La lotta dei lavoratori del comparto idrico del napoletano: un esempio da seguire!

(«il comunista»; N° 148;  Aprile 2017)

 Ritorne indice

 

 

La ristrutturazione del sistema industriale iniziata negli anni ‘70, alimentata dal processo di crisi capitalistica irreversibile, ha comportato la chiusura di migliaia di fabbriche con licenziamenti e cassa integrazione quale ammortizzatore sociale per centinaia di migliaia di operai e la perdita di gran parte di quelli che sembravano  oramai diritti acquisiti,  per chi restava a lavorare, con contratti sempre più capestro e con il beneplacito dei sindacati tricolore.  Il governo trovava altresì nei servizi un’ulteriore ammortizzatore sociale, quale valvola di sfogo, con il trasferimento in essi di migliaia di operai licenziati. Ma anche i servizi dovevano prima o poi risentire della crisi anche in comparti che sembravano immuni da qualsiasi intervento. Trasporti, pubblico impiego, ospedali e servizi comunali, sono stati e lo sono tuttora nel mirino della mannaia governativa, rimettendo a repentaglio una presunta sicurezza del posto di lavoro. Ed è proprio in occasione di una vicenda in un comparto vitale dei servizi, come quello della distribuzione idrica, che vogliamo porre l’attenzione dei lettori, nella fattispecie l’acquedotto napoletano.  Il referendum nazionale sull’acqua pubblica di giugno 2011, quale metodo mistificatorio della democrazia borghese, ha infuso l’illusione che si potesse decidere sul destino di un servizio particolarmente vitale quale appunto la gestione idrica, sottraendolo o meno ai privati; anche se una gestione “pubblica” può tranquillamente attuare una politica privatistica con tanto di rincari.  Ad ogni modo, un successivo intervento governativo del PD del marzo 2016 aboliva con un blitz l’articolo 6 della legge sull’acqua sancendo formalmente che la gestione del servizio idrico non dovesse essere obbligatoriamente pubblica, dribblando in pratica la volontà di circa 27 milioni di votanti.  Ne seguiva un’opposizione sterile e d’ufficio dei partiti di “opposizione”.

A Napoli dopo che la vecchia municipalizzata AMAN si trasformò nel 2001 in ARIN società per azioni controllata dal comune, nel 2013 nacque, in completa controtendenza con il resto del paese ma in “piena sintonia” con l’esito del referendum, Acqua Bene Comune (ABC) candidata alla gestione del ciclo idrico integrato delle acque del distretto di Napoli. In sintonia con la pressione di piazza dei movimenti per l’acqua pubblica contro le mire privatistiche governative, e per la stessa volontà della giunta De Magistris, il Comune fa mettere in sicurezza ABC emanando una delibera di febbraio 2015 dove si sancisce definitivamente che la gestione dell’acqua non potrà mai essere dei privati. Ma a ciò fa subito da contraltare, in linea invece col PD, una nuova legge regionale campana sull’acqua, dove la giunta De Luca promuove qualcosa di diverso rispetto al comune di Napoli e cioè che la gestione del servizio acquedottistico venga affidata ad un solo ente idrico Campano che farebbe capo all’ACEA cui spetterebbe la gestione di cinque distretti (i 5 capoluoghi di provincia Napoli,Benevento, Caserta, Avellino e Salerno). L’obiettivo regionale è quello di dare in pasto ai privati la gestione dell’acqua scalzando di fatto il sindaco di Napoli. Nei piani del governo l’Acea sarebbe una delle quattro multiutility che dovrebbero gestire il cosiddetto “ciclo integrato delle acque” (IREN per Piemonte e Liguria; ERA per il centro Italia e A2A per la Lombardia).

 

LO SCONTRO INTERISTITUZIONALE E I SUOI RIFLESSI NELLE VICENDE DELLA ABC

 

La cosiddetta “ristrutturazione” dello storico acquedotto napoletano AMAN (fondato in età borbonica) inizia già nel 1993 quando lo “scandalo dell’acqua sporca” fece da alibi allo smantellamento di quello che fino ad allora era stata una vera e propria “repubblica”, “repubblica” che oramai doveva essere smantellata e archiviata per essere adeguata all’imminente nuova congiuntura economica. Mentre i contratti di lavoro delle altre realtà segnavano il passo con rinnovi-capestro, l’allora municipalizzata conservava diritti e normative sparite oramai da anni o mai esistite in altri comparti, come l’assunzione del primo genito per i pensionati e le laute maggiorazioni e gli straordinari che rendevano i salari superiori anche alla media nazionale.  L’assunzione dei lavoratori GEPI, composta di operai fuoriusciti in cassa integrazione da fabbriche dismesse o ristrutturate e di quelli dell’altra municipalizzata fallita, la Centrale del latte napoletana, giustificate da mancanza di personale, diedero il via alla sparizione del vecchio contratto denominato “Regolamento Organico” (conservato però ad personam per i vecchi impiegati e operai) e sostituito con il CCNL . Successive assunzioni, perlopiù clientelari, sancivano la convivenza di almeno tre contratti progressivamente peggiorativi nella stessa azienda. L’esodo agevolato, ma molto agevolato, dei vecchi acquedottisti portava ad un netto ribasso del monte salari, ma soprattutto allo smantellamento della vecchia organizzazione del lavoro. Nasce in parallelo la Net Service come consociata dell’acquedotto che raccoglie cassintegrati edili. L’utilizzo della Net fa però sempre più da supporto alle squadre di ABC prospettando un loro assorbimento nell’azienda madre. Nel contempo, il vecchio apparato dell’acquedotto veniva ridimensionato drasticamente a scapito della sua qualità. Trasferita la sede originaria dal centro storico alla periferia, anche le zone operative subivano un drastico ridimensionamento concentrandosi unicamente nella sola zona più periferica di Poggioreale. Gli sportelli aperti al pubblico restavano uno al centro ed un altro nella sede. Le centrali di sollevamento, necessarie per le zone collinari, erano gestite attraverso il telecontrollo mentre alcune attività commerciali venivano esternalizzate e, con il progressivo uso degli appalti, si rendeva l’acquedotto praticamente pronto alla gestione dei privati. Il braccio di ferro tra pubblico e privato ha come conseguenza una gestione pessima dell’azienda, e gli scontri di potere si evidenziano con le continue dimissioni dei componenti del consiglio di amministrazione, decaduto almeno due volte, compreso il presidente. L’ABC quindi, così, risulta “in ritardo” per acquisire la gestione del ciclo idrico delle acque favorendo di fatto il piano privatistico regionale. Il Comune passa quindi alle maniere forti. Viene silurato il nuovo presidente e con lui consiglio di amministrazione e la ABC viene commissariata. Lo scontro prende corpo con la formazione di due cordate all’interno stesso dell’acquedotto a cui fanno capo la commissaria da una parte ed il direttore dall’altra, che però si dimette pochi mesi dopo. Ma anche con il nuovo direttore la musica non cambia e i contrasti non finiscono, ritardando ancora il nuovo piano industriale.

  Attraverso il commissariamento, il Comune mira a due suoi obbiettivi: quello di mantenere il vecchio ruolo di Net Service, distaccandola da ABC e quello di assorbire nell’acquedotto i depuratori fognari di San Giovanni, compreso di personale; assorbimento vitale, a detta  della commissaria, per il conseguimento della gestione del ciclo integrato partenopeo delle acque. 

Tra le maestranze di ABC sono sorti già da tempo dubbi, malcontento e preoccupazione per lo stato di stallo dell’azienda dovuto a meri giochi politici e di potere. Infatti, si dubita che l’assorbimento dei lavoratori di San Giovanni, circa novantanove unità, nel frattempo a digiuno di stipendio da tre mesi, regga alla tenuta di ABC senza una cospicua copertura economica del Comune. Per i lavoratori di Net, invece, non sarebbe più prevista l’assunzione all’acquedotto come era nei programmi.

 

SCATTA UNA PRIMA REAZIONE DEI LAVORATORI DELLA NET SERVICE

 

Nel mese di febbraio di quest’anno i lavoratori della consociata, accortisi del raggiro, si riuniscono ai cancelli della sede operativa di Poggioreale con tanto di manifesto di denuncia per la loro estromissione. I furgoni sono bloccati in cortile e la manutenzione salta per tutta la giornata. I lavoratori ABC solidarizzano con quelli della NET. Ma la RSU e il sindacato non prendono posizione, essendo l’iniziativa fuori dai canoni legalitari, mettendo in imbarazzo i lavoratori sul da farsi. La spaccatura tra i lavoratori è di fatto formale.

Ma nel secondo giorno di occupazione un gruppo di avanguardie ABC, per evitare un’acutizzazione della spaccatura tra le maestranze, si sente in dovere di stilare autonomamente un manifesto di solidarietà condiviso dalla maggioranza dei lavoratori in cui si riconosce la legittimità dell’azione NET e dove si rivendica la loro assunzione in ABC, ma insieme a quelli del consorzio di San Giovanni. Questa piccola, ma significativa iniziativa, fa perdere punti e consensi alla RSU che protesta ufficiosamente per la stesura arbitraria del manifesto considerandolo frutto di strumentalizzazione. Ma da parte di chi? I lavoratori di Net lavoravano da qualche anno spalla a spalla con le squadre ABC ed è stato solo per questo che non si era arrivati allo scontro fisico. Mentre per i lavoratori del consorzio era vitale la loro assunzione, peraltro già sancita da un accordo comunale. Fare finta di nulla e magari continuare a lavorare sarebbe stato uno schiaffo alla dignità dei lavoratori tutti, ma soprattutto si sarebbe lasciato spazio all’azione opportunista dei confederali.

L’azione dei galoppini sindacali si fa sentire comunque, soprattutto quando si iniziano a formare i picchetti per coinvolgere il resto degli impiegati, e con una serie di manovre consensuali riescono a spaccare il fronte di lotta all’interno della stessa Net. Prevale quindi il cosiddetto “buon senso” e si arriva ad un tavolo dove si sono incontrati il Comune, ABC e ovviamente i rappresentanti sindacali della Net. Dalla riunione viene fuori un accomodamento per far sfumare la rabbia dei lavoratori. Vengono promessi uno stanziamento in favore della consociata di circa undici milioni di euro in commesse e l’impegno di assunzione per tutti i lavoratori per l’anno successivo. Intanto viene dato il via libera all’assorbimento formale del consorzio di San Giovanni.

Sedata la rabbia dei lavoratori della Net, le squadre ABC riprendono il loro operato senza smettere di fare pressione sulla propria RSU per lo sblocco dei problemi che comunque restavano e si sommavano giorno per giorno.

I lavoratori ABC chiedono insistentemente assemblee e chiarimenti fino a procedure di protesta legali come quella di raffreddamento più volte sancita e poi revocata per arrivare ad uno sciopero formale. Essi criticano aspramente lo stallo aziendale e l’agnosticismo dei propri rappresentanti sindacali. Ma è tutto vano. Si succedono incontri più che altro tattici e solo informativi; non si conclude nulla. Intanto i furgoni aziendali hanno bisogno di manutenzione per essere a norma, mancano spaventosamente materiali semplici come una chiave d’ arresto per la manutenzione ordinaria, nessuna gara per il supporto edile per la manutenzione, niente riscontro sull’andamento degli incassi del commerciale, anarchia quasi totale negli uffici. Insomma, un’azienda in ginocchio e un piano industriale che tarda a partire.

Azienda e sindacato temporeggiano; il tempo passa senza nulla di fatto. I lavoratori sono spaventati per il continuo rinvio delle decisioni oramai vitali per la sopravvivenza dell’azienda. Ma la paura si trasforma in rabbia. Sulla scia della protesta precedente dei lavoratori Net, che in qualche modo aveva portato ad una momentanea soluzione almeno sulla carta, anche quelli di ABC decidono di reagire.

A circa un mese dalla protesta dei lavoratori Net, i lavoratori delle squadre ABC della zona operativa di Poggioreale all’inizio di marzo incrociano le braccia e bloccano i cancelli senza preavviso e sfidando qualsiasi procedura di legge sulla regolamentazione dello sciopero.  Il silenzio dei sindacati mira all’isolamento delle squadre operative che però non demordono. 

Ma l’azione dei lavoratori di Poggioreale fa eco tra i colleghi e in poche ore la notizia arriva a tutto il personale. Il resto delle maestranze e la Net ovviamente vengono tenuti da parte. Si stabiliscono turni di presidio anche notturni. La RSU è coinvolta suo malgrado, ma senza intraprendere alcuna azione che possa sostenere e legittimare l’azione degli operai delle squadre. Il destino ha voluto che di lì a una settimana lo sciopero dei lavoratori dell’ABC sarebbe coinciso lo sciopero nazionale indetto dai confederali a seguito della rottura delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale acqua, luce e gas considerato da CGIL, CISL e UIL “inaccettabile”.  L’imbarazzo è totale. Il rituale di sciopero della triplice tricolore ha poca importanza per i lavoratori dell’acquedotto perché ormai sanno che ogni rinnovo di contratto stipulato dalla triplice tricolore comporta un progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro e che l’azione dei confederali è sterile, nei confronti dei lavoratori, ma complice con le aziende. Quindi concentrano la loro azione sul proprio posto di lavoro.

I rappresentanti sindacali sono costretti ad intervenire con una delegazione a Poggioreale per una mediazione. Ma gli animi sono troppo accesi e gli operai non demordono restando compatti anche a costo di incorrere in denunce.

I lavoratori spingono la RSU ad una pressione più energica verso l’azienda al fine di formalizzare lo sblocco delle attività vitali oramai quasi del tutto arenate. Va notato che rivendicazioni riguardanti salario o spettanze varie, che pure urgerebbero visto il blocco ormai più che quinquennale delle promozioni e dei premi, vengono al momento tralasciate a favore di richieste atte alla piena ripresa della funzionalità aziendale dalla quale, evidentemente, i lavoratori si aspettano la sicurezza del posto di lavoro. Anche se in passato ABC lamentava solo ufficiosamente crisi di liquidità, non ha mai mancato però il pagamento delle mensilità.

Accorta a non dichiarare nemmeno un’ora di assemblea, la RSU, coadiuvata dai confederali, fa arrivare dalla sede centrale una delegazione di lavoratori quale contentino alla richiesta di coinvolgimento di tutte le maestranze, lasciando tatticamente isolate le squadre di Poggioreale nella loro azione.

D’altro canto i galoppini sindacali cercano di sminuire l’azione della zona operativa tentando di convogliarla su di un piano più “legalitario” e magari sterilizzarla con i soliti raggiri, come per esempio intimando un’eventuale denuncia dell’azienda per interruzione di pubblico servizio ecc. Insomma, la RSU cerca di riprendere in mano la situazione. Ma i lavoratori non ci stanno. Anche gli impiegati, sebbene non tutti, vengono coinvolti presidiando in qualche modo in cortile.

Almeno quattro perdite di condotte in pieno centro cittadino arrecano disagi alla popolazione lasciandola senz’acqua per la chiusura precauzionale delle saracinesche.  Così, nella zona centralissima di S. Giovanni a Carbonara i cittadini organizzano blocchi stradali con gravi disagi per la circolazione stradale.

Le istituzioni locali sono allertate. La polizia promette ai manifestanti il ripristino dell’erogazione dell’acqua al più presto. Ma i lavoratori di ABC di Poggioreale sono decisi ad andare fino ed in fondo. Nessuna riparazione viene eseguita. Via S. Giovanni a Carbonara insorge e viene rioccupata.

Nel frattempo interviene la stampa con articoli diffamatori sia nei confronti di ABC che degli stessi lavoratori. “L’ABC non è stata in grado di ottemperare alle sue funzioni di manutenzione”, “ I lavoratori protestano per la perdita dello straordinario”, si legge su alcuni giornali. Mistificazioni e diffamazioni    circoscritte alla sola stampa locale.

Viene quindi la volta della DIGOS.  La polizia politica è chiamata alla sua funzione di intimidazione minacciando di prendere i nomi dei componenti delle squadre giornaliere e di far scattare le denunce.  Aspettano quindi le decisioni prossime dei lavoratori per il da farsi.

Si arriva allora ad un ennesimo incontro tra RSU e lavoratori. I rappresentanti sindacali ricevono in qualche modo un mandato dai lavoratori piuttosto intransigente, ma dall’incontro con l’azienda viene fuori un verbale d’accordo molto mediato.  Questo verbale viene presentato in un’ennesima assemblea spontanea nel sito di Poggioreale. A questo punto i lavoratori si spaccano tra gli intransigenti e i moderati. La RSU invita i lavoratori a riprendere le attività considerando buono l’accordo fatto.  I più decisi spingono verso un nuovo verbale e la lotta ad oltranza. Si sfiora lo scontro fisico.

All’assemblea è presente provocatoriamente la polizia che attende le decisioni dei manifestanti, pronta a prendere misure più “persuasive”. Si decide se mettere il verbale ai voti. Ma l’assemblea si sposta su toni più moderati e si evita anche la votazione. Passa così l’accordo programmatico siglato con l’ABC.

Le squadre riprendono il lavoro, ma scortate dalla polizia contro un’eventuale reazione estrema dei cittadini essendo ancora in presidio via Carbonara.

Al momento in cui scriviamo la situazione tende a sbloccarsi, ma molto lentamente tra incertezze e malcontento che attanagliano ancora i lavoratori ABC. Un comunicato unitario dei sindacati tricolore esprime forte preoccupazione per la tenuta di ABC criticando lo stato di stallo comunque imperante in azienda. Si chiedono certezze per il futuro, ma, nel contempo, i confederali comunicano che “vigileranno sul destino dell’acquedotto” affinché non diventi un ennesimo “fallimento della città di Napoli”.  Essi sarebbero pronti a far sentire la voce “dell’acquedotto di Napoli”. Di lotta non se ne parla!

 

SOLO LOTTANDO CON MEZZI E METODI DI CLASSE SI COSTRUISCE LA SOLIDARIETÀ DI CLASSE SENZA LA QUALE NESSUNA CONQUISTA È DURATURA

 

Quello che vogliamo far notare in tutta questa vicenda è la qualità della lotta spontanea dei lavoratori, sia di Net che di ABC, lotta che, obiettivamente, costituisce un esempio per i lavoratori di qualsiasi altro settore.

Nonostante l’ostruzionismo e l’azione di contrasto di CGIL, CISL e UIL, e nonostante tutti i paletti che la borghesia ha posto legalmente con l’autoregolamentazione dello sciopero, questo squarcio di lotta dimostra che i proletari sono in grado di usare le proprie armi storiche senza paura, con decisione ed in modo per così dire “istintuale”.

Non hanno dichiarato sciopero perché spetta alle sigle sindacali, ma di fatto lo hanno eseguito. Non hanno aspettato i famosi quindici giorni prima, ma lo hanno fatto senza preavviso. Non hanno assicurato i sevizi minimi essenziali perché, anche se solo in alcune zone, molti cittadini sono rimasti senz’acqua.  E’ stato realizzato uno sciopero con mezzi e metodi classisti, non dichiarato formalmente, affrontando le intimidazioni e rischiando la repressione delle forze dell’ordine. E’ mancata certo l’unità di azione, in verità ancora molto embrionale, ma un obiettivo del genere i lavoratori lo ottengono nel tempo, lottando e facendo esperienza diretta.

Lo sciopero formale è stato invece quello del 17 marzo, dichiarato dai confederali in ambito nazionale per il rinnovo del contratto di lavoro: i lavoratori di ABC danno una risposta molto forte aderendovi in modo massiccio come non mai prima nella storia di questa azienda. Circa il 75 %. Ma bisogna saper leggerla questa adesione. In realtà, il massiccio coinvolgimento dei lavoratori risponde alla voglia di reagire e lottare in qualche modo proseguendo la loro azione spontanea intrapresa la settimana precedente e non certo per dare consenso a CGIL, CISL e UIL.

Molti di questi lavoratori hanno strappato la tessera sindacale decidendo di muoversi autonomamente.

Sarà necessario, ad un certo punto, il passaggio ad un’organizzazione formale autonoma che, però, non è ancora all’ordine del giorno in nessun posto. Lo sarà un domani non molto lontano perché sono, come sempre, le contraddizioni materiali a spingere e costringere i lavoratori a cambiare rotta e riprendere, come lo hanno fatto in modo molecolare e parzialmente nella vicenda che abbiamo illustrato, le loro armi più congeniali della lotta di classe.

Per noi questo esempio di lotta riveste un significato molto importante perché  riconferma in modo inoppugnabile la necessità del contatto diretto con la classe operaia  affinché, alla luce della maturazione della sua lotta, il partito di classe possa compiere la sua funzione di orientamento e guida politica non solo per ridare alla lotta sindacale una prospettiva di classe – in cui si difendono esclusivamente gli interessi di classe dei lavoratori salariati tendendo all’unificazione delle lotte – ma anche per elevarla sul piano politico più generale.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice