“Comunismo-operaio” o democratismo piccoloborghese?

(«il comunista»; N° 144;  Luglio 2016)

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Riprendiamo questo articolo sul “comunismo operaio” dalla nostra rivista teorica “Programme communiste” (n. 103, del gennaio 2016), le cui posizioni, pur non essendo al momento presenti in Italia attraverso membri di questa tendenza, sono in ogni caso presenti nel cosiddetto ambito dell’estrema “sinistra”.

 

La cosiddetta corrente “comunista-operaia” da diversi anni ha acquisito una certa notorietà a livello internazionale. Dichiarandosi decisamente comunista, anti-staliniana e critica nei confronti di alcune comuni posizioni della cosiddetta “estrema” sinistra, trotzkista e non, si capisce come questa corrente possa sedurre militanti o proletari alla ricerca di posizioni veramente rivoluzionarie. Ma vedremo che, anche se confezionata in modo attraente, la merce offerta è adulterata.

 

 

Questa corrente è conosciuta anche sotto il nome di corrente “hekmatista”: Mansoor Hekmat (oggi scomparso) ne era infatti il   leader e teorico, e a lui si rifanno ancora i vari gruppi di questa tendenza. Ci riferiamo principalmente al Partito Comunista-Operaio dell’Iran (PC-OI), perché è l’organizzazione più conosciuta a livello internazionale; presente nell’emigrazione iraniana in molti paesi, pubblica testi in varie lingue. Inoltre, citeremo i testi di un’organizzazione che è nella sua orbita, il gruppo francese “Iniziativa comunista-operaia”, la cui pubblicazione si chiama Comunismo-operaio (1). I testi o le dichiarazioni di Mansoor Hekmat sono disponibili su internet in lingua persiana e i più importanti sono tradotti in inglese (2).

 

L’UNIONE DEI MILITANTI COMUNISTI

 

Secondo gli Hekmatisti, la loro corrente risale al gruppo “Unione dei militanti comunisti” (UMC) fondata nel dicembre del 1978, nel periodo successivo alla caduta dello Scià, da parte di Hekmat e dei suoi compagni. Secondo Hekmat «l’UMC ha iniziato una vigorosa campagna teorica contro il nazionalismo e le concezioni e le teorie populiste della Sinistra radicale. Ha dichiarato che la “borghesia nazionale” era un mito, e lo sviluppo del capitalismo “nazionale”, “indipendente” un’utopia reazionaria.

Ha respinto il concetto di una rivoluzione democratica avente il compito di risolvere la questione agraria e di sviluppare le forze produttive, e ha sostenuto che lo scopo dell’attuale rivoluzione deve essere quello di creare le condizioni necessarie per una mobilitazione socialista della classe operaia e un cammino ininterrotto verso la rivoluzione socialista» (3). L’UMC segnò quindi una rottura con le correnti politiche cosiddette rivoluzionarie esistenti allora in Iran che erano profondamente improntate allo stalinismo e al nazionalismo e per le quali il sostegno alla “borghesia nazionale” era un credo di base.

Ma leggendo le tesi di Hekmat “La rivoluzione iraniana e il ruolo del proletariato” (1978), adottate dall’UMC, si nota che questa rottura era quanto meno incompleta.

La tesi 3, b affermava: «la rivoluzione in Iran è democratica perché il sistema imperialista, dominante nell’Iran dominato, ha dato un contenuto democratico alla rivoluzione iraniana, tanto dal punto di vista delle condizioni oggettive (intenso sfruttamento economico e violenta repressione politica della classe operaia e le delle altre classi lavoratrici: contadini, piccola borghesia urbana ecc.) quanto dal punto di vista delle condizioni soggettive (presenza, accanto alla classe operaia, di altre classi – principalmente i contadini – pronte ad accettare, a causa delle loro condizioni oggettive di vita sociale, i metodi rivoluzionari di lotta contro il sistema esistente)».

E  secondo la tesi 4: «la rivoluzione in Iran, nel suo significato pratico, non può essere “direttamente” e immediatamente una rivoluzione socialista». Di conseguenza, l’obiettivo era l’instaurazione di una “repubblica popolare democratica” (4), vale a dire, secondo il marxismo, di un regime che sarebbe rimasto borghese. Il suo rifiuto di vedere nei Khomeinisti un’espressione della “borghesia nazionale antimperialista” che bisognava sostenere, posizione di molte correnti pseudosocialiste in Iran (e fuori dall’Iran), non giungeva dunque a respingere una concezione di rivoluzione “per tappe” (prima la tappa democratico-borghese, poi la tappa socialista), direttamente ereditata dallo stalinismo.

 

L’ANONIMATO NEL LAVORO DEL PARTITO

 

Un altro punto sottolineato dai suoi sostenitori è che Hekmat iniziò allora a pubblicare i suoi articoli sotto il proprio nome: «Fino ad allora, seguendo una tradizione della sinistra iraniana – scrive il suo biografo – i suoi scritti erano stati pubblicati in forma anonima. La pubblicazione di articoli firmati dall’autore era stato uno dei risultati della critica alle pratiche della sinistra iraniana, i cui leader dovevano, come regola,  rimanere anonimi» (5).

«A differenza dell’anonimato bordighista, al prevalere del partito sull’individuo fino al completo assorbimento di quest’ultimo nel partito – scrive un altro hekmatista – Mansoor Hekmat afferma la necessità di figure politiche note e identificabili: “Dopotutto, se volete che le persone vengano con voi, dovete mostrarvi loro. E non possiamo fare questo senza un nome, un’identità e un’immagine politica. Per mobilitare 2 milioni di persone, servono 10.000 persone reali, con identità e volti familiari, influenti e rispettate dalla gente”(...). È in gioco tutta una concezione del legame tra individuo, partito e società: “Nella lotta, l’individuo è importante. L’individuo è colui che dà un volto ai sindacati, ai partiti politici e ai movimenti; è ciò che li rende tangibili, accessibili alla gente. Quando siete alla ricerca di un’organizzazione, non vedete solo le sue funzioni, il suo ruolo, il suo programma e il suo scopo, ma anche le persone che ne fanno parte. Ciò è fondamentale per creare un collegamento concreto tra questa organizzazione e la società (...). Rimanere nascosti, senza volto, esistere solo ai margini, non contraddistingue il comunismo. (...) Per i marxisti, apparire come persone reali, è il socialismo; è la missione del socialismo; è il punto di partenza del socialismo. Tutto il resto non è socialismo”» (6).

Ma l’”anonimato bordighista” non significa che i militanti siano “nascosti, senza volto”, cioè clandestini! La sua funzione è la lotta contro il culto del tutto borghese dell’individualismo, la cui forma estrema è il culto del leader, il culto della personalità, i cui danni nel movimento rivoluzionario proletario sono stati immensi.

Storicamente legato allo stalinismo, il culto del leader è presente in varia misura in tutti i partiti borghesi, democratici o dittatoriali, ma anche in numerosi partiti e organizzazioni che si proclamano rivoluzionari e in cui le questioni politiche cedono il passo alle questioni e agli scontri personali. Al contrario, l’anonimato significa dare priorità al carattere collettivo del lavoro di partito. Nessuno può servirsi del partito a fini di carriera o prestigio personale (anche se si tratta solo di un prestigio nella cerchia oggi molto ristretta dell’”ambiente” rivoluzionario!). Non tutti i militanti hanno le stesse capacità o le stesse possibilità di lavoro; ma tutti danno il meglio di sé al partito, a quest’organo collettivo e impersonale che deve integrare armoniosamente i loro sforzi al di là dei limiti e le vicissitudini individuali, perché così facendo essi sanno collaborare al grandioso obiettivo storico dell’emancipazione del proletariato e, attraverso di essa, all’emancipazione dell’intera umanità.

Il partito di classe non deve e non può basare la sua influenza sul proletariato, e guadagnare il suo “rispetto”, sulla popolarità o sul prestigio di individui e grandi nomi, compresi i più famosi: questo non è socialismo, ma l’antitesi del socialismo! Per conquistare influenza, il partito deve e può contare solo sulla sua capacità teorica, politica e pratica per svolgere un’attività conforme in tutti i campi agli interessi proletari, sapendo che questa “conquista” dipende dalla capacità dei lavoratori in un determinato periodo di scendere in lotta per difendere i propri interessi.

 

LA FUSIONE CON KOMALA E LA FONDAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA DELL’IRAN

 

La crisi delle varie organizzazioni della “estrema sinistra”, con il riflusso del movimento sociale e il consolidamento del nuovo potere khomeinista, ha rafforzato l’interesse verso l’UMC. In particolare essa è entrata in contatto con un gruppo originariamente di tendenza “filoalbanese” esistente da diversi anni nel Kurdistan iraniano: Komala. Questo gruppo aveva partecipato, insieme al suo rivale PDKI (Partito Democratico del Kurdistan iraniano, un’organizzazione di notabili nazionalisti curdi), alla lotta armata dopo la caduta dello Scià per la conquista di uno statuto autonomo per il Kurdistan.

Per un buon periodo il nuovo potere centrale iraniano non sarà in grado di stabilire il controllo sulla zona nelle mani dei combattenti delle diverse organizzazioni curde (Komala, PDKI, Mujahidin del Popolo); molti oppositori del regime di Khomeini, fra cui i militanti dell’UMC, troveranno rifugio in queste zone per sfuggire alla sempre più forte repressione dilagante nelle principali città.

Dopo lo scoppio della guerra Iran-Iraq, Komala riceverà il sostegno del regime di Saddam Hussein, che le consentirà di installare delle basi in Iraq; ma una vera e propria guerra lo contrapporrà al PDKI, cosa che ha facilitato la vittoria dell’esercito iraniano. Alla fine del 1984, c’erano più “zone liberate” nel Kurdistan iraniano, anche se alcuni gruppi di guerriglia esistevano ancora. Nel frattempo, Komala aveva cominciato a rivedere le sue posizioni politiche nel corso del suo congresso del 1981, consentendo così una convergenza politica e un “lavoro comune” con UMC (7). La fusione tra le due organizzazioni, nel 1983, ha portato alla formazione del Partito Comunista dell’Iran, di cui Komala era l’organizzazione nel Kurdistan iraniano e il braccio armato; il leader di Komala è stato nominato segretario generale del nuovo partito.

Non abbiamo documenti sulle basi politiche e programmatiche di questa unificazione, ma ciò che abbiamo detto a proposito delle tesi dell’UMC è sufficiente per capire che queste basi non potevano essere realmente marxiste. D’altra parte, probabilmente non tutte le differenze tra le due organizzazioni erano state affrontate e risolte: il fatto stesso che Komala abbia continuato a esistere come parte del PCI indica che la creazione del nuovo partito derivava più da un compromesso tra le organizzazioni che da una vera e propria fusione.

In ogni caso, le differenze all’interno del PCI, che sembra ruotassero soprattutto intorno alla questione curda (8), si sono inasprite nel 1989, quando Hekmat si dimise dalla direzione del partito per dare vita a una frazione interna. In seguito venne rieletto alla direzione, ma le divergenze alla fine portarono alla rottura nel 1991. Considerando che il nazionalismo curdo era diventato dominante nel PCI, Hekmat e i suoi compagni fondarono allora il Partito Comunista-Operaio dell’Iran (9); nel 1993, fu costituita, su basi politiche e programmatiche identiche, un’organizzazione sorella, il Partito Comunista-Operaio dell’Iraq nato dalla fusione della “Corrente Comunista” (gruppo anch’esso originariamente filoalbanese) e della “Lega per l’Emancipazione della classe operaia” nato dal vecchio Partito Comunista Iracheno (10). È a partire da questo momento e nel periodo successivo che Hekmat sviluppò e specificò i particolari concetti del cosiddetto “comunismo operaio”.

Ma subito dopo la sua morte, nel 2002, una grave crisi colpì il movimento che a lui si rifà.

A partire da quest’anno, il nuovo segretario generale del PC-OI avanzò la prospettiva della partecipazione a un “governo provvisorio che garantisse le libertà pubbliche” (11) – cioè la partecipazione a un governo democratico-borghese, che incontrò l’opposizione di altri dirigenti del partito. Il sorgere di una forte agitazione in Iran nel 2003 esacerbò le divergenze al punto da determinare una scissione nel PC-OI; nessuna delle due correnti che si scontravano era contraria per principio alla partecipazione a un simile governo, ma gli scissionisti la ritenevano auspicabile come primo passo per accrescere la forza del partito ed evitare che l’eventuale crollo del regime islamico portasse a una situazione alla libanese (lo “scenario nero”), in un momento in cui la rivoluzione socialista non era ancora possibile; accusavano gli altri di mancanza di “volontarismo” (12).

Per questi ultimi, la partecipazione a un governo provvisorio non era da escludere per principio, ma sarebbe stato eventualmente possibile solo sulla base di un rapporto di forze già esistente in campo, in quanto la prospettiva normale doveva essere l’”instaurazione immediata del socialismo” (13); torneremo più avanti su quest’ultima posizione. Gli scissionisti crearono il Partito Comunista-Operaio dell’Iran-Hekmatista. Ebbero l’appoggio del Partito comunista-Operaio dell’Iraq, una frazione del quale si staccò per formare il Partito Comunista-Operaio di Sinistra, collegato al PC-OI.

Come sappiamo il regime islamico non è crollato e nessuna delle due frazioni, e poi dei due partiti, ha avuto l’occasione di mettere in pratica le sue posizioni...

 

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Questa esposizione dell’origine e della vita della corrente hekmatista è senza dubbio schematica; ma già la storia travagliata di questa tendenza dimostra che le sue pretese di incarnare una corrente che si inserisce nella continuità storica delle lotte comuniste del proletariato e che inoltre ha trovato la spiegazione delle sconfitte proletarie e come rimediare, sono da prendere con le molle. Se consideriamo i testi teorici del “comunismo-operaio”,  vi troveremo la chiave di una politica che in realtà non è classista ma opportunista.

 

IL PROGRAMMA DEL PARTITO COMUNISTA-OPERAIO DELL’IRAN

 

Questo programma, scritto da Hekmat nel 1992, dopo la formazione di PC-OI (14), è ancor oggi rivendicato come testo base da parte dei diversi gruppi che si richiamano al comunismo-operaio, in Iraq, in Iran e altrove; la sua critica è istruttiva, come vedremo dalla lettura della sua parte teorico-politica generale.

Il testo è stato apertamente scritto con riferimento al Manifesto Comunista e vi si trovano d’altronde frasi tratte dai testi marxisti fondamentali; ma la copia non vale quanto l’originale, tutt’altro!

Riproduciamo il primo paragrafo, “Un mondo migliore”:

«Cambiare il mondo per crearne uno migliore è stata, nel corso della storia dell’umanità, un’aspirazione profonda. È vero che il mondo di oggi è dominato da idee fataliste, religiose o meno, che considerano inevitabile la sinistra situazione attuale dell’umanità. Tuttavia, l’azione, la vita reale delle persone rivelano una solida speranza nella possibilità di un futuro migliore, e anche di una sua ineluttabilità. Questa speranza che il mondo di domani sarà liberato dalle attuali ineguaglianze, dalle difficoltà e dalle privazioni, l’idea che le persone potranno individualmente e collettivamente influenzare la forma del mondo a venire, è profondamente radicata. È lei che guida la vita e l’azione di un gran numero di persone. Il comunismo-operaio, prima di tutto, appartiene a questa incrollabile speranza di innumerevoli persone di generazioni successive, per le quali costruire con le proprie mani un mondo futuro migliore è sia necessario sia possibile».

In sostanza, tutto è già detto qui, e potremmo fare a meno di proseguire la lettura per concludere che siamo in presenza di uno scritto idealista, non marxista: “la vita e l’azione” delle “persone” sarebbero “guidate” da un’”idea”; in poche frasi Hekmat ha fatto sparire il materialismo storico secondo il quale è la lotta di classe (non “l’azione di un gran numero di persone”) ad essere il motore della storia dell’umanità ed lo stesso materialismo volgare secondo il quale non è il mondo delle idee che determina l’azione degli uomini, ma, al contrario, sono le loro azioni, sotto il peso di determinazioni materiali, a determinare le loro idee.

Le conseguenze di questo punto di vista sono immediate: se sono le idee ad essere determinanti, allora la lotta delle idee diventa prioritaria e, per esempio, è possibile fare arretrare la religione conducendo una lotta “ideologica”, anche insieme ad associazioni borghesi atee; oppure si possono spiegare gli eventi che hanno portato alla degenerazione della rivoluzione russa con il semplice fatto che i dirigenti bolscevichi non avevano le idee chiare su ciò che avrebbero dovuto fare. Notiamo anche, di sfuggita, che questa speranza di un futuro migliore è generato dal capitalismo stesso che rivoluziona continuamente il processo di produzione presentandolo come una novità e un progresso continuo, sbandierato dalle forze riformiste al suo servizio che sostengono che il capitalismo possa essere, appunto, riformato.

Ma si potrebbe obiettare che noi traiamo conclusioni troppo affrettate da alcune frasi scritte male, o scritte con linguaggio “popolare” per giungere più facilmente alle masse. A nostro avviso, trattandosi di un testo ritenuto tanto importante dai sostenitori del comunismo-operaio, questo argomento sarebbe di scarso valore. Proseguiamo quindi la lettura del testo...

Le cose non migliorano con il paragrafo che segue, dal titolo “Libertà, uguaglianza, prosperità”.

Il programma comunista-operaio riprende quindi il motto della rivoluzione borghese, sostituendo solo l’ultimo termine con “prosperità”! Marx e tutti i marxisti dopo di lui hanno ampiamente spiegato che questo motto esprimeva il programma borghese di porre fine alla diseguaglianza di fondo e alle molteplici barriere del sistema feudale che bloccavano lo sviluppo capitalistico, mentre la “fraternità” era un ideale di pace e di concordia tra le classi che non avrebbe mai potuto essere realizzato nei nuovi rapporti di produzione. La sostituzione di “fraternità” con “prosperità” non rende il motto meno borghese, vi aggiunge solo un tocco di sapore piccoloborghese (sono i piccolo borghesi che aspirano alla prosperità nel quadro del capitalismo).

Nessuna critica marxista, quindi, in questo paragrafo, ma queste poche considerazioni: «Nel corso della storia dell’umanità, alcune idee sono diventate sinonimi di felicità umana e di progresso sociale, tant’è che rappresentano oggi i principi essenziali del vocabolario politico a scala mondiale. Proprio questi ideali costituiscono le fondamenta intellettuali del comunismo-operaio. Il comunismo operaio è un movimento per cambiare il mondo e costruire una società libera, uguale, umana e prospera».

Accettiamo la confessione: questi ideali, totalmente borghesi, sono i fondamenti intellettuali del comunismo-operaio!

 

RIFORMISTI E RIVOLUZIONARI

 

Il prossimo capitolo, “lotta di classe, proletariato e borghesia”, sembra a prima vista più in linea con le posizioni marxiste classiche: l’autore ricorda e dice che “la storia delle società è la storia della lotta di classe” ecc.

 Ma i concetti appaiono vaghi, e come diceva la nonna di un dirigente del PS, “quando c’è vaghezza, c’è un inghippo”. In molti dei loro testi, gli operai-comunisti ripetono che la loro concezione del rapporto tra riforma e rivoluzione è uno dei punti che li caratterizza maggiormente. Vediamo cosa dice al riguardo il loro programma.

Secondo Hekmat, l’attuale società è divisa in due “campi”.«Il campo del proletariato, dei lavoratori, nonostante la moltitudine di idee, di tendenze e di partiti al loro interno, rappresenta la volontà di cambiare il sistema a favore dei poveri e degli oppressi. (...) Il comunismo operaio appartiene al campo del proletariato». Così, dunque, le diverse idee (sic!), tendenze e partiti attualmente presenti tra i proletari, rappresenterebbero tutte la “volontà” (ri-sic!) di cambiare il sistema? Le forze del collaborazionismo interclassista che sono predominanti oggi nel proletariato, sarebbero sorprese di apprenderlo!

Quello che abbiamo qui è un atteggiamento ben preciso nei confronti dei partiti e delle organizzazioni riformiste, delle quali ci viene detto che fanno parte dello stesso campo dei comunisti-operai.

Lenin ha parlato di “partiti operai borghesi”: queste organizzazioni e partiti sono “operai” nel senso che reclutano almeno una parte dei loro aderenti fra i lavoratori, ma sono politicamente borghesi, perché fondamentalmente la loro azione politica consiste nel sostenere il potere e l’ordine borghese. Essi, quindi, non fanno parte dello stesso “campo” del partito e delle organizzazioni di classe, ma appartengono al campo nemico; per riprendere un’altra formula usata dai bolscevichi, essi non sono “l’ala destra del proletariato, ma l’ala sinistra della borghesia”; o meglio, sono “luogotenenti operai della borghesia in seno al proletariato”. Il problema, allora, è come strappare il proletariato all’influenza di questi agenti della borghesia: a questo proposito si vedano, sulla nostra stessa rivista “Programme Communiste”, le accese discussioni sulla questione del “Fronte Unico” che hanno avuto luogo nell’Internazionale Comunista.

Qual è l’effettiva posizione del comunismo-operaio rispetto a questi partiti e organizzazioni?

Il programma si guarda bene dal dirlo apertamente, ma si può già constatare che non riprende le tesi bolsceviche che abbiamo appena ricordato. In un discorso tenuto in occasione della prima conferenza dei quadri del PC-OI (15), Hekmat ha affermato: «la questione del rapporto tra rivoluzione e riforma, e quindi [sic!] del rapporto tra gli elementi rivoluzionari e le organizzazioni interessate alle riforme sociali è un pilastro della nostra concezione» Cosa vuol dire? «Sostenere i sindacati e tenere rapporti stretti con la loro ala sinistra, rafforzare il movimento operaio nel suo insieme contro la borghesia, sono compiti di vitale importanza. Ma dobbiamo analizzare attentamente, come comunisti-operai, le concezioni e la politica delle organizzazioni della classe operaia e dei loro leader».

Bisognerebbe dunque sostenere – osservandole con attenzione! – le organizzazioni esistenti della classe operaia e i loro leader. Ma in realtà non c’è bisogno di controllarle attentamente per capire che queste organizzazioni (che Hekmat chiama “movimento operaio nel suo insieme”) sono organizzazioni di collaborazione di classe, che sono, in definitiva, la cinghia di trasmissione dell’influenza borghese in seno alla classe. Questa non è però l’opinione di Hekmat per il quale «i leader radicali dei lavoratori negli Stati Uniti, in Canada, in Germania, in Gran Bretagna devono anche risolvere il problema di sapere perché non sono comunisti, perché non hanno nulla da dire e da fare riguardo alle basi economiche del sistema attuale (...). Noi non critichiamo l’isolazionismo settario della sinistra non-operaia per poi piegarci di fronte ad atteggiamenti corporativisti e isolazionisti dei movimenti operai riformisti e alla loro estraneità alla causa generale della rivoluzione sociale della classe operaia». Ma sono davvero i “Comunisti-Operai” che dovrebbero affrontare il problema di sapere come immaginano il processo attraverso il quale le organizzazioni riformiste e i loro leader –  anche “radicali” – potrebbero cessare di essere riformisti, cioè di non essere più sostenitori del sistema capitalista?

Il riformismo non è una serie di equivoci, è una forza materiale il cui potere, derivante dal sistema capitalista, cioè dallo sfruttamento del lavoro salariato, gli permette di corrompere non solo alcuni individui, alcune organizzazioni, ma anche alcuni settori del proletariato, quelli che il marxismo chiama aristocrazia operaia. L’”estraneità alla causa generale della rivoluzione sociale”, cioè, senza timore di dirlo, la natura controrivoluzionaria delle organizzazioni riformiste, deriva da cause materiali altrettanto potenti dello stesso capitalismo. Quando ci si pretende rivoluzionari, bisogna continuamente avvertire i proletari che queste organizzazioni e i loro leader sono in realtà degli avversari che faranno di tutto per impedire loro di imboccare la via della lotta di classe, anche a costo di attrarre su di sé la repressione borghese, come già accaduto molte volte in passato.

Hekmat ha fatto una confusione volontaria fra la lotta per le riforme (o meglio, rivendicazioni immediate, parziali, limitate ecc.) che, in effetti, i comunisti non devono disprezzare, e l’atteggiamento nei confronti delle organizzazioni riformiste, agenti della collaborazione tra le classi e nemici della rivoluzione. Si tratta di due cose completamente diverse, perché è nella lotta per queste rivendicazioni che i comunisti possono e devono combattere i riformisti per avere la possibilità di strappare i proletari alla loro influenza.

I partiti e le organizzazioni riformiste non sono sostenitori sinceri ma ottusi della lotta operaia, sono avversari di quest’ultima; cercano sempre di impedirla o, se non è possibile, di controllarla, di deviarla per stroncarla nel più breve tempo possibile.

Tuttavia, per conservare la loro influenza, i loro aderenti e la giustificazione della loro esistenza (anche agli occhi della borghesia!), queste organizzazioni sono costrette a far finta di difendere gli interessi dei lavoratori e di proclamarsi loro “rappresentanti”. Esse, pertanto, non possono non riprendere e difendere, almeno a parole, alcune rivendicazioni proletarie; ma a condizione che siano compatibili con gli interessi capitalistici e che possano essere ottenute attraverso il “dialogo sociale” e il compromesso politico;  e l’eventuale mobilitazione operaia organizzata da esse serve quindi principalmente come valvola di sfogo e secondariamente come mezzo di pressione nel quadro ormai ben rodato di collaborazione tra le classi.

Se il programma del PC-OI evita di ricordare tutto questo quando sciorina le sue banalità sulla lotta per le riforme, non è per caso o per mancanza di informazioni. Ma perché i “comunisti-operai” sono solo uno dei partiti centristi, come li chiamavano i bolscevichi, pseudo-rivoluzionari incapaci di rompere con il riformismo, partiti che non hanno solo “rapporti di vicinanza con la [sua] ala sinistra”, ma sono parte integrante di questa ala sinistra del riformismo!

 

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Il quarto capitolo, “Il comunismo-operaio”, è solo una scopiazzatura confusa del Manifesto Comunista. Senza volerne fare una critica dettagliata, notiamo solamente la confusione più importante che spesso ritorna nei testi comunisti-operai: «Il comunismo operaio è il movimento sociale del proletariato» (il neretto è nostro).

 Nel discorso citato sopra, Hekmat afferma che il marxismo è un “movimento sociale”; e, parlando del «carattere sociale oggettivo del socialismo operaio», spiega: «il socialismo operaio è un movimento sociale che esiste in modo indipendente, e non un prodotto derivato dall’attività dei marxisti e dei comunisti. (...) Il socialismo è (...) un quadro per una certa lotta sociale che esiste inevitabilmente e indipendentemente dalla presenza o dall’assenza di un partito; è un movimento sociale che è proseguito per tutto il corso del XIX e del XX secolo, e che è ancora chiaramente osservabile oggi. C’è sempre una parte della classe operaia che non si accontenta di una lotta difensiva, che non crede che (...), che pensa che (...), che pensa che (...) e, infine, che pensa che (...). Questo non è altro che la definizione del socialismo operaio».

Questo famoso carattere sociale oggettivo sarebbe, in definitiva, essenzialmente soggettivo: l’idea di un partito della classe operaia! Un certo Marx ha detto: «Ciò che conta non è che cosa questo o quel proletariato si rappresenta temporaneamente come fine. Ciò che conta è che cosa esso è e che cosa esso sarà costretto storicamente a fare in conformità a questo suo essere» (La Sacra Famiglia, cap. IV, 4, Ed. Riuniti, Roma 1969, p. 44).

Proseguiamo:

«Ma dietro le attività dei sindacati di destra, dietro le parole dei leader sindacali, per quanto ingenue [sic] o timide [ri-sic!] siano le loro dichiarazioni, si possono riconoscere alcuni fatti che dimostrano l’esistenza di una tendenza  socialista e di una lotta socialista della classe operaia».

I bonzi sindacali venduti al capitalismo esprimerebbero quindi in qualche modo l’esistenza di una tendenza e di una lotta socialista della classe operaia?

«Il socialismo operaio è la tendenza in seno alla classe che crea dei capi [sic! si pone sempre l’accento sulle personalità e sui capi...] radicali e mantiene una pressione costante sui leader non radicali. Riconoscere e sottolineare l’esistenza di un vero e proprio movimento socialista all’interno della classe operaia stessa, qualunque ne sia l’espressione intellettuale [sic!] che nei diversi periodi ha trovato è una delle caratteristiche importante della nostra corrente politica. (...) Il partito che siamo oggi (...) è formato nella tradizione della lotta dei lavoratori per l’uguaglianza economica nella società [ri-sic!], una lotta che è sempre esistita nel capitalismo - ed è in questo che il partito comunista-operaio dell’Iran trova la propria forza» (16).

Riprendiamo: esisterebbe stabilmente nella classe operaia un movimento sociale che aspira intellettualmente al socialismo (o, ciò che è il contrario, all’uguaglianza economica nella società borghese!) sotto forma di espressioni diverse (se ne troverebbero tracce perfino nelle organizzazioni riformiste, che sarebbero quindi una delle possibili espressioni): il comunismo-operaio, i marxismo; il PC-OI si sarebbe fondato sulla base di questo movimento sociale, di questa tradizione di lotta per l’uguaglianza economica. Quel che ci troviamo di fronte qui è una pura professione di fede spontaneista e immediatista.

In realtà, secondo l’autentico marxismo (e non il marxismo ricucinato da Hekmat), in questa società esiste in permanenza una lotta di classe perché è il capitalismo che produce l’antagonismo sociale. Questa lotta è talvolta nascosta, talvolta aperta, ha i suoi alti e bassi; nei periodi di prosperità economica e nei paesi più ricchi, la borghesia che conduce costantemente in modo del tutto cosciente e scientifico questa lotta, riesce a ottenere e a mantenere per un tempo più o meno lungo, una vera pace sociale. Non per questo gli antagonismi sociali sono scomparsi, solo che si manifestano in modo indiretto attraverso azioni che vengono classificate come “fatti vari”, “problemi sociali” ecc. In questi periodi in cui il dominio della controrivoluzione sembra totale, non esiste alcun movimento sociale che aspiri al socialismo; in questi periodi, i rivoluzionari sono ridotti a piccole minoranze controcorrente, isolate e incomprese perfino dai proletari.

Voler fondare un partito sulla base dell’esistenza di un movimento sociale in seno alla classe, cioè secondo Hekmat, sulla base di ciò che “pensano” o “esprimono” i proletari in un dato momento significa inevitabilmente mettersi a rimorchio dello stato d’animo contingente dei proletari, stato d’animo che cambia a seconda delle situazioni. È naturale allora che questo partito possa avere una “vicinanza” con i riformisti, i guardiani dell’ordine borghese, perché essi godono in certi momenti di una grande influenza tra i lavoratori... Mentre il vero partito comunista è estraneo a questo opportunismo: non deve e non può fondarsi se non su basi non contingenti del bilancio storico della lotta di classe, della teoria e del programma marxisti (programma specificamente politico e non movimento sociale!) che ne sintetizzi le lezioni e tracci la via della futura emancipazione proletaria. Con la piena consapevolezza che questo comporta, in alcuni periodi più o meno lunghi e in determinate circostanze, di essere controcorrente, di rimanere isolati dalle grandi masse battute dal nemico di classe, disorientate dalla potenza della sua macchina di propaganda e frastornate dai falsi partiti operai venduti al nemico.

