Le nostre prese di posizione

Nella stagione di elezioni in Europa, continua la cinica turlupinatura del proletariato

 

Spagna

Elezioni: la corda al collo dei proletari

(«il comunista»; N° 144;  Luglio 2016)

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Gli eventi di quest’anno, dalle elezioni comunali a questa seconda tornata delle elezioni generali, mostrano al proletariato due cose.

In primo luogo, che la borghesia è in grado di vivere senza un governo parlamentare: non ne ha bisogno. Durante tutto il periodo elettorale e poi nel lungo periodo tra le elezioni dello scorso dicembre e le prossime di giugno, lo Stato non ha smesso di funzionare; il dominio di classe della borghesia non è cessato. Non ha smesso di incamerare le tasse, l’economia nazionale non è crollata, gli affari borghesi non ne hanno risentito, la polizia ha continuato ad arrestare e incarcerare (tra gli arrestati un membro del Sindacato Andaluso dei Lavoratori che faceva parte di Podemos e i lavoratori della Extruperfil che da diversi mesi scioperano contro i licenziamenti nella loro azienda). Il dominio della borghesia sulla classe proletaria, lo sfruttamento sul luogo di lavoro, l’estorsione di plusvalore di cui la classe padronale necessita per vivere, non hanno avuto tregua. Il fatto è che la “normalità” – che per i proletari significa sfruttamento e repressione ogni volta che decidono di minacciare, seppur timidamente, di rompere le catene che li legano alla società borghese – non ha bisogno di un governo formalmente riconosciuto dalle istituzioni democratiche per mantenersi inalterata.

 Il circo elettorale e il parlamentarismo non sono altro che illusioni con cui la borghesia porta la classe operaia a credere nei miti dell’eguaglianza di fronte alla legge, della partecipazione al governo della società con pari peso e, soprattutto, della possibilità di modificare il proprio destino attraverso il voto. Questi mesi hanno dimostrato chiaramente che questi miti sono del tutto infondati visto che la stessa borghesia ha potuto fare a meno di un governo democraticamente eletto e nulla è cambiato, visto che la massima autorità democratica è stata assente per diversi mesi e nulla è cambiato. Il fatto è che la borghesia, per continuare a sfruttare il proletariato, per tenerlo sotto il suo tallone di ferro, ha bisogno, in sostanza, che esso continui a illudersi che i meccanismi democratici sono gli unici in grado di liberarlo dal mondo di miseria in cui vive. Pertanto, se si mantiene questa illusione, non è neppure necessario che questi meccanismi funzionino. Lo Stato, vero organo di gestione ed esecuzione dei suoi interessi di classe nel paese, continuerà a funzionare, perché è estraneo al Parlamento, perché è una forza che resta al servizio della borghesia, indipendentemente da chi occupa la poltrona presidenziale alla Moncloa o alla Carrera de San Jeronimo (1). La forza effettiva dello Stato si nasconde dietro il velo democratico ed è insindacabile per quanto possa sembrare che il voto ne possa cambiare la natura: il parlamentarismo è solo un inganno che cerca di convincere i proletari che un giorno, quando avranno raccolto sufficienti forze elettorali, quando esisterà un partito “onesto”, la borghesia accetterà di smantellare il suo organo di dominio di classe e consegnerà loro il potere. In questi mesi abbiamo visto che, mentre le Corti deliberavano su un obiettivo impossibile, mentre i proletari si cullavano nell’illusione di un governo di sinistra, pensando che le prossime elezioni li avrebbero avvicinati un po’ di più alla fine della condizione di miseria portata dalla crisi capitalistica nei loro quartieri e nelle imprese, e nonostante quel che ci si attende da qui in avanti, l’illusione democratica svolge la sua funzione senza nemmeno dover mantenere le forme più elementari.

In secondo luogo, che tutto il circo del “cambiamento”, le giunte “progressiste” di Madrid, Cadice, Barcellona e   l’”assalto alle istituzioni” hanno mostrato il loro vero volto alle prime avvisaglie di cambiamento. Le elezioni di dicembre hanno dato luogo a Camere legislative più simili possibile a ciò che la borghesia considera come modello: un Parlamento forte, di diversa composizione rispetto al governo, con una forte rappresentanza delle minoranze ... ed è stato sciolto a neppure due mesi dalla sua costituzione!

Se il bipartitismo era stato spacciato come il peggiore dei mali che colpivano la democrazia spagnola, mentre Podemos, Mareas ecc. come la soluzione a questo, sono bastati sessanta giorni per dimostrare che il bipartitismo è la forma più efficiente di governo democratico in Spagna e che neppure su un aspetto tanto banale come la composizione parlamentare la borghesia è disposta a cedere se non minimamente. L’efficienza del governo richiede la piena subordinazione dei poteri legislativo e giudiziario a quello esecutivo ed esige, inoltre, una composizione stabile di questi due poteri per assorbire tutte le sollecitazioni che vi si possano verificare. Come in una grande azienda borghese, l’unità di comando, anche degli aspetti secondari, è essenziale e se determinate elezioni alterano pur di poco questa unità ... vengono convocate nuove elezioni. E avanti così fino a quando sarà necessario.

I partiti del nuovo opportunismo politico continuano a dire ai proletari che devono abbandonare le lotte nelle strade, nel loro luogo di lavoro e nei loro quartieri per poter costruire una “alternativa politica”. Ebbene, questi due mesi hanno dimostrato in cosa consiste l’alternativa che il proletariato può aspettarsi dal circo democratico: non solo subordinare i propri interessi di classe agli interessi della nazione, cioè agli interessi del capitalismo nazionale, ma anche accettare tutti i ricatti del gioco parlamentare e assumersi una “responsabilità politica” che permetta un governo “stabile”. Questi partiti hanno incominciato, durante le mobilitazioni degli anni 2012 e 2013, a presentare un programma apparentemente intransigente che mirava a sfrattare i “politici tradizionali” de la Moncloa. Poi, dato che era necessario per governare, hanno accettato il compromesso con la “sinistra tradizionale” che in precedenza avevano definito traditrice. Ora rinunciano non solo a governare, ma anche a fare opposizione in Parlamento affinché il paese abbia un governo che possa esercitare le proprie funzioni senza troppi scossoni. Fin dal primo momento la sua unica funzione è stata quella di coinvolgere i proletari, che avrebbero potuto turbare l’ordine sociale, nel gioco parlamentare. Dopo aver raggiunto lo scopo, non si preoccupano neppure di salvare la faccia e calano le braghe su tutto di fronte a coloro che dicevano di voler combattere.

I proletari non devono piangere la morte del Parlamento. Si è solo evidenziato ciò che succede da molti decenni. Il Parlamento non significa nulla per la borghesia, è solo un modo per costringere i proletari a rispettare il vero governo della società: quello che la classe borghese esercita sulla classe proletaria per mantenere lo sfruttamento quotidiano al quale deve sottostare nel mondo capitalista. I proletari non devono stupirsi per il tradimento dei partiti pseudo operai, quelli che spingono a partecipare alle istituzioni democratiche come unica via di lotta: essi non rappresentano nient’altro che il canale diretto tra i proletari e la borghesia, che quest’ultima usa per imporre le proprie esigenze; questi partiti sono, sono stati e saranno per il proletariato ciò che la corda è, è stata e sarà per l’impiccato.

I proletari devono trarre le lezioni di questi mesi: il fantasma elettorale, lo show parlamentare e le promesse di rinascita democratica non sono altro che armi ideologiche nelle mani dei loro nemici. Qualunque sia il governo che emergerà dalle prossime elezioni, sotto qualunque parlamento, devono essere coscienti che i veri problemi della propria classe si risolveranno in un altro luogo, fuori dal parlamento! Solo la lotta per la difesa intransigente dei loro interessi di classe, che vanno dalle esigenze lavorative relative al salario, alla giornata di lavoro o alle morti sul luogo di lavoro, a quelle riguardanti il problema degli alloggi o dell’abitabilità dei quartieri operai, fino a quelle relative alla lotta contro l’oppressione aggravata da questioni di razza, sesso, età ecc. che aumenta la tirannia della società borghese; solo questa lotta condotta con mezzi e metodi di classe, che consistono nel non conciliare le proprie esigenze con quelle dell’economia nazionale né nel posto di lavoro né in qualsiasi altro ambito, nell’uso dello sciopero senza preavviso, senza garantire i servizi minimi e senza limiti di tempo, nel rompere le divisioni che la borghesia crea tra proletari uomini e donne, tra nativi e stranieri, tra giovani e anziani; solo questa lotta può contrastare la pressione esercitata dalla borghesia sul proletariato sul terreno immediato.

Ma anche questa lotta non sarà sufficiente. Potrà solo attenuare la condizione di miseria che, sempre più intensamente, i proletari vivono. Per chiudere definitivamente con questa situazione, il proletariato dovrà elevarsi dal terreno immediato a  quello generale, dalla lotta economica a quella politica. Per fare ciò, dovrà rompere, in primo luogo, con la mistificazione democratica che gli fa credere che gli interessi della borghesia e i propri sono gli stessi, e che pertanto è possibile conciliare le differenze all’interno di uno Stato posto al di sopra delle classi sociali e che può fare da arbitro tra esse. Oltre a questo, il proletariato deve respingere come i peggiori nemici tutti coloro che propongono l’uso della via democratica (parlamentae, giudiziaria, comunale ecc.) per risolvere le loro lotte: su questo terreno la classe operaia ha sempre perso la battaglia ancor prima di combattere e si consegna, mani e piedi legati, alla borghesia.

La vera lotta politica del proletariato è la lotta per la distruzione del potere di classe della borghesia, il suo Stato, sia esso democratico o dittatoriale, al fine di imporre la sua dittatura di classe, unica via per trasformare quel sistema di sfruttamento e di morte che è il capitalismo in uno in cui la specie umana potrà finalmente liberarsi dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Per arrivare a questo è imprescindibile la ricostituzione del partito rivoluzionario della classe operaia, internazionale e internazionalista, che è il vero organo di battaglia con il quale, al di fuori e contro ogni illusione democratica di convivenza tra le classi, sarà possibile far sparire dalla storia la borghesia e il suo Stato. Pertanto la lotta per il loro partito di classe, collocata sul percorso storico del marxismo rivoluzionario e dell’immutabilità del programma comunista, è il primo compito che devono assumersi i proletari che vogliono rompere con il pantano dell’opportunismo politico ed economico che continuamente li porta alla sconfitta. Un compito che non si misura con i risultati del gioco elettorale, che non promette successi immediati come fanno tutti gli imbroglioni della borghesia con i loro programmi, ma richiederà un lungo e doloroso processo storico, costellato di amare sconfitte e piccole vittorie che non si possono valutare con il criterio immediatista. Un compito che richiede il coinvolgimento delle migliori forze dei proletari più sensibili alla causa dell’intera classe proletaria; un compito che non promette loro né seggi parlamentari né assessorati comunali e neppure il riconoscimento sociale con cui la borghesia premia i suoi servi, ma che è l’unica via che può garantire il successo finale della lotta proletaria e quindi l’unica via per raggiungerlo.

 

Per la difesa intransigente delle condizioni di vita e di lavoro della classe proletaria!

Per il ritorno del proletariato alla lotta di classe, antidemocratica e antiborghese!

Per la ricostituzione del Partito comunista, internazionale e internazionalista!

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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