Nello sforzo comune di difendere la teoria marxista e il patrimonio politico della Sinistra comunista, proseguiamo il lavoro di assimilazione teorica vitale per il partito

( Resoconto sommario della riunione generale di Milano del  24-25 gennaio 2015 )

(«il comunista»; N° 139;  Giugno 2015)

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Nella riunione generale, svoltasi  regolarmente nelle date previste, sono stati tenuti i due temi previsti: su La rivoluzione proletaria è internazionale e internazionale sarà la trasformazione socialista dell’economia, e, sull’imperialismo mondiale: Quadro generale delle contraddizioni interimperialistiche a seguito della crisi 2007-2008.

 

La rivoluzione proletaria è internazionale e internazionale sarà la trasformazione socialista dell’economia

 

 

Su questo tema, si sono affrontati i dubbi sorti in alcuni compagni dalla lettura di alcuni passaggi della Struttura economica e sociale della Russi d’oggi circa la posibilità o meno, dopo la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura proletaria, di passare alla trasformazione dell’economia capitalistica in economia socialista anche in un solo paese se questo paese è capitalisticamente progredito. Il tema è di rilevanza non solo politica, ma teorica e perciò è stato oggetto di un lavoro di chiarificazione teorica portandone il risultato anche in riunione generale. Qui si vuole sottolineare soprattutto la giustezza della critica e della lotta alla “teoria del socialismo in un solo paese”, critica che caratterizza da sempre la Sinistra comunista d’Italia, e perciò anche il nostro partito, fin dai tempi dello scontro teorico e politico con lo stalinismo – formalmente dal 1926, ossia dall’epoca in cui questa teoria è stata formulata chiaramente da Bucharin e fatta propria da Stalin e dai loro sostenitori – accompagnando lo svolgimento del rapporto con numerose citazioni, tra le molte a disposizione, dai testi classici del marxismo e dai testi del nostro stesso partito. Riprenderemo nelle puntate successive la sequenza delle molteplici citazioni riportate e di quelle che per motivi di tempo e di attenzione non sono state usate nel rapporto verbale. Per cominciare, ripubblichiamo in questo stesso numero, un articolo del 1968 (La grande bestemmia del “socialismo in un solo paese”) dedicato a questo tema e che si ricollega allo svolgimento della critica al XX congresso del Pcus del 1956 contenuta nel testo di partito Dialogato coi Morti. Ci si ricolleghi anche ad un primo articolo sul tema, pubblicato nel n. 134 (aprile 2014) di questo giornale, mentre qui, iniziando il resoconto esteso del tema della riunione generale, vogliamo limitarci a focalizzare l’attenzione sul contenuto del nostro Programma.

Nel programma del partito, pubblicato sistematicamente nella nostra stampa, al punto 11, l’ultimo, si afferma: “La difesa del regime proletario dai pericoli di degenerazione insiti nei possibili insuccessi e ripiegamenti dell’opera di trasformazione economica e sociale, la cui integrale attuazione non è concepibile all’interno dei confini di un solo paese, può essere assicurata solo da un continuo coordinamento della politica dello Stato operaio con la lotta unitaria internazionale del proletariato di ogni paese contro la propria borghesia e il suo apparato statale e militare, lotta incessante in qualunque situazione di pace o di guerra, e mediante il controllo politico e programmatico del partito comunista mondiale sugli apparati dello Stato in cui la classe operaia ha raggiunto il potere”. Ci si riferisce al programma del partito perché è il condensato dei principi che caratterizzano il partito di classe e, in specie, il partito comunista non del paese tale o tal altro, ma internazionale. Vale perciò per il partito che aveva, ha e avrà sue sezioni in ogni paese del mondo.

In perfetta coerenza con le affermazioni contenute nel nostro programma, il “Distingue il nostro partito” ribadisce che la linea del partito è caratterizzata anche dalla  “lotta contro la teoria del socialismo in un paese solo e la controrivoluzione stalinista”, dove per controrivoluzione stalinista non si è mai inteso che riguardasse esclusivamente la Russia o la degenerazione del solo partito “russo”, ma il quadro internazionale e, quindi, l’Internazionale Comunista, il movimento comunista internazionale e gli obiettivi della “lotta unitaria internazionale del proletariato di ogni paese contro la propria borghesia”.

Va detto che la prima versione della manchette “distingue il nostro partito” (1952) si limitava a definire la linea del partito “da Marx a Lenin, a Livorno 1921, alla lotta della sinistra contro la degenerazione di Mosca, al rifiuto dei blocchi partigiani ecc. ecc.”. Con “degenerazione di Mosca” si intendeva tutto ciò che aveva portato l’Internazionale Comunista (Mosca, come sede centrale dell’Internazionale Comunista e non come capitale della Russia; quindi, come degenerazione non del solo partito “russo”) ad abbandonare e a tradire i principi su cui si era costituita al tempo di Lenin; e nella degenerazione vi era compresa anche la teoria del socialismo in un paese solo. La nostra corrente e il nostro partito, fin dai loro primi passi, sono sempre stati conosciuti dai più larghi strati operai (anche se influenzati pesantemente dallo stalinismo) come quelli che sostenevano che in Russia non c’era socialismo, ma capitalismo e che la teoria del socialismo in un solo paese era una teoria falsa con la quale venivano manomessi completamente  il marxismo e il portato generale della lotta rivoluzionaria del proletariato internazionale, dando, in questo modo, alla vittoria della controrivoluzione sull’Internazionale Comunista rivoluzionaria e sulla lotta del proletariato a livello internazionale, l’ipocrita veste del “marxismo ufficiale”.

Più volte nel passato ci siamo trovati a discutere e polemizzare con altri gruppi politici sulla questione del passaggio al socialismo nella struttura economica,  e sulla necessaria distinzione tra paesi a capitalismo arretrato e paesi capitalistici avanzati, vigendo la legge assoluta del capitalismo del suo sviluppo ineguale nel mondo. Ma ci siamo sempre battuti contro la posizione che, se negava la possibilità di passare al socialismo anche economicamente in paesi a capitalismo arretrato, la ammetteva invece anche in uno solo paese, se quest’ultimo era a capitalismo sviluppato e nel quale, ovviamente, la rivoluzione proletaria avesse vinto e conquistato il potere politico. Se il distinguere in questo modo i paesi a ineguale sviluppo capitalistico fosse stato necessario per definire, con precisione programmatica, la possibilità, anzi, la effettiva realizzazione della trasformazione economica socialista anche in un solo paese a capitalismo sviluppato; se questa distinzione fosse stata teoricamente fondamentale, nel nostro programma di partito – ripreso come sappiamo dal programma del Partito Comunista d’Italia del 1921, al quale sono stati aggiunti gli ultimi 4 punti tratti dal bilancio storico della controrivoluzione – avremmo dovuto avere un punto 11 che la esplicitasse in modo inequivocabile. Se la trasformazione economica socialista fosse attuabile anche in un solo paese capitalisticamente sviluppato, nel programma del partito ci sarebbe stata questa precisazione per il semplice fatto che la distinzione tra paesi arretrati e paesi sviluppati – se da questo punto di vista fosse stata necessaria – si sarebbe resa indispensabile e vitale. Ma il nostro programma afferma senza alcuna esitazione che l’integrale attuazione della trasformazione economica e sociale, dunque del socialismo pieno, non è concepibile all’interno dei confini di un solo paese, e ciò al di sopra della distinzione tra paesi capitalisticamente sviluppati o arretrati. D’altronde, il marxismo non ha mai sostenuto una teoria di quel genere: noi consideriamo la teoria marxista invariante, dunque perfettamente valida per tutto l’arco storico che porterà la lotta di classe del proletariato rivoluzionario mondiale al suo fine ultimo, il comunismo, cioè alla società senza classi, di specie; società che non può che essere universale.

La manchette “distingue il nostro partito” è stata sì modificata nel tempo, ma allo scopo di rendere i concetti della sua linea politica, tattica e organizzativa più chiari alle generazioni più giovani che non avevano dirette conoscenza ed esperienza di lotta degli scontri teorici, politici e fisici degli anni in cui la controrivoluzione staliniana sconfiggeva drammaticamente le forze sane del marxismo rivoluzionario. Il programma del partito – che deriva direttamente dai fondamenti teorici del marxismo – è stato formulato in svolti storici determinanti (nel periodo dell’ascesa del movimento rivoluzionario internazionale e della formazione dell’Internazionale Comunista, prima, e alla fine del ciclo distruttivo del movimento rivoluzionario internazionale e contemporanea totale sottomissione delle classi proletarie di tutti i paesi alle esigenze di guerra, di pace e di ricostruzione postguerra del capitalismo mondiale, poi) e non è modificabile, tanto meno a causa di supposte “nuove situazioni” o di “nuove interpretazioni” del marxismo che sarebbero giustificate da uno sviluppo “imprevisto” del capitalismo, o da una “svista” teorica di peso fondamentale.

Una sola conclusione si può trarre, quindi, dal fatto che, nel punto 11 del nostro programma di partito, si afferma che l’attuazione della integrale trasformazione economica e sociale ad opera della dittatura proletaria non è concepibile all’interno dei confini di un solo paese: la rivoluzione proletaria, che per il marxismo è internazionale perché riguarda la classe proletaria internazionale e perché i suoi compiti sono internazionali, può anche cominciare, in un primo tempo, in un solo paese e giungere in questo paese – date tutte le condizioni oggettive e soggettive favorevoli – alla conquista del potere politico; e, una volta conquistato il potere e instaurata la dittatura di classe, l’intervento della dittatura proletaria nell’economia del paese in cui si è vinta la rivoluzione può e deve iniziare a trasformare i rapporti di produzione e di proprietà borghesi, ben sapendo che l’integrale trasformazione economica in socialismo non sarà mai possibile in un solo paese, fosse anche il paese capitalisticamente più sviluppato del mondo (1). Nel programma di partito, oltretutto, non ci si limita a dire che tale integrale trasformazione economica e sociale non è attuabile all’interno dei confini di un solo paese; si afferma drasticamente che non è nemmeno concepibile, dunque nemmeno ipotizzabile in teoria!

Che cosa è cambiato dal 1948, anno in cui è stato scritto il programma del partito, basato sul programma di Livorno 1921 e sul bilancio contenuto del Tracciato d’impostazione e nelle Prospettive del dopoguerra, entrambi del 1946, e per noi perfettamente validi ancora oggi e per tutto il periodo che porta alla futura situazione rivoluzionaria o, malauguratamente, alla futura crisi di guerra mondiale in assenza di movimento proletario classista e rivoluzionario? Vi è stato forse uno svolto storico della stessa portata della prima o della seconda guerra mondiale?, o della stessa portata del movimento proletario rivoluzionario del primo dopoguerra e della rivoluzione proletaria vittoriosa nel 1917 in Russia? In realtà vi è stato un prolungarsi straodinario di un corso controrivoluzionario che non ha fatto che confermare in pieno sia il bilancio politico che il partito ha fatto nel secondo dopoguerra, sia la formulazione dei compiti del partito nella sua ricostituzione organizzativa basati sui principi invarianti del marxismo, uno dei quali, per l’appunto, è quello sintetizzato nel nostro programma che prevede, tra i compiti della dittatura proletaria, certamente la trasformazione economica e sociale, dal capitalismo al socialismo, ma la cui integrale attuazione non è concepibile all’interno dei confini di un solo paese.

Nel 1921, alla costituzione del Partito comunista d’Italia, nei 10 punti del suo programma non si sentiva il bisogno di affrontare specificamente il problema del “socialismo in un solo paese” semplicemente perché era assodato per le forze marxiste che il socialismo lo si poteva attuare integralmente solo a livello internazionale, e perché nella lotta internazionale fra la classe rivoluzionaria del proletariato e la classe conservatrice e reazionaria della borghesia non era ancora emersa una forza opportunista così rilevante come lo stalinismo – che generò appunto quella teoria –, che fondeva le ondate opportuniste precedenti storicamente devianti dal corso rivoluzionario del proletariato: la socialdemocratica, con la sua via graduale e pacifica al socialismo; la socialsciovinista, con la caduta nell’unione sacra e nell’alleanza nazionale con la propria borghesia; aggiungendovi una terza degenerazione, quella del frontisimo, del collaborazionismo interclassista, delle azioni di guerra partigiane e dei fronti comuni in difesa della democrazia o per il suo ripristino nei paesi di totalitarismo aperto come nel caso del fascismo italiano e del nazismo tedesco.

La teoria del “socialismo in un solo paese” servì alle forze del capitalismo in Russia per irreggimentare il proletariato russo e sfruttarlo bestialmente allo scopo di sviluppare l’economia capitalista nazionale fatta passare per socialista (e questa mezogna si diffuse anche negli altri paesi che si definirono “socialisti”, a partire dalla Cina di Mao-tse Tung nel 1949), mentre negli altri paesi occidentali, capitalisticamente sviluppati, servì per ottenere dai rispettivi proletariati un sostegno attivo alle ragioni di Stato russe (mimetizzate sotto il mito dello “Stato guida” e del “socialismo reale”) e, nello stesso tempo, per rafforzare la collaborazione interclassista e illudere il proletariato che, in ogni paese, la sua prospettiva di classe doveva passare attraverso una “via nazionale al socialismo” che, nei fatti, decretava l’asservimento ancor più pesante del proletariato di ogni paese alle esigenze dei rispettivi capitalismi nazionali. Da questa teoria nacquero le più oscene falsificazioni non solo sulla realtà economica della Russia (“costruzione del socialismo” e del “comunismo” in un paese, invece, avviato freneticamente a sviluppare un mercato nazionale e una struttura produttiva capitalistica allo scopo di competere con le altre potenze mondiali sul mercato mondiale), ma su tutti gli aspetti caratteristici del marxismo trasformando la lotta di classe proletaria antiborghese ed anticapitalistica in una “lotta” per le riforme, per una gestione economica più equa, per un’economia aziendale e nazionale in grado di competere con la concorrenza ecc. ecc. La democrazia (popolare, diretta, vera, moderna, piena, economica, sociale, repubblicana, parlamentare ecc.) diventava così il cavallo di battaglia non solo della lotta “antifascista”, ma anche della lotta politica quotidiana dopo che i fascismi erano stati vinti militarmente nella seconda guerra imperialista. La “via nazionale al socialismo” non poteva che significare il tradimento della consegna classista, tradimento che dal vecchio riformismo e dal vecchio socialsciovinismo si sciolse nella più triviale collaborazione fra le classi, di fatto ereditandola dallo stesso fascismo che si volle “battuto”.

Una delle pratiche consuete dell’opportunismo è quella di storpiare il senso dei concetti o delle frasi ricavati dai testi marxisti, traendone poi una conclusione del tutto opposta rispetto alle conclusione che ne trae il marxismo. Tipica la conclusione errata dalla famosa frase: l’emancipazione del proletariato è opera del proletariato stesso, per giustificare il fatto che il partito di classe non è indispensabile e che, anzi, il proletariato ha tutto l’interesse di “fare da sé” senza e contro i partiti, visto che “la storia” avrebbe dimostrato che “i partiti” non sono riusciti a vincere la borghesia e a cambiare la società, ma uno dopo l’altro sono degenerati. Di base c’è una interpretazione della classe proletaria in senso sociologico e non in senso rivoluzionario. La classe proletaria, in senso sociologico, è classe per il capitale; la classe proletaria, in senso rivoluzionario, cioè definita non dalla sua semplice condizione materiale nella società capitalistica, ma dalle sue finalità storiche, è classe per sé, ossia, in ultima analisi, la classe che rivoluzionerà l’intera società facendo scomparire la divisione in classi e, quindi, anche se stessa. La classe dei salariati che lotta sul terreno immediato per difendere il salario e per aumentarlo, è la classe che, guidata sul terreno politico rivoluzionario dal suo partito di classe, lotta dialetticamente per l’abolizione del salariato e, quindi, per l’abolizione di se stessa come classe. Il corso rivoluzionario del proletariato passa attraverso l’affermazione della classe proletaria come classe dominante e la sua dittatura di classe (dittatura esercitata dal partito di classe che ne rappresenta le finalità storiche), volta a distruggere i rapporti di produzione e di proprietà borghesi sul piano internazionale perché internazionale è il dominio del capitalismo e, quindi, della classe borghese. Questo corso rivoluzionario, come abbiamo detto sempre, non si ferma alla fase della dittatura di classe del proletariato; non vi sarà semplicemente la sostituzione di una classe dominante con un’altra, ma l’inizio di un lungo processo storico di trasformazione della società divisa in classi nella società senza classi, nella società di specie che non può essere concepita se non a livello mondiale. Tale traguardo finale, per coloro che hanno una visione immediatista e gradualista, può essere raggiunto a tappe, paese per paese, attraverso un processo di trasformazione “integrale” anche a livello economico che si svolga nei confini di ogni singolo paese in cui la rivoluzione proletaria abbia vinto e in cui l’economia “nazionale” capitalistica si sia sviluppata almeno a livello industriale. Questa visione presuppone, inoltre, che i confini formali che separano un paese capitalistico da ogni altro costituiscano una specie di recinto protettivo all’interno del quale, nella situazione di guerra rivoluzionaria tra lo Stato proletario e le forze di resistenza borghesi interne ed esterne, sia possibile da parte del potere proletario agire senza che le potenze capitalistiche esistenti agiscano con tutti i mezzi a disposizione contro di esso. Come se, una volta vinta la rivoluzione in quel determinato paese capitalistico avanzato, il potere proletario potesse dedicarsi alla trasformazione della società anche sul piano economico avendo tutto il tempo necessario a disposizione senza dover, invece, per un tempo non certo breve, dedicare la gran parte delle sue forze a difendere con le armi il potere conquistato dagli attacchi concentrici di tutte le forze del capitalismo mondiale.  

La visione idealistica, o materialistica volgare, non riesce a concepire il processo di sviluppo della lotta fra le classi nei rapporti contraddittori e dialettici della realtà sociale, cadendo irrimediabilmente in una sorta di immediatismo e, di fatto, accettando la divisione della società in classi contrapposte come una condizione perenne dalla quale il proletariato potrà “emanciparsi” soltanto idealmente o attraverso processi di trasformazione sedicentemente facilitati, paese per paese, dallo sviluppo economico capitalistico che, automaticamente, metterebbe i proletari nelle condizioni di sostituirsi ai vecchi gestori e proprietari delle aziende per farle funzionare non per il “profitto capitalistico”, ma per il “bene comune”.

Di fatto, pensare che la trasformazione economica possa avvenire integralmente anche in un solo paese, purché sviluppato capitalisticamente – anche ammettendo la rivoluzione proletaria violenta, l’abbattimento dello Stato borghese e l’intervento dispotico nell’economia per la sua trasformazione da capitalistica in socialista – non si discosta dalla teoria staliniana che voleva la stessa cosa, ma per l’arretrata Russia, e che chiamava “socialismo” quello che, invece, era lo sviluppo dell’economia capitalistica in uno sconfinato paese arretrato, ossia lo sviluppo delle basi economiche del socialismo. Non è un caso che dalla teoria del socialismo in un solo paese siano nate le “vie nazionali al socialismo” che hanno infestato non solo i paesi economicamente arretrati, ma soprattutto i paesi capitalistici avanzati.

Pensare che sia possibile la trasformazione integrale dell’economia capitalistica in economia socialista in un solo paese purché a capitalismo avanzato, mentre tutti gli altri paesi restano ancora sotto il dominio capitalistico e borghese, porta inevitabilmente a concludere che sia possibile, sempre in un  solo paese, il passaggio ulteriore dal socialismo al comunismo, alla società senza classi, alla società di specie. Si darebbe ragione, alla fin fine, agli argomenti che usò lo stalinismo per falsificare il marxismo nel descrivere la realtà economica e sociale della Russia degli anni Venti del secolo scorso, solo che questa volta verrebbero usati per un paese capitalisticamente non arretrato. La teoria del socialismo in un paese solo porta inevitabilmente alla teoria del comunismo in un paese solo; per bene che vada, si finisce per teorizzare l’esistenza di un paese felicemente giunto al superamento completo del capitalismo in piena epoca imperialista, tornando all’utopismo premarxista.

Il marxismo è la teoria del socialismo scientifico che ha previsto tutto il corso storico dello sviluppo rivoluzionario della lotta fra le classi, fino allo sbocco finale della società senza classi; ma ha potuto formulare questa teoria soltanto nell’epoca in cui lo sviluppo delle forze produttive, attraverso il modo di produzione capitalistico, si è internazionalizzato convogliando tutti i popoli del mondo verso un’unica legge economica, quella del capitalismo sebbene caratterizzato da uno sviluppo economico ineguale che permette ad un piccolo gruppo di potenze di colonizzare e asservire la gran parte dei popoli, e quindi dei paesi del mondo. Le basi economiche per una nuova organizzazione sociale, il capitalismo le ha sviluppate di più in alcuni paesi e meno in molti altri paesi, ma queste basi economiche sono costituite dallo sviluppo della tecnica industriale e dalla proletarizzazione della gran parte della popolazione mondiale. L’ineguale sviluppo del capitalismo comporta un ineguale sviluppo della maturazione nella lotta di classe della potenzialità rivoluzionaria dei proletariati dei diversi paesi; perciò la rivoluzione proletaria può iniziare anche in un solo paese se in quel paese si sono combinati favorevolmente i diversi fattori oggettivi e soggettivi della rivoluzione. Se la rivoluzone proletaria vince, il proletariato conquista il potere politico, instaura la sua dittatura di classe e quindi stabilisce il suo dominio politico di classe nel paese o nel territorio che la rivoluzione controlla e difende; solo dopo questa vittoria lo Stato proletario ha la possibilità di intervenire nei rapporti di produzione e sociali borghesi, e i suoi interventi, volti alla distruzione di quei rapporti e alla loro sostituzione con rapporti di produzione e sociali socialistici, non potranno che svolgersi nelle condizioni materiali in cui si trova la struttura economica e sociale del paese e nelle condizioni delle relazioni internazionali con i proletariati degli altri paesi – e in particolare dei paesi capitalisti avanzati – e della lotta di difesa e di offesa contro i paesi capitalisti che sicuramente si coalizzeranno contro lo Stato proletario come la storia passata ha già dimostrato ampiamente. Il livello e la profondità della trasformazione economica che si possono raggiungere nel paese in cui si è conquistato il potere e instaurata la dittatura di classe non dipendono soltanto dalla volontà del potere politico proletario; dipendono da una serie di fattori economici, sociali, politici e militari che non riguardano esclusivamente il paese in cui la rivoluzione ha vinto e il suo proletariato diventato classe dominante, ma tutto il sistema economico e politico internazionale. Il marxismo, questo concetto, lo ha ribadito in tutta la sua opera. 

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La teoria marxista è per sua natura e origine teoria mondiale che non può essere declinata per comparti nazionali separati gli uni dagli altri. Essa comprende e spiega le diverse fasi storiche dello sviluppo economico e sociale delle società divise in classi e, come ogni teoria scientifica, formula un modello sulla base dell’esperienza storica e materiale dei diversi modi di produzione, anche se quel modello non lo si trova perfettamente realizzato in nessun paese singolarmente preso; ciò è valso per tracciare gli elementi costitutivi della società schiavista, della società feudale, della società capitalistica e, per quest’ultima, l’avanzata Inghilterra del 1800 fornì al marxismo tutti gli elementi per caratterizzare e spiegare l’economia capitalistica, scoprendone il mistero fondamentale contenuto nel plusvalore estorto al proletariato salariato, e il suo necessario sviluppo mondiale e la sua storica fine; mentre la Francia del secolo XIX fornì al marxismo tutti gli elementi per caratterizzare e spiegare la lotta del proletariato moderno nelle sue finalità storiche, e la Germania dello stesso secolo fornì al marxismo tutti gli elementi filosofici della dialettica per formulare il metodo del materialismo dialettico e storico caratterizzante il marxismo stesso e la sua interpretazione dello sviluppo delle società umane nella storia. La visione universale della teoria marxista non è il risultato di tante visioni parziali sommate tra di loro, né il risultato di una concezione dipendente dal momento storico in cui è stata formulata: essa, come abbiamo tante volte sottolineato, non si limita ad interpretare il mondo ma a descriverne il corso storico fino al cambiamento totale dell’organizzazione sociale umana. Per la prima volta nella storia delle società divise in classi, la società che lo sviluppo delle forze produttive pone come suo sbocco necessario è una società che fin dal suo nascere ha caratteri non individuali ma sociali, non nazionali ma internazionali. La grande industria, arrivata al suo pieno sviluppo, viene in conflitto con i limiti entro i quali la confina il modo di produzione capitalistico; le forme di produzione e i rapporti sociali capitalistici impediscono l’ulteriore sviluppo delle forze produttive, la produzione sempre più sociale e internazionale, costretta nella forma di merci, circola attraverso le forme dello scambio capitalistico; i mezzi di produzione, trasformati in capitali, producono merci attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato e il fine della produzione cambia: da valori d’uso i prodotti-merci si trasformano in valori di scambio, il capitale-mezzo-di- produzione si valorizza attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato (tempo di lavoro operaio non pagato = pluslavoro = plusvalore) e lo scambio mercantile; il modo di produzione capitalistico, sviluppandosi, distrugge e supera i modi di produzione precedenti, imponendosi non in un solo paese, ma nel mondo come modo di produzione da cui dipende la vita di tutta l’umanità. Sviluppandosi e diffondendosi nel mondo, il capitalismo trasforma le grandi masse contadine e artigianali in masse proletarie, in masse di senza riserve la cui vita dipende esclusivamente dal modo di produzione capitalistico e dalle forme sociali di appropriazione privata della produzione capitalistica. La contraddizione tra produzione sociale e appropriazione capitalistica si presentò come antagonismo tra proletariato e borghesia (2).

L’orizzonte del modo di produzione capitalistico non è più, dunque, come nel feudalesimo, il feudo, se non addirittura il borgo, ma la nazione, prima, col suo mercato nazionale e, poi, il mondo con il suo mercato internazionale. La classe borghese, per le forme di appropriazione privata della produzione sociale, non può essere che la rappresentante del capitalismo nazionale i cui interessi di classe trovano nello Stato centrale il loro più efficace difensore; sull’onda dello sviluppo delle forze produttive che il suo stesso modo di produzione accresce continuamente al di fuori del suo controllo, essa è spinta dalla concorrenza sempre più internazionale e dalle stesse cicliche crisi economiche a “unire le forze”, associarsi in trust, in società anonime scavalcando non solo i confini delle singole aziende, ma i confini statali dei singoli paesi. La divisione capitalistica del lavoro diventa la divisione internazionale del lavoro: ciò che le forme della produzione capitalistica cercano di dividere, le forze produttive tendono ad unire. La contraddizione tra forze produttive e forme di produzione tocca il livello massimo con lo sviluppo del capitalismo alla scala internazionale: il mondo è pronto per una nuova organizzazione sociale dal punto di vista economico, grazie allo straordinario sviluppo della grande industria, e dal punto di vista sociale, grazie alla creazione di una vasta classe proletaria in tutti i paesi del mondo. Così, come i caratteri della rivoluzione necessaria a partorire la nuova società sono caratteri internazionali e proletari, in quanto la classe proletaria non ha nulla da difendere in qualsiasi paese capitalista sopravviva, così i caratteri del socialismo – quindi della società che si avvia al superamento della divisione in classi – non possono essere che internazionali e far da base, in questo senso, alla società comunista, alla società di specie.

Leggendo gli scritti di Marx, Engels, Lenin, Trotsky, Bordiga o di qualsiasi altro rivoluzionario marxista o gli scritti anonimi di partito, può succedere di venire assaliti da un dubbio; e solitamente capita che il dubbio sorga non dalle parole contenute in un concetto o in una frase ma dall’interpretazione che si dà di quel concetto o di quella frase (3). Ci sono coloro che pensano che il marxismo non abbia definito tutti gli aspetti principali della teoria rivoluzionaria del comunismo e perciò ritengono di doverlo “aggiornare”; oppure che, in una determinata frase, sia nascosta una “verità” mai venuta alla luce nella sua “interezza”. E possono anche credere di essere loro ad aggiungere al marxismo quel che suppongono manchi, o di aver “scoperto” quella verità nascosta, facendosi affascinare dalla forza sprigionata dall’intepretazione data personalmente a quella determinata frase e cavalcare il dubbio sorto da quella interpretazione cercando nel “personale” bagaglio di letture dei punti di riferimento a sostegno della propria “interpretazione”. Di novelli “teorici”, che “superano” Marx o che “scoprono” lati del marxismo finora “nascosti”, ne abbiamo visti passare molti e molti ne passeranno ancora visto che l’influenza ideologica borghese, che genera la presunzione personale di “aggiornare” il marxismo, non terminerà i suoi effetti negativi se non con la sconfitta generale e mondiale della classe borghese e della sua società. E questo è motivo costante della necessità di critica da parte del partito di ogni espressione che va a cozzare contro i principi e le linee politiche e programmatiche definite dalle battaglie di classe sostenute nelle diverse fasi storiche dal marxismo e, in suo nome, dalla Sinistra comunista d’Italia. Tra l’altro, estrapolare una frase dal contesto generale dello scritto che la contiene, o dal lavoro collettivo e generale di partito, non è mai metodo corretto; tanto meno lo è quello di elevare una interpretazione personale ad elemento atto a mettere in dubbio un punto del nostro programma di partito. Ciò non toglie che dubbi ne possono sorgere non solo su questioni pratiche e di tattica – cosa certamente molto frequente in un partito che agisce e che interviene sul terreno immediato e politico anche se con forze modestissime – ma anche su questioni più generali, di valutazione delle situazioni o di teoria, come nel caso della teoria del “socialismo in un solo paese”; prendiamo questi dubbi come buone occasioni per riprendere lo studio e l’approfondimento di temi teorici di primaria importanza.

Ognuno di noi, nello sforzo persistente di tenersi aggrappato al patrimonio teorico e politico della Sinistra comunista e, quindi, al marxismo rivoluzionario, in una situazione di pesante intossicazione democratica delle classi proletarie e di pervicace assenza della lotta classista – in assenza quindi di un ambiente sociale che darebbe vigore anche all’attività e all’azione del partito di classe – ognuno di noi, dicevamo, è materialmente esposto a subire la pressione di un forzato isolamento e di un’assenza perdurante di quel particolare ossigeno politico e teorico che solo la lotta di classe può diffondere nelle vene e nei cervelli dei proletari e che alberga con fatica oggi nei pochi elementi che formano il nucleo del partito di classe di domani. Ognuno di noi, spinto dalla pressione materiale e ideologica della borghesia, può essere portato a cercare, contro la forza dell’ideologia borghese e delle sue più differenti versioni opportuniste, forme di resistenza nella propria individuale preparazione politica, nelle speranze e nei desideri che vestono la militanza politica di ogni compagno in un partito che è costantemente controcorrente e che, oltre a condizionare con precisi vincoli politici e organizzativi il proprio sviluppo, condiziona inevitabilmente anche la vita individuale dei suoi militanti. Il rischio da parte dei militanti di cadere nello scoraggiamento e di cedere rispetto alle certezze politiche che in precedenza ci hanno dato forza, è sempre presente: nessun compagno è immune da questo rischio e non vi sono garanzie particolari da mettere in atto per non cadere mai in errore, né al centro né alla base del partito. Come ripeteva insistentemente Amadeo Bordiga, la garanzia di non cadere in errore o nell’opportunismo è solo una: “il partito persevera nello scolpire i lineamenti della sua dottrina, della sua azione e della sua tattica con una unicità di metodo al di sopra dello spazio e del tempo” (Tesi di Napoli, 1965); quindi, se il programma del partito è “il cuore della costruzione marxista” (Dialogato con Stalin, 1952), non si possono scolpire i lineamenti della dottrina – da cui discende il programma del partito – mettendo in discussione il programma stesso, perché mettendolo in discussione si mettono in discussione gli stessi lineamenti della dottrina e ci si pone inevitabilmente in contrastocon tutto ciò che ha rappresentato il lavoro teorico e politico del partito nella sua storia.

Nella lettura di uno scritto di partito, di uno scritto dell’importanza della Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, è sorto il dubbio che “la lotta contro la teoria del socialismo in un solo paese” [lotta che viene affermata in tutto il lavoro di restaurazione teorica e politica prodotto dal partito dalla sua ricostituzione in poi] sarebbe giustificabile solo nei confronti di un paese in cui le “basi economiche del socialismo” – ossia, il capitalismo maturo – devono essere ancora “costruite”, mentre non lo sarebbe nei confronti di un paese a capitalismo maturo, perciò pronto per la trasformazione anche dal punto di vista economico. Tale dubbio si basa, in realtà, su una intepretazione sbagliata della frase contenuta nel paragrafo intitolato “Rivoluzione in un solo paese” alle pagine 22-23 della Struttura. L’errore sta nel dedurre che, essendo presenti in un paese a capitalismo maturo le due condizioni necessarie perché il socialismo sia storicamente possibile [prima condizione necessaria: paese dove la produzione e la distribuzione si svolgono generalmente in forme capitalistica e mercantile, ossia che vi sia largo sviluppo industriale, anche di aziende agricole, e mercato nazionale generale; seconda condizione necessaria: il proletariato e il suo partito pervengono a rovesciare il potere borghese e assumono la dittatura], la dittatura proletaria passi a distruggere immediatamente i rapporti di produzione mentre le basi economiche, essendo già costruite, possano subito passare alla trasformazione socialista.

Andiamo per ordine: una cosa è sostenere che, in presenza delle due condizioni necessarie ricordate sopra, bisogna distruggere immediatamente i rapporti di produzione e passare subito alla trasformazione socialista anche in economia, un’altra è sostenere che “si può e si deve iniziare immediatamente a distruggere i rapporti borghesi di produzione e di proprietà”, come è effettivamente scritto nella Struttura. Il fatto che siano già presenti le basi economiche permette alla dittatura proletaria di iniziare a distruggere i rapporti borghesi di produzione e di proprietà, non di distruggerli immediatamente.

Il verbo iniziare non è messo a caso; la prospettiva rivoluzionaria è e rimane internazionale, come è e rimane internazionale la possibilità di attuare integralmente la trasformazione economica socialista. Se così non fosse, non dovremmo leggere nel programma del partito, al punto 6, “Solo la forza dello Stato proletario potrà sistematicamente attuare tutte le successive misure di intervento nei rapporti dell’economia sociale, con le quali si effettuerà la sostituzione al sistema capitalistico della gestione collettiva della produzione e della distribuzione”; e non dovremmo leggere, al punto 11, quel che abbiamo ricordato sopra, e cioè che “La difesa del regime proletario dai pericoli di degenerazione insiti nei possibili insuccessi e ripiegamenti dell’opera di trasformazione economica e sociale, la cui integrale attuazione non è concepibile all’interno dei confini di un solo paese, può essere assicurata solo da un continuo coordinamento della politica dello Stato operaio con la lotta unitaria internazionale del proletariato di ogni paese contro la propria borghesia e il suo apparato statale e militare...”.

Se così non fosse, avremmo dovuto trovare nel programma del partito affermazioni del tutto diverse, come, ad esempio al punto 6: “Solo la forza dello Stato proletario potrà sistematicamente attuare immediatamente tutte le misure di intervento nei rapporti dell’economia sociale ...”; o, ad esempio al punto 11: “... dell’opera di trasformazione economica e sociale, la cui integrale attuazione è possibile all’interno dei confini di un solo paese purché a capitalismo maturo, ...”.

Affermare, sebbene in modo succinto, nella stessa Struttura,  (p. 23) che la tesi marxisticamente condannata non è: “Anche in un solo paese di pieno capitalismo è possibile la trasformazione socialista”, non significa sostenere che in un solo paese di pieno capitalismo si può passare immediatamente alla trasformazione socialista anche in economia; infatti, subito dopo, continuando la polemica sulla pretesa di costruire il socialismo nella sola Russia arretrata e feudale, il testo sottolinea che tale trasformazione economica non può avvenire “senza l’appoggio della trasformazione socialista in alcuni paesi capitalisti già sviluppati”. Sappiamo, d’altra parte, che, se la conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario vittorioso può avvenire, per cominciare, anche in un solo paese – ma sempre nel quadro della rivoluzione internazionale – [In date condizioni storiche di forza del proletariato è ammissibile la conquista del potere politico in un solo paese, p. 23, Struttura] non si teorizza che deve avvenire in un solo paese, come non si teorizza che deve avvenire simultaneamente in tutti “i paesi civili” o in un gran numero di quei paesi. E sappiamo che, in presenza delle condizioni storicamente necessarie, la dittatura proletaria, vittoriosa anche in un solo “paese civile”, “comincia subito la trasformazione socialista, fatto distruttivo più che costruttivo”: cominciare non vuol dire attuare immediatamente, poiché non si può sapere in anticipo quanto tempo richiederà e in che spazio si realizzerà il processo rivoluzionario di distruzione dei rapporti borghesi di produzione e di proprietà nel mondo. Come si può – e si deve, date le condizioni storiche generali favorevoli – cominciare la rivoluzione proletaria internazionale partendo anche da un paese soltanto, così, a vittoria avvenuta nel dato paese si può – e si deve cominciare a distruggere i rapporti borghesi di produzione e di proprietà.

Il tempo che ci vorrà perché l’intero processo rivoluzionario si concluda con la vittoria internazionale della classe proletaria dipenderà dalla guerra di classe scatenata a livello internazionale e dal suo andamento, dal sostegno reale che la lotta rivoluzionaria nei paesi capitalisti potrà effettivamente dare al primo Stato proletario eretto, dall’isolamento nel quale il potere proletario conquistato nel tal paese sarà tenuto dalle forze dell’imperialismo mondiale, dalla struttura economica industriale e agraria e dalle risorse naturali del paese in cui si è preso il potere e dalle sue condizioni dopo la guerra e la rivoluzione, dalla fermezza e dall’organica compattezza della dittatura proletaria esercitata dal partito di classe internazionale nel paese in cui la rivoluzione ha vinto, dal territorio effettivamente controllato dalla dittatura proletaria e dall’andamento della guerra civile interna scatenata dalle forze borghesi interne non completamente debellate e da quelle esterne in loro appoggio, ecc. ecc. I confini del paese in cui la rivoluzione ha vinto, proprio in conseguenza della guerra imperialista e della rivoluzione proletaria, sono stati e saranno estremamente mobili; non sono certo dei muri invalicabili.

Resta in ogni caso il fatto che la dittatura proletaria ha tutto l’interesse, e il dovere nei confronti del proletariato sia di casa che degli altri paesi, ad iniziare a distruggere non solo sul piano politico ma anche sul piano economico la forza delle classi borghesi, dai grandi capitalisti ai medi e piccolo-borghesi, ben sapendo che il periodo della dittatura proletaria, a cominciare dal paese o dai paesi in cui la rivoluzione proletaria ha vinto, può essere anche molto lungo e che l’unica possibilità di resistere nel tempo e di essere effettivamente il primo bastione della rivoluzione proletaria internazionale è il “continuo coordinamento della politica dello Stato operaio con la lotta unitaria internazionale del proletariato di ogni paese contro la propria borghesia e il suo apparato statale e militare” (punto 11 del programma del nostro partito).

Delle due l’una: o il programma del partito è ineccepibile, perfettamente coerente con l’impostazione teorica e politica del marxismo, e con il bilancio storico e politico delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni che il partito ha tratto nel suo pluridecennale lavoro di restaurazione della dottrina marxista, oppure è un testo interpretabile in modi diversi e perciò modificabile a seconda del risultato delle discussioni o delle situazioni contingenti. Siccome nel partito non facciamo baratto di principi, concepiamo valido il programma del partito nella sua formulazione originaria. Solo uno svolto storico di crisi di guerra e rivoluzionaria, per la sua universalità e la sua profondità nel tessuto sociale ed economico dei paesi di tutto il mondo, può costituire motivo per scolpire meglio il programma stesso: scolpirlo meglio non vuol dire modificarlo o stravolgerlo. Le conseguenze della profonda e vasta sconfitta subita dal movimento comunista internazionale e dalla lotta di classe e rivoluzionaria del proletariato dal 1926 in poi non potevano non essere tenute in conto dal lavoro di restaurazione teorica e politica messo in opera dalle forze della Sinistra comunista d’Italia che, sul finire della seconda guerra mondiale, si riorganizzarono nella forma di partito. Così, il programma di Livorno 1921, che ha costituito la base del programma del partito comunista internazionalista, e poi internazionale, è stato completato per la fase storica apertasi con la vittoria mondiale della controrivoluzione portandolo ad una migliore e più chiara definizione. Non abbiamo nulla da cambiare.

Come riferito nel rapporto tenuto alla Riunione, ci si è limitati ad alcune citazioni dei molti testi presi in considerazione e che nelle prossime puntate riporteremo. Particolare attenzione è stata data anche a un punto per noi fondamentale su questa questione: il presupposto teorico di tutta la questione è che il comunismo non è un modello di società ideale da dover realizzare, ma lo sbocco storico necessario di uno sviluppo materiale dei modi di produzione che si sono succeduti nelle diverse epoche, ultimo dei quali, nelle società divise in classi, il modo di produzione capitalistico. Ci si è perciò soffermati sul fatto che il passaggio dal capitalismo al comunismo non solo può e deve avvenire attraverso la distruzione del potere politico della classe dominante borghese – dunque attraverso la rivoluzione proletaria guidata dal partito di classe – nel quadro inevitabilmente internazionale anche se, per ragioni di maturazione ineguale, da paese a paese, delle condizioni materiali, sociali e politiche, la lotta rivoluzionaria del proletariato può conquistare il potere in un paese prima che in altri paesi (e questa vittoria può avvenire in un paese economicamente arretrato, come fu il caso della Russia zarista nel 1917); ma, dal punto di vista economico, la trasformazione della società da capitalista a socialista e, nel passaggio ulteriore, a comunista, non potrà mai avvenire nei limiti di un solo paese anche se questo paese fosse il più sviluppato capitalisticamente rispetto a tutti gli altri paesi del mondo. Questa affermazione non è idealistica né dettata da un pregiudizio morale o etico: è la conclusione dell’analisi materialistica storica e dialettica dello sviluppo reale delle società divise in classi, e del loro sviluppo ineguale: ineguaglianza che, sotto il capitalismo, non si è attenuata ma si è ulteriormente approfondita.

L’ineguaglianza di sviluppo del capitalismo a livello mondiale può, in una certa misura, facilitare la rivoluzione proletaria e la conquista del potere in un paese, magari arretrato, come fu per la Russia nel 1917 (come ebbe ad affermare Lenin), ma di per sé non rende più facile la trasformazione economica in socialismo all’interno del paese in cui si è instaurata la dittatura proletaria, se il paese in questione è a capitalismo maturo, proprio in ragione degli elementi citati prima, ossia per le condizioni di assedio e di guerra di tutti gli Stati borghesi coalizzati contro lo Stato proletario del paese in cui è stato spezzato lo Stato borghese e il potere è passato nelle mani del proletariato rivoluzionario.

D’altra parte, anche quando parliamo di capitalismo maturo e, quindi, di basi economiche industriali e agrarie capitalisticamente sviluppate, sappiamo che restano sempre delle sacche, più o meno vaste, a seconda del paese e delle condizioni economiche determinate dalle crisi economiche o di guerra, di aree più arretrate rispetto ad altre. “Nelle crisi commerciali – afferma il Manifesto del 1848 – viene regolarmente distrutta non solo una gran parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche anteriori sarebbe apparsa un assurdo: l’epidemia della sovraproduzione. La società si trova all’improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l’industria e il commercio sembrano distrutti”. Dunque, se già nelle crisi economiche e commerciali la società borghese cade in uno stato di “momentanea barbarie” e una gran parte delle forze produttive già create “viene regolamente distrutta”, figuriamoci in che stato si può trovare un paese, a capitalismo maturo, devastato dalla guerra imperialista, durante e dopo la guerra generale. La rivoluzione proletaria vittoriosa in che condizioni economiche troverà il paese in cui riesce a vincere? Pensiamo davvero che la classe dominante borghese del paese il cui potere sta per essere rovesciato dal proletariato rivoluzionario, non farà di tutto per sabotare non solo militarmente ma anche economicamente le strutture, gli impianti, le riserve alimentari ecc. per mettere le forze proletarie nelle condizioni peggiori possibili nel caso momentaneamente vincessero? E non farebbe di tutto, alleandosi con le borghesie degli altri Stati ancora saldamente in loro potere, per scatenare contro il potere proletario momentaneamente vittorioso – nonostante la guerra che si fanno tra di loro – le forze militari e reazionarie del mondo intero? Non sottovalutiamo certo la forza delle masse proletarie rivoluzionarie lanciate all’assalto del potere politico se guidate da un forte e compatto partito di classe, ma saremmo del tutto incoscienti e ben poco lungimiranti se sottovalutassimo la forza di resistenza dei poteri borghesi che – come sosteneva Trotsky – di fronte alla reale minaccia di perdere il potere come classe sociale sono in grado di decuplicare la loro forza da tutti i punti di vista, comprese – e da non sottovalutare mai – le forze dell’opportunismo. L’hanno fatto con la Comune di Parigi, l’hanno fatto con la Russia bolscevica, lo rifaranno ad un grado ancora più alto domani di fronte alla rivoluzione vittoriosa in un paese capitalista avanzato. Mai dare per vinta la classe dominante borghese fino a quando non lo sarà storicamente nella gran parte dei paesi capitalisti avanzati.

La classe borghese è per sua natura nazionale ed è sempre in lotta contro ogni altra classe borghese straniera, ma il modo di produzione capitalistico poggia su basi tendenzialmente internazionali anche se imbrigliato nelle forme di produzione e di proprietà borghesi e, quindi, private, protette e difese dalla forza militare concentrata nello Stato, cosa che permette alla classe borghese di ogni paese non solo di dominare economicamente e politicamente ma anche di rimettere in moto, in qualche modo e in assenza di rivoluzione proletaria, l’apparato produttivo e distributivo dopo ogni crisi economica o guerra. E’ l’internazionalità del modo di produzione capitalistico che ha creato, pur in tempi diversi, le masse salariate in tutti i paesi, rendendo sempre più attuale la necessità di risolvere le sempre più forti contraddizioni della società borghese con il sollevamento rivoluzionario dei proletariati di ogni paese in una prospettiva rivoluzionaria che è e rimane essenzialmente internazionale sia sul piano della lotta politica sia su quello della lotta per la trasformazione economica della società.

A differenza della classe borghese che, per la sua rivoluzione nazionale, ha potuto poggiare su un modo di produzione che già si stava sviluppando all’interno della vecchia società feudale, o patriarcale o asiatica, e favorita dal fatto che la vecchia società era già divisa in classi e la nuova società borghese non faceva che semplificare – grazie al modo di produzione capitalistico – le classi in cui la società continuava ad essere divisa, ereditandone le forme di proprietà privata e di organizzazione statale, la classe proletaria dovrà poggiare esclusivamente sulla sua forza sociale di classe salariata. Essa non ha alcuna possibilità di poggiare sul modo di produzione comunista prima di fare la sua rivoluzione politica per la conquista del potere politico, perché il modo di produzione comunista non poggia sulla divisione della società in classi, ma sulla società senza classi che sarà lo sbocco finale di tutto il processo rivoluzionario che dialetticamente – proprio attraverso la rivoluzione di classe, la presa del potere politico da parte della classe proletaria, l’instaurazione della dittatura di classe e il suo esercizio da parte del partito di classe, la lotta di classe rivoluzionaria a livello internazionale e la guerra di classe contro tutte le borghesie del mondo – supera completamente e internazionalmente la società capitalistica ed ogni residuo di società divisa in classi.

