutrano; ma siccome non vien loro dato altro, così sono costretti ad accontentarsene.

A mano a mano che la coltura si eleva, in lugo della alimentazione quasi esclusivamente animale, che è propria dei popoli dediti alla caccia ed alla pastorizia, viene sostituendosi il cibo vegetale. La varietà della coltura delle piante è indizio di maggiore civiltà. Si aggiunga che su una data superficie si può coltivare molto maggiore sostanza vegetale nutritiva, che non si possa produrre sulla stessa superficie di materia animale mediante l'allevamento del bestiame. Questo sviluppo dà al nutrimento vegetale una prevalenza maggiore. Infatti il trasporto delle carni che ci vengono importate da lontani paesi, e specialmente dall'America meridionale e dall'Australia, è in pochi anni quasi sparito per efftto del sistema borgehse di sfruttamento; al contrario deve notarsi che il bestiame non viene allevato soltanto soltanto per la carne, ma anche per la lana, i peli, le setole, le pelli, il latte, le uova ecc., e che questi prodotti animali alimentano una quantità di industrie e soddisfano a molti bisogni umani. Si aggiunga che molti cascami non possono venire impiegati nell'industria e nell'economia più utilmente di quello che si possa fare comn l'allevamento del bestiame. D'altra parte il mare aprirà in avvenire all'umanità la sua ricchezza inesauribile in sostanze nutritive animali, assai più di quello che abbia fatto fin qua. Quindi la dottrina dei vegetariani non solo non è verosimile per la società avvenire, ma non è neanche necessaria.

Se non che ora si tratta assai più di qualità che di quantità, perché il molto non giova granché, specialmente se il molto non è buono. La qualità però viene notevolmente migliorata nella maniera con la quale si allestisce il cibo. Quindi l'allestimento delle sostanze alimentari deve essere regolato scientificamente, né più né meno come qualsiasi altro ramo dell'attività umana, se si vuole trarne tutto il profitto possibile. Ci vogliono sapere e istituzioni speciali. Non c'è bisogno di provare che le nostre donne, le quali devono oggidì preparare il cibo non possiedono per lo più questo sapere né lo possono avere. Se non che ad esse mancano anche le istituzioni. Anche oggi si costruiscono con la massima perfezione e secondo i principi della scienza utensili da cucina e molti congegni tecnici per allestire ogni maniera di cibi, come possiamo persuadercene visitando le cucine bene organizzate degli alberghi, le grandi cucine a vapore delle caaserme, degli ospedali e specialmente delle esposizioni culinarie. Con ciò si ottengono col minimo impiego di forze, di tempo e di materiale, i risultati più favorevoli. Questo è importante specialmente per l'alimentazione umana. Quindi la piccola cucina privata è, precisamente come un piccolo laboratorio, uno stadio ormai superato, una istituzione per la quale vengono sprecati e consumati insensibilmente, tempo, fatica e materia. Quindi nella società dell'avvenire, anche l'allestimento dei cibi diventerà una istituzione sociale che funzionerà nel modo più conveniente e vantaggioso per l'umanità. La cucina privata sparirà, come è già sparita nelle famiglie le quali di solito fanno bensì allestire il cibo dalla loro cucina privata, ma hanno bisogno di quella degli alberghi o di quella di cuochi privati, quando si tratta di dar da mangiare a un numero maggiore di commensali e di allestire cibi e pietanze per le quali esse e le persone di servizio non hanno le cognizioni necessarie (130).

Il valore nutritivo dei cibi si eleva per effetto della facilità di assimilarli; questa capacità di assimilazione è decisiva (131). Non è che con la società nuova ci si trovi in condizione di rendere possibile un sistema di numtrimento che sia per tutti conforme a natura.

Catone esalta l'antica Roma, perché fino al secolo sesto di Roma (200 a. C.) c'erano bensì di quelli che conoscevano l'arte medica, ma mancava l'occupazione per coloro che trattavano soltanto i malati. La gente viveva con tale sobrietà e semplicità, che ben di rado c'erano malattie da curare, e la morte per decrepitezza era la forma più comune di andare all'altro mondo. Appena quando la crapula (*) e l'ozio, in breve la furfanteria da un lato, il bisogno e l'eccessivo lavoro dall'altro, andarono crescendo, le cose mutarono radicalmente. La crapula e la furfanteria saranno impossibili in avvenire, come sarà impossibile il bisogno, la miseria e la povertà. Ci sarà abbastanza per tutti.

Anche Enrico Heine (**), che ebbe talora sentimenti e principi socialisti, canta (Germania, Novelle d’inverno):

Dà  la  terra  abbastanza  pan  per  tutti

  I  figlioli  d’Adamo,

  Dà  rose  e  mirti  e  bellezze  e  piaceri;

  Anco  piselli  abbiamo.

Si,  non  appena  scoppiano  le  bucce

  Ciascun  può  aver  piselli,

  Il  cielo  se  lo  tengano  per  loro

  Gli  angeli  ed  i  fringuelli.

 

           Trad. di G. C. Secco-Guarda.

 

Chi mangia poco vive bene” (cioè vive a lungo), disse l’italiano Cornaro (***) nel secolo XVI, come viene riferito dal Niemeyer.

In fine anche la chimica saprà fornire nel futuro nuovi e migliorati mezzi di nutrimento. Oggi di questa scienza si abusa assai per compiere delle adulterazioni e delle frodi; ma è evidente però che un alimento chimicamente preparato e dotato di tutte le qualità di un prodotto naturale raggiunge lo stesso scopo. Il modo di procacciarselo poco importa, purché in tutto il resto il prodotto risponda ad ogni esigenza.

Ora, se noi arriviamo ad avere oltre agli stabilimenti centrali, destinati ad allestire il cibo, anche quelli destinati alla pulizia, nei quali con un processo meccanico-chimico si lava la biancheria, la si asciuga e la si mette all’ordine, e se si ammette che oltre al riscaldamento centrale, alla illuminazione pure centrale, ai condotti d’acqua fredda e calda ci siano anche bagni sufficienti, e che così la biancheria come i vestiti siano fabbricati in laboratori centrali, allora tutta la vita domestica è trasformata e semplificata radicalmente.

Il servo, questo schiavo degli umori “della padrona” scompare, ma scompare anche la “dama” (132).

 

(Continua; dal prossimo numero l'ultimo capitolo: La donna nell'avvenire)

 


 

(113) Secondo la statistica dell’anno 1882 erano occupate in Germania nel commercio e nel traffico, escluse le locande e il commercio al minuto, 1.570.318 persone che occupano inoltre 295.451 servi. Nota di A. Bebel.

(114) Anche i papi e i padri della Chiesa non potevano astenersi dal mostrarsi zelanti in senso comunistico nei primi secoli in cui erano ancora vive le tradizioni del comunismo, e questo esisteva ancora in più parti, ma lo spoglio della proprietà comune aveva assunto grandi proporzioni. Il Sillabo del secolo XIX  non suona certo così, perché anche i pontefici romani sono oggi soggetti, benché contro la loro volontà, alla borghesia, che difendono col dichiararsi avversari del socialismo. Così papa Clemente I, (morto nell’anno 102 dell’era nostra) disse: «L’uso di tutte le cose deve essere in questo mondo comune a tutti. E’ un’ingiustizia dire: Questo appartiene a uno, questo è mio; quello è di un’altro. Da ciò è derivato il conflitto fra gli uomini». Sant’Ambrogio vescovo di Milano, che visse intorno al 374, diceva: «La natura dà agli uomini tutti i beni in comune; perché Dio ha creato tutte le cose, affinchè tutti le godessero in comune; e la terra diventasse proprietà comune. Quindi la natura ha creato il diritto della comunione dei beni, e non fu che la usurpazione che ha creato il diritto delle proprietà».

San Giovanni Grisostomo (morto nel 407) dichiarò nelle sue omelie contro la scostumatezza e la corruzione di Costantinopoli: «Nessuno chiami qualche cosa sua proprietà; noi la abbiamo avuta da Dio per goderla in comune, e il mio e tuo sono menzogne! ». Sant’Agostino (morto nel 430) si espresse così: «L’esistenza della proprietà privata, ha dato causa ai processi, alle inimicizie, alle discordie, alle guerre, alle sollevazioni, ai peccati, all’ingiustizia, agli assassinii. D’onde derivano tutti questi flagelli? Unicamente dalla proprietà. Asteniamoci quindi, o fratelli, dal possedere una cosa in proprietà, o, almeno, asteniamoci dall’amarla».

Papa Gregorio Magno dichiarò nel 600: “Dovete sapere che la terra da cui siete nati e di cui siete fatti, è comune a tutti gli uomini, e che quindi tutti i suoi prodotti devono appartenere indistintamente a tutti”.

Ed uno dei moderni, San Zaccaria nei «Quaranta libri dello Stato» dice: «Tutte le miserie contro le quali i popoli civili devono lottare, riflettono la loro origine dalla proprietà privata del suolo». Nota di A. Bebel.

(115) Vi è una ricetta per rendere fruttiferi i campi ed eternamente durevole la loro entrata. Se questa ricetta trova la sua adeguata applicazione, essa sarà più rimunerativa di tutti quelli che l’economia rurale si è mai procacciata; eccola: «Ogni agricoltore che trasporta in città un sacco di grano, ovvero un quintale di rape o di patate, ecc. dovrebbe riportare con sé dalla città, come il Kuli cinese [detto all'inglese coolie, contadino povero, NdR], altrettante e possibilmente anche più parti costitutive dei frutti del suo campo, per restituirle a questo a cui le ha tolte; egli non deve disprezzare una buccia di patata e un gambo di paglia, perché dovrebbe pensare che manca la buccia di una delle sue patate e un gambo delle sue spighe. Quello che egli spende per questa importazione è poco, mentre la parte investita ne è sicura, certo più che in una cassa di risparmio, e nessun capitale gli nasconde una rendita più alta, perchè la rendita del suo campo raddoppierà in dieci anni; produrrà più grano, più carni e più cacio, senza impiegarci più tempo e più lavoro; e non resterà più in angustie a motivo di quei nuovi ignoti rimedi, che non ci sono, atti a conservare in altro modo fruttifero il suo campo... Tutte le ossa, la fuligine, la cenere, lavata o no, il sangue animale, i detriti e i rifiuti di ogni specie dovrebbero essere raccolti in stabilimenti speciali e preparati per spedirli a destinazione... I governi e le autorità di polizia nelle città dovrebbero aver cura affinché, con opportuni regolamenti sulle latrine e cloache, venga evitata la perdita di queste materie. – Liebig: «Lettere chimiche». Nota di A. Bebel.

(116) “In Cina, ogni Kuli, che la mattina ha portato sul mercato i suoi prodotti, riporta a casa la sera, due bigonce cariche di concime appese a un bastone di bambù. Il pregio che si dà al concime va tanto oltre, che ognuno sa ciò che un uomo restituisce alla terra in un giorno, in un mese, in un anno, e il cinese considera più che una scortesia se l’ospite nel lasciare casa sua, gli porta via un vantaggio, al quale egli crede gli dia diritto la sua ospitalità... Il cinese raccoglie con cura ogni sostanza vegetale e animale per trasformarla in concime... Basti rammentare, per avere una idea esatta del valore degli avanzi animali, che i barbieri raccolgono con gran cura e ne fanno oggetto di commercio, i capelli e le barbe che tagliano e radono ogni giorno da centinaia di milioni di teste; il cinese conosce l’efficacia del gesso e della calce, e avviene spesso che egli rinnovi l’intonaco delle cucine, al solo scopo di convertire il vecchio in concime. – Liebig: «Lettere chimiche». Nota di A. Bebel.

(117) Carlo Schober: Relazione sulla importanza delle materie di rifiuto nei riguardi della economia rurale, comunale e sociale ecc. Berlino 1877. Nota di A. Bebel.

(118) Secondo i risultati raccolti dalla statistica della popolazione del 1 dicembre 1890, la Germania aveva 26 grandi città con una popolazione superiore ai 100 mila abitanti. Nel 1871 non ne aveva che 8, con una popolazione relativamente inferiore. Berlino contava nel 1871, 826 mila abitanti in cifra rotonda, nel 1890 un milione 574 mila con un aumento quasi doppio.

Alcune di queste grandi città si videro costrette ad unire a sé i paesi industriali di contro alle loro porte e che per la popolazione formavano già per se stessi altrettante città; ciò ha determinato d’un tratto l’aumento delle popolazioni nelle prime.

Così Lipsia dal 1885 al 1890 crebbe da 170.000 abitanti a 353.000; Colonia da 161.000 a 282.000; Magdeburgo da 114.000 a 201.000 ecc.

Nello stesso periodo di tempo anche il numero degli abitanti delle altre città, che non avevano incorporato a se questi vicini, segnò un aumento. Monaco, per esempio, da 270.000 abitanti salì a 345.000; Breslavia da 299.000 a 335.000; Dresda da 246.000 a 276.000; Francoforte sul Meno da 154.000 a 180.000; Hannover da 140.000 a 163.000; Düsseldorf da 115.000 a 146.000; Norimberga da 115.000 a 142.000; Chemnitz da 111.000 a 139.000; e così via. Anche le città fra i 50.000 e i 100.000 abitanti segnarono, in parte, lo stesso aumento della popolazione. Nelle campagne, invece, le notizie sono molto diverse, come risulta dalle cifre già in parte esposte. Nota di A. Bebel.

(119) Il prof. Adolfo Wagner così si esprime nell’opera citata: Manuale dell’economia politica di Rau: «La piccola proprietà privata forma una base economica che non può essere sostituita da alcuna altra istituzione per una parte cospicua della popolazione; crea un ceto di agricoltori indipendenti, i quali hanno una posizione sociale-politica e funzioni proprie». Se l’autore non è entusiasta ad ogni costo dei piccoli agricoltori per amore dei suoi amici conservatori deve ammettere che cotesti piccoli agricoltori sono la gente più disgraziata del mondo. Il piccolo agricoltore nelle condizioni suesposte non è quasi suscettibile di coltura più elevata, dovendosi ammazzare da mane a sera in un lavoro faticoso; vive in realtà come un cane, né gli resta il tempo di lavorare per raggiungere una posizione più agiata e decorosa, diventando quindi un elemento che lungi dal favorire la coltura, la arresta.

Chi ama il regresso, perchè ci trova il suo tornaconto può essere contento che questo ceto sociale sopravviva, non mai l’amico della civiltà. Nota di A. Bebel.

(120) Il principe di Bismarck tuonò nel «Parlamento della Unione» di Erfurt del 1850 contro le grandi città «come i focolari delle rivoluzioni», augurandosi che venissero rase al suolo. Nota di A. Bebel.

(121) Federico Engels: Il rovesciamento della scienza del signor Eugenio Dühring, noto come AntiDühring, terza parte: Socialismo, Edizioni Rinascita, Roma 1956, p. 305.

(122) Quello che ne pensassero gli antichi, è dimostrato dalle seguenti citazioni: «Il tiranno, col qual nome si designava nella Grecia antica ogni padrone assoluto, deve darsi l’aria di prendere sul serio la religione. Poiché i sudditi temono meno da tiranni così fatti un trattamento illegale, se essi credono di riconoscere come religiosa e pia la loro condotta, avendo essi l’assistenza dei numi». Aristotile: Politica. Aristotile nacque nell’anno 384 avanti l’era nostra a Stagira, in Macedonia, ed è perciò conosciuto sotto il nome di «Stagirita». «Il principe deve possedere le buone qualità umane, o, meglio ancora, deve far credere di averle, deve far mostra di pietà e di religiosità. Sebbene alcuni penetrino nell’animo suo, tacciono, perché la maestà dello Stato difende e protegge il principe, il quale, in virtù di questa protezione, può fare il suo interesse, lasciar credere agli altri tutto il contrario.

«Il grosso dei sudditi lo riterrà sempre come un uomo onesto, anche se tradì la fede e la religione, solo perché mostrò in molte circostanze, di essere timorato di Dio. Del resto il principe deve avere una cura speciale del culto e della chiesa». macchiavelli nella celebre opera: Il principe, cap. 18. Macchiavelli nacque il 1469 a Firenze. Nota di A. Bebel.

(123) «Condizione esterna necessaria allo sviluppo dello spirito filosofico è un certo grado di coltura e di benessere... Quindi noi troviamo, che si cominciò a filosofare solo presso le nazioni che erano giunte a un certo grado di benessere e di civiltà». Tennemann. Nota in Buckle, Storia della civiltà inglese, vol. I, pag. 10.

«Interessi materiali e interessi intellettuali procedono dandosi la mano. Uno non può stare senza l’altro. C’è fra entrambi lo stesso nesso, che fra il corpo e lo spirito, separarli significa portare la morte». Thünen, «Lo stato isolato».

La vita migliore, così per l’individuo in particolare, come per lo Stato in generale, è quella in cui la vita è accompagnata da beni esterni, così da diventare possibile un’operosa partecipazione alle opere buone e belle. Aristotile. «Politica». Nota di A. Bebel. 

(124) Quando il signor Eugenio Richter continua a ripetere nella sua opera «Dottrine erronee» la vecchia frase incriminata, che i socialisti vogliono uno «Stato feudale» – i lettori del nostro libro devono aver compreso chiaramente che non si può parlare assolutamente di uno «Stato» – egli pretende che la società si dia uno «Stato» od anche un coordinamento sociale, che pregiudichi i suoi propri interessi. Ora non si può creare ad arbitrio uno «Stato» nuovo, radicalmente diverso dallo Stato precedente, nemmeno un ordinamento sociale nuovo, perché ciò significherebbe disconoscere e rinnegare tutte le leggi della evoluzione, secondo le quali Stato e società progredirono fino ad oggi e progrediranno in avvenire. Il signor Eugenio Richter e i suoi compagni di fede possono quindi consolarsi perché se il socialismo ha quelle aspirazioni insensate e contrarie a natura che gli attribuiscono, esso andrà a male, anche senza le «Dottrine erronee» del sig. Richter.

Non meno deboli di tutte le altre obiezioni, sono le osservazioni del signor E. Richter: Per uno Stato socialistico, egli dice, come lo vorrebbero i socialisti, gli uomini dovrebbero essere «angeli». Ora è noto che non ci sono angeli, e noi non ne abbiamo bisogno. Da un lato gli uomini sentono l’influenza delle circostanze, dall’altro le circostanze subiscono l’influenza degli uomini, e quest’ultimo sarà il caso sempre più frequente, quanto più gli uomini impareranno a conoscere la natura della società, che essi stessi costituiscono, e convenientemente con trasformazioni adeguate applicheranno la esperienza conquistata, alla loro organizzazione sociale, ed ecco il socialismo. Noi non abbiamo bisogno di altri uomini, bensì di uomini più avveduti e più illuminati di quelli di oggi, e per farli tali, noi agitiamo, signor Richter, e pubblichiamo delle opere come questa. Nota di A. Bebel.

(125) A coloro i quali, come il sig. Richter, non possono soffrire che le giovani madri entrino in un istituto speciale, ove esse trovano tutto ciò che solo i ricchissimi possono procacciarsi, rammentiamo che oggidì tre quarti almeno degli uomini nascono in condizioni le più primitive, tali che sono una vergogna e un’onta per la nostra cultura e per la civiltà. E dell’ultimo quarto delle nostre madri, solo una minoranza è in grado di avere le cure o gli agi che devono assistere una donna in tale stato. Del resto la maternità delle donne delle classi più elevate è caratterizzata dal fatto che esse fanno passare i doveri di madre più presto che è possibile in una nutrice del ceto dei proletari. Se, almeno, la nostra società volesse lasciare l’ipocrisia. Nota di A. Bebel.

(126) Condorcet nel suo progetto per la istruzione voleva: «che la istruzione fosse gratuita, eguale, generale, fisica, intellettuale, industriale e politica, ed avesse per meta la vera eguaglianza di fatto».

Anche Rousseau nella sua «Economia politica» disse: «La istruzione deve essere pubblica, eguale e comune, e formare l’uomo e il cittadino». Altrettanto afferma Aristotile: «Lo Stato non ha che uno scopo, e cioè di impartire a tutti i suoi membri una medesima istruzione, e la cura di ciò è compito dello Stato, non dei privati». Nota di A. Bebel.

(127) Fra i quali c’è anche il signor Eugenio Richter nelle sue «Dottrine erronee». Nota di A. Bebel.

(128) Vedi Carlo Fourier. Sua vita e sue teorie di Augusto Bebel. – Edizione di J. H. W. Dietz, Stoccarda. Nota di A. Bebel.

(129) L’uomo che è vissuto sempre da probo, onesto e laborioso fino alla vecchiaia, non deve vivere in questa età della carità né dei figli, né della società. Una vita indipendente priva di preoccupazioni e di stenti è premio adeguato alla attività continuata negli anni del vigore e della salute. Thünen: «Lo Stato isolato».

Ma che cosa avviene oggi nella società borghese? Avviene che il tanto celebrato ricovero per la vecchiaia e per gli invalidi nell’impero germanico presenta un compenso assai gretto, come ammettono anche i suoi più zelanti difensori. La sua assistenza è ancora più insufficiente delle pensioni assegnate alla maggioranza degli impiegati. Nota di A. Bebel.

(130) Sulla abolizione della cucina privata il signor Eugenio Richter nelle sue «Dottrine erronee» non è giudice competente. Il signor Richter, a quanto sappiamo, non è ammogliato, e quindi egli non può accorgersi della mancanza della propria cucina, il che, se si deve giudicarne dalla sua corporatura, pare gli faccia buon pro. Se il signor Richter fosse ammogliato e avesse una moglie la quale dovesse occuparsi della cucina e prestarvi le cure necessarie, mentre le signore delle classi abbienti si fanno servire, e sarebbe da scommettere cento contro uno, che la sua signora gli mostrerebbe rigorosamente quanto sarebbe lieta se potesse essere liberata dalla schiavitù della cucina, da un grande istituto comune bene organizzato destinato ad allestire le vivande. Nota di A. Bebel.

(131) La capacità di assimilazione dei cibi è relativa all’individuo. Niemeyer: Igiene. Nota di A. Bebel.

(132) «Senza servitù non vi è civiltà», proclama il professore Treitschke in una polemica contro il socialismo. E’ certo una novità il sentire che i nostri servi sono «portatori della nostra civiltà». La testa professorale e dotta del sig. Treitschke pensa del mondo borghese come pensava Aristotile ventidue secoli fa del mondo greco. Ad Aristotile pareva impossibile che la società potesse esistere senza schiavi. Il signor Treitschke si preoccupa evidentemente, si lambica il cervello per il lucido degli stivali e la pulizia dei vestiti, ma oggi anche ciò non è più una questione «insoluta». Intanto oggi più del novanta per cento provvede alla bisogna da sé, e quindi anche l’altro per cento potrà provvedervi in avvenire, senza contare che intanto si saranno inventate delle macchine atte a far pulizia, di guisa che il signor professore non avrà più bisogno di procurarsi un giovinetto che lo tragga d’impaccio. In fine si tenga per fermo che nella società dell’avvenire si dice: che il lavoro non disonora anche se esso consiste nel pulire gli stivali come ha già imparato a conoscere anche qualche ufficiale di antica nobiltà, il quale scappò per debiti in America per diventare domestico o lustrascarpe.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice