La Turchia alza la voce e mostra i muscoli

(«il comunista»; N° 152; Gennaio - Marzo 2018)

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Dalle notizie che riportano i media da mesi si è capito che la Turchia non intende più fare l'assistente, in ombra, delle maggiori potenze del mondo, si chiamino Russia, Stati Uniti o Germania. Già con le vicende legate ai forti flussi migratori, che transitavano dalla Turchia per raggiungere i paesi dell'Europa centrale, la Germania innanzitutto, e i paesi del Nord Europa, la Turchia era apparsa immediatamente come l'unico Stato che avrebbe potuto fermare almeno il grosso dei flussi; cosa che avvenne dietro il compenso di 6 miliardi di euro da parte della UE con l'accordo firmato nel 2016; al confine con la Siria e l'Iraq furono istituiti dei veri campi di concentramento per i migranti, ben sorvegliati dalla polizia e dall'esercito turco in modo che nessuno potesse scappare, che rappresentarono in realtà un grosso bacino di forza lavoro (si parlava di oltre 2 milioni di persone tra adulti e ragazzi) a bassissimo costo. Dunque la Turchia ha incassato 6 miliardi di euro e si è procurata la possibilità di sfruttare a suo piacimento centinaia di migliaia di braccia a costo irrisorio, con buona pace di Germania e compagnia cantante.

In realtà, quella massa di migranti è stata utilizzata da Ankara anche come minaccia: se non mi considerate come un potenza regionale con mie ambizioni imperialiste... apro le frontiere e lascio sciamare verso l'Europa milioni di migranti...

Intanto si scatenava e si sviluppava la guerra in Siria. La Turchia fa parte della Nato e ha delle basi Nato da cui partono aerei americani; ma i suoi interessi e le sue ambizioni le dettano una politica per nulla lineare: ora è contro, ora è pro la Russia; ora è pro e ora è contro la UE e gli Stati Uniti. Dopo l'abbattimento dell'aereo russo sembrava che i rapporti con la Russia precipitassero verticalmente; in realtà la tensione tra i due paesi è stata controllata: la Russia non aveva alcun interesse di alzare la tensione contro una potenza che fa da cerniera tra l'Europa, la Russia e il Medio Oriente, e che poteva costituire un interessante partner commerciale, aldilà delle sanzioni che l'Occidente ha decretato contro di essa.

Inoltre, le ambizioni da imperialismo regionale da parte di Ankara potevano essere alimentate anche dalla Russia - proprio in occasione della guerra siriana - per aprire una crisi all'interno della Nato che, negli ultimi anni sta collocando tutto intorno ai confini europei con la Russia, una serie di postazioni missilistiche che non possono certo far piacere a Mosca. In realtà, dato che la guerra in Siria, nonostante la voce grossa di Washington contro Bashar al-Assad e l'appoggio occidentale alle milizie antigovernative, non solo non è finita con la caduta di al-Assad, ma si è sviluppata a favore di Damasco rafforzando la presenza e il peso della Russia, la situazione ha conosciuto un'evoluzione del tutto diversa da quella che gli americani e gli anglo-francesi si aspettavano: l'appoggio della Russia è stato affiancato dall'appoggio dell'Iran e al-Assad ha rafforzato il suo potere.

La Turchia che ruolo ha giocato? Prima, quello di lasciar passare armi e rifornimenti per le milizie dell'Isis, poi, una volta che l'Isis ha perso la sua guerra in Siria e in Iraq (anche se non definitivamente) grazie anche ai combattenti curdi (storici nemici della Turchia), in virtù dei buoni rapporti con la Russia e delle difficoltà obiettive da parte degli americani nel controllo della situazione direttamente sul campo (non hanno truppe sul terreno), la Turchia ha iniziato ad alzare la posta in gioco, non temendo di scontrarsi con la UE ma nemmeno con gli Stati Uniti.

Una delle ultime vicende che vedono Erdogan "all'attacco" riguarda il Mediterraneo orientale, e in particolare Cipro. Cipro, abitata da sempre da ciprioti di origine greca e turca, dal 1979, è divisa in due parti: la più grande,cioè la Repubblica di  Cipro indipendente, con capitale Nicosia, riconosciuta a livello internazionale, e la parte turca, il Nord dell'isola, occupato dall'esercito turco nel 1974 e diventata nel 1979 Repubblica turco-cipriota. Tutti i tentativi fatti in seguito dall'Onu per pacificare le due parti e per portare Grecia e Turchia alla conciliazione, sono finora falliti.

Resta il fatto che la Cipro di Nicosia ha una zona economica marina esclusiva, riconosciuta internazionalmente (ma non dalla Turchia), nella quale da anni si fanno delle esplorazioni sottomarine perché nei fondali sono stati trovati ingenti giacimenti di gas naturale, di ottima qualità perché contiene pochi o nessun idrocarburo liquido. In queste trivellazioni, per estrarre sia gas che petrolio, è interessata l'italiana Eni, che, all'inizio di febbraio, si è vista bloccare una nave, la Saipem 12000, dalla marina militare turca.

Il governo italiano ovviamente ha protestato, minacciando una crisi diplomatica, ma Erdogan, nel suo incontro a Roma con il presidente della repubblica e il presidente del consiglio italiani ha esplicitamente detto: sul gas a Cipro dovete fare i conti con noi! E non c'è dubbio che l'Italia se la dovrà vedere con una Turchia molto decisa a difendere i suoi interessi nazionali, in acque e territori si "sua" competenza o meno, come nel caso delle acque economiche esclusive di Nicosia o della fascia a Nord della Siria dove stazionavano i combattenti curdi dopo aver sconfitto le milizie del Califfato.

E meno male che Italia e Turchia fanno entrambe parte della Nato...

Si dimostra così per l'ennesima volta che in tempi di contrasti interimperialistici e di crisi di sovraproduzione, quando le risorse energetiche possono costituire un'arma formidabile di pressione sui concorrenti, le "alleanze" non sono più una priorità assoluta.

Le Alleanze di costituiscono e si rompono, certo non nel giro di qualche settimana, ma quando gli interessi economici e di potere nazionali non sono più ritenuti adeguatamente protetti all'interno dell'alleanza, nascono le fratture e non si può dare più per scontata la fiducia di tutti gli alleati. Le guerre hanno dimostrato sempre che le alleanze variano, a seconda degli interessi profondi di questo o quell'imperialismo; e l'Italia ne sa qualcosa, visto che per ben due volte ha cambiato fronte mentre la guerra era in corso...

Nel frattempo la Turchia cerca di attrezzarsi  militarmente con nuovi dispositivi. E' recentissima la notizia che Ankara (1) ha in progetto di costruire nuovi mezzi per gli attacchi di terra; ad esempio un nuovo carro armato, denominato Altay, ma che i giornalisti hanno chiamato Panzer turco, perché il progetto prevede di realizzarlo con tecnologia tedesca; ed un carro armato che andrebbe a sostituire i vecchi carri armati americani.

Sarà un carro armato privo di equipaggio, come i droni, con l'obiettivo di ridurre al minimo i rischi di morte per i propri soldati in operazioni di combattimento. Sembra che per 55 progetti, compreso questo, Ankara abbia già stanziato 9,4 miliardi di dollari. Il primo impegno potrebbe essere quello di costruire inizialmente 250 Panzer turchi, per poi arrivare a 1.000. La guerra chiama le armi, le armi chiamano la guerra che si dimostra, per l'ennesima volta, la continuazione della politica con mezzi militari.

 


 

(1) Cfr. www.repubblica.it / esteri / 2018 /02/26/news/turchia _erdogan _panzer _germania-

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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