Questo partito è quindi capace, per esempio, di non soccombere agli ideali di libertà e di uguaglianza e di comprenderne la natura borghese (i comunisti non lottano per l’uguaglianza economica dei lavoratori e dei non-lavoratori, per la loro libertà di fronte alla borghesia, ma per l’abolizione delle classi e del modo di produzione capitalistico); sapendo che, come diceva Engels nell’Anti-Dühring, la rivendicazione di uguaglianza è un modo distorto per i proletari di chiedere l’abolizione delle classi sociali.

 

LA RIVOLUZIONE IN UN SOLO PAESE E IL PASSAGGIO IMMEDIATO AL SOCIALISMO

 

Un altro punto saliente del programma spesso evidenziato dagli hekmatisti è il concetto del passaggio immediato al socialismo, in contrasto con la tesi 4 dell’UMC che abbiamo citato sopra nel preambolo : «L’obiettivo immediato del Partito comunista-operaio è quello di organizzare la rivoluzione sociale della classe operaia. Una rivoluzione che abbatta tutti i rapporti di sfruttamento capitalistici e ponga fine allo sfruttamento e alle privazioni. Il nostro programma è l’instaurazione immediata della società comunista »(17).

Bisogna innanzitutto rimarcare che tale affermazione è in contraddizione con la seconda parte del programma in cui tutta una serie di riforme politiche e sociali ampiamente e dettagliatamente elencate sono presentate come rivendicazioni “immediate”. Allora l’obiettivo immediato è la rivoluzione sociale o la democratizzazione dello stato attuale? Questa seconda parte del programma spiega: «fino a quando e ovunque prevalga il capitalismo, il Partito comunista-operaio lotta anche per le riforme più profonde e più avanzate a livello politico, economico, sociale e culturale più avanzate, che elevino le condizioni di vita del popolo [sic!] e i diritti politici e civili al più alto livello possibile. Tali riforme, insieme alla forza e all’unità acquisite nella lotta per la loro realizzazione, facilitano alla classe operaia l’attacco finale contro il sistema capitalista».

Le riforme, che sarebbero realmente in grado di migliorare il tenore di vita del popolo (di quali classi del popolo?), sarebbero dunque… la preparazione della rivoluzione: questo è ciò che dicevano un tempo i riformisti per giustificare il loro abbandono della politica rivoluzionaria. Secondo il marxismo, la lotta per le rivendicazioni immediate del proletariato (o le riforme che rispondono alle sue necessità) deve essere “la scuola di guerra del comunismo”; i comunisti devono sempre ricordare che le rivendicazioni o le riforme ottenute non possono che essere precarie, che rischiano di essere rimesse in discussione, e che non devono mai far perdere di vista la lotta più generale e rivoluzionaria per il rovesciamento del capitalismo. Leggendo il programma hekmatista, si ha l’impressione che le grandi frasi sulla rivoluzione immediata vengano usate solo per giustificare la possibilità di una pratica riformista...

Torniamo alla tesi del passaggio immediato al socialismo; anche se all’apparenza è estremamente  radicale, costituisce un’aperta rottura con le posizioni materialistiche marxiste. Lo vedremo esaminando un altro testo di Hekmat: “L’esperienza della rivoluzione operaia in Unione Sovietica. Abbozzo di una critica socialista” (18); non abbiamo qui lo spazio per farne una critica tanto approfondita quanto meriterebbe, ci accontenteremo quindi di segnalarne le caratteristiche più significative.

Dopo aver confutato, giustamente, la spiegazione secondo la quale la vittoria della controrivoluzione è stata causata dalla burocratizzazione dello Stato, dalla degenerazione del partito ecc., Hekmat sostiene che occorre cercare la causa altrove. Secondo lui, dopo la vittoria della rivoluzione del 1917, «la costruzione del socialismo in Russia, nel vero senso marxista del termine, era non solo possibile ma necessaria per continuare e consolidare la rivoluzione». «La Russia arretrata della fine del XIX secolo poteva diventare capitalista o socialista»; «date le condizioni della Russia, queste due alternative erano storicamente realizzabili». È  perché i bolscevichi «non hanno costruito una società socialista in Unione Sovietica» che la controrivoluzione ha trionfato. Hekmat respinge le concezioni «che basano la loro analisi su un’”impossibilità” della trasformazione economica della società russa dopo la presa del potere da parte degli operai, associata  alla “necessità della rivoluzione mondiale” o al “ritardo” della Russia, perché queste prospettive negano la ragion d’essere della rivoluzione operaia in Russia».

In sintesi: se una trasformazione socialista non era possibile nel paese, allora la rivoluzione operaia non avrebbe avuto luogo. Subito dopo si arriva al nocciolo: per Hekmat la rivoluzione operaia è un fenomeno puramente nazionale.

I menscevichi  che condividevano la stessa posizione, affermavano: dal momento che la futura rivoluzione non può che essere borghese, allora il proletariato deve lasciare che sia la borghesia a guidarla. I bolscevichi sostenevano: il proletariato deve cercare di prendere la testa della rivoluzione, non per instaurare il socialismo, cosa materialmente impossibile, ma per garantire la vittoria della rivoluzione antifeudale in Russia e spingere alla rivoluzione operaia, socialista, nei paesi capitalisti sviluppati d’Europa.

Questa visione internazionale della rivoluzione è completamente estranea a Hekmat che difende quella che potrebbe essere chiamata la teoria della “rivoluzione in un solo paese”: la questione si riduce a ciò che era possibile in Russia, e secondo lui due alternative erano possibili per la “modernizzazione” del paese, l’alternativa proletaria e l’alternativa borghese.

Sotto l’impulso della socialdemocrazia (questo era allora il nome del partito di classe rivoluzionario) «il proletariato ha respinto le convinzioni che condivideva con l’opposizione modernista [borghese - NdR] e ha acquisito le proprie idee di una prospettiva indipendente»; ma, ci dice, se questa separazione si è «prodotta interamente sul terreno ideologico e politico, non si è prodotta allo stesso modo nei suoi riflessi economici, vale a dire per quanto riguarda le prospettive economiche della società russa post-zarista. Non vi furono polemiche prima della rivoluzione del 1917 tese a chiarire ciò che ci si aspettava dall’economia post-rivoluzionaria».

La socialdemocrazia russa soffriva di una “cattiva comprensione” dei compiti economici socialisti, perché la sua critica del capitalismo portava essenzialmente all’anarchia della produzione: l’«avanguardia operaia» non aveva «una visione economica alternativa e [non era] immunizzata contro la prospettiva borghese riguardo allo sviluppo economico». «È stato solo quando il corso dell’economia russa ne ha fatto una questione urgente che si sono posti gli elementi comuni tra i vecchi ideali della borghesia russa anti-zarista (modernismo, industrializzazione...) e le aspettative dell’avanguardia operaia (che fino ad allora non li aveva criticati). Nel momento storico decisivo degli anni ‘20, questi elementi comuni hanno bloccato l’avanzata della rivoluzione proletaria in campo economico e ha portato questa rivoluzione sulla strada dello sviluppo capitalistico in Russia». «Il partito operaio, non avendo una chiara visione della trasformazione rivoluzionaria dei rapporti di produzione (...) si è ripiegato sul terreno di intesa riguardo alle posizioni economiche con la prospettiva borghese».

Questa analisi rivela un’incredibile ignoranza delle discussioni e delle polemiche infiammate all’interno del movimento socialista russo e internazionale sulla possibilità di instaurare il socialismo in Russia; e non solo all’epoca di Lenin, ma anche nel periodo precedente: apparentemente Hekmat non sa nulla dei lavori e delle conclusioni di Marx ed Engels a questo proposito, dato che scrive che nel Manifesto comunista e nell’Ideologia tedesca Marx «aveva stabilito la fattibilità della costruzione del socialismo 60 anni prima che [il leader bolscevico] Zinoviev la negasse per la Russia».

Segnaliamo innanzitutto che Marx ed Engels non hanno mai parlato di “costruzione” del socialismo, espressione staliniana che risale al periodo in cui in Russia si costruiva in realtà... il capitalismo di Stato. Il socialismo è prima di tutto distruzione: distruzione del capitalismo perché possano generarsi i nuovi rapporti di produzione tra gli uomini e le nuove forme di produzione; ma perché il capitalismo possa essere distrutto, deve prima essere diventato il modo di produzione dominante e che abbia preso il posto del o dei modi di produzione precapitalisti!

La questione della possibilità di transizione al socialismo in Russia è stata una delle questioni centrali da risolvere per la costituzione dei primi gruppi marxisti nel paese. La corrente “populista”, socialista piccoloborghese, riteneva che la Russia fosse in una situazione eccezionale: avrebbe potuto giungere direttamente al socialismo senza passare come in Europa dal capitalismo, appoggiandosi sulle tradizioni comunitarie esistenti nella “comune” rurale russa.

Sulla base di uno studio approfondito della struttura socio-economica del paese, Marx era giunto alla conclusione che era teoricamente possibile che la comune russa, in cui sopravvivevano ancora forme di comunismo primitivo, giocasse tale ruolo, consentendo alla Russia di saltare il capitalismo; ma la condizione era che la rivoluzione russa desse il segnale per la rivoluzione proletaria europea, direttamente socialista, che avrebbe fornito le forze produttive necessarie per questo gigantesco salto storico.

Qualche anno dopo, Marx ed Engels giunsero alla conclusione che, a causa della rapida degenerazione della comune russa e dello sviluppo delle forme mercantili borghesi, questa possibilità non esisteva più; non c’era più l’”eccezionalità” russa, non era più possibile evitare la transizione al capitalismo: quindi «la Russia non può accelerare [NB: accelerare, non instaurare!] il percorso verso il socialismo, cogliere l’occasione che le rivoluzioni antifeudali storicamente danno al proletariato solo sulla base d’appoggio di una rivoluzione sociale trionfante in Europa» (19).

Hekmat pretende di fare un’analisi materialistica, ma non si preoccupa di analizzare le condizioni economiche e sociali della Russia zarista per determinare se esse consentivano il passaggio al socialismo: egli arretra così non solo rispetto a Marx ed Engels, ma anche rispetto ai populisti che, pur traendone delle conclusioni errate, per lo meno fondavano la loro prospettiva sulle strutture sociali esistenti (la comune rurale).

Inoltre, la sua analisi si svolge, come abbiamo già notato, in un quadro esclusivamente nazionale, quello della storia della sola società russa: egli non suppone che la prospettiva marxista sia internazionale, tanto a livello degli orientamenti politici quanto sul piano dell’analisi economica. Dunque non è assolutamente in grado di capire che la rivoluzione russa è stata la combinazione di due rivoluzioni (o più): la rivoluzione nazionale antizarista, borghese, il cui protagonista era essenzialmente il contadiname (classe totalmente assente nella sua analisi) e che maturava da tempo nelle viscere del paese; e la rivoluzione proletaria, socialista, la cui protagonista era la classe operaia e la cui arena era internazionale; il debole capitalismo russo era l’”anello debole” della catena capitalista internazionale, rotta dall’ondata rivoluzionaria dopo i terribili eventi della guerra mondiale.

Arrivato  †alla testa del movimento rivoluzionario, il proletariato doveva portare la rivoluzione borghese fino in fondo, in stretta alleanza con il contadiname; ma per quanto riguarda la rivoluzione socialista, per la quale era possibile, in campo economico, fare solo i pochi passi  consentiti dal grado di sviluppo capitalistico precedente, il proletariato russo poteva contare solo sulla vittoria della suoi fratelli di classe europei.

Il destino della rivoluzione proletaria in Russia era dunque indissolubilmente legato al destino della rivoluzione proletaria internazionale per la quale si doveva fare tutto: «la prospettiva futura a cui tutto doveva essere subordinato, era l’estensione della rivoluzione e della dittatura comunista al di là delle frontiere russe. La politica di gestione della Russia, anche se si trattava di una gestione precaria, di intermezzo, era corretta, perché un principio fondamentale ben noto della prospettiva comunista mondiale era che l’economia russa non avrebbe potuto andare verso il socialismo contemporaneamente alla maggior parte d’Europa, ma solo dopo di lei. La prassi economica del partito aveva un semplice compito: attendere nella fortezza del potere conquistato; non aveva quello di trasformare, e tanto meno il compito idiota che prevalse: costruire» (20).

Questa tragica problematica sulla quale alla fine si è infranto il potere proletario in Russia è assolutamente ignorata da Hekmat. La “costruzione del socialismo in un solo paese”, per di più arretrato e largamente feudale in cui il proletariato rappresenta solo una piccola minoranza, secondo lui è possibile e addirittura necessaria, secondo quanto sostiene: «l’instaurazione del socialismo è il compito immediato ed essenziale di ogni classe operaia che giunga a conquistare il potere politico in un paese».

Gli si potrebbe chiedere perché occorra un periodo di transizione, che il marxismo definisce dittatura del proletariato, se l’instaurazione del socialismo è immediatamente possibile.

In realtà al   nostro autore, falso marxista e vero idealista, poco importano le condizioni materiali indispensabili per la transizione al socialismo, poco importa se un paese è prevalentemente contadino e anche in uno stadio precapitalistico; poco importa la necessità che la rivoluzione abbia trionfato «almeno nei principali paesi del mondo e che qui i proletari abbiano concentrato nelle loro mani almeno le più importanti forze produttive» (Marx, Engels, “Indirizzo del CC della Lega dei comunisti”, 1850).

No, ciò che è determinante per il nostro autore sono le idee, le libere “scelte”, la volontà di muoversi in una direzione o nell’altra. L’”insufficienza teorica” dei bolscevichi che – ma è una balla! – non avevano riflettuto sulla “questione specifica dei rapporti di produzione e delle forme economiche da istituire in Russia” (come se questi rapporti si potessero stabilire a piacere!), ha fatto sì che si siano lasciati sopraffare dal “pensiero borghese” e che abbiano fatto la “scelta dell’opzione di sviluppo borghese per la società russa”.

E le forze di opposizione allo stalinismo che erano convinte della “necessità della rivoluzione mondiale e dell’impossibilità del socialismo in un solo paese” per Hekmat non avevano, quindi, nulla di internazionalista: il loro “rifiuto di estendere la rivoluzione nell’economia equivaleva a impedire agli operai russi di essere internazionalisti attivi ed efficaci”.

È logico: se fosse stato davvero possibile instaurare il socialismo in Russia, gli oppositori avrebbero dovuto essere denunciati come nemici del proletariato così come gli stalinisti che avevano “scelto” la via borghese di sviluppo del paese.

Riassumiamo. Per gli Hekmatistes, il socialismo può essere immediatamente attuato in un solo paese, anche arretrato, a prescindere dalla vittoria della rivoluzione in altri paesi, indipendentemente, dunque, dalla rivoluzione internazionale.

Questa posizione non ha nulla di marxista: considerando la rivoluzione proletaria come un fenomeno essenzialmente nazionale, essa è al tempo stesso non materialista, volontarista e intrinsecamente nazionalista. Internazionalismo non significa solo, come sostiene Hekmat, “credere nel carattere internazionale della classe operaia e difendere ovunque la rivoluzione operaia (...) per via del suo carattere di classe”; internazionalismo significa capire che il destino dei proletari e delle loro lotte di tutti i paesi sono strettamente dipendenti gli uni dagli altri, che si condizionano fra loro; anche se il proletariato deve prima di tutto attaccare “in patria” e battere la propria borghesia, la rivoluzione comunista ha per definizione un carattere internazionale; pur concretizzandosi nella vittoria in un paese o in un altro, essa sarà in definitiva vittoriosa o vinta a livello internazionale.

Non c’è alcuna possibilità di coesistenza pacifica con l’ordine capitalistico, solo periodi di tregua, e ogni vittoria in un paese non è che temporanea: non per altro il Manifesto comunista ha posto l’imperativo: Proletari di tutti i paesi, unitevi!

Certamente, una volta salito al potere, il proletariato deve mettere in atto immediatamente tutte le misure concretamente possibili per cominciare a sradicare il capitalismo e andare verso la trasformazione socialista della società: se un paese ha raggiunto un sufficiente grado di sviluppo capitalistico, nulla impedisce in teoria la trasformazione socialista della sua economia.

Ma il proletariato non deve immaginarsi che questa trasformazione possa essere facile e veloce, e a maggior ragione immediata e completa; le economie dei vari paesi sono oggi talmente legate fra loro che non è possibile ipotizzare l’instaurazione del socialismo se non a scala internazionale; e, soprattutto, non deve immaginarsi che le borghesie nazionali e internazionali gli permetteranno tranquillamente di lavorare alla trasformazione socialista.

Per questo motivo il suo più importante compito immediato è quello di fare ogni sforzo per estendere la rivoluzione agli altri paesi, per sostenere i lavoratori che in questi paesi lottano, per innescare, in poche parole, la rivoluzione internazionale. In caso contrario la sconfitta, in un modo o nell’altro, è alla lunga inevitabile.

Lenin scriveva che il potere proletario in Russia avrebbe potuto resistere 10 o 20 anni a condizione di mantenere buoni rapporti con il contadiname (la maggioranza della popolazione), in attesa della vittoria delle rivoluzioni proletarie in Europa.

Durante questo periodo, in cui l’arretratezza economica e sociale (non solo il grado di industrializzazione, come immagina Hekmat) impediva di pensare di instaurare il socialismo, il potere doveva orientare lo sviluppo del capitalismo (base necessaria di ogni futura trasformazione socialista) in direzione del capitalismo di Stato. La situazione era estremamente difficile, perché il partito proletario doveva dunque gestire e controllare delle forme capitalistiche. Sappiamo cosa successe: fu il capitalismo che alla fine prese il controllo dell’apparato statale e del partito, trovando nella frazione stalinista il suo strumento e nella teoria del socialismo in un solo paese la sua bandiera.

Contrariamente a quanto afferma Hekmat, la soluzione di questo dramma non poteva essere nazionale, ma internazionale: il destino del proletariato e della rivoluzione in Russia dipendeva dal proletariato europeo.

Anche se quest’ultimo ha condotto grandi e dure lotte nel primo dopoguerra, non ha avuto la forza di rovesciare il potere borghese (se non in modo transitorio, come in Ungheria) e in seguito ha avuto enormi difficoltà a rompere con le forze riformiste e a organizzarsi con fermezza su basi di classe; queste difficoltà sono state accresciute dagli orientamenti tattici sempre più elastici assunti dall’Internazionale Comunista nel tentativo di accelerare artificialmente la maturazione delle situazioni.

Il nostro partito ha spesso ripetuto che la più alta conquista della Rivoluzione d’Ottobre è stata la costituzione di questa Internazionale, che si riallacciava al programma e alla prassi rivoluzionari traditi dai partiti della II Internazionale. E tra le lezioni più importanti per il futuro da trarre da questa rivoluzione, c’è il bilancio della costituzione di questa Internazionale, e quello della sua azione con i suoi limiti, le sue debolezze e i suoi errori. Cosa può dirci a questo proposito Hekmat? Niente...

O forse sì: l’insistenza dei bolscevichi sulla rivoluzione internazionale (la rivoluzione in Germania) «è stato uno dei motivi dell’assenza di progressi concreti (...) per quanto riguarda la trasformazione economica nella stessa Russia. I bolscevichi rimandavano il proprio lavoro in attesa della rivoluzione tedesca (...). Si capisce quindi come mai rispetto a queste attese tradizionali nel partito, la linea stalinista abbia puntato la propria prospettiva sul socialismo in un solo paese». Hekmat l’ha scoperto: la rivoluzione russa alla fine ha fallito perché i bolscevichi erano troppo internazionalisti!

Vediamo fino a che punto è poco fondata la pretesa di Hekmat di collocarsi nella continuità rivoluzionaria marxista. La sua tesi dell’instaurazione immediata del socialismo in un quadro nazionale, che potrebbe sembrare molto radicale agli occhi di un lettore disattento, è in realtà l’eco delle “costruzioni” del “socialismo in un solo paese” di matrice staliniana o maoista. Questo testo, così come il programma che abbiamo brevemente esaminato, dimostrano che Hekmat e coloro che a lui si rifanno, quali che siano le loro affermazioni, sono estranei alle vere posizioni comuniste. Ne troveremo la conferma nei fatti.

 

 IL COMUNISMO-OPERAIO ALLA PROVA DEI FATTI

 

Un testo che abbiamo citato sopra afferma che i militanti comunisti-operai non guardano «il marxismo e i suoi vari testi teorici come fanno i religiosi con la Torah, la Bibbia o il Corano» (21): in altre parole, per loro il marxismo e i testi teorici hanno solo un valore relativo, e quindi non è particolarmente grave non essere fedeli ad essi. Ma in realtà le libertà prese nei confronti del marxismo hanno inevitabilmente conseguenze cruciali sulla politica e sull’attività. Il marxismo, i testi teorici, non sono un lusso o un’attività riservata agli “specialisti in marxismo”: essi sono la bussola indispensabile per orientarsi nell’azione quotidiana, per analizzare le situazioni e definire le linee politiche e le direttive per la l’azione pratica. Il disprezzo per la teoria è sempre la caratteristica dei “concretisti” e dei “pratici” che contrappongono la loro presunta capacità di svolgere un “lavoro di massa” all’attività di “topi di biblioteca”. Non descriveremo gli attacchi di questo genere che hanno rispolverato Marx, Lenin o Bordiga, limitandoci qui a ricordare la formula di Lenin: “senza teoria rivoluzionaria, non c’è movimento rivoluzionario”.

Le loro dichiarazioni marxiste o “radicali” si sciolgono come neve al sole e i comunisti-operai si sono collegati senza esitare ai movimenti riformisti piccolo-borghesi emersi negli ultimi anni. Lo vedremo attraverso alcuni esempi significativi.

 

LA “RIVOLUZIONE” IN IRAN

 

Il PC-OI ha analizzato le grandi manifestazioni popolari in Iran del giugno 2009 contro il regime come se fossero l’inizio della rivoluzione. Pochi mesi dopo, nel dicembre 2009, mentre le manifestazioni venivano represse nel sangue, ha pubblicato, a conclusione del suo 7° Congresso, un “Manifesto della rivoluzione iraniana”. Il testo supera i più logori luoghi comuni borghesi:

«La rivoluzione iraniana [...] è una voce che grida Libertà, Uguaglianza, Identità umana. La rivoluzione iraniana è, prima di tutto, contro il potere religioso e islamico. È profondamente laica e si oppone al potere dell’ignoranza, della superstizione e del clero. Attraverso ciò, persegue, in modo radicale, compiti non raggiunti o dimenticati della Rivoluzione francese. La rivoluzione in Iran è per la libertà. La realizzazione della più radicale e umana definizione della libertà individuale, civile, culturale e politica è il compito immediato della generazione Twitter e Facebook che sorge nella rivolta. Essa non accetta alcuna restrizione alla libertà di espressione, di riunione, di sciopero e di organizzazione o di altre libertà politiche» (...) «è una rivoluzione umana per il regno degli esseri umani». Apprendiamo così che la rivoluzione «nasce per una cultura globale, umana e moderna. In questo senso, i movimenti più simili alla rivoluzione iraniana sono i movimenti per i diritti civili degli anni 1960 e 1970 negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale, con la differenza che questa rivoluzione, con Marx, va oltre la “società civile” e mira a una “società umana” o a una “umanità sociale”».

Mentre secondo il PC-OI la rivoluzione sarebbe in marcia, il suo manifesto non parla del famoso passaggio immediato al socialismo; non vi si trova nulla sulla lotta di classe, nulla sul rovesciamento del capitalismo, nulla sui compiti precisi del proletariato per la conquista del potere ecc. Ma si trovano, invece, riferimenti (profondi) alla rivoluzione borghese francese del 1789, e alle lotte per i diritti civili! In un momento che sarebbe, a suo parere, decisivo, il PC-OI abbandona tutte le sue tendenze “marxiste” per mostrare un volto pienamente piccolo borghese...

 

“OCCUPY” 2011

 

Dopo il movimento “Occupy” del 2011negli Stati Uniti, il PC-OI ha fatto suo il ridicolo slogan “Tutto il potere al 99%!”, che sostituisce le divisioni di classe e la lotta di classe con una “lotta” di quasi tutta la popolazione contro una manciata di miliardari. Ma se il famoso 1% venisse eliminato, la struttura capitalistica della società non risulterebbe affatto modificata e men che meno l’apparato statale ecc.; il capitalismo continuerebbe ad essere presente, come nei paesi a capitalismo di Stato, la classe operaia sarebbe sempre sfruttata ecc. Non è più solo il passaggio immediato al socialismo che scompare nel testo del PC-OI, ma il proletariato!

Nel suo appello del 1° maggio 2012, in cui il PC-OI chiamava i manifestanti a «tenersi pronti alla presa del potere da parte del 99%» (!), ha portato avanti le parole d’ordine di “abolizione dello Stato dell’1%” e di “potere diretto delle assemblee generali del popolo”. Anche la dichiarazione dell’8° Congresso del PC-OI (22/03/2012), destinata ai militanti, era incredibilmente ottimista circa la portata del movimento Occupy e della primavera araba («il tempestoso ANNO 2011 resterà nella storia umana come l’inizio di un’ondata mondiale di rivoluzioni del XXI secolo per l’emancipazione dell’umanità», «questa ondata rivoluzionaria mondiale ha già (...) cambiato il rapporto di forze politico e ideologico a favore della rivoluzione, con cambiamenti ancora maggiori in futuro» ecc.). È stata comunque un po’ più precisa in quanto accennava alla distruzione dell’apparato statale e l’espropriazione politica ed economica della borghesia; ma in realtà è rimasta altrettanto interclassista:

 «la vittoria di questo movimento globale per la liberazione umana deve passare necessariamente attraverso l’espropriazione politica ed economica della borghesia in tutto il mondo (...). La prima condizione della vittoria del popolo è la distruzione totale della macchina statale della borghesia, dal suo esercito fino alla sua burocrazia e l’instaurazione del potere dei consigli e degli altri organi del potere popolare diretto». «Anche in Occidente non esiste, come primo passo, altra via verso la liberazione che l’espropriazione della dittatura del capitale e del regno delle banche e dell’1%, esercitata in nome della democrazia e del parlamento, lasciando la vita delle persone nelle proprie mani e nel proprio potere diretto» (22).

La dittatura del proletariato è evidentemente un concetto che non può che essere ignorato se si riprende la tesi piccolo-borghese dell’unione del 99%; ed è meglio tacere che la presa del potere, non da parte del “popolo” o delle “persone”, ma da parte del proletariato implica necessariamente di passare attraverso l’insurrezione violenta, quando si cerca audience in questi ambienti fondamentalmente pacifisti e riformisti...

 

IL COLPO DI STATO IN EGITTO

 

Abbiamo già avuto modo di evidenziare la loro presa di posizione in occasione del rovesciamento del governo Morsi da parte dei militari egiziani; nella sua dichiarazione del luglio 2013, il PC-OI affermava che questo rovesciamento era in realtà opera di milioni di manifestanti che avevano «direttamente esercitato la propria volontà» (attraverso l’esercito!). Affermando che questo rovesciamento «assestava un colpo fatale al mito del potere delle urne», sosteneva che si trattasse di un «avanzamento storico della rivoluzione egiziana», di un «nuovo passo avanti per il popolo egiziano, il Medio Oriente e il mondo intero», di «una svolta storica che porta il nome di rivoluzione egiziana» ecc. (23). Basta dare un’occhiata a quello che è successo in Egitto da allora, per scoprire che non sarebbe stato possibile sbagliarsi di più! Non si tratta di un piccolo (!) “errore” accidentale, che potrebbe quindi essere facilmente corretto, ma del risultato di un puro e semplice allineamento ai movimenti interclassisti e riformisti. Credere e far credere che il “popolo” (“il 99%”, “le persone”) potrebbe “prendere il potere” ed “esercitarlo direttamente” dipende dalla più stupida propaganda piccolo-borghese; ma soprattutto significa ingannare i proletari, mentre un’organizzazione comunista degna di questo nome deve instancabilmente sollecitarli all’organizzazione indipendente di classe e alla rottura con l’interclassismo che li paralizza. I comunisti-operai del PC-OI si schierano, in realtà, a fianco delle forze, presunte “di sinistra”, “comuniste” o “operaie”, che si oppongono, nei fatti, al ritorno del proletariato sul suo terreno di classe, il solo che gli offre la possibilità di lottare realmente e di vincere.

 

LA GRECIA DI TSIPRAS

 

Dopo la vittoria elettorale di Syriza in Grecia, il PC-OI ha inviato il 02/02/2015 una lettera pubblica di congratulazioni a Tsipras, il primo ministro neo-eletto. Vi si poteva leggere «la vostra vittoria è un colpo contro l’austerità e un grande passo avanti per il popolo greco. Ma i suoi effetti si faranno sentire oltre. È un ritorno promettente della sinistra radicale al centro della scena politica e l’emergere come protagonista di un nuovo comunismo politico che avrà un impatto decisivo sulla situazione politica in Europa e nel mondo. Stiamo già vedendo gli effetti positivi della vostra vittoria in Spagna con Podemos e questo non è che l’inizio. (...) Siete all’inizio di una lunga e difficile lotta che può essere vinta solo appoggiandosi al popolo e “al potere delle strade” che è già stato il fattore decisivo della vostra vittoria. In questo percorso e ad ogni passo avanti, il popolo del mondo, il 99%, sono con voi e vi sostengono» (24)...

Qualche mese dopo, il PC-OI ha un po’ rivisto il suo entusiasmo; e, alla vigilia del referendum di giugno sulle pretese della Troika, si vedeva costretto a rispondere ad «alcune critiche di Syriza dentro e fuori dalla Grecia [che] affermano che i negoziati con i creditori e il referendum non abbiano alcun interesse, e [che] la soluzione è la rivoluzione contro il capitale». Ammetteva che non vi era alcun dubbio che la soluzione fosse la rivoluzione contro il capitale, «o, più precisamente, l’espropriazione politica ed economica della classe capitalista, l’1%». Ma si sa che «la rivoluzione non cade dal cielo. La lotta di classe deve ampliarsi e approfondirsi e polarizzarsi proprio sull’esistenza del capitale» (25): bisogna passare dalla critica dell’austerità alla critica del capitalismo. «Solo un partito comunista radicale e attivo può e deve essere la forza per portare avanti [la prospettiva dell’espropriazione della classe capitalista]. Il governo di Syriza non è questa forza». Alla fine, si potrebbe pensare che si tratti di un linguaggio chiaro, che fa appello alla lotta di classe, che il PC-OI aveva purtroppo dimenticato nel momento in cui si congratulava con Tsipras!

Ma di fronte alla precisa questione politica: quale atteggiamento assumere in relazione al referendum?, questa presunta chiarezza scompare presto e ci si rende conto di che “lotta” si tratta: «il referendum di questa domenica, esattamente come l’elezione di Tsipras di sei mesi fa, è un anello della catena della lotta sempre più profonda tra i due campi del lavoro e del capitale in Grecia».

Non si parla più di denunciare il mito del potere delle urne, le elezioni ora fanno parte della lotta! E per ribattere il chiodo: «il referendum stesso potrebbe fornire le condizioni per lo sviluppo di tale forza». Le elezioni possono servire per la costituzione di una “forza radicale”: Che altro pretende tutta la pseudo estrema sinistra elettoralista? Opportunisme quand tu nous tiens… (??)

 

IL COMUNISMO-OPERAIO E LA LOTTA CONTRO LA RELIGIONEO LA CONFESSIONE SENZA LAMASCHERA DELL’ INTERCLASSISMO

 

Abbiamo tenuto per ultima la parte migliore, o meglio, quella peggiore: la lotta contro la religione. L’ideologia religiosa che, come sappiamo, ha un ruolo preponderante nell’ideologia e nella propaganda borghese in Iran e in tutta la regione, è un tema importante per ogni partito che si pretende rivoluzionario. Ma questo non è un problema nuovo per il movimento operaio marxista; da sempre esiste una posizione ben precisa a questo riguardo: rifiuto di qualsiasi alleanza con settori borghesi sotto il pretesto della lotta contro “l’oscurantismo”, denuncia dell’anticlericalismo borghese come diversivo alla lotta di classe, comprensione del fatto che l’allentamento dell’influenza reazionaria della religione sulle masse proletarie non può essere ottenuto soprattutto da una lotta di idee, dalla propaganda antireligiosa, ma fondamentalmente attraverso lo sviluppo delle lotte operaie (26). La posizione dei comunisti-operai è esattamente il contrario: alleanza con i borghesi democratici, cioè anche con governi borghesi!

Il Partito Comunista Operaio dell’Iraq aveva pertanto inviato una lettera a Raffarin, allora primo ministro francese, congratulandosi per aver promulgato una legge che vietava l’uso del velo nelle scuole (27)! Il PC-OI non è forse arrivato a tanto, ma la sua linea è la stessa: non ha mai esitato ad allearsi con i borghesi, anche di destra, in nome della lotta contro l’Islam.

Attraverso dei responsabili, maschi e femmine, ha partecipato, in Francia, a numerose manifestazioni e incontri con gli ex ministri Corinne Lepage (centrista) e Yvette Roudy (PS), come in occasione della riunione del “coordinamento femminista e laico” del 5/2/2004 per sostenere la legge contro il velo (28), del raduno davanti all’ambasciata del Canada nel 2005 (fra le personalità e i firmatari dell’appello erano presenti anche Elisabeth Badinter, grande borghese, erede di una delle più grandi fortune di Francia, Fadela Amara, presidente “Ni putes ni soumises”, che non era ancora ministro ecc.) (29) o, nell’aprile 2006, dell’incontro organizzato da Corinne Lepage e Catherine Fourest (cronista radiofonica specializzata nella denuncia delle donne velate) contro l’integralismo al “Circolo Repubblicano” (30).

Nel marzo 2006 ha firmato un “manifesto dei 12”: “Insieme contro il nuovo totalitarismo” con Bernard-Henri Lévy, Philippe Val (ex direttore di Charlie Hebdo vicino a Sarkozy), Catherine Fourest e altri (31). Nel 2009 ha partecipato agli “Incontri Laici Internazionali”, un convegno organizzato dall’Unione delle Famiglie Laiche con la collaborazione del “Grande Oriente di Francia” (principale organizzazione dei massoni in Francia) e di altre organizzazioni laiche borghesi (32) ecc.

È evidente che si tratta di una pratica tutt’altro che recente o casuale. Alla critica di un gruppo trotskista britannico che rimproverava al PC-OI, oltre alla firma del “Manifesto dei 12”, la sua partecipazione, all’epoca delle caricature di Maometto, ad una “Marcia per la libertà di espressione” a Londra in particolare a fianco di un gruppo antioperaio di estrema destra, una sua dirigente, Maryam Namazie, ha risposto che questa critica era “purista” e non faceva che «perpetuare l’impotenza della sinistra fornendole la scusa che le serviva per voltare le spalle alle lotte politiche che si svolgono attorno a questioni sociali cruciali riguardanti il   destino della società».

Ma è un altro attivista del PC-OI a mettere i puntini sulle i: «Secondo il Manifesto [dei 12, NdR] (...) il vero conflitto avviene tra la libertà, da un lato, e l’islamismo, dall’altro (...). Possiamo allearci con dei “nemici di classe” al fine di combattere per la libertà, o dobbiamo combattere sotto la bandiera indipendente della classe operaia?

(...) Mansoor Hekmat, il fondatore del nostro partito e della nostra corrente in Iran e in Iraq, si è battuto perché l’accettazione del nostro programma non sia più una condizione per aderire al nostro partito [!]. Allo stesso tempo, ha sollecitato la creazione di numerose organizzazioni per la difesa della libertà delle donne, dei diritti dei rifugiati ecc. Tutti, compresi i nostri “nemici di classe” [!!], erano i benvenuti in queste organizzazioni se volevano lottare per dei particolari diritti! (...) È impossibile organizzare una coalizione fra persone di classi diverse per campagne specifiche? No, io penso che sia possibile» (33). Splendida professione di fede opportunista!

Solo degli incorreggibili democratici possono immaginare che il vero conflitto si svolga fra la “libertà” (Lenin direbbe: Libertà per chi? Per quale classe?) e l’islamismo: il vero conflitto si svolge nei campi più disparati, anche se molto spesso in modo... mascherato, fra il proletariato e la borghesia. In tutte le questioni, cruciali o meno, che sorgono nella società, e in particolare su tutti i problemi che possono interessare più classi, come la questione femminile, le libertà politiche, l’oppressione e la repressione, i più svariati problemi sociali, i comunisti devono sempre combattere l’interclassismo, insistere instancabilmente sulla necessità di indipendenza della classe del proletariato. Partecipare a una coalizione con i propri nemici di classe, anche se per obiettivi considerati limitati e temporanei, significa per il proletariato, classe sfruttata e schiacciata, consegnarsi a loro con mani e piedi legati. Mai, per nessun motivo e in nessuna circostanza, deve allearsi con i suoi nemici di classe, se non vuole essere loro vittima consenziente!

Coloro che sostengono il contrario, coloro che fanno appello con pretesti diversi all’unione con altre classi, coloro che considerano il richiamo all’indipendenza di classe un impotente purismo, coloro che presentano come obiettivi di lotta i più ingannevoli luoghi comuni borghesi, coloro che, in poche parole, diffondono le posizioni più dannose per la lotta operaia, possono anche definirsi “comunisti operai”, ma sono in realtà null’altro che democratici piccolo-borghesi fondamentalmente antioperai.

La sua “vicinanza” non solo a forze riformiste, ma direttamente a forze borghesi, spiega indubbiamente i cospicui mezzi di cui il PC-OI dispone, probabilmente l’unica organizzazione al mondo sedicente rivoluzionaria ad avere una catena televisiva satellitare (34)! A maggior ragione è importante strappargli la maschera pseudo-comunista.

Per militanti proletari d’avanguardia in Iran, Iraq o altrove, il ritorno al programma rivoluzionario marxista e la ricostituzione del partito di classe internazionalista e internazionale non passa attraverso il preteso comunismo-operaio!

 

 


 

 

1) www.communisme-ouvrier.info. Ufficialmente questo gruppo dichiara di non avere alcun rapporto privilegiato con l’uno o l’altro dei partiti hekmatisti esistenti, ma sembra comunque più vicino al PC-O dell’Iran.

2) Vedi Marxists.org e hekmat.public-archive.net/. Su quest’ultimo sito, ci sono anche delle traduzioni in arabo, turco e curdo. Tuttavia molti testi non sono tradotti, o perché i responsabili del sito non sono d’accordo con loro, o perché li considerano di scarso interesse per il lettore non iraniano.

Questo è per esempio il caso del testo: “In opposizione all’aborto” che esiste solo in lingua persiana. In esso Hekmat afferma che l’aborto è un «atto spregevole e dobbiamo capire che stiamo parlando di un atto odioso contro l’umanità» e che non è d’accordo che l’aborto libero e gratuito sia un diritto delle donne: «la donna che distrugge un embrione non fa che soccombere alla violenza insita in questa società», ecc.

In risposta all’argomentazione secondo la quale molti sono a favore del diritto all’aborto, ha affermato: «molta gente fa gli straordinari, ma io non sono disposto a inserire gli straordinari nel nostro programma. Sono per il divieto del lavoro straordinario». Hekmat manifesta un’incomprensione strabiliante di cosa significhi questa rivendicazione, soprattutto per le donne proletarie (secondo lui, sono piuttosto i borghesi ad essere più interessati, in quanto la situazione della classe operaia non è cambiata nei paesi in cui il diritto all’aborto è stato riconosciuto), e delle lotte fatte per ottenere questo diritto. Il programma del 1992, pur affermando che il PC-OI «è contrario all’aborto», rivendica tuttavia la sua legalizzazione.

3) Cfr. “L’Unity of Communist Militants”, bataillesocialiste.wordpress.com/2007/11/27/lunity-of-communist-militants-1979-1983/

4) Le Tesi si concludevano con i seguenti slogan che ben sintetizzano il carattere fondamentalmente populista, interclassista, del testo nonostante i suoi riferimenti alla classe operaia: “Avanti per l’unità del movimento della classe operaia. Avanti per la costituzione del Partito Comunista dell’Iran. Vittoria per la lotta antimperialista del popolo iraniano per una Repubblica democratica popolare” 

5) Cfr. “L’Unity…”, op. cit.

6) Cfr. « Communisme-ouvrier, conseils et partis », www.communisme-ouvrier.info/?Communisme-ouvrier-conseils-et. L’articolo citato di Hekmat è “Partito e società”.

7) Cfr. “Komala”, fr.wikipedia.org/wiki/Komala. Ci riferiamo agli articoli pubblicati su Wikipedia perché sono chiaramente redatti da militanti dei vari gruppi.

8) Ibidem. Komala esiste ancor oggi, ma secondo questo articolo, si definirebbe come socialdemocratico, aspirerebbe ad aderire all’Internazionale socialista e cercherebbe il sostegno finanziario degli Stati Uniti.

9) Sembra che la guerra degli Stati Uniti contro Saddam Hussein abbia contribuito a questa scissione. Komala aveva allora le sue basi in Iraq e il segretario generale del PCIraq propose che il partito appoggiasse il PUK (Unione Patriottica del Kurdistan, l’organizzazione tradizionale della borghesia curda irachena) che cercava il sostegno americano nella lotta contro Baghdad; ma gli Stati Uniti hanno lasciato che fossero le truppe di Hussein a schiacciare la ribellione curda. Cfr. “Komala”, op. cit.

Secondo lo stesso articolo, nel PCIraq, “non è una vera scissione che si verifica, ma un ritiro amichevole, che evita gli scontri”. Tutt’altro che una “lotta di principio” contro il nazionalismo...

10) Cfr. “Parti Communiste-Ouvrier d’Irak”, fr.wikipedia.org/wiki/Parti_ communiste-ouvrier_d’Irak

11) Cfr. “Parti Communiste-Ouvrier Hekmatist”, fr.wikipedia.org/wiki/Parti_communiste-ouvrier_ Iran _-_ Hekmatist.

Il testo raccomandava che il PC-OI presentasse, partendo dal presupposto, che allora sembrava loro plausibile, del crollo del regime islamico, «un piano per una transizione pacifica e democratica verso un sistema desiderato dal popolo e che riducesse la possibilità di uno scenario nero»: «un piano che includa un governo provvisorio + un’assemblea costituente + un referendum può essere accettabile per il partito». Nell’eventualità della costituzione di un governo provvisorio, il partito «non dovrebbe rivendicare il rovesciamento violento di questo governo», ma «annunciare», una volta stabilito un certo numero di punti «che avrebbe partecipato a questo governo o ne avrebbe costituto uno esso stesso» ecc. Cfr. WPI briefing n.158, 29/9/2004.

12) Cfr. “Parti Communiste-Ouvrier Hekmatist”, op. cit.

13) Alla domanda: quale problema pongono le prospettive e le soluzioni previste dagli scissionisti, vale a dire «che il partito possa anche arrivare al potere per via negoziale e diplomatica. Il PC-OI ha non riflettuto sul fatto che potrebbe dover partecipare a un governo di coalizione che non gli piace?» Hamid Taghvaee, il leader del partito, ha risposto: «Certo, è possibile. Non è una zona vietata per noi. Il partito può, a seconda della sua analisi e del rapporto di forze, partecipare a un governo di coalizione. In ogni caso, si tratta di una cosa ben diversa dal fare di questo la base della vostra linea di partito e della vostra strategia». Il PC-OI ammetteva dunque la possibilità di un’alleanza di governo con dei partiti borghesi, a seconda della situazione e del rapporto di forze: che altro aveva fatto, nel 1917, il partito menscevico, per questo motivo combattuto e denunciato come traditore del socialismo dai bolscevichi? Cfr. “Documents on the Split of Worker-communist party of Iran & Iraq”, WPI briefing n.153 (numero speciale sulla scissione), 6/9/2004.

Si ritrova forse un’allusione alla questione del governo provvisorio in un testo di un autore hekmatista francese: “Perché ci definiamo come comunisti-operai?”: «Definendoci comunisti-operai, affermiamo dunque anche la nostra volontà di costruire non un circolo di studiosi marxisti, ma un movimento e un partito realmente radicati nella società e nella classe operaia, e quindi in grado di prendere il potere e cambiare la società e il mondo. Noi teniamo d’altronde a quest’ultimo aspetto: troppo spesso l’estrema sinistra tende a considerare il potere come qualcosa che è “haram”... e ciò induce a lasciarlo a questa o quella frazione della borghesia». Cfr. www.communisme-ouvrier.info/?Pourquoi-nous-nous-definissons

Non è chiaro a chi ci si riferisce qui, se non a coloro che ricordano che, per il marxismo, partecipare a un governo borghese è “illecito” (haram)!

14) Cfr. Mansoor Hekmat, https:// www. marxists. org/ francais/hekmat/ works/ 1994/ 07/ hekmat_ 19940700.htm

15) Discorso tenuto l’1/5/1992. Cfr. www.communisme-ouvrier.info/ ?Les-caracteristiques-fondamentales

16) Ibidem.

17) Cfr. “Un monde meilleur” op. cit.

18) Cfr. Mansoor Hekmat, “L’expérience de la révolution ouvrière en Union Soviétique. Esquisse d’une critique socialiste”, Marxists.org.

19) Cfr. “Le grandi questioni storiche della rivoluzione in Russia”, Riunione Generale di partito di Genova, 6-7 agosto 1955, in “il programma comunista” nn. 15 e 16 del 1955; poi raccolto nel volume “Struttura economica e sociale della Russia d’oggi”, 1976. Rimandiamo i lettori ai nostri numerosi lavori di partito su questo tema.

20) Cfr. “Struttura economica e sociale della Russia d’oggi”, cit., pp. 465-466, brano ripreso nell’articolo “La prospettiva del comunismo trova nell’Ottobre bolscevico una formidabile conferma: lezione storica e internazionale della rivoluzione proletaria e della controrivoluzione borghese”, in “il comunista”, n. 62, ottobre 1998.

21) Cfr. communisme-ouvrier.info/?Pourquoi-nous-nous-definissons

22) Cfr. http://worker-communist partyofiran.blogspot.fr/2012/04/may-1st-reclaim-world-for-99.html

23) Cfr. communisme-ouvrier. info/?L-avancee- historique- de- la.  Veniva anche lodato il “magnifico movimento tamarod”, l’organizzazione che ha preparato il rovesciamento di Morsi, a partire da una campagna di petizioni. Non c’era bisogno di aspettare le rivelazioni sul fatto che i servizi segreti avevano partecipato alla creazione di questa organizzazione, tra l’altro finanziata da capitalisti, per capire che la sua attività era al servizio dell’ordine borghese. Il PC-OI sembra non averlo ancora capito visto che non ha ancora rettificato la sua posizione, né, per quanto ne sappiamo, ha pubblicato altro sugli eventi in Egitto.

24) Cfr. http://worker-communist partyofiran.blogspot.co.uk. All’inizio di marzo, il PC-OI aveva anche, come sua abitudine, lanciato una campagna di petizioni “in solidarietà con il popolo greco”: “Noi, popolazione di Grecia, d’Europa e del mondo, diciamo alla BCE, al FMI e agli altri finanziatori nazionali e internazionali: il popolo greco non vi deve nulla! Abolizione del debito!”. La petizione è la pratica tipica di coloro che credono nel potere dell’”opinione pubblica”, o che semplicemente vogliono mettersi a posto la coscienza senza dover entrare in lotta. In questo caso vi è una perfetta corrispondenza tra una pratica impotente e un tema del tutto vuoto... vedi http://www.communisme-ouvrier.info/?En-solidarite-avec-le-peuple-de

25) Ibidem.

26) Rimandiamo il lettore al nostro opuscolo: “La laïcité, un principe bourgeois” opuscolo Le Prolétaire n. 31, e ai numerosi articoli che abbiamo pubblicato su questo argomento.

27) Cfr. http://solidariteirak.org/spip.php?article5. Ricordiamo che il PC-O dell’Iraq si era scisso dal PC-OI (PC-O dell’Iran).

Il PC-O dell’Iraq ha una linea politica interclassista ben radicata. Ha costituito da alcuni anni il Congresso Iracheno delle Libertà, un’associazione che sostiene di essere al di sopra delle classi e dei partiti il cui obiettivo è l’instaurazione di un regime democratico (quindi borghese) in Iraq; dirige un sindacato a cui la centrale sindacale filoimperialista americana AFL-CIO ha concesso lo statuto di organizzazione simpatizzante; la sua dirigente Yanar Mohammed ha ottenuto nel 2008 un riconoscimento da parte degli imperialisti americani sotto forma del premio Eleanor Roosevelt (dal nome della moglie di un ex presidente degli Stati Uniti) per il diritto delle donne nel mondo, rilasciato da un istituto legato al Partito Democratico americano, e del Premio Gruber per i diritti delle donne, assegnato da una fondazione creata alle isole Cayman da questo finanziere miliardario di Wall Street (questi premi, secondo la pagina di wikipedia dedicata a Y.M., sono sostanziosi) ecc.

Recentemente ha sollecitato la formazione di un “esercito per affrontare contemporaneamente lo Stato Islamico, la politica degli Stati Uniti e quella dei paesi della regione”. Questo “esercito comunista” non avrà come scopo la presa del potere da parte del proletariato, ma la creazione di “un’atmosfera[!] favorevole alla presa del potere e alla restaurazione dell’umanità” e “per ritrovare speranza per la classe operaia e le masse lavoratrici”. Non si tratta quindi di difendere con le armi una politica proletaria di classe, ma di “difendere ogni centimetro della mente umana, di porre al centro la volontà di autodeterminazione delle masse” per una “politica umana, contro la forze oscure”. Cfr. solidariteirak.org/ spip.php? article866. No comment...

28) Cfr. http://bu-fonds-spe.univ-angers.fr/images/ meeting-de-la-coordination -f%C3% A9ministe-et-la%C3% AFque-le-5-f%C3%A 9vrier-2004

29) Cfr. http://libertefemmepalestine. chez-alice.fr/Charria_Canada.html

30) Cfr. http://www.prochoix.org/ cgi/blog/ index.php/ 2006/ 04/ 04/ 460-conference-le- 6-avril-sur-la-liberte- dexpression-face-a -lintimidation- integriste  

31) Cfr. http://www.prochoix.org/ cgi/ blog/ index.php/ 2006/ 03/ 01/ 412-manifeste-des- douze-ensemble- contre-le- nouveau- totalitarisme

32) Cfr. http://www.laicite-republique. org / 2e-rencontres- secolare, 964. html. Erano presenti anche Brard, sindaco di Montreuil del PCF e altre organizzazioni che hanno dato prova di ostilità nei confronti dei proletari immigrati. Ricordiamo che nei suoi primi anni, l’Internazionale Comunista combatteva la Franc-Massoneria considerandola, come la Lega per i Diritti Umani, un’organizzazione borghese di collaborazione di classe particolarmente pericolosa perché cercava di attirare i dirigenti operai. Ma questo avveniva prima della comparsa del comunismo operaio!

33) Cfr. http://www.mondialisme.org/spip.php?article850

34) Secondo la pagina di Wikipedia, il PC-OI disponeva di una radio (Radio International a partire dal 1999), che trasmetteva “dalla Russia, poi dalla Norvegia e, infine, gli Stati Uniti d’America”. È difficile immaginare che si potesse trasmettere da questi paesi senza un accordo con i loro governi... Oggi la sua catena televisiva satellitare di, New Channel TV, trasmette 24 ore su 24.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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