Corrispondenze dalla Spagna

 

Né in Parlamento, né al Governo e nemmeno all’opposizione

Per lottare, il proletariato può contare soltanto sulle proprie forze!

(«il comunista»; N° 146;  Dicembre 2016)

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Con l’investitura di Mariano Rajoy a capo del governo, si è chiusa la cosiddetta crisi istituzionale  iniziata lo scorso dicembre con il fallimento delle elezioni che impedì la formazione di un governo. Si chiude anche un periodo apertosi con le elezioni europee del 2014, e che ha continuato ad essere un lungo periodo “elettorale” teminato questa settimana. Questo periodo, durato praticamente due anni e mezzo, è stato caratterizzato dall’apparizione nel firmamento mediatico e istituzionale della stella “Podemos” attraverso la quale si è caratterizzato un processo di pacificazione delle dimostrazioni di strada che ha deviato le tensioni sociali verso le istituzioni democratiche del paese: comuni, parlamenti autonomi e, infine, Parlamento nazionale e opposizione parlamentare al governo Rajoy.

Per questo motivo il circo elettorale che si è concluso corrisponde ad una vera vittoria della borghesia spagnola che ha cercato di mantenereentro i limiti della partecipazione democratica e del rispetto della legalità e delle istituzioni le tensioni sociali che la crisi capitalistica aveva generato in ampi strati della popolazione. Dalle esplosioni di rabbia degli anni 2012 e 2013, espresse da centinaia di migliaia di proletari scesi nelle strade ma senza una chiara direzione e con l’unica intenzione di esprimere il proprio malessere, si è passati allo show parlamentarista che da questo momento vedremo continuamente nei mezzi di comunicazione; la gestione della crisi sociale è avvenuta in modo impeccabile, passando dal malessere per il brusco peggioramento delle condizioni di vita della classe lavoratrice alle dispute tra i banchi del Parlamento; dagli scioperi generali alla coalizione della Unidad Popular e i suoi patti col PSOE; e infine, da una lotta allo stadio embrionale all’ipertrofia democratica e legalista che schiaccia da decenni il proletariato e che ha trovato nei leader della “nuova politica” i suoi migliori difensori.

Il governo uscito dal parlamento promette ai proletari di continuare con la stessa politica; secondo le sue prime dichiarazioni, dato che le ricette attuate finora hanno funzionato egregiamente, si continuerà con esse. Non occorre che il Partido Popular prenda dal suo codice genetico l’odio per il proletariato, alla stregua di qualsiasi altro partito dell’emiciclo; in realtà, nella situazione attuale del paese – in cui è evidente la politica di riassestamento dei conti ottenuto riducendo la massa salariale diretta e indiretta dei proletari e favorendo la crescita della produzione industriale attraverso una massiccia precarizzazione dei posti di lavoro – alla borghesia torna molto più utile che il ruolo principale lo giochi un partito che non ha il problema di perdere la faccia di fronte ai proletari, un partito che può mostrare ogni giorno la faccia più dura delle esigenze capitaliste senza mettere a rischio la propria credibilità. Le differenti combinazioni possibili per formare un governo e il boicottaggio subito dalle forze che non contemplavano l’alleanza PSOE-PP mostrano la realtà sulla supposta divisione dei poteri, sulla tenuta del parlamento come istituzione centrale della democrazia ecc.

La sinistra parlamentare ed extra-parlamentare accusa il PSOE di tradimento. Secondo costoro, con un “colpo di Stato” interno si è danneggiata una possibile direzione di sinistra, favorendo al suo posto una “mafia” partitica per concludere un patto col PP, cosa che è effettivamente avvenuta. Il PSOE, praticamente inesistente durante il franchismo, fu una creatura germano-americana: un partito socialdemocratico utile all’epoca, finanziato con fondi della Fondazione Ebert (1), con l’incarico di canalizzare la spinta dei proletari in un momento critico del capitalismo spagnolo, difendendo gli interessi nazionali e il rispetto rigoroso della democrazia. La funzione del PSOE, la cui forza maggiore era situata in Catalogna e in Andalusia, ossia in due delle zone storicamente più combattive del proletariato spagnolo e nelle quali ha svolto un ruolo di smobilitazione incredibilmente efficace, è quella di garantire la stabilità nazionale.

Il PSOE è stato il partito pienamente identificabile con la funzione di avviare il paese nel post-franchismo imponendo i sacrifici più duri alla classe proletaria. E’ per questo che, in un periodo di crisi istituzionale come quello vissuto dal paese negli ultimi mesi, tutte le risorse del partito sono state indirizzate alla soluzione conciliatrice col Partido Popular, soluzione che permette, sembra, di salvare temporaneamente la situazione. Si può dare per certo che, mentre il governo del PP si logorerà nella ricerca del ricambio, il PSOE lo appoggerà in tutte le sue fasi più importanti.

Al suo confronto, Podemos appare come la grande e candida speranza dell’opposizione. Dopo il fallimento del suo “assalto al cielo” (parlamentare) e dei suoi tentativi di accordarsi col PSOE, e soprattutto dopo l’immenso sforzo prodotto per cercare di canalizzare tutte le speranze nel gioco parlamentare – ripetendo mille volte che la lotta va fatta nel parlamento e non nelle strade – adesso giocherà il ruolo della opposizione radicale, con gesti plateali e sceneggiate. Podemos va a vivacizzare la Camera col suo teatrino ma, nel contempo, cerca di non perdere la possibilità di mobilitare la piazza quando, come accadrà di certo, si renderà necessario un partito presente nelle piazze che cerchi di contenere situazioni di tensione sociale come quelle vissute a causa della crisi capitalistica.

Tutti i movimenti politici, elettorali e istituzionali visti negli ultimi anni, devono far fronte a una crisi nelle relazioni sociali borghesi. La crisi capitalistica inevitabilmente ha gettato sul lastrico molti proletari e, da subito, la borghesia ha messo in campo tutte le sue forze per controllare al meglio una possibile esplosione sociale. Queste forze, opportunamente gestite, vanno dalla versione di sinistra, costituita da tutti i gruppi nati per imporre le esigenze democratiche come unica bandiera nelle manifestazioni operaie, fino ai diversi tentativi di costruire un partito parlamentare alla sinistra del PSOE. Passando, naturalmente, attraverso i mezzi della repressione diretta ecc. Tutti questi movimenti si muovevano verso un unico obiettivo: che il proletariato non imboccasse la strada della lotta di classe, della difesa dei suoi interessi immediati coi mezzi della lotta che gli sono propri (lo sciopero ad oltranza, senza preavviso né servizi minimi garantiti, la costruzione e la difesa delle sue organizzazioni, la solidarietà con tutti gli strati della sua classe, la lotta di strada ecc.) e, senza dubbio, della lotta politica contro la borghesia e il suo Stato.

La crisi sociale non è stata tale da spingere questa lotta sul terreno di classe, ma ha comunque scosso la struttura sociale che mantiene in piedi l’edificio borghese. Essa ha peggiorato pesantemente le condizioni di vita dei proletari; ha eroso i salari, specialmente degli strati più indifesi della classe operaia, portandoli al limite della fame; ha tagliato i servizi sociali di base che, essendo parte del salario indiretto che la classe borghese paga ai proletari, hanno la funzione di provvedere alle necessità più urgenti di salute e benessere. In poche parole, la crisi non ha fatto altro che levare il velo alla realtà capitalistica. Lentamente, gli ammortizzatori sociali, che la borghesia maneggia per evitare le esplosioni sociali in momenti di difficoltà economiche, si stanno riducendo. Contemporaneamente abbiamo assistito ai primi sintomi di una tensione sociale che non si è potuta controllare con i soliti mezzi. La borghesia ha dovuto ricorrere ad un ricambio nello stesso sistema rappresentativo, introducendo due nuovi partiti  oltre ai due che hanno svolto la loro funzione per 40 anni. Per ora questo è bastato.

Ma, guardando più in là dei risultati immediati, si può vedere che si è soltanto tappato un buco. La ripresa economica, di cui i propagandisti borghesi tanto si pavoneggiano, si sta attuando sulle spalle di una classe proletaria sempre più immiserita e priva di riserve; i lavoratori non sono nelle stesse condizioni di prima della crisi, né hanno condizioni di lavoro che permettano a gran parte dei proletari occupati di sopravvivere; la repressione e il dispotismo nelle aziende e nel sociale si accentuano. La prossima crisi, che alcuni economisti borghesi già prevedono nei prossimi anni, non farà che confermare che la società capitalista può solo promettere miseria e sofferenze ai proletari, i quali possono aspirare ad uscire da questa situazione soltanto imboccando la via della lotta aperta contro la borghesia.

L’inganno elettorale, a cui la borghesia fa ricorso nei paesi a capitalismo sviluppato con una frequenza sorprendente (si vota praticamente ogni anno, anche per istituzioni che non hanno funzioni importanti, perché l’importante è che si voti continuamente), si svolge con un bombardamento continuo sul proletariato, dai mezzi di comunicazione ai posti di lavoro, alla scuola ecc. “Tutte le differenze sociali potrebbero essere risolte se si accettasse il mezzo parlamentare”...; finché questo inganno funziona, la borghesia può stare tranquilla. Può continuare a sottomettere il proletariato con la forza, a estorcergli plusvalore minacciandolo con la disoccupazione e la fame, a modificare a suo capricco le condizioni di vita proletarie nei quartieri operai, a reprimere con durezza i giovani e a incarcerare e assassinare i proletari più decisi che hanno il coraggio di sfidare a viso aperto il nemico di classe. Esige però che il proletariato non risponda: né nel posto di lavoro con lo sciopero, né nei quartieri operai con le associazioni che difendono la sopravvivenza immediata; esige che non si ribelli contro la pressione quotidiana della polizia sui giovani, contro la detenzione arbitraria degli immigrati... Esige, in poche parole, che mentre essa opprime ogni giorno, il proletariato si limiti a votare e ad esprimere la sua fiducia nelle istituzioni democratiche che un giorno... risolveranno i suoi problemi...

Ma, via via che il mondo capitalista si rivela sempre più un mondo nel quale il proletariato non può aspettarsi nient’altro che una vita miserabile, l’inganno elettorale andrà sgretolandosi. Negli ultimi mesi la borghesia ha cercato di presentare i suoi due nuovi partiti come un esempio grazie al quale i proletari devono confermare la fiducia nel parlamento per la soluzione dei loro problemi. Ma le future crisi economiche, che provocheranno crisi sociali ogni volta più profonde, sbricioleranno questa farsa come è già successo in passato. Allora i proletari sperimenteranno apertamente che cosa significano Parlamento e Democrazia, armi del loro nemico di classe utilizzate contro di loro nel momento in cui la loro lotta metterà in discussione il dominio della borghesia. Le future tempeste sociali probabilmente non sono così lontane come si vuol far credere e con esse dovrà tornare la lotta della classe proletaria, aldilà dei canti delle sirene che oggi la avvincono al suo nemico di classe e al suo Stato.

 

Per il ritorno alla lotta antidemocratica e antiparlamentare della classe proletaria

Per la difesa intransigente delle condizioni di vita del proletariato

Contro qualsiasi governo borghese ed opposizione borghese

Per la ricostituzione del Partito Comunista

 


 

(1) La Fondazione Friedrich Ebert (FES) è stata fondata nel 1925 come testamento politico del primo presidente socialdemocratico eletto in Germania (repubblica di Weimar). Opera per la democrazia e il “dialogo e la pace sociale” in tutto il mondo.

 

[Queste prese di posizione sono state pubblicata nel sito www.pcint.org il 19 e il 30/10/2016]

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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