Come ti massacrano Lenin

(«il comunista»; N° 139;  Giugno 2015)

 Ritorne indice

 

 

Nel 1970, in occasione dell'uscita di diverse pubblicazioni, raccolte nella serie intitolata "classici del marxismo", da parte di una delle tante case editrici "di sinistra" - la Cooperativa Edizioni del Maquis - che in quegli anni si ponevano in alternativa agli Editori Riuniti in quanto società editrice del PCI, veniva pubblicato questo breve articolo, nel n. 17 de "il programma comunista", con cui si dava continuità alla nostra critica della teoria del "socialismo in un solo paese", teoria ancora tanto in voga, non solo tra gli stalinisti della prima ora, ma anche tra gli intellettuali che si davano un gran daffare per giustificarla pescando citazioni da Lenin che potessero in qualche modo essere "interpretate" a suo favore. Lo ripubblichiamo qui di seguito.

 

*     *     *

 

La “teoria” del socialismo in un solo paese, già cara a Stalin e alla schiera dei suoi manutengoli, solo più tardi ribatezzata nella teoria delle “vie nazionali al socialismo”, viene contrabbandata ex novo negli ambienti di sinistra dalla Cooperativa a r. l. “Edizioni del Maquis”, editrice di una serie di “classici del marxismo” studiata al “nobile” scopo di erudire gli oppressi e “facilitare la critica di base e l’adattamento delle teorizzazioni e delle esperienze passate alla condizione reale delle lotte di oggi”.

I neofiti del Maquis, intellettuali e studenti con l’immancabile spruzzatina “operaia”, te la spiatellano, questa “teoria”, come se tutto fosse pacifico, chiaro, indiscutibile, un dato di fatto storico debitamente archiviato.

Per costoro, il Lenin che lotta tutta la vita per dare al proletariato internazionale un’organizzazione internazionale unica, che vede nella rivoluzione russsa soltanto “un esempio, il primo passo di una serie di rivoluzioni”, la “prova generale della rivoluzione proletaria mondiale”, sarebbe dunque stato uno Stalin avanti lettera, sognante la “costruzione del socialismo in un paese solo”, nella santa Russia nella fattispecie!

Ma vediamo un po’ da quali frasi di Lenin i maquisti prendono lo spunto per questo “adattamento delle teorizzazioni passate alla condizione reale delle lotte di oggi”. Si tratta dell’articolo Il programma militare della rivoluzione proletaria, dell’autunno 1916.

Ebbene, che cosa scrive Lenin? “Lo sviluppo del capitalismo avviene nei diversi paesi in modo estremamente ineguale. E non potrebbe essere altrimenti in regime di produzione mercantile. Di qui l’inevitabile conclusione: il socialismo non può vincere simultaneamente in tutti i paesi. Esso vincerà dapprima in uno o più paesi, mentre gli altri resteranno per un certo periodo paesi borghesi o preborghesi. Questo fatto provocherà necessariamente attriti e inciterà la borghesia degli altri paesi a schiacciare il proletariato vittorioso dello Stato socialista. In tal caso, la guerra da parte nostra sarebbe legittima e giusta. Sarebbe una guerra per il socialismo. Per l’emancipazione degli altri paesi dal giogo della borghesia”.

Che cosa intende Lenin per “vittoria del socialismo (dapprima) in uno o più paesi”? Intende – in polemica diretta contro i socialdemocratici che prendevano pretesto dalla mancanza di simultaneità nella rivoluzione mondiale per... non fare la rivoluzione addirittura – la conquista rivoluzionaria del potere: non parla di “socialismo costruito”, ma di “Stato socialista”, condizione prima ma non sufficiente per arrivare al socialismo.

Il potere lo si conquista, lo si deve conquistare, anche in un paese solo non aspettando che lo conquistino... gli altri: ma forse che la borghesia, per attaccarci come preannunzia subito Lenin, aspetterà che prima abbiamo “fatto il socialismo”? Nossignori: ci attaccherà subito, come attaccò subito il “socialismo vittorioso”, cioè salito al potere, in Russia! E che cosa faremo noi? Ci chiuderemo entro i confini dello “Stato socialista”? Niente affatto: contrattaccheremo, in una “guerra per il socialismo, per la emancipazione degli altri paesi dal giogo della borghesia”. Faremo due volte ciò che Stalin dichiarò non si dovesse fare: non gabelleremo per “costruzione del socialismo” la vittoriosa “presa del potere” e butteremo tutte le nostre risorse nell’incendio rivoluzionario mondiale, ben sapendo che solo la vittoria su quella gigantesca arena vorrà dire, finalmente, “socialismo”.

E’ noto che Stalin si servì di frasi del genere, come dello squarcio famoso dell’articolo Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa, per lanciare la “teoria di Monroe” del socialismo nella sola Russia. Lenin gli aveva già risposto in anticipo: “C’è qualche bolscevico che abbia mai negato che la rivoluzione non potrà vincere definitivamente prima di aver messo le mani su tutti i paesi avanzati o almeno su un certo numero di essi?” (19 maggio 1921).

E nel 1922: “Non abbiamo completato neppure le fondamenta di una economia socialista. Questa economia può essere ancora ricacciata indietro dalle forze avverse del capitalismo agonizzante. Bisogna comprenderlo chiaramente e riconoscerlo con franchezza, perché non c’è niente di più pericoloso delle illusioni e delle vertigini, soprattutto a grande altezza. E non c’è assolutamente nulla di “terribile”, niente che giustifichi la benché minima debolezza nell’ammissione di questa amara verità, che è l’abc del marxismo, secondo cui per la vittoria del socialismo sono necessari gli sforzi congiunti degli operai di diversi paesi avanzati”.

O il 26 maggio 1918: “Noi non chiudiamo minimamente gli occhi sul fatto che con le sole nostre forze non ce la faremo a condurre a compimento la rivoluzione socialista in un solo paese, fosse pure un paese molto meno arretrato della Russia”.

O l’8 novembre dello stesso anno: “La completa vittoria della rivoluzione socialista non è concepibile in un paese solo, ma esige la più attiva collaborazione di almeno alcuni paesi avanzati”-

O, infine, per non andare troppo per le lunghe, nel 1921: “Era chiaro per noi tutti che, senza il sostegno della rivoluzione internazionale, il trionfo della rivoluzione era impossibile: immediatamente o quanto meno ad una scadenza molto breve, si verificherà una rivoluzione nei paesi più sviluppati dal punto di vista capitalistico; in caso contrario dovremo perire. Nonostante questa convinzione, abbiamo fatto il tutto il possibile per conservare in ogni circostanza e ad ogni costo il potere (questa è la prima vittoria del socialismo: conquistare il potere; al resto non si può provvedere “con le sole nostre forze”!) perché sapevamo di lavorare non solo per noi stessi, ma per la rivoluzione internazionale”.

La rivoluzione internazionale: questo il faro al quale erano fissi gli occhi di Lenin; altro che “socialismo in un paese solo”!

Al socialismo si arriva attraverso un processo che vede scomparire la produzione di merci (e questa esiste nella Russia staliniana, post-staliniana, kruscioviana, brezneviana), del lavoro salariato (idem), del denaro (idem), del profitto aziendale (idem), dello Stato (idem) con tutto il suo corteggio di dignitari civili ed ecclesiastici (idem) ecc.

Lanciando la NEP in attesa che la rivoluzione proletaria mondiale permettesse di superare l’arretratezza economica della Russia, “fortezza assediata”, Lenin ribadiva:

“Non si è trovato un solo comunista, mi pare, il quale abbia negato che l’espressione ‘Repubblica socialista sovietica’ significa decisione del potere sovietico di attuare il passaggio al socialismo (attraverso il capitalismo di Stato, “anello intermedio fra piccola produzione e socialismo”) ma non significa affatto che l’attuale sistema economico sia socialista”.

E lo ribadiva proprio perché un “sistema economico socialista”, specie per la Russia ancora dominata da forme economiche e sociali precapitalistiche, può nascere soltanto come frutto della vittoria della rivoluzione socialista “almeno in alcuni paesi avanzati”, cioè in quei paesi che già oggi condizionano il mercato mondiale, e nei quali la conquista proletaria del potere significa già la vittoria internazionale del socialismo.

Piaccia o non piaccia agli staliniani riverniciati, che a buon diritto si richiamano al Maquis, cioè a tradizioni popolaresche e non proletarie, democratiche e non comuniste, nazionali e non internazionaliste, così ragiona Lenin, così e solo così ragionano i marxisti!

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice