SINDACATI TRICOLORI

Esigenze del mercato e del padronato contro esigenze del proletariato

(«il comunista»; N° 142;  Febbraio 2016)

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Il “nuovo” modello di relazioni industriali dei sindacati tricolore è sempre il collaborazionismo più spinto con le esigenze del mercato e dei padroni contro quelle dei proletari!

Il padronato sta spingendo sempre più ai margini i sindacati collaborazionisti avendo a disposizione, da una parte, una massa di proletari sempre più precari, frammentati e ricattabili a cui imporre l'abbattimento del salario e aumenti di produttività sempre più consistenti e, dall'altra, una concorrenza del mercato sempre più pressante. Il padronato, inoltre, può contare sul governo che gli offre incentivi e facilitazioni sempre maggiori. Perché, allora, perdere tempo in lunghe e inutili discussioni quando le condizioni di concorrenza richiedono risposte immediate al fine di difendere le proprie quote di mercato e quindi di profitto?

Il collaborazionismo sindacale tricolore  cerca naturalmente di non farsi mettere in un angolo; Cgil-Cisl-Uil si stringono l'un l'altro per mettere a punto delle proposte con cui riavere accesso ai negoziati con il padronato. Solo che queste proposte tendono ad abbassare ulteriormente la capacità dei salari di recuperare il potere d’acquisto perso, ma, in cambio (formalmente ora anche a livello nazionale), prevedono un possibile aumento solo sulla base dell’aumentata produzione nazionale (PIL).

Con la crisi economica ogni proletario può constatare che il collaborazionismo sindacale, nella pratica, è diventato la “cinghia di trasmissione” degli interessi dell’economia nazionale e di quella aziendale, e che gli accordi e i contratti che discute col padronato o col governo a “nome dei proletari” non sono altro che sentenze di condanna al perenne sfruttamento capitalistico.

Nel nuovo documento messo a punto da Cgil-Cisl-Uil del 14 gennaio scorso, intitolato: “Un moderno sistema di relazioni industriali, per un modello di sviluppo fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro”, che dovrebbe diventare la base delle trattative con il padronato della Confindustria volte a cambiare ulteriormente i modelli fino ad ora adottati per stilare i contratti dei lavoratori dei vari settori, tende ad abbattere ulteriormente i salari al di sotto della pura sopravvivenza. Si sostiene ad esempio che:

«Il contratto nazionale, con la determinazione delle retribuzioni, dovrà continuare a svolgere un ruolo di regolatore salariale, uscendo dalla sola logica della salvaguardia del potere d’acquisto, che nasceva da un’esigenza di contenimento salariale in anni di alti tassi di inflazione, per assumere nuova responsabilità e ruolo.

- A tal fine, il salario regolato dal contratto nazionale, sarà determinato sulla base di opportuni criteri guida ed indicatori, che tengano conto:

a) delle dinamiche macroeconomiche, non solo riferite all’inflazione, in particolare per quanto riguarda il valore reale dei minimi salariali valevoli per tutti i dipendenti;

b) degli indicatori di crescita economica e degli andamenti settoriali, anche attraverso misure variabili, le cui modalità di erogazione e di consolidamento nell’ambito della vigenza contrattuale saranno definiti dagli specifici Ccnl di categoria, anche in relazione allo sviluppo del secondo livello di contrattazione.»

In pratica si dice chiaramente che la salvaguardia del potere d’acquisto non è più una priorità mentre vanno, al contrario, tenuti in conto gli indicatori di crescita economica. Tradotto, significa che, se l’economia cresce, è possibile che qualche briciola di aumento salariale ci scappi, altrimenti nulla.

Inoltre:

«- Al fine di poter svolgere i cicli negoziali, primo e secondo livello, evitando forme di sovrapposizione e, al contempo, per favorirne lo sviluppo, alla luce di una verifica sull’esperienza degli ultimi anni, potrà essere riconsiderato il periodo della vigenza contrattuale, anche nella direzione di una durata quadriennale».

Ciò significa che si passa dall'attuale durata triennale dei contratti (che era già stata peggiorata in passato visto che, precedentemente, per la parte economica, era biennale) a quella quadriennale, ma che sicuramente nella pratica dei negoziati poi si vedrà allungare probabilmente a 5 anni e anche più. Il padronato si assicura così un periodo piuttosto lungo per poter pianificare lo sfruttamento operaio, e i profitti da ricavare senza dover contrattare aumenti salariali.

Infine:

«- Il secondo livello di contrattazione si inserisce a pieno titolo nella finalità di rendere le politiche salariali un fattore di crescita. Il gap di produttività del nostro Paese va combattuto perseguendo

- l’innovazione organizzativa, di processo e di prodotto,

- la scelta della qualità piuttosto che quella del mero taglio dei costi,

- la internazionalizzazione e l’ampliamento dei mercati,

- una nuova e più significativa politica degli investimenti pubblici e privati invece della delocalizzazione.

Dovrà, quindi, essere ampliata l’esperienza compiuta in questi anni sul salario di produttività attraverso l’individuazione di obiettivi trasparenti e condivisi, nella consapevolezza, tuttavia, che il deficit di produttività del nostro sistema ha origini innanzitutto nelle diffuse diseconomie esterne e nella carenza di investimenti per l’innovazione, sulle quali occorre intervenire con politiche strutturali, senza le quali il mero intervento aziendale rischia di risultare scarsamente efficace».

In sostanza si sostiene che l’unica possibilità di aumentare realmente il salario starebbe nell’aumentare la produttività aziendale, il che vuol dire che i lavoratori si devono lasciar sfruttare al massimo dai padroni aumentandone significativamente i profitti, e che solo a questa condizione possono “sperare” in qualche briciola di salario in più!

Al momento la Confindustria ha risposto ai sindacati che questo documento è già superato dalla realtà e che può ulteriormente essere migliorato, secondo i loro interessi naturalmente. E' evidente che il padronato tende ad ottenere le condizioni migliori per difendere i propri profitti; sono i proletari a trovarsi nelle condizioni peggiori, poiché sono “rappresentati” da organizzazioni che li consegnano mani e piedi legati sul tavolo del banchetto capitalistico.

I proletari per liberarsi da questa morsa soffocante devono mettere al centro della loro lotta obiettivi unificanti tutte le categorie di lavoro - aumenti di salario, diminuzione della giornata lavorativa, diminuzione dei carichi e dei ritmi di lavoro ecc. - mezzi classisti di lotta, cioè mezzi che vanno direttamente contro gli interessi dei padroni, un’organizzazione classista, cioè che non prevede alcuna compatibilità delle esigenze dei proletari con quelle dell’economia nazionale o dell'economia aziendale!

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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