Il periodo di dittatura del proletariato è il periodo della trasformazione socialista della società, prima di tutto politica e sociale e poi economica, a cominciare dal paese – e non si può escludere a priori che la rivoluzione proletaria vinca, in un periodo relativamente breve, in più di un paese – in cui la conquista del potere politico è avvenuta e si è resa stabile. La stessa trasformazione economica della società, come detto chiaramente nel nostro programma, non può avvenire integralmente in un solo paese mentre in tutti gli altri domina ancora il capitalismo: la si può, e la si deve, soltanto iniziare perché il ritmo e l’avanzare di questa trasformazione economica dipendono direttamente dallo sviluppo della lotta rivoluzionaria a livello internazionale e dalla effettiva vittoria rivoluzionaria nei paesi capitalisti avanzati o in una buona parte di essi.

La dittatura proletaria del paese in cui la rivoluzione ha vinto, anche se il paese è capitalisticamente avanzato, per tutto un lungo periodo di tempo avrà a che fare con tutti gli altri paesi borghesi verso i quali sosterrà una politica contraddittoria: mentre dichiara apertamente la guerra di classe contro tutte le borghesie del mondo e sostiene la lotta di classe e rivoluzionaria dei proletariati di ogni paese, organizzandola nel Partito Comunista Mondiale, deve nello stesso tempo trattare con lo Stato borghese X o Y tutte le volte che ha la necessità, per esempio, di procurarsi materie prime per l’industria o derrate alimentari per sfamare i proletari delle città e i proletari dell’Esercito Rosso, materie prime e derrate alimentari che non possiede internamente se non in parte o in piccola parte. Dovrà perciò avere a disposizione dei capitali e delle risorse naturali per gli scambi e “sfruttare” il proprio proletariato industriale a questo scopo; per un periodo di tempo, che potrebbe essere anche lungo, non potrà avere la possibilità di passare immediatamente a tutte le misure economiche che caratterizzano la società socialista, ma solo ad una parte di quelle misure. Ciò nonostante, l’obiettivo del potere rivoluzionario del proletariato è di agire contemporaneamente all’interno del paese o del territorio controllato dalle sue forze armate e all’esterno: all’interno, per neutralizzare e soffocare ogni tentativo delle classi borghesi di riorganizzarsi e contrattaccare, all’esterno in sostegno della lotta rivoluzionaria dei proletariati degli altri paesi.

L’azione della dittatura proletaria vittoriosa sarà sempre coordinata sui diversi piani: politico e militare, sociale, ideologico ed economico. L’importante sarà che tutte le misure che la dittatura proletaria prende e prenderà vadano nella direzione del socialismo, verso il socialismo, come diceva Lenin, sapendo che la lotta rivoluzionaria negli altri paesi potrebbe incontrare degli insuccessi, tardare a vincere e, quindi, tardare a portare un solido aiuto al paese in cui la dittatura proletaria ha vinto. In questi casi i tempi della trasformazione economica socialista dell’economia si allungherebbero inevitabilmente, riproponendo quel che Lenin aveva additato – con i suoi famosi “vent’anni di buoni rapporti con i contadini” – alla Russia bolscevica assediata dall’imperialismo mondiale e costretta a resistere in attesa della rivoluzione proletaria vittoriosa almeno in uno o più paesi europei; restringendo a causa di ciò il compito della dittatura proletaria soprattutto a resistere nel tempo, mantenendo saldamente il potere politico in mano, non potendo in quella fase “far avanzare” a ritmo accelerato la trasformazione socialista dell’economia.

Sarebbe utopistico, e in ultima analisi, opportunista, concepire il comunismo, la società di specie, come un modello di società che si può realizzare in un paese solo e che, una volta realizzato, si possa “esportare” (ammettiamo pure con la lotta rivoluzionaria del proletariato) negli altri paesi.

Se al posto della parola “comunismo” ci mettiamo socialismo o, se vogliamo, trasformazione socialista dell’economia capitalista, non cambia: il concetto sarebbe comunque sbagliato. Semmai fosse possibile “costruire il socialismo” in un solo paese, nel senso di trasformare integralmente la società anche dal punto di vista economico, il problema si sposterebbe automaticamente a livello teorico e il marxismo si dimostrerebbe non più l’unica teoria scientifica del salto rivoluzionario dalla società divisa in classi alla società senza classi, ma andrebbe a far compagnia a tutte le altre teorie “socialiste” non scientifiche che la storia delle lotte di classe ha tenuto a battesimo.

 


 

(1) Citiamo a margine, dal resoconto della riunione di partito, Napoli, 1 settembre 1951, Rapporto di Amadeo Bordiga: “E’ vero che siamo sprovvisti di forze di classe per intervenire in questi formidabili avvenimenti [il riferimento è alla terza guerra mondiale, NdR], è anche vero che dobbiamo mantenerci autonomi dall’uno e dall’altro potere [all’epoca gli Usa e l’Urss, NdR], ugualmente antirivoluzionari e combattere a fondo i due “crociatismi”. Ma è infine vero che non possiamo discostarci dalla unica valutazione che si innesta alla dottrina marxista: che la caduta del centro del capitalismo comporta la caduta di tutto il sistema, mentre la caduta del settore più debole può mantenere in vita il sistema borghese mondiale, dato il metodo moderno di annientamento militare e statale del vinto e della sua riduzione a colonialismo passivo”. Qui, giustamente, è tracciata una valutazione in una prospettiva storica, perfettamente valida tuttora, per cui la conquista rivoluzionaria del potere politico del centro del capitalismo mondiale (ad esempio gli Usa) comporta la caduta di tutto il sistema capitalistico: comporta nel senso di facilita, accelera, non nel senso di automatica caduta del sistema capitalistico mondiale.

(2) Cfr. F. Engels, Antiduhring, Edizioni Rinascita, Roma 1956, terza parte “Socialismo”, p. 295.

(3) Citiamo, dallo stesso resoconto richiamato nella nota 1., Rapporto di Amadeo: “Sul problema russo la massima prudenza è necessaria: se è vero che il lavoro fatto dallo svolgimento della lotta delle classi permette di confrontare con espressioni nuove le formulazioni fondamentali del marxismo, è altresì vero che per giungere a questo risultato – che alcuni possono considerare troppo modesto o insignificante – occorre rifuggire dalla mania che ha invaso troppi gruppi e militanti di voler cercare la chiave e di credere di averla trovata con una frase, peggio con una ricetta, a problemi staccati dal loro contesto generale e che si ripete non essere, nella fattispecie, quello russo, ma quello più vasto e generale della controrivoluzione”.

 

 

Partito comunista internazionale

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