A cent’anni dalla prima guerra mondiale

Le posizioni fondamentali del comunismo rivoluzionario non sono cambiate, semmai sono ancor più intransigenti nella lotta contro la democrazia borghese, contro il nazionalismo e contro ogni forma di opportunismo, vera intossicazione letale del proletariato (3)

(«il comunista»; N° 145;  Settembre 2016)

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Prima di sviluppare l’argomento che annunciavamo nella scorsa puntata (pubblicata nel n. 143 di questo giornale) sulle origini della nostra corrente, vogliamo tornare sul quadro internazionale che si presentava al movimento socialista prima e all’inizio della prima guerra imperialistica, ripercorrendo un’ottima traccia che il partito scrisse in occasione di un lavoro sull’Antimilitarismo rivoluzionario.

 

Nel capitoletto intitolato “Il PSI e l’antimilitarismo nel primo anteguerra” (1), dopo aver richiamato l’esperienza russa del 1905 e la ferma critica di Lenin alle tendenze anarchica e sindacalista rivoluzionaria, si legge quanto segue:

«Anche in Italia, come in altri paesi e soprattutto in Francia, il movimento operaio è stato influenzato in modo tutt’altro che indifferente dall’anarchismo prima e dal sindacalismo rivoluzionario poi, che hanno ispirato pe run lungo periodo la sua attività antimilitarista, con tutti gli errori e le manchevolezze combattute, come abbiamo visto, da Lenin, dalla Luxemburg, da Liebknecht (2) e, in genere, dalla Sinistra marxista internazionale. Il PSI, pur riaffermando in ntutti i suoi congressi, sulla scia dell’Internazionale, i cardini dell’antimilitarismo rivoluzionario, nei suoi primi anni di vita non riuscì ad organizzare un’efficace propaganda ed azione antimilitariste. Fi con la formazione della Federazione nazionale giovanile aderente al Partito Socialista Italiano (1907) che l’antimilitarismo rivoluzionario assunse la sua giusta importanza all’interno del movimento operaio italiano. Già nel suo primo Congresso (Bologna, 25 settembre 1907), esso occupò una parte importante, cosa che non si era mai verificata, nei congressi del partito “adulto”. Al II Congresso, tenutosi l’anno successivo, si riaffermò che era necessaria “un’opera preparatoria nel proletariato, affinché sia pronto ad impedire la guerra ricorrendo a qualunque mezzo... in conformità cai deliberati del Congresso di Stoccarda” (3).

«Al tempo dell’impresa imperialistica contro Tripoli (1911), il movimento proletario e l’organizzazione giovanile del partito si schierarono in modo risoluto contro la guerra: ci furono numerose manifestazioni antibelliche e durissimi scontri di piazza, in particolare in Emilia e Romagna. Tuttavia il Partito e le organizzazioni sondacali (quasi completamente in mano ai riformisti) non riuscirono, ma soprattutto non vollero indire quello sciopero generale contro la guerra, che solo pochi giorni prima dello sbarco a Tripoli la “Lotta di classe” di Forlì aveva minacciato: “Gli eroici furori dei guerrafondai di professionevanno sbollendo. Il linguaggio dei nazionalisti ha abbassato il tono. Il 20 settembre è passato senza che le truppe italiane abbiano occupato Tripoli. La coddetta opinione pubblica rinsavisce? Pare. Ad ogni modo l’opinione pubblica tripolinofila non è che una quantità affatto trascurabile di fronte ai milioni di lavoratori italiani che non votano perché non elettori, che non leggono perché analfabeti, sono assenti dalla vita politica, ma sono contrari d’istinto alle imprese coloniali africane. Il macello di Abba Garima (4) è ancora ben vivo alla memoria del popolo. L’avventura di Tripoli doveva essere per molti un ‘diversivo’ che distraesse il paese dal porsi e risolvere i suoi complessi e gravissimi problemi interni. Non si andrà a Tripoli per il momento. Ma nell’evenuialità mediata o immediata di una occupazione il proletariato italiano deve tenersi pronto a effettuare lo sciopero generale” (5).

«Ma fu dopo la guerra contro Tripoli che lo sforzo antimilitarista della sinistra rivoluzionaria del PSI crebbe notevolmente. La guerra generale, ormai sempre più imminente, costringeva i rivoluzionari a lottare con maggior vigore contro il militarismo e le risorgenti forme di nazionalismo e a smascherare il feticco “patria”. La costituzione del “Soldo al Soldato” (6) è lo sforzo più evidente compiuto in questo senso. L’iniziativa, avviata in modo organico dalla Federazione Giovanile del PSI all’inizio del 1912 si ramifico  in breve tempo  sull’intero territorio nazionale. L’opuscolo intitolato appunto Il Soldo al Soldato, edito dalla F.I.G.S. del PSI nel 1913, fissa in modo preciso quale debba essere l’azione antimilitarista. Nella prima parte sono tracciati i caratteri fondamentali del militarismo; vi si riafferma come esso sia una diretta emanazione del capitalismo, mirante a difendere tutti i suoi interessi, sia “interni” che “esterni”, e come di fatto la conclamata “difesa della patria” non sia che lo schermo dietro al quale la borghesia nasconde i propri interessi, cioè “la violenta difesa del capitale contro le aspirazioni dei lavoratori, la necessità di soddisfare la insensata ingordigia degli affaristi, fornitori, industriali, che vivono attorno al militarismo (e si sottraggono così denari spremuti alla massa affamata, ad altri scopi più civili), soprattutto la formazione dell’artificiale sentimentalità patriottica negli operai che tende a sottrarli agli effetti della propaganda rivoluzionaria, e a far loro dimenticare, scgliandoli ubriachi contro il cosiddetto straniero, la lotta contro il nemico vero, vicino, terribile, spietato che si annida dentro i confini della ‘patria’ e si chiama ‘padrone’”.

«Nella seconda parte si passa ad analizzare direttamente l’attività e la propaganda antimilitarista, e l’istituzione del “Soldo al Soldato”, che deve servire soprattutto a mantenere il collegamento fra il singolo proletario in divisa (soprattutto se militante rivoluzionario) e il partito di classe. L’opuscolo termina ricordando che il partito ha l’obbligo di portare, ovunque ci siano proletari, la propaganda rivoluzionaria: “Uniamoci per mostrare ai nostri nemici che il socialismo non indietreggia e non cede, ma risorge più forte e sicuro da tutte le insidie, e proviamo che in questa società vile e in dissoluzione, dovunque, anche nel cuore celle sue ultime difese, chiamati dalla squilla di una nuova diana, sempre più numerosi e decisi insorgono i ribelli”.

«In un articolo quasi contemporaneo, Amadeo Bordiga ricordava ai deputati socialisti che l’antimilitarismo deve essere una dichiarazione di guerra, deve preparare insomma il proletariato per lo scontro diretto contro la borghesia: “Chiediamo che il partito faccia dell’antimilitarismo sul serio, non vogliamo del pacifismo smidollato e cristianizzato, infarcito di frasi sulla ‘santità della vita umana’, la ‘bene intesa grandezza delle nazioni civili’ e simile roba. E neanche l’antimilitarismo patriottardo, a fare garibaldino (che ha ormai celebrata la bancarotta nella carneficina balcanica) con relativo progettino per la nazione armata. Chiediamo ai deputati socialisti un programma di antimilitarismo di classe, che sia l’espressione della ferma volontà del proletariato di non dare più le armi e la forza ai suoi sfruttatori, di non essere più l’assassino di se stesso e il fabbro delle proprie catene. Un antimilitarismo civile non lacrimoso, che sia una dichiarazione di guerra, la dichiarazione di guerra di classe alla borghesia, che spinse i lavoratori contro i propri fratelli, come a Roccagorga (7) o in Tripolitania (8), l’espressione della volontà operaia di non lasciarsi più massacrare nell’interesse dei capitalisti” (9).

«Malgrado tuttavia la vigorosa azione svolta dai marxisti all’interno del PSI, neanche il socialismo italiano si salvò dalla catastrofe della II Internazionale; il massimo al quale si spinse fu l’ambigua e sostanzialmente imbelle formula del “non aderire né sabotare” la guerra».

 

Seguono poi i capitoletti: “Il crollo della 2° Internazionale” e “Per il disfattismo rivoluzionario” (10), che ripubblichiamo interamente:

«Il 4 agosto 1914 fu uno dei giorni più neri nella storia del movimento proletario internazionale: i parlamentari dei partiti socialdemocratici francese e tedesco votarono per la guerra e per la concessione dei crediti militari ai rispettivi governi. I partiti socialisti più forti si schierarono a fianco della borghesia, sostennero la necessità della difesa della patria, chiamarono i proletari all’union sacrée, li spinsero a massacrarsi nell’interesse del loro diretto nemico: la borghesia. Il socialismo internazionale venne colpito da un enorme senso di smarrimento: in un solo giorno erano stati cancellati anni di propaganda e azione antimilitarista, rinnegate decine di risoluzioni prese nei congressi sia dell’Internazionale che dei singoli partiti nazionali, che condannavano nella maniera più risoluta ogni appoggio alla guerra imperialista e imponevano non solo di cercar di impedirla con ogni mezzo, ma anche di “utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per agitare gli strati popolari più profondi e precipitare la caduta del dominio capitalistico”. E in questo smarrimento generale, poche e soffocate furono le resistenze all’interno dei partiti francese e tedesco – lo stesso Liebknecht, il grande rivoluzionario che lottò per tutta la vita contro il capitalismo ed il militarismo, per un errato senso di disciplina votò il 4 agosto a fianco di coloro che pochi anni dopo saranno i suoi carnefici – e a livello internazionale la maggior parte dei partiti socialdemocratici seguì il loro esempio. La scoppio della guerra aveva segnato la definitiva decomposizione della II Internazionale.

«Non sarebbe da marxisti cercare le ragioni di questa catastrofe in colpe di singoli capi o nel tradimento di qualche individuo. Il 4 agosto andava di fatto maturando da tempo: il lungo periodo “idilliaco” del capitalismop aveva permesso la nascita in seno all’Internazionale dell’opportunismo, cioè di correnti piccolo-borghesi, evoluzionistiche, che vedevano nel capitalismo stesso la possibilità di evolvere in forme sociali superiori senza bisogno dell’intervento rivoluzionario del proletariato per determinare l’abbattimento del dominio della borghesia. L’idea che il capitalismo potesse trasformarsi, motu proprio, in socialismo era quindi ormai radicata per ragioni oggettive nella maggior parte dei partiti socialisti.

«Altrettanto antimarxista sarebbe pretendere che, se le forze sane della II Internazionale avessero lottato con maggior rigore teorico contro ogni parvenza seppur minima di opportunismo, la deviazione opportunista e il fallimento della II Internazionale sarebbero stati evitati. Procedere in questo modo, cioè addebitare alla mancanza di rigore o alle lacune teoriche la nascita e lo sviluppo dell’opportunismo significa, di fatto, sottovalutare o addirittura negare le reali ragioni economiche e sociali dell’opportunismo, non vedere che le deformazioni teoriche sono determinate dallo sviluppo dialettico della società: ricadere, insomma, nel vecchio errore idealista. Questo logicamente non vuol dire che il partito rivoluzionario debba disinteressarsi del rigore programmatico e teorico, tutt’altro; ma che l’opportunismo non si lascia imbrigliare da formule o frasi, ed è pronto ad usare, nella sua opera controrivoluzionaria, tutto quanto gli serve, arrivando ad accettare -  aprole, ben inteso! – anche “principi” che gli sono completamente estranei, per poi rigettarli alla prima occasione o, meglio ancora, trasformarli in icone inoffensive. Il centrismo, con il suo maggior rappresentante, Kautsky, diede in questo campo, prova di grande abilità.

«Un fenomeno sociale come quello dell’opportunismo, cioè il passaggio pratico dalla parte dell’avversario, non può essere corretto a colpi di risoluzioni, ma va combattuto in tutti i modi e in tutti i campi, anche in quello dello scontro armato. “Esistono dati di fatto i quali mostrino in qual modo i partiti socialisti, prima della guerra attuale e in previsione di essa, consideravano i loro compiti e la loro tattica?” – si chiedeva Lenin – “Esistonop indiscutibilmente. C’è la risoluzione del congresso socialista di Basilea [...] che rappresenta la somma di innumerevoli pubblicazioni di agitazione e di propaganda di tutti i paesi contro la guerra, rappresneta l’enunciazione più precisa e completa, più solenne e fomale delle idee socialiste sulla guerra e della tattica verso la guerra. Non si può non chiamare tradimento anche il solo fatto che neppura una delle autorità dell’Internazionale di eiri e del socialsciovinismo di oggi – né Hyndman, né Guesde, né Kautsky, né Plechanov – abbia il coraggio di ricordare questa risoluzione ai suoi lettori. O non ne parlano affatto o ne citano [come fa Kautsky] i punti secondari, tralasciando tutti quelli essenziali. Le risoluzioni più ‘radicali’, ultrarivoluzionarie, e il più vergognoso oblio o l’abbandono di queste risoluzioni, ecco alcune delle manifestazioni più evidenti del fallimento dell’Internazionale e, al tempo stesso, una delle prove più evidenti del fatto che oggi solamente le persone la cui incomparabile ingenuità confina con lo scaltro desiderio di perpetuare la precedente ipocrisia, possono credere nella possibilità di ‘correggere’ il socialismo e di ‘raddrizzare la linea’ soltanto per mezzo di risoluzioni... I partiti socialisti non sono circoli di discussione, ma organizzazioni del proletariato militante, e quando alcuni battaglioni passano dalla parte del nemico, bisogna chiamarli traditori e infamarli come tali, senza lasciarsi ‘accalappiare’ dai discorsi ipocriti, i quali dimostrerebbero che ‘non tutti’ comprendono l’imperialismo ‘allo stesso modo’; che lo sciovinista Kautsky e lo sciovinista Cunow sono capaci di scrivere dei volumi in proposito; che la questione ‘non è stata sufficientemente discussa’ e simili” (11).

«Davanti al tradimento dei socialisti francesi, tedeschi, austriaci, belgi, russi ecc., culminato con l’entrata dei capi parlamentari nei governi di union sacrée, il compito dei pochi socialisti rimasti su basi rivoluzionarie era di denunciare il carattere imperialista dellaguerra in corso, di smascherare definitivamente l’opportunismo controrivoluzionario (e soprattutto le sue forme centriste, pacifiste, più pericolose di quelle apertamente socialscioviniste), di raccogliere a livello internazionale, sulle basi dell’antimilitarismo e del disfattismo rivoluzionario, tutti i militanti di avanguardia rimasti su un terreno di classe, per gettare le fondamenta della nuova Internazionale completamente comunista e rivoluzionaria.Bisognava quindi rompere definitivamente col corpo putrefatto della II Internazionale e continuare la marcia lungo il filo rosso del partito rivoluzionario. Rompere con la vecchia Internazionale non significava tuttavia rinnegare l’intera esperienza del movimento proletario mondiale. Non si trattava di “scoprire” nuovi principi né di “rinnovare” e “adattare” agli ultimi avvenimenti la dottrina rivoluzionaria, ma di riprendere e riaffermare i principi comunisti che anche nella II Internazionale erano sempre rimasti in vita grazie agli autentici marxisti. Così Zinoviev, in polemica con la sinistra olandese, nell’articolo La II Internazionale e il problema della guerra. Rinunciamo alla nostra eredità? (1916), scrive: “Sostenendo la necessità di creare una III Internazionale , rinunciamo definitivamente, totalmente, all’eredità della II Internazionale? Il compito dei rivoluzionari marxisti consiste nel dimostrare che, surante 25 anni di vita della Ii Internazionale, due tendenze essenziali vi si sono combattute con alterni successi e sconfitte: il marxismo e l’opportunismo. Noi non vogliamo cancellare tutta la storia della II Internazionale. Non rinneghiamo ciò che vi era di marxista. Un certo numero di teorici e di ‘leaders’ hanno rinunciato al marxismo rivoluzionario. Negli ultimi anni di vita della II Internazionale, gli opportunisti e il ‘centro’ hanno ottenuto la maggioranza nei confronti dei marxisti. Ma, malgrado tutto ciò, la tendenza marxista rivoluzionaria è sempre esistita nella II Internazionale. Neanche per un istante abbiamo pensato di rinunciare alla nostra eredità” (12). Quindi lotta contro l’opportunismo ma, al contempo, contro ogni forma di sindacalismo, di infantilismo di sinistra, di intellettualismo piccolo-borghese ed anarcoide che, pur condannando l’opportunismo, di fatto vi ricade volendolo combattere con “innovazioni” e “revisioni” teoriche.

«Pochi giorni dopo lo scoppio della guerra, mentre Plechanov a Parigi si agitava per chiamare all’arruolamento i proletari francesi, Lenin presentò a pochi compagni bolscevichi radunatisi il 6-8 settemmbre a Berna una serie di tesi sulla guerra e sui compiti dei rivoluzioanri. Questi pochi punti saranno alla base di tutta l’attività svolta successivamente da Lenin e dagli internazionalisti di tutti i paesi (13). Il primo afferma il carattere borghese, dinastico ed imperislita della guerra in corso; i tre successivi sono una condanna senza appello dei capi socialdemocratici caduti nelle spire del socialsciovinismo; nella tesi quinta si ricorda come tutti gli argomenti addotti dai paesi belligeranti per giustificare la loro partecipazione alla guerra siano assolutamente falsi e inaccettabili per dei socialisti che siano tali; la sesta tesi precisa i compiti dei rivoluzionari russi, e fa notare come per le classi sfruttate dell’impero zarista il male minore sarebbe la totale disfatta dell’esercito russo che opprime polacchi, ucraini e molti altri popoli dell’impero. Infine nell’ultima tesi sono fissate le consegne per i socialisti di tutti i paesi: lotta a fondo contro il centrismo pacifista, il socialsciovinismo e i governi borghesi; necessità di propagandare dappertutto, ma principalmente nell’esercito, la rivoluzione socialista, e quindi organizzare illegalmente il proletariato a questo scopo; mnecessità di costituire una nuova Internazionale che abbia come scopo la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile per l’abbattimento del dominio capitalistico. Queste tesi non sono che la riaffermazione dell’antimilitarismo di classe, del disfattismo rivoluzionario».

 

Di fronte alla questione delle posizioni del socialismo rispetto alla guerra, ogni comunista rivoluzionario si rifa all’opuscolo che Lenin scrisse nell’estate del 1915 e che fu distribuito ai delegati alla Conferenza di Zimmerwald, Il Socialismo e la Guerra. Abbiamo già trattato del contenuto di questo opuscolo nello scorso n.142 del giornale, ma ci torniamo, mettendo in evidenza altri aspetti fondamentali delle posizioni che i marxisti devono prendere di fronte alle guerre borghesi. In questo opuscolo Lenin riassume le tesi fondamentali del marxsimo sui diversi tipi di guerra che la borghesia può condurre nell’arco del suo sviluppo storico, e le conseguenze tattiche che il partito rivoluzionario ne deve dedurre. Lenin tratta la questione dalle guerre progressive del periodo rivoluzionario della borghesia alle guerre reazionarie del suo periodo di conservazione e rafforzamento del potere di classe, alle guerre imperialiste, come la guerra 1914-1918; passa poi alla critica spietata del socialsciovinismo e al kautskismo – espressioni del fallimento completo della II Internazionale – per rimettere in piedi le corrette posizioni marxiste e lanciare la vera ed unica parola d’ordine che i socialisti dovevano fare propria: la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, puntando alla conquista rivoluzionaria del potere, alla distruzione dello Stato borghese e all’instaurazione della dittatura proletaria. Naturalmente non mancano i capitoli dedicati alla lotta contro l’opportunismo (non solo contro il socialimperialismo o socialsciovinismo, ma anche contro il pacifismo e quella sua insidiosa tendenza che sosteneva la parola d’ordine “né vittoria né sconfitta”, un po’ come il “né aderire, né sabotare” del PSI) e, ovviamente, alla situazione in Russia; per concludere con i capitoli dedicati alla ricostituzione dell’Internazionale.

Vi si ribadisce, dunque, dopo aver staffilato i Plechanov di tutto il mondo sui falsi richiami a Marx ed Engels rispetto alla posizione di sostegno dei socialisti riguardo le guerre “progressive” della borghesia – e dimenticando bellamente le parole del Manifesto del 1848: gli operai non hanno patria – che nell’epoca della borghesia reazionaria, dunque nell’epoca della guerra imperialista, l’opportunismo, sviluppatosi in socialsciovinismo, ha un contenuto ideologico ben preciso:

«la collaborazione delle classsi invece della lotta di classe, la rinuncia ai mezzi rivoluzionari di lotta, l’aiuto al ‘proprio’ governo nelle situazioni difficili, invece di utilizzare le sue difficoltà nell’interesse della rivoluzione» (14).

Quanto ai compiti dei marxisti, il lungimirante Lenin li definisce in questo modo:

«La guerra ha indubbiamente generato la crisi più acuta ed ha aggravato in modo inverosimile la miseria delle masse. Il carattere reazionario di questa guerra, l’impudente menzogna della borghesia di tutti i paesi, che maschera i propri scopi di rapina con un’ideologia “nazionale”, tutto ciò, sul terreno di una situazione obiettivamente rivoluzionaria [sottolineato da noi, NdR], crea inevitabilmente nelle masse degli stati d’animo rivoluzionari. E’ nostro dovere contribuire a rendere coscienti questi stati d’animo, approfondirli e precisarli. Questo compito è espresso in modo giusto soltanto dalla parola d’ordine di trasformare la guerra imperialista in guerra civile; ed ogni lotta di classe conseguente in tempo di guerra, ogni tattica di ‘“azione di massa” seriamente applicata, conduce inevitabilmente a questo. E’ impossibile sapere se un forte movimento rivoluzionario scoppierà in seguito alla prima o alla seconda guerra imperialistica fra le grandi potenze, durante o dopo di essa, ma in ogni caso è nostro preciso dovere lavorare sistematicamente e con perseveranza proprio in questa direzione [sottolineato da noi, NdR]» (15). In queste poche frasi è condensata una straordinaria sintesi della valutazione marxista della situazione storica e, al di là della effettiva possibilità dei rivoluzionari di approfittare in tutti i paesi delle situazioni difficili in cui si sono venuti a trovare i governi borghesi con la crisi di questa guerra, dei compiti del partito rivoluzionario di classe. La parola d’ordine: trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, non è inventata sul momento e non è frutto di un’illusione utopistica o intellettuale; è la conseguenza coerente della valutazione della situazione creatasi con la crisi di guerra, situazione in cui il proletariato già da molti anni muoveva le proprie forze nella lotta di classe sul terreno immediato, forte di organizzazioni sindacali di classe, e sul terreno sociale e politico più generale, con partiti operai in cui agivano non solo le tendenze opportuniste ma forti tendenze rivoluzionarie. La tradizione di classe e della lotta di classe non era spezzata, nonostante il fallimento della II Internazionale e dei maggiori partiti che vi aderivano; lo stato d’animo delle masse proletarie, nonostante i colpi subiti dalla reazione borghese e dall’opera del socialsciovinismo, si dimosrtrava ancora combattivo, capace di reagire contro la guerra e contro i poteri borghesi che alla guerra di rapina hanno portato le grandi masse proletarie a massacrarsi vicendevolmente, e di essere quindi influenzato dalle posizioni rivoluzionarie. Valutazione concreta della situazione concreta, lontana da ogni automatismo e da ogni volontarismo.

Infatti Lenin mette in chiaro che in quel momento storico, ad un anno dallo scoppio della guerra imperialista, “non è possibile sapere se un forte movimento rivoluzionario scoppierà in seguito alla prima o alla seconda guerra imperialistica fra le grandi potenze”. E qui vi sono contenute diverse tesi marxiste: l’inevitabilità della guerra imperialistica sotto il regime borghese; l’inevitabile acutizzazione della crisi sociale provocata dalla guerra imperialistica a causa della quale può formarsi un forte movimento rivoluzionario; la materiale e oggettiva combinazione di fattori economico-sociali e politici che, maturando, stanno alla base dello stato d’animo rivoluzionario delle masse proletarie; la possibilità di approfittare delle difficoltà dei poteri borghesi in seguito già a questa guerra per sferrare la lotta rivoluzionaria per la conquista del potere (la guerra civile), o in seguito alla successiva guerra imperialistica; il dovere dei marxisti, dunque dei comunisti rivoluzionari, del partito di classe, di lavorare nella direzione della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, sitematicamente e con perseveranza, dunque al di là della effettiva possibilità che la rivoluzione (la guerra civile) possa interrompere la guerra imperialista attuale volgendo la forza delle masse proletarie verso la guerra di classe. 

 

Tornando alla Conferenza di Zimmerwald, di cui abbiamo già pubblicato il Progetto di risoluzione e il Progetto di manifesto proposti da Lenin, ma che non furono adottati dalla Conferenza composta in realtà da una maggioranza di pacifisti, risottolineiamo che, in questa riunione internazionale dei delegati dei maggiori partiti socialisti e socialdemocratici d’Europa, non si andò oltre la formale denuncia della guerra imperialistica rompendo, in realtà solo a parole, con l’opportunismo e col socialsciovinismo; non fu data, infatti alcuna indicazione chiara sulla trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile. Ciò non poteva stupire dato che la maggior parte dei delegati alla conferenza erano degli “onesti” pacifisti; intorno a Lenin e alle posizioni marxiste intransigenti si formò un nucleo di internazionalisti coerenti, “7 o 8 persone”, come informa Zinoviev in un suo articolo pubblicato in Contre le Courent, (16), quelli che si identificheranno come la Sinistra di Zimmerwald.

Vale la pena riprendere dei passi e la conclusione del progetto di risoluzione della Sinistra Zimmerwaldiana, anche questo scritto da Lenin, poiché in essa si gettano le basi della futura Internazionale Comunista:

«L’epoca del capitalismo relativamente pacifico è passata senza ritorno. L’imperialismo porta alla classe operaia un inasprimento inaudito della lotta di classe, della miseria, della disoccupazione, del costo della vita, dell’oppressione dei trust, del militarismo, e la reazioone politica che solleva la testa in tutti i paesi, anche nei più liberi.

«Il significato reale della parola d’ordine della “difesa della patria” nella guerra attuale è la difesa del “diritto” della “propria” borghesia nazionale all’oppressione di altre nazioni, è la politica operaia nazional-liberale, è l’alleanza di un’infima parte di operai privilegiati con la “loro” borghesia nazionale contro la massa dei proletari e degli sfruttati. (...) Il crescente desiderio di pace fra le masse lavoratrici esprime la loro delusione, ilfallimento della mezogna borgehse sulla difesa della patria, l’inizio del risveglio della coscienza rivoluzionaria delle masse. Utilizzando questo stato d’animo per la loro agitazione rivoluzuionaria, senza fermarsi, nel loro lavoro, dinanzi all’idea della sconfitta della “loro” patria, i socialisti non inganneranno il popolo con la speranza illusoria di una pace prossima, stabile, democratica e che escluda l’oppressione delle nazioni, con la speranza del disarmo ecc., senza l’abbattimento rivoluzionario degli attuali governi. Solo la rivoluzione sociale del proletariato apre la strada alla pace e alla libertà delle nazioni.

«La guerra imperialistica apre l’éra della rivoluzione sociale. Tutte le condizioni oggettive dell’epoca contemporanea mettono all’ordine del giorno la lotta rivlluzionaria di massa del proletariato. E’ dovere dei socialisti, senza rinunziare a nessuno dei mezzi della lotta legale della classe operaia, subordinarli tutti a questo compito urgente e vitale, sviluppare la coscienza rivoluzionaria degli operai, unirli nella lotta rivoluzionaria internazionale, appoggiare e portare avanti ogni azione rivoluzionaria, tendere a trasformare la guerra imperialistica fra i popoli in guerra civile delle classi oppresse contro i loro oppressori, in guerra per l’espropriazione della classe dei capitalisti, per la conquista del potere politico da parte del proletariato, per la realizzazione del socialismo» (17).

Nel prossimo numero, prima di riprendere le posizioni che caratterizzarono fin dall’origine la corrente della Sinistra marxista, completaremo la traccia, iniziata in questo numero, volgendo lo sguardo alla lotta contro il disarmo, alle posizioni del gruppo della Sinistra tedesca di fronte alla guerra per giungere infine alle posizioni della Sinistra marxista in Italia di fronte alla guerra mondiale e alla rivoluzione russa.

 

(3 - continua)

 


 

(1) Vedi L’antimilitarismo rivoluzionario, 3 puntata, “il programma comunista” n. 4, 18/2/1978.

(2) Cfr. K. Liebknecht, Militarismo e Antimilitarismno, in Scritti politici, Feltrinelli Editore, Milano 1971,  pp. 69-209.

(3) Cfr. Storia della Sinistra Comunista, vol I, p. 59 e segg.

(4) Nel quadro della guerra di Abissinia attraverso la quale l’imperialismo italiano tentava la conquista di colonie nel Corno d’Africa, La battaglia di Adua, o di Abba Garima, si svolse all’inizio di marzo del 1896; le truppe italiane vennero attaccate dalle truppe etiopiche guidate dal negus Menelik II, subendo una pesantissima sconfitta. I morti di parte italiana furono non meno di 7 mila e i feriti non meno di 1.500, mentre i morti di parte etiope furono tra i 4 e i 7 mila, e i feriti tra gli 8 e i 10 mila.

(5) Cfr. Storia della Sinistra Comunista, vol I, bis, p. 27. A proposito, ecco quanto scriveva Lenin sulla guerra italo-turca: “Che cosa ha provocato la guerra? La cupidigia dei magnati della finanza e dei capitalisti italiani, che hanno bisogno di un nuovo mercato, hanno bisogno dei progressi dell’imperialismo italiano. Che cosa è stata la guerra? Un macello di uomini, civile, perfezionato, un massacro di arabi con armi ‘modernissime’... Certo l’Italia non è né migliore né peggiore degli altri paesi capitalisti, tutti ugualmente governati dalla borgehsia, la quale per una nuova sorgente di profitto, non indietreggia davanti a nessun macello”. Da La fine della guerra fra l’Italia e la Turchia, in Opere Complete, vol. XVIII, pp. 322-323.

(6) Il soldo al soldato, opuscolo di propaganda antimilitarista scritto da Amadeo Bordiga per la Federazione italiana Giovanile Socialista aderente al PSI, nel 1913.

(7) Il 6 gennaio 1913, i contadini e le contadine di Roccagorga, un piccolo comune in provincia di Frosinone, parteciparono alla manifestazione di protesta organizzata dalla “Società Agricola Savoia” per denunciare le terribili condizioni di vita e di lavoro cui erano costretti da tempo. I motivi della manifestazione? Essenzialmente due: la vessatoria applicazione delle tasse comunali con criteri “discrezionali,” quindi una pressione fiscale insostenibile. La popolazione, qualora riuscisse a coltivare un pezzo di terra (la proprietà privata si limitava alle abitazioni e agli attrezzi di lavoro), doveva al padrone decime molto pesanti, che venivano inasprite nel caso di annate magre. Gli usi civici come mulini, frantoi, forni pubblici, erano anch’essi vessati con tasse molto salate, che lasciavano al malcapitato quel poco per vivere. “La situazione igienico sanitaria era scarsa o pressoché inesistente: non vi erano sistemi o reti fognanti, né condutture idriche, non acqua, non spazzatura. In una camera sola abita tutta la famiglia, non meno di 5 o 6 persone, e con i membri delle famiglie, in moltissimi casi è comune la convivenza del maiale e quello delle galline. Ci si ammalava spesso e le condizioni di vita, unite ad un’alimentazione tutt’altro che sufficiente, erano tali da non consentire un’aspettativa di vita che superasse i 50 anni”. (da Il messaggero, 7 gennaio1913). La manifestazione, oltretutto in un periodo di grandi tensioni sociali e politiche dovute anche alla guerra italo-turca, prese ad un certo punto toni molto aspri e, quando delle contadine si impossessarono della bandiera tricolore esposta al comune, intervennero i carabinieri che spararono contro i manifestanti: 7 morti, 23 feriti ufficiali, mentre molti altri si medicarono lontano dagli ospedali. Compiuto l’eccidio, per niente raro a quell’epoca, questo fatto prese subito rilevanza nazionale poiché Giolitti , all’epoca capo del governo e ministro degli interni, telegrafò al prefetto di Frosinone affermando: “La rivolta di Roccagorga contro la forza pubblica è un fatto così grave che richiede una esemplare repressione. Occorre quindi procedere ad arresti su larghissima scala di tutti quanti coloro che vi presero parte traducendoli alle carceri circondariali con la massima pubblicità affinchè la popolazione comprenda la impossibilità che una così selvaggia ribellione vada impunita”.  Le notizie qui riportate sono state ripresa da: http://www.abitarearoma. net/6-gennaio-1913-leccidio-di-roccagorga-nel-basso-lazio/#.V5TVKhJxxqA

(8) E’ ovvio qui il riferimento all’impresa militare dell’imperialismo italiano nella conquista della colonia Libia, allìepoca nelle regiono di Tripolitania e Cirenaica.

(9) Cfr. A. Bordiga, L’inquisizione militare, in “L’Avanguardia”, 2 marzo 1913.

(10) Vedi L’antimilitarismo rivoluzionario, 4 puntata, “il programma comunista” n. 5, 4/3/1978.

(11) Cfr. Lenin, Il fallimento della II Internazionale, maggio-giugno 1915, in Opere, vol. 21, Ed. Riuniti, Roma 1966, pp. 186-190.

(12) Il lungo articolo di Zinoviev è stato pubblicato su Lenin-Zinoviev, Contre le Courent, II, Réimpression en fac-simile, François Maspero, 1970, p. 196-246; la citazione è a p. 245.

(13) Cfr. Lenin, I compiti della socialdemocrazia rivoluzionaria nella guerra europea, in Opere, vol. 21, cit., pp. 9-12.

(14) Cfr. Lenin, Il socialismo e la guerra, luglio-agosto 1915, in Opere, vol. 21, cit., p.284.

(15) Lenin, Il socialismo e la guerra, cit., p. 286.

(16) Cfr. G. Zinoviev, La première conférence internationale, 11/10/1915, in Lenin-Zinoviev, Contre le Courent, II, cit., p. 16.

(17) Cfr. Lenin, Progetto di risoluzione della sinistra di Zimmerwald, 20 agosto 1915, in Opere, vol. 21, cit., pp 317-318.

 

 

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