Partito e “questione sindacale”

(«il comunista»;  N° 140-141;  Novembre 2015)

 Ritorne indice

 

 

E' a disposizione l'opuscolo appena pubblicato col titolo Partito e "questione sindacale", contenente una raccolta selezionata di materiali di partito che fanno parte della rimessa a punto dell'ardua questione sulla base della restaurazione della dottrina marxista sui suoi fondamenti originali e dell'indispensabile bilancio politico della controrivoluzione staliniana che tutto travolse e stravolse.

Si tratta di materiali a partire dal 1949-51 fino alle tesi sulla questione sindacale del 1972, resesi necessarie per rimettere il partito nelle condizioni di seguire le corrette valutazioni e posizioni marxiste che sempre hanno distinto la Sinistra comunista d'Italia, valutazioni e posizioni sulle quali negli anni 1968-71 il partito fu colpito da una serie di deviazioni attiviste e volontariste da cui ne uscì attraverso una crisi politica e organizzativa di grande rilevanza.

Pubblichiamo qui di seguito l'Introduzione all'opuscolo, che è in distribuzione dal mese di luglio. 

 

 

Introduzione

 

La questione dei rapporti tra partito rivoluzionario e associazioni economiche del proletariato, questione tattica fondamentale per il partito e, quindi, per la stessa rivoluzione proletaria, è sempre stata una questione ardua e complicata, come d’altra parte non possono non essere tutte le questioni di tattica perché si tratta di applicare in modo coerente ed efficace, nelle situazioni storiche e specifiche anche molto diverse nei vari paesi e nelle diverse fasi storiche, le indicazioni programmatiche di principio del marxismo rivoluzionario, indicazioni che, comprendendo le finalità della lotta rivoluzionaria del proletariato a livello internazionale, sono valide per tutti i paesi del mondo.

Il famoso appello con cui terminano il Manifesto del partito comunista (1848) di Marx-Engels e l’Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale dei lavoratori (1864): Proletari di tutti i paesi unitevi!, richiama non una speranza astratta o un invito morale ai proletari del mondo ad unirsi in preghiera perché gli «uomini di buona volontà» vincano sui «mali della società»; questo appello è un grido di guerra, nella lotta di classe che le classi lavoratrici sono chiamate a condurre quotidianamente contro le classi dominanti e che le classi lavoratrici, riconoscendo la realtà degli antagonismi di classe che caratterizzano la società capitalistica,  e a condividere organizzandosi, unendosi appunto, per affrontare la guerra di classe generale e, alla fine, vincerla.

La lotta fra le classi non l’ha inventata né scoperta il marxismo; gli stessi borghesi giunsero ad ammettere che la loro società è divisa in classi sociali contrapposte e che questa contrapposizione produce tensioni e disordini sociali che tendono a far esplodere la società; contro questo pericolo, la classe borghese dominante, attraverso il suo Stato e le sue diverse istituzioni, si pone da sempre il compito di gestire quelle tensioni e quei disordini al fine di attenuarne gli effetti dirompenti e di reprimerne le punte più acute e tendenzialmente pericolose per la stabilità del suo potere di classe. La lotta fra le classi, nello sviluppo storico delle società che si sono succedute nel tempo, non poteva , non può e non potrà che svolgersi in una vera e propria guerra di classe, nella guerra civile fra le classi conservatrici e reazionarie e le classi progressiste e rivoluzionarie. E’ successo al tempo della società schiavista e al tempo della società feudale; è successo e succederà al tempo della società capitalistica, ultima storicamente divisa in classi contrapposte.

Il marxismo, caratterizzato dalla dottrina del materialismo storico e dialettico, teoria e programma del movimento operaio di tutti i paesi del mondo civile (Lenin), ha scoperto il necessario sbocco storico della lotta di classe che non si ferma alla rivoluzione proletaria, alla conquista del potere politico e all’instaurazione della dittatura di classe del proletariato, ma procede verso la trasformazione completa dell’organizzazione economica della società che baserà il suo ulteriore sviluppo non più sulla divisione della società in classi contrapposte e sulla divisione sociale del lavoro, ma sull’armonica e razionale organizzazione sociale di tutte le attività umane finalizzate non più al mantenimento del potere opprimente di una classe dominante e dei suoi privilegi su tutte le altre classi, ma alla soddisfazione delle esigenze di vita e di sviluppo dell’intera specie umana.

La lotta di classe del proletariato, unica classe rivoluzionaria della società capitalistica, è dialetticamente proiettata verso una rivoluzione politica ed economica il cui risultato finale consiste nella scomparsa della divisione sociale in classi e, con essa, l’estinzione di ogni potere di classe a cominciare dallo Stato. Per giungere a questo risultato storico, la classe del proletariato deve attraversare non solo la lunga fase della lotta di classe contro la classe borghese  e i residuati delle vecchie classi feudali, ma la fase rivoluzionaria della dittatura di classe, cioè del potere politico di classe. Questo potere politico di classe, condotto dal solo partito di classe, non potrà che prendere la forma della dittatura della classe rivoluzionaria, dunque della dittatura del proletariato poiché, per opporre nella guerra di classe il potere rivoluzionario alla dittatura della classe borghese - massima concentrazione del potere politico ed economico della classe dominante borghese - non c’è altra via che instaurare la massima concentrazione del potere politico, ed economico, della classe rivoluzionaria, quindi alla distruzione dello Stato borghese non potrà che succedere la costituzione dello Stato proletario. La rivoluzione, affermava Engels senza alcun dubbio nella polemica con gli anarchici, è la cosa più autoritaria che ci sia; lo è stata la rivoluzione borghese nei confronti del feudalesimo, lo è e lo sarà tanto più la rivoluzione proletaria nei confronti del capitalismo. D’altra parte, per combattere e vincere contro la resistenza alla propria scomparsa, contro l’eliminazione delle forme politiche ed economiche della società capitalistica, per contrastare e debellare la riorganizzazione armata delle forze borghesi e l’attacco degli Stati borghesi contro il potere proletario conquistato, e per la trasformazione da cima a fondo dei rapporti di produzione e sociali borghesi, è necessario l’uso della forza dato che nessuna classe dominante nella storia ha mai ceduto pacificamente il proprio potere.

La dittatura proletaria, che tra i suoi compiti nel paese o nei paesi in cui è uscita vittoriosa nella rivoluzione ha anche quello di sostenere la lotta di classe e rivoluzionaria del proletariato in tutti i paesi ancora in mano alle classi borghesi, nel paese in cui ha vinto e che controlla politicamente e militarmente, dovrà intervenire dispoticamente sull’organizzazione politica, sociale ed economica della borghesia e dell’organizzazione sociale ed economica capitalistica, distruggendo tutti i  rapporti borghesi di produzione e di proprietà e, con ciò, sradicando tutti i privilegi derivanti da questi rapporti.

Il proletariato, a differenza delle classi rivoluzionarie che l’hanno preceduto nello svolgimento storico delle società umane, è per eccellenza la classe senza riserve, che possiede soltanto la propria capacità lavorativa, la  forza lavoro, sfruttata nella società capitalistica  ad esclusivo beneficio delle classi borghesi che possiedono tutti i capitali, tutti i mezzi di produzione e tutta la produzione stessa e, quindi, senza la possibilità di poggiare il suo movimento di classe se non sulla sola forza produttiva che rappresenta e sul suo numero. «Ma il numero non pesa sulla bilancia se non quando è unito in collettività ed è guidato dalla conoscenza. L’esperienza ha sufficientemente dimostrato quale vergognoso disprezzo la disfatta comune dei loro sforzi incoerenti infliggerà a questo legame di fraternità, che deve esistere tra gli operai dei differenti paesi e deve incitarli a stringersi con fermezza gli uni agli altri in tutte le loro lotte per l’emancipazione. Questa idea ispirò gli operai di differenti paesi, riuniti il 28 settembre 1864 in  assemblea pubblica nel St. Martin’s Hall, a fondare l’Associazione internazionale» (1).

Guidato nel suo movimento di classe dal partito di classe rivoluzionario, il proletariato ha la prospettiva di  usare la sua forza sociale a beneficio non della conservazione sociale borghese, come avviene da più di duecento anni, ma  del rivoluzionamento completo della società, emancipandosi dalla schiavitù del lavoro salariato. La rivoluzione del proletariato è stata e sarà necessariamente politica, prima di tutto. Soltanto a potere politico conquistato e a dittatura proletaria instaurata - dunque a potere statale borghese spezzato e distrutto, pur dovendo continuare a combattere contro i poteri borghesi ancora esistenti nel mondo, in una lotta rivoluzionaria in cui i proletari di tutti i paesi hanno il compito di unirsi nella comune guerra di classe rivoluzionaria -, soltanto attraverso il potere politico tenuto saldamente e dittatorialmente in mano, la classe proletaria potrà e dovrà iniziare a distruggere i rapporti sociali ed economici borghesi. La trasformazione economica da capitalistica a socialista non potrà passare se non attraverso la rottura di tutti i rapporti di produzione e sociali borghesi sostituendoli gradualmente con rapporti di produzione e sociali che in una prima fase chiamiamo, con Marx ed Engels, socialisti e che, alla fine del processo rivoluzionario che abbraccia il mondo intero, diventeranno comunisti, quando ogni residuo di rapporto di produzione e sociale borghese nell’industria e nell’agricoltura sarà definitivamente scomparso e superato.

Il marxismo ha sempre riconosciuto, ed è cosa ormai nota da tempo, che la grande industria capitalistica ha svolto un ruolo di primissimo piano nello sviluppo delle forze produttive, come è altrettanto noto da tempo che «il capitalismo ha rotto il legame dell’agricoltura con l’industria anche se, nello stesso tempo, ha preparato nuovi elementi per questo legame, per l’unione dell’industria con l’agricoltura sulla base dell’applicazione della scienza e della coordinazione del lavoro collettivo e per una nuova distribuzione della popolazione che metterà un termine sia all’isolamento e all’arretratezza delle campagne, separate dal resto del mondo, sia alla non naturale agglomerazione di masse gigantesche nelle grandi città» (2).

Ed un ruolo altrettanto importante è stato svolto dallo Stato che è violenza organizzata al servizio della classe politicamente ed economicamente dominante. Lo Stato moderno, lo Stato borghese, è lo strumento centralizzato del potere di classe borghese per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale. Perché la lotta di classe contro lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale abbia successo non può non avere tra i suoi obiettivi primari la conquista del potere politico e, quindi, la distruzione dello strumento centralizzato - lo Stato borghese con la sua violenza organizzata - che la classe dominante borghese usa sistematicamente per difendere i suoi privilegi di classe e per mantenere nell’oppressione le classi proletarie. Ma, per giungere a questo stadio della lotta di classe e, quindi della lotta rivoluzionaria, il proletariato deve percorrere un cammino estremamente contraddittorio che lo deve portare dalla condizione di classe per il capitale alla condizione di classe per sé, ossia a classe che lotta esclusivamente per le proprie finalità storiche.

Il marxismo, in forza della sua visione storica e della sua dottrina materialistico-dialettica, ha compreso che il proletariato, già nella sua condizione di classe per il capitale, è spinto a lottare contro i capitalisti fin dalla resistenza che oppone loro sul piano della difesa del salario, o del suo miglioramento, e delle condizioni di lavoro. Alla spinta alla lotta che accomuna i proletari contro i loro padroni si oppone la concorrenza fra di loro che la borghesia frappone e alimenta al fine di sfruttarli con più intensità e per dividerli e indebolire la loro forza di resistenza.

Marx, già nel suo scritto «anti-Proudhon», Miseria della filosofia  (3) del 1847, metteva bene in risalto il valore di questa lotta in un periodo in cui la grande industria era già attiva in Inghilterra e gli operai avevano già accumulato negli anni una certa esperienza di lotta e di associazione.

«La grande industria raccoglie in un solo luogo una folla di persone, sconosciute le une alle altre. La concorrenza le divide, quanto all’interesse. Ma il mantenimento del salario, questo interesse comune che essi hanno contro il loro padrone, le unisce in uno stesso proposito di resistenza: coalizione. Così la coalizione ha sempre un duplice scopo, di far cessare la concorrenza degli operai tra loro, per poter fare una concorrenza generale al capitalista. Se il primo scopo della resistenza non è stato che il mantenimento dei salari, a misura che i capitalisti si uniscono a loro volta in un proposito di repressione, le coalizioni, dapprima isolate, si costituiscono in gruppi e, di fronte al capitale sempre unito, il mantenimento dell’associazione diviene per gli operai più necessario ancora di quello del salario (4). Ciò è talmente vero, che gli economisti inglesi rimangono stupiti a vedere come gli operai sacrifichino una buona parte del salario in favore delle associazioni che, agli occhi di questi economisti, non sono stabilite che in favore del salario. In questa lotta - vera guerra civile - si riuniscono e si sviluppano tutti gli elementi necessari a una battaglia che si prospetta nell’immediato futuro. Una volta giunta a questo punto, l’associazione acquista un carattere politico».

Secondo il marxismo le lotte operaie nascono dalle spinte fisiche che, esprimendo interessi economici immediati, determinano l’azione della lotta; è attraverso la lotta, nella quale sono accomunati gli stessi interessi economici immediati, che nasce negli operai l’esigenza di coalizzarsi e di organizzarsi in forme durature poiché quegli interessi immediati, anche se temporaneamente e parzialmente soddisfatti attraverso concessioni strappate ai capitalisti, vengono facilmente contrastati e le concessioni ottenute vengono facilmente rimangiate nella lotta che i capitalisti non smettono mai di fare contro la forza lavoro salariata, riportando gli operai - dunque la classe operaia nel suo insieme - nelle condizioni di tornare a lottare per riottenere quel che nel frattempo hanno perduto o per non peggiorare ancor più la loro situazione.

«L’unica forza sociale a disposizione dei lavoratori è il loro numero. La forza della quantità viene però spezzata dalla mancanza di unità. La divisione dei lavoratori viene prodotta e mantenuta con l’inevitabile concorrenza tra loro stessi», scriveva Marx per la Prima Internazionale (5),  e continuava: «Le associazioni professionali sono originariamente nate dai tentativi spontanei dei lavoratori, in lotta contro il potere dispotico del capitale per eliminare o almeno limitare la concorrenza tra loro, tali tentativi avevano lo scopo di permettere ai lavoratori di ottenere condizioni di vita tali da elevarli almeno al di sopra della condizione di semplici schiavi». Dunque, il problema centrale per la lotta operaia - e siamo sul terreno immediato di difesa delle condizioni di vita e di lavoro proletarie - è combattere la concorrenza tra operai, concorrenza che in regime borghese è inevitabile. Il dominio della borghesia capitalistica sulla classe del proletariato non si basa soltanto sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sull’appropriazione privata della produzione sociale, appropriazione assicurata dalla forza militare dello Stato, ma anche sulla concorrenza fra proletari contro la quale i proletari, se non vogliono precipitare nella condizione di semplici schiavi sono obbligati a lottare, a  partire dal terreno economico immediato. Quindi, l’attività delle associazioni economiche del proletariato «non è soltanto corretta, è necessaria»; e sbagliano tutti coloro che sostengono che l’attività dei comunisti sul terreno immediato e all’interno dei sindacati operai sia ormai un’attività superata ed inefficace dato che i sindacati sono perlopiù non solo diretti da riformisti e opportunisti, ma   strumenti del collaborazionismo interclassista. Sta di fatto che la concorrenza fra operai «non può essere eliminata finché sopravvive l’attuale sistema di produzione», ancora Marx, e che la lotta degli operai contro la concorrenza tra di loro non può che basarsi sulla lotta quotidiana tra lavoro e capitale, contro i soprusi incessanti del capitale, contro il potere dispotico del capitale, ponendo le questioni del salario e dell’orario di lavoro come questioni generali che riguardano tutti i proletari, al di là della loro età, categoria, specializzazione, sesso, nazionalità, occupati o disoccupati che siano. Ed è su queste questioni che ogni proletario, al di là delle sue idee politiche, religiose o sociali, è naturalmente accomunabile ad ogni altro proletario, dato che tutti gli operai sono costretti,  dal regime capitalistico, nelle condizioni di schiavi salariati.

«Lo sviluppo stesso dell’industria moderna deve necessariamente far pendere sempre la bilancia a favore del capitalista e ai danni dell’operaio - sostiene Marx nel suo discorso al Consiglio generale della Prima Internazionale nel 1865 - e, di conseguenza, la tendenza generale della produzione capitalista non è di elevare i salari medi, ma di abbassarli, cioè di ridurre, più o meno, il valore del lavoro al suo limite più basso. Ma, poiché questa è la tendenza in questo regime, la classe operaia deve forse rinunciare agli sforzi per strappare nelle occasioni che si presentano tutto ciò che può comportare un qualche miglioramento della propria condizione? Se lo facesse, si ridurrebbe a essere niente di più di una massa informe, schiacciata, di esseri famelici che non potrebbero essere in alcun modo aiutati: (...) Se la classe operaia rinunciasse alla sua lotta quotidiana contro il capitale, si priverebbe da sé della possibilità di intraprendere questo o quel movimento di grande portata» (6).

L’associazione economica di tipo sindacale per la difesa degli interessi immediati diventa così un elemento basilare della lotta di resistenza operaia al capitalismo, ma può anche essere - nella misura in cui questa associazione non sia impregnata di opportunismo o, peggio, di collaborazionismo, ma sia sostanzialmente di classe - elemento basilare per la lotta rivoluzionaria del proletariato. Ciò non avviene per automatismi supposti intrinsechi alla lotta immediata del proletariato e i risultati della sua lotta quotidiana contro il capitale non vanno mai sopravalutati. Ancora Marx: «Nello stesso tempo, e del tutto indipendentemente dal generale asservimento insito nel regime di lavoro salariato, gli operai non devono esagerare il risultato finale di questa lotta quotidiana. Non devono dimenticare che lottano contro gli effetti e non contro le cause, che non possono che contenere il movimento discendente e non mutarne la direzione, che non fanno che applicare palliativi senza guarire il male. Non dovrebbero dunque lasciarsi assorbire esclusivamente da queste scaramucce inevitabili che sono provocate dalle continue prepotenze del capitale o dalle variazioni del mercato. Debbono comprendere che il regime attuale, con tutte le miserie con cui li opprime, genera al tempo stesso le condizioni materiali e le forze sociali necessarie per la ricostruzione economica [il traduttore avrebbe fatto meglio a scrivere: trasformazione economica, terminologia usata normalmente da Marx ed Engels, e non “ricostruzione economica”, NdR] della società» (7).

Nel corso delle lotte operaie, le reazioni dei capitalisti per reprimerle e per preventivamente abbatterne  l’efficacia creano, dunque, le condizioni materiali per una maggiore comprensione dei fattori di forza e di debolezza della lotta operaia, ponendo le premesse per  «una più chiara volontà e poi coscienza» (8) dell’azione di lotta stessa. L’intervento dello Stato centrale, attraverso le sue forze di polizia e la magistratura, a difesa degli interessi economici dei capitalisti, alza il livello della lotta tra operai e capitalisti, portandolo al livello politico, evidenziando inevitabilmente l’antagonismo di classe fra la classe degli operai e la classe dei capitalisti e ponendo, perciò, il problema politico dello Stato. Il passaggio dall’azione di difesa delle condizioni operaie, alla volontà di agire con determinati mezzi e metodi di lotta per ottenere determinati obiettivi non solo immediati ma anche più generali, è il movimento materiale e oggettivo che le organizzazioni operaie di classe sono spinte a fare, prendendone alla fin fine «coscienza», riproponendolo sul terreno immediato ogni volta che la spinta fisica agisce e predisponendo l’uso della propria forza per obiettivi più generali e alti, rivoluzionari per l’appunto, come l’abolizione del lavoro salariato!

Già all’epoca della Prima Internazionale le conclusioni da tirare dalla lotta di classe sul terreno immediato erano semplici e chiarissime, assolutamente attuali:

«1) Un aumento generale del tasso dei salari comporterebbe una diminuzione generale del profitto, ma, in ultima analisi, non riguarderebbe i prezzi delle merci.

«2) La tendenza generale della produzione capitalistica è di abbassare e non di elevare il salario medio.

« 3) I sindacati operano utilmente come centri di resistenza alle prepotenze del capitale; si rivelano in  parte inefficienti a causa dell’uso inadeguato della loro potenza. In genere, falliscono lo scopo perché si limitano a una guerra di scaramucce contro gli effetti del regime esistente invece di lavorare al tempo stesso per la sua trasformazione e di servirsi della loro forza organizzata come di una leva potente per l’emancipazione definitiva della classe lavoratrice, cioè per l’abolizione definitiva del lavoro salariato» (9).

La storia del movimento operaio e della lotta fra le classi ha dimostrato che la potenza delle organizzazioni sindacali si è rivelata inadeguata non soltanto rispetto agli obiettivi di classe più generali e storici della classe operaia, ma anche rispetto alla stessa difesa delle condizioni di vita e di lavoro operaie a causa del loro asservimento completo alla difesa degli interessi economici e sociali della borghesia scambiati per interessi «comuni» tra classe proletaria e classe borghese, asservimento ancor più pesante nella misura in cui la classe dominante borghese, dopo essere passata nelle grandi fasi storiche dall’intolleranza delle associazioni operaie alla loro tolleranza, è passata alla loro integrazione nell’apparato statale trasformando le organizzazioni sindacali operaie in strumenti della collaborazione fra le classi.

E’ perciò ancor più evidente che l’affermazione contenuta nel Manifesto del partito comunista del 1848, «questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico» (10) non significa che il sindacato dei lavoratori, con lo sviluppo della lotta operaia, si possa sviluppare, mantenendo le sue caratteristiche di rappresentante degli interessi immediati proletari e organizzatore della loro difesa, in partito politico della classe operaia. Significa che gli interessi di classe del proletariato, nella loro accezione storica e, quindi, nella loro prospettiva rivoluzionaria, sono rappresentati oggi, nel presente della lotta fra le classi nella società capitalistica, da una organizzazione speciale che esprime la finalità storica della lotta fra le classi. Il sindacato di classe lotta per gli aumenti salariali nel quadro dei rapporti economici e sociali borghesi, lotta per i miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro della classe proletaria in quanto classe salariata, classe per il capitale, all’interno della società borghese e, in questa lotta,  allena, prepara, organizza e inquadra l’esercito industriale proletario, attivo e di riserva, alla lotta politica contro la classe dominante borghese. Ma in quanto organizzatore degli operai sulla base dei loro interessi immediati (e se non fosse così non sarebbero associazioni economiche del proletariato), e dato che gli interessi immediati degli operai, anche se soddisfatti, non comportano l’eliminazione dei rapporti di produzione e di proprietà vigenti nella società borghese - grazie alla quale eliminazione sarebbe stata raggiunta la effettiva emancipazione del proletariato dal lavoro salariato -, il sindacato di classe non è in grado di guidare in quanto tale il proletariato nel suo insieme, organizzato o no nelle associazioni economiche, alla rivoluzione e nella dittatura proletaria. Lottando contro gli effetti del dominio economico e sociale della borghesia sul proletariato, contro gli effetti dei rapporti di produzione capitalistici, ma non contro le cause delle condizioni di schiavitù  salariale del proletariato, i sindacati operai, per quanto di classe o rivoluzionari siano, potranno sicuramente mettere a disposizione della lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico la loro potenza sociale: in questo caso il numero, la forza della quantità, non sarebbe impotente. E’ ben vero che ogni lotta di classi è lotta politica, come afferma il Manifesto di Marx-Engels, ma perché questa lotta sia condotta coerentemente sul piano politico fino al raggiungimento del suo sbocco storico, alla sua testa ci deve essere il partito politico della classe proletaria, l’organizzazione politica che possiede volontà e conoscenza, dunque la teoria delle finalità ultime della lotta fra le classi, una organizzazione che non è la semplice rappresentazione delle condizioni immediate di esistenza del proletariato e lotti per il loro miglioramento sul piano immediato, ma che, forte della lotta di difesa del proletariato sul terreno immediato, faccia leva sulla forza sociale che questa lotta di classe esprime per condurla sul terreno politico generale e, quindi, rivoluzionario. Solo il partito di classe, come indicato dal Manifesto di Marx-Engels e come dimostrato praticamente dal partito bolscevico di Lenin e dal Partito comunista d’Italia del 1921, è in grado, ed ha il compito primario, di rappresentare nel presente il futuro del movimento proletario di classe. Ciò è possibile perché, a differenza delle associazioni economiche del proletariato, che sono necessariamente all’interno del proletariato e ne esprimono gli interessi immediati dall’interno delle contraddizioni economiche e sociali che il proletariato vive quotidianamente, il partito politico, pur essendo il risultato qualitativo delle lotte fra le classi dal punto di vista degli interessi generali e storici della classe proletaria, è al contempo il prodotto della storia delle lotte fra le classi dal punto di vista delle più importanti correnti di idee del secolo XIX, e cioè la filosofia classica tedesca, l’economia politica classica inglese e il socialismo francese (11); perciò il partito politico di classe è un’organizzazione esterna alla classe proletaria e agisce nei confronti del proletariato importandovi, appunto dall’esterno, la teoria rivoluzionaria, la teoria del socialismo scientifico ed è per questa sua specifica qualità politica che esso è necessario al proletariato nella sua lotta contro il capitale come guida per l’azione di classe. La storia ha dimostrato che le organizzazioni economiche e sindacali del proletariato possono giungere ad un certo grado della lotta di classe, ma sempre all’interno del quadro borghese, grado che possono superare solo se indirizzate, influenzate e dirette dal partito rivoluzionario.

Per passare di livello, ossia per far sì che il movimento di lotta e di resistenza al capitale non rimanga chiuso nei confini delle forme economiche e sociali borghesi, ci vuole, dunque, l’intervento di un fattore «esterno», di un fattore squisitamente politico e, come diciamo noi, di classe: ci vuole l’intervento del partito di classe, cioè di quell’organo della lotta di classe del proletariato che, elaborando, analizzando e potenziando l’esperienza vastissima di tutte le spinte, gli stimoli e le reazioni espresse nelle lotte operaie (12), è in grado di orientare e indirizzare la lotta di classe nella sua prospettiva storica, nella prospettiva della finale emancipazione del proletariato - e con lui, dell’intera specie umana - dal lavoro salariato e, quindi, dalla società capitalistica.

Il movimento di resistenza al capitale, dunque la lotta quotidiana dei proletari sul terreno immediato a difesa delle loro condizioni di vita e di lavoro, non si eleva automaticamente al livello di movimento di classe, dunque di movimento politico finalizzato ad obiettivi che riguardano l’intera classe proletaria internazionale. D’altronde, non ogni movimento politico del proletariato è da considerare sempre come movimento «di classe», in quanto la definizione di classe la si può dare soltanto alla lotta, al movimento, all’organizzazione del proletariato che si pone obiettivi che rappresentano gli interessi della classe operaia in contrapposizione agli interessi della classe borghese, sul piano immediato e, tanto più, sul piano politico più generale. Perché il movimento di lotta immediata, di lotta di tipo sindacale, diventi un movimento politico - ossia un movimento in cui la classe operaia si oppone come classe alle classi dominanti e cerca di imporre la propria volontà con una pressione dall’esterno, dunque da lotta puramente difensiva diventi lotta offensiva - è necessario che il movimento operaio si ponga obiettivi politici di carattere generale e in opposizione agli obiettivi politici delle classi borghesi. Marx lo spiega in modo molto semplice: «il tentativo di imporre ad un singolo capitalista una riduzione dell’orario di lavoro per mezzo di scioperi in una singola fabbrica o perfino in un singolo reparto, è un movimento puramente economico; al contrario, il movimento per conquistare la legge delle otto ore o simili, è un movimento politico» (13). In questo caso siamo ancora nel quadro della società capitalistica, perché la diminuzione dell’orario di lavoro giornaliero per tutti i lavoratori salariati riguarda sì le condizioni di lavoro della classe lavoratrice in generale, ma il rapporto tra lavoro salariato e capitale non è intaccato: il capitale e il suo sistema economico e sociale continuano a dominare la società, il suo potere dispotico permane ed è grazie a questa sua permanenza che la classe borghese riesce prima o poi ad aggirare l’efficacia sociale di quella legge attaccando le condizioni di vita e di lavoro dei proletari su tutti gli altri piani, da quello salariale a quello dell’intensità di sfruttamento, e sempre facendo leva sulla concorrenza tra operai che continua ad essere provocata ed alimentata dallo stesso modo di produzione capitalistico.

Nonostante la lotta operaia sul terreno immediato sia in grado, ad un certo livello di sviluppo delle organizzazioni economiche proletarie, di ottenere dei risultati anche importanti, nella singola fabbrica, nel settore economico di appartenenza, a livello contrattuale di categoria o a livello di legge, resta il fatto che il movimento operaio può imboccare la strada dell’emancipazione dal lavoro salariato - e quindi dalle condizioni di schiavitù salariale in cui i proletari sono costretti di generazione in generazione - solo portando la propria lotta sul terreno dell’aperto scontro fra le classi, riconoscendo l’antagonismo di classe che oppone gli interessi della classe proletaria agli interessi della classe borghese e preparandosi, quindi, alla effettiva lotta di classe rivoluzionaria.

Lenin affermava che la lotta sindacale, se condotta con mezzi e metodi della lotta di classe, e per obiettivi di classe, è una palestra per la guerra di classe del proletariato contro la classe dominante, una «scuola di guerra».

Sarebbe un errore però credere che il partito di classe nasca direttamente dalle lotte operaie sul terreno immediato e dal loro sviluppo. L’esperienza vastissima di tutte le lotte operaie, non solo in un paese, ma in tutti i paesi, è certamente un fattore determinante per la formazione del partito di classe, del partito rivoluzionario della classe proletaria. Ma il partito di classe è insieme un risultato degli eventi sociali e «del conflitto che essi contengono fra antiche forme di produzione e nuove forze produttive» (14), ed un fattore cosciente e volontario degli eventi stessi. E’ il rapporto dialettico tra prodotto della storia e fattore di storia che fa del partito di classe l’unico organo che riesce a capovolgere il senso della prassi, ossia a influire sull’andamento della lotta di classe, ma non sempre e comunque solo perché è, o si ritiene, il partito di classe. Il partito di classe possiede la conoscenza, la teoria - un sistema di concezioni del mondo in generale - che è il risultato storico di cui parla anche  Lenin, come abbiamo visto sopra, ma è un prodotto materiale della storia delle società umane e perciò può subire spinte formidabili ad agire in tempi anche strettissimi in cui le sorti della rivoluzione proletaria possono essere decise e può subire influenze e tracolli dall’andamento negativo e dai riflussi delle lotte di classe e dalle sue sconfitte. Il partito è un organismo vivo, non un’entità ideale o sovrastorica.

Nella fase storica attuale, che possiamo identificare nel periodo che va dalla seconda guerra imperialistica mondiale in poi, la lotta di classe del proletariato, anche solo sul piano della difesa elementare delle condizioni di vita e di lavoro, ha subito un drammatico arretramento, riportando il proletariato ad un livello di asservimento alla borghesia dominante paragonabile, in un certo senso, alle sue condizioni di schiavitù salariale della seconda metà dell’Ottocento. Basta ampliare lo sguardo a livello internazionale, per rilevare che i proletari dei paesi più industrializzati, pur avendo, per la loro storia, un passato glorioso di lotte classiste e rivoluzionarie, sono completamente soggiogati dal collaborazionismo interclassista a causa del quale non hanno fatto altro che subire un arretramento continuo. La concorrenza fra proletari la fa da padrona assoluta, le organizzazioni sindacali, pur organizzando masse notevoli di proletari, sono solo degli strumenti di controllo sociale da parte delle borghesie dominanti, sono vere e proprie cinghie di trasmissione della conservazione sociale.

I proletari si trovano nella condizione di non avere alcuna difesa attiva in una collettività organizzata a proprio favore: dipendono esclusivamente dal buon cuore dei padroni, dalla «politica sociale» della classe dominante borghese, dall’andamento del famoso «mercato del lavoro» e dalle attività opportunistiche del sindacalismo tricolore. Essi, perso il contatto diretto con la tradizione classista delle generazioni passate e non avendo ancora raggiunto nuove esperienze di lotta in grado di essere sedimentate in gruppi classisti organizzati, sono in una certa misura rigettati nelle condizioni di dover ripartire da zero sia nel riorganizzare la propria difesa immediata sul terreno di classe, sia nell’individuare i mezzi e i metodi di lotta più efficaci perché la loro riorganizzazione classista sia durevole e si allarghi a strati proletari sempre più ampi.

Il nemico di classe principale è sempre lo stesso: la classe dei capitalisti, rafforzato nel suo dominio dall’opera costante del collaborazionismo sindacale e politico travestito da «rappresentante degli interessi dei lavoratori». Lo strumento più efficace per indebolire le azioni di lotta degli operai e per frammentare la massa operaia in mille rivoli diversi è sempre lo stesso: la concorrenza fra proletari; attraverso di essa se ne impedisce l’unità d’azione e la solidarietà di classe. L’obiettivo politico più insidioso per i proletari, ma particolarmente vantaggioso per la classe borghese, è la democrazia, un sistema che, falsificando la realtà sociale degli antagonismi di classe in cui è divisa la società borghese, illude il proletariato di possedere e di poter utilizzare a proprio favore, protetto dalle leggi della classe dominante borghese, una «libertà d’azione» e una «libertà di organizzazione» che in realtà sono del tutto negate, sommerse come sono nelle pastoie della burocrazia sindacale, politica e degli apparati di controllo sociale dello Stato borghese che per proprio compito fondamentale hanno quello di impedire al proletariato di organizzarsi e di lottare in modo del tutto indipendente dall’influenza ideologica, politica, sociale  e pratica della borghesia.

Il proletariato dei paesi industrializzati, invischiato in modo molto più paralizzante di un tempo nelle abitudini diffuse dall’interclassismo in termini di pace sociale, democratismo, alleanzismo con i padroni nella difesa dell’economia delle loro singole aziende come nella difesa dell’economia nazionale, ha poggiato per decenni, e in parte, negli strati più privilegiati poggia ancora, su un ampio e complesso sistema di ammortizzatori sociali che la classe dominante borghese ha organizzato soprattutto in funzione del controllo sociale delle masse proletarie  per attirarle nel campo della conservazione sociale, in modo da poterle sfruttare, senza troppi contrasti, sempre più intensamente e a lungo nel tempo secondo le necessità oscillanti dei cicli produttivi, nei periodi di crisi e nei periodi di espansione economica.

La gran parte degli ammortizzatori sociali che le borghesie dei diversi paesi industrializzati hanno attuato dalla fine della seconda guerra imperialistica mondiale in poi - ereditandone la funzione e l’organizzazione dal fascismo, come abbiamo tante volte sottolineato e dimostrato - ha effettivamente costituito una sorta di «garanzia sociale» per i proletari, formando una base materiale su cui le burocrazie sindacali e politiche hanno eretto la loro politica collaborazionista. Ma, come la borghesia dominante li ha concessi - sia sotto la pressione delle lotte operaie, sia per iniziativa propria al fine di asservire più durevolmente le masse proletarie - così, nei periodi di crisi economiche prolungate  e nei periodi di aumento dei contrasti interimperialistici, rispetto ad un proletariato piegato quasi totalmente alle esigenze dell’economia capitalistica e della conservazione sociale, la classe dominante borghese è più facilitata nell’eliminarli, in parte o in gran parte, recuperando in questo modo una quota del profitto medio che utilizzava a scopi esclusivamente di controllo sociale. I proletari si vedono così togliere dalla loro prospettiva di vita tutta una serie di «garanzie» a livello contrattuale, salariale, normativo, pensionistico, sanitario ecc., che credevano assicurate per sempre come «conquiste» dalle quali non sarebbero mai tornati indietro.

Staccati dalle tradizioni di classe delle lotte del passato, disarmati praticamente delle loro organizzazioni economiche di difesa e ideologicamente delle prospettive di classe della loro lotta anticapitalistica, i proletari oggi sono obbligati a ripercorrere il cammino della loro emancipazione dal lavoro salariato a partire dal terreno della difesa elementare dei loro interessi immediati. Su questo terreno, che non è vergine e nemmeno neutro, essi si scontrano inevitabilmente contro le forze di conservazione sociale e del collaborazionismo che riempiono tutti gli spazi organizzativi e ideologici esistenti allo scopo di imbrigliare le spinte classiste che inevitabilmente si producono nel tessuto sociale borghese intriso com’è di soprusi e prepotenze.

I proletari, oggi, sono del tutto impotenti rispetto ai propri obiettivi di classe; i loro interessi sono talmente confusi negli interessi generali e particolari della conservazione sociale che non riescono a distinguerli. Essi sono spinti a sostenere una produttività sempre più alta del lavoro credendo di poter conservare così il proprio posto di lavoro, e quindi il salario che percepiscono dallo sfruttamento cui sono sottoposti. Essi sono spinti a sacrificare la propria capacità lavorativa, e spesso la propria vita, per rendere i prodotti del loro lavoro - ma di proprietà esclusiva dei capitalisti - più competitivi dei prodotti per i quali sono sfruttati i loro fratelli di classe in altre fabbriche e in altri paesi: più competitivi significa più commerciabili. Essi sono spinti a credere che non ci sia altro modo di produrre, e quindi di vivere, che quello che li sottopone alla schiavitù salariale, ad una vita scambiata giorno per giorno con la loro capacità non solo di lavorare e di applicarsi ai ritmi e alle mansioni richieste dai cicli produttivi capitalistici, ma anche di sopravvivere con salari sempre più risicati e nell’incertezza più estrema perché il loro salario, quindi il loro posto di lavoro, e quindi la loro vita, dipendono da fattori che di volta in volta vengono chiamati in causa: crisi economica, difficoltà di mercato, concorrenza straniera, ristrutturazione, innovazione tecnica, riorganizzazione del lavoro, assorbimento dell’azienda in cui lavorano da parte di altre aziende più grosse, delocalizzazione ecc. ecc.

I proletari oggi, pur essendo aumentati notevolmente di numero rispetto a cent’anni fa, contano nella società molto meno di quanto non contassero all’epoca della prima guerra mondiale. A quell’epoca, i proletari non si trovavano di fronte soltanto le forze del riformismo e dell’opportunismo sindacale e politico; potevano contare anche su solide correnti rivoluzionarie che dettero vita a partiti di classe fra cui eccelsero il partito bolscevico di Lenin e il partito comunista d’Italia del 1921. I proletari di tutto il mondo potevano contare sulla formidabile ascesa del movimento rivoluzionario non solo in Russia, dove vinse sia contro lo zarismo che contro la borghesia capitalistica, ma in tutta Europa, e in Germania e in Italia in particolare. Quell’ascesa e quella vittoria, però, non riuscirono a innestare nel movimento proletario di tutti i paesi più importanti la corretta direzione rivoluzionaria, pesando su di esso ancora la forte influenza del riformismo socialdemocratico e socialimperialista. I partiti e i sindacati di classe, in una guerra di classe senza esclusione di colpi, in cui le forze della reazione borghese trovarono un appoggio vitale nelle forze dell’opportunismo, furono ridotti, alla fine, all’impotenza e trasformati dallo stalinismo in strumenti della vittoria controrivoluzionaria della borghesia internazionale. Dato che il ricordo e le esperienze ancora vive delle lotte rivoluzionarie e della vittoria comunista in Russia potevano far da base ad una ripresa della lotta proletaria sul terreno di classe e rivoluzionario, le forze dello stalinismo organizzarono la più complessa e capillare operazione di falsificazione del marxismo mai realizzata fino ad allora, nemmeno dall’opportunismo di Bernstein o di quello di Kautsky; fu, questa, un’operazione non semplicemente «ideologica», ma poggiante saldamente sulla decimazione della vecchia guardia bolscevica e sulla repressione ed eliminazione fisica di tutti i militanti comunisti e proletari a livello internazionale che potevano rappresentare un ostacolo alla vittoria della controrivoluzione. Per battere il proletariato rivoluzionario in Russia e fuori di Russia ci volle la più tremenda e sanguinaria repressione che lo stalinismo si prese l’incarico di attuare non in una settimana di sangue (come i versagliesi quando, sconfitta la Comune di Parigi, trucidarono non meno di trentamila comunardi sul muro del cimitero Père Lachaise), ma nel lungo periodo che, dopo la sua «vittoria» nel 1926, passa attraverso le famose «purghe» degli anni Trenta e l’assassinio di Trotsky nel 1940, per non fermarsi nemmeno negli anni del dopoguerra, come nel caso di Mario Acquaviva e Fausto Atti, militanti del nostro partito, nel 1949; a dimostrazione che la classe borghese, per quanto democratica si dichiari, usa senza alcuno scrupolo  anche la repressione più tremenda per difendere il proprio potere e la libertà di sfruttare e sacrificare al profitto capitalistico i proletari non solo del proprio paese, ma di tutto il mondo.

Indiscutibilmente, i grandi massacri che la borghesia ha attuato nel passato e attua costantemente - sia contro il proletariato rivoluzionario insorto contro di lei, sia nelle guerre di conquista dei mercati e di rapina imperialistica, dove i morti si contano a milioni - imprimono nelle carni e nei cervelli di ogni individuo proletario la paura per la propria vita. Distrutte le organizzazioni economiche classiste di difesa immediata e sostituite con organizzazioni collaborazioniste; distrutti i partiti comunisti rivoluzionari e sostituiti con partiti «di sinistra» volta a volta chiamati «socialisti», «comunisti», «dei lavoratori»; distrutte la tradizione di classe delle lotte operaie e l’indipendenza dei loro organismi di lotta e sostituite con la tradizione socialdemocratica, pacifista,  rinunciataria tipica del riformismo; distrutto tutto ciò che il movimento operaio di classe ha realizzato in sua difesa e per la sua lotta di emancipazione, i proletari oggi si trovano in balia di movimenti opportunistici dalle mille colorazioni e imprigionati nel gioco della concorrenza portata a livelli parossistici, precipitati come sono nella fame e nella disperazione, condizioni che fanno loro vedere in altri proletari, nelle proletarie, nei proletari più giovani, nei proletari immigrati, i «nemici immediati», coloro che rubano la fonte della loro sopravvivenza. E’ da questo abisso che i proletari devono risalire, e non risaliranno se non spinti da condizioni materiali oggettivamente insopportabili per le grandi masse rispetto alle quali nessun’altra strada apparità come unica via d’uscita, se non quella della lotta di classe, dell’unione di classe contro i veri nemici del proletariato, cioè contro la classe borghese e tutti i suoi alleati.  

La forza dei proletari sta nella loro unione, nella loro coalizione, finalizzata esclusivamente alla difesa dei loro interessi di classe: non hanno altre vie! La dimostrazione è data dalla storia di tutte le soluzioni borghesi che sono state adottate dalle forze dell’opportunismo: la pace sociale, il confronto democratico, la negoziazione, l’affidamento alle leggi, il ricorso allo Stato come fosse al di sopra delle classi, la via parlamentare, i sacrifici di oggi per un benessere futuro, la speranza nella comprensione e nella pietà, nella carità o nei «diritti» scritti in qualche legge, una «redistribuzione del reddito» o una qualche «riforma di struttura» e chi più ne ha più ne metta.

Nessuna di queste «soluzioni» ha portato un reale e duraturo beneficio alla condizione generale proletaria: la pace sociale serve solo ai capitalisti e al loro Stato centrale per avere la massima libertà nel decidere le sorti dei proletari, in termini economici e in termini sociali, con il minor contrasto sociale possibile; le leggi borghesi  servono solo per imbrigliare ancor più i proletari nei cavilli appositamente inseriti per impegnare le loro energie e le loro speranze su un terreno nel quale non vinceranno mai, aumentando in questo modo anche l’impossibilità di usare a proprio favore le leggi borghesi (basti pensare ai processi Eternit, Ilva ecc.). I proletari nelle loro lotte di difesa esprimeranno le proprie avanguardie, come già è avvenuto in periodi storici precedenti, e dovranno  organizzarsi in modo indipendente da ogni impostazione, obiettivo, metodo e apparato del collaborazionismo: la loro lotta contro la concorrenza fra proletari, contro la pressione economica, sociale e ideologica della classe capitalistica, lotta portata avanti esclusivamente con mezzi e metodi di classe, per obiettivi di classe, è la loro arma vincente. Allora anche lo sciopero, trasformato dal collaborazionismo in un’arma che si ritorce contro i proletari, ridiventerà una «scuola di guerra», una preparazione per la lotta di emancipazione vera e propria, per la lotta rivoluzionaria. Allora il partito di classe, oggi inevitabilmente ridotto a pochissime unità, tornerà a rafforzarsi e a sviluppare un’influenza determinante sugli strati proletari decisivi, perché la lotta di classe sbocchi finalmente nella rivoluzione internazionale contro tutti i poteri borghesi esistenti.

Nell’ottica di fornire a compagni, simpatizzanti e ai proletari combattivi che non si lasciano vincere dalla disperazione, utile materiale storico da cui trarre indicazioni, stimoli, motivi di riflessione e di critica, e la spinta a non rinunciare ad un futuro di emancipazione dal capitale e dal lavoro salariato, per quanto questo futuro possa essere lontano e, per molti, oggi inimmaginabile, abbiamo estratto da una massa di materiale che il partito di classe - inteso come linea storica continua - ha prodotto in più di sessant’anni di bilanci e di ribadimento dei principi e delle linee politiche e tattiche del comunismo rivoluzionario, una serie di articoli e tesi che riteniamo fondamentali per riallacciarsi non solo alla tradizione di classe del movimento operaio mondiale, ma anche alla sua continuità teorica e politica.

Convinti come siamo che le posizioni di principio del marxismo siano invarianti poiché derivano direttamente dalla teoria del comunismo rivoluzionario, teoria scientifica per eccellenza, insistiamo sul bilancio politico che la nostra corrente di Sinistra comunista d’Italia ha tirato soprattutto dalle sconfitte del movimento operaio, certi che la storia delle società umane e, quindi, delle lotte fra le classi, non si è fermata alla vittoria del capitalismo sul feudalesimo né, tantomeno, sul falso comunismo russo o «socialismo reale»; e non si è fermata nemmeno all’ultima società divisa in classi, la società capitalistica. Lo sviluppo delle forze produttive, che lo stesso capitalismo ha accelerato in modo impressionante e a livello mondiale, si va a scontrare sempre più con le forme della produzione capitalistica, e quindi con i rapporti di produzione e di proprietà della società borghese.

La storia delle società umane, col capitalismo, è giunta alla fine delle società divise in classi; la sopravvivenza del capitalismo verso la sua fine è solo un rimandare nel tempo la propria morte perché, come in tutte le precedenti  società divise in classi, è lo sviluppo delle forze produttive il vero motore dello sviluppo sociale e, come un  fiume in piena, prima o poi farà saltare la diga che la classe dominante borghese ha eretto a protezione del suo potere, dei suoi privilegi di classe, del suo modo di produzione che da tempo ormai non porta più progresso e civiltà nel mondo, ma fame, guerre, distruzioni, devastazioni.

La sola classe al mondo che non ha nulla da perdere se salta per aria il potere borghese e, con esso, il modo di produzione capitalistico su cui ha eretto il suo potere di classe, è la classe dei senza riserve, dei proletari, la classe che possiede solo la forza lavoro che in questa società viene sfruttata a beneficio esclusivo dell’estrema minoranza della popolazione mondiale. Ma ogni cambiamento epocale nella società non avviene se non attraverso la rivoluzione; e più la classe dominante resiste al potere schiacciando in modo sempre più pesante la classe dominata, più l’esplosione rivoluzionaria sarà potente, aprendo alla lotta proletaria la strada per capovolgere e distruggere completamente l’ordine borghese.

E’ in questa prospettiva storica, che non è una «scelta» da parte delle masse proletarie, ma uno sbocco materiale obiettivo dello scontro delle forze produttive contro le forme che le costringono a non svilupparsi, che il proletariato sarà spinto necessariamente a muoversi. E’ in questa prospettiva storica che il proletariato, fin dai suoi necessari passi sul terreno immediato nella lotta di difesa delle sue condizioni di esistenza in questa società, troverà il partito di classe, il suo partito, la sua guida nella lotta di classe e nella lotta rivoluzionaria, nella vittoria rivoluzionaria e nell’instaurazione del suo potere dittatoriale quale unico mezzo per trasformare il modo di produzione capitalistico, con tutte le sue contraddizioni e i suoi effetti perversi, in un modo di produzione atto esclusivamente a soddisfare i bisogni della specie, in una organizzazione sociale razionale e armonica allo stesso tempo. Alla società di classe si sostituirà la società di specie. Capitale, salario, mercato, moneta, dunque la divisione della società in classi contrapposte, verranno sepolti definitivamente. Vi saranno soltanto beni d’uso, prodotti dal lavoro umano che non sarà più un tormento ma una gioia.

  


 

(1)   Cfr. Karl Marx, Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale dei lavoratori, in Marx-Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1987, pp. 12-13.

(2) Cfr. Lenin, Karl Marx, 1914, Opere complete, vol. 21, Editori Riuniti, Roma 1966, pp. 27-62.

(3) Cfr. K. Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 145.

(4) Gli stessi concetti sono ripresi e ben sintetizzati nel Manifesto del 1848 di Marx-Engels, dove si legge quanto segue: «Il proletariato, con lo sviluppo dell’industria, non solo si moltiplica; viene addensato in masse più grandi, la sua forza cresce, ed esso la sente di più. Gli interessi, le condizioni di esistenza all’interno del proletariato si vanno sempre più agguagliando man mano che le macchine cancellano le differenze del lavoro e fanno discendere quasi dappertutto il salario a un livello ugualmente basso. La crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più oscillante il salario degli operai; l’incessante e sempre più rapido sviluppo del perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio e il singolo borghese assumono sempre più il carattere di collisioni di due classi. Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i borghesi, e si riuniscono per difendere il loro salario. Fondano perfino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua e là la lotta prorompe in sommosse. Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle loro lotte non è il successo immediato ma il fatto che l’unione degli operai si estende sempre più». (K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, Giulio Einaudi Editore, Torino 1962, pp. 111-112).

(5) Cfr. K. Marx, Istruzioni ai delegati del Consiglio generale provvisiorio su singole questioni, luglio 1866, scritte su  richiesta del Consiglio generale della Prima Internazionale, e approvate al congresso di Ginevra del 3-8 settembre 1866. In K. Marx - F. Engels, I sindacati dei lavoratori, Casa Editrice Summa Uno, 1970, p. 116; e in Marx-Engels, Opere complete, vol. XX, pp. 195-196.

(6) Cfr. K. Marx Discorso al Consiglio generale della Associazione generale dei Lavoratori (Prima Internazionale), giugno 1865, estratti del quale sono pubblicati in Marxismo e sindacato, Samonà e Savelli, Roma 1970, pp. 21-26. Questo manoscritto, ritrovato da Engels tra le carte di Marx dopo la sua morte, fu pubblicato dalla figlia di Marx, Eleonora, nel 1898.

(7) Cfr. K. Marx, Discorso al Consiglio generale della Associazione generale dei Lavoratori (Prima Internazionale), cit. pp. 25.

(8) Il rovesciamento della prasi nella teoria marxista, cit., a p. 12 di questo opuscolo.

(9) Cfr. K. Marx, Discorso al Consiglio generale della Associazione generale dei Lavoratori (Prima Internazionale), cit. pp. 25-26.

(10) Cfr. K. Marx - F. Engels, Manifesto del partito comunista,  Giulio Einaudi Editore, cit., p. 112.

(11) Cfr. Lenin, Karl Marx,(1914), Editori Riuniti, Roma 1978, p. 14.

(12) Commento alla Tavola VIII, Schema marxista del capovolgimento della prassi, a p. 18 di questo opuscolo.

(13) Cfr. K. Marx, Lettera a Friedrich Bolte, 23 novembre 1871, in K. Marx - F. Engels, I sindacati dei lavoratori, Casa Editrice Summa Uno, 1970, cit., p. 119.

(14) Commento alla Tavola VIII, Schema marxista del capovolgimento della prassi, cit., a p. 18 di questo opuscolo.

 

 

 

INDICE   DEI   MATERIALI   

Introduzione:      

Serie di testi basilari sui rapporti tra Partito e classe: - Teoria e azione nella dottrina marxista (1951) - Rovesciamento della prassi nella teoria marxista (1951) - Il partito rivoluzionario e azione economica (1951) - Tavole esplicative.     

Serie dei «fili del tempo»: -Le scissioni sindacali in Italia (1949) - Movimento sociale e lotta politica (1949) - Le organizzazioni operaie nelle pastoie dello Stato (1949) - Marxismo e miseria (1949) - Lotta di classe e «offensive padronali» (1949) - Precisazioni a Marxismo e miseria ed a Offensive padronali (1949) - Movimento operaio e Internazionali Sindacali (1949).

F: Engels: Trade Unions  (Necessità e limiti delle associazioni economiche).

Dalle Tesi di partito: - Tesi caratteristiche del Partito (1951) - Tesi di Napoli (1965) -  Tesi di Milano (1966) - Il Partito di fronte alla «questione sindacale» (1972) - Marxismo e «questione sindacale» (1972).

Corollario: - Non la cultura, ma la lotta di classe eleva il proletariato alla rivoluzione (1946-1948) - La disoccupazione, fattore costante e necessario dell’oppressivo modo di produzione capitalistico (1973).     

Appendice: Partito e sindacati nella classica visione marxista (1966)

 

 

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice