Spagna: Nuovo governo del PSOE

(«il comunista»; N° 154; Luglio 2018)

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Dopo la crisi di governo, batte la vera crisi politica e sociale che la borghesia non riesce a placare. Il circo parlamentare ed elettorale assicura al proletariato solo miseria e oppressione.

 

Sono bastati pochi giorni perché il governo del PP, con Rajoy alla testa, sia passato dall’essere il garante della stabilità istituzionale in Spagna, il governo della “ripresa” economica e il campione nella difesa dell’unità nazionale, ad una semplice disfatta grazie alla quale i propri alleati, nazionali e internazionali, se ne sono liberati senza ulteriori indugi. Dal momento della sentenza sul caso Gürtel l’intera stampa borghese del paese, insieme a tutti i partiti parlamentari tranne il PP, attendeva la caduta del presidente del Governo o la sua sostituzione, rapida e indolore, da parte di alcuni dei suoi luogotenenti non direttamente coinvolti nell’intreccio della corruzione. Fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno della mozione di censura è stato ipotizzato che il presidente Rajoy si dimettesse dando così la possibilità al re di nominare un nuovo governo senza ricorrere al Parlamento; così non è andata e il Parlamento è stato costretto a nominare direttamente un presidente del governo che poteva essere sostenuto solo da una maggioranza precaria costituita dai baschi, dai partiti catalani, da Podemos e dallo stesso PSOE (che però è critico verso Pedro Sánchez). Il governo Rajoy è caduto e il PSOE non ha avuto altra scelta che prendere in mano le briglie del potere. L’editoriale del quotidiano El País, vale a dire la sezione delle linee guida quotidiane pubblicate secondo la supervisione del Banco Santander e di altre grandi società industriali e finanziarie spagnole, è passato, in un solo giorno, dal “Rajoy deve andarsene” al “Pedro non deve impiegare troppo tempo per andarsene”, ossia quel tempo che serviva per verificare che solo con l’intervento, alla fine, del PSOE con la sua mozione di censura, si potesse completare l’operazione di sfratto.

Ma sotto i nomi, le sigle e gli eventi grotteschi, batte una vera e propria crisi politica e sociale che, da otto anni, ostacola la governabilità del paese, impedisce il funzionamento “normale” delle istituzioni provocando uno scossone dopo l’altro. La crisi economica 2007-2014 che ha devastato il paese è responsabile di questa ingovernabilità e, oggi, la ripresa precaria – lodata da tutti i gruppi politici, dalla stampa e dalle stesse istituzioni statali come ricompensa per i sacrifici che la classe operaia è stata costretta a fare – eredita sia la debolezza delle basi economiche, sia un ambiente politico difficilmente stabilizzabile.

La borghesia lotta sempre. Lo ha fatto, storicamente, contro le classi feudali, aristocratiche ed ecclesiastiche che bloccavano, quando le basi del capitalismo erano sufficientemente sviluppate, il suo accesso al potere. Poi, durante le crisi economiche, crisi causate dall’esaurimento delle relazioni sociali feudali limitanti lo sviluppo del modo di produzione mercantile/capitalistico, che servirono come stimolo per radunare sotto la sua bandiera la classe proletaria che, insieme con i contadini, funzionò come ariete nei successivi assalti al potere aristocratico. Da questa prima fase, tutte le borghesie passarono immediatamente ad una lotta di nuovo tipo: quella che, da allora, mette, da un lato, una borghesia contro le altre borghesie in una lotta di concorrenza (per i mercati, le risorse, i profitti e, in ultima analisi, per il dominio nel proprio ambito nazionale e il predominio in ambito internazionale) e, dall’altro lato, contro la classe operaia che il capitalismo, in ognuna delle sue fasi, dalla mercantile a quella imperialista, ha gettato nella miseria e nello sfruttamento sempre crescenti. La borghesia ha sempre promesso la pace, si è sempre fatta garante della stabilità scrivendo nella sua bandiera slogan di pace ... Ma mai, mai è stata in grado di fornire qualcosa di diverso da scontri, guerra, distruzione e morte. Le guerre, commerciali o apertamente dichiarate, indirizzate a schiacciare i suoi concorrenti e rivali, per strappar loro il bottino e sottometterli, sono state la costante nella vita sul pianeta da quando la borghesia è diventata la classe dominante della società. Distruzione di risorse e di ricchezza e, soprattutto, di manodopera eccedente ogni volta che le crisi economiche, infinitamente più intense di quelle del precedente regime feudale, la rendono necessaria. Il conflitto sociale continuo in una società in cui le contraddizioni sociali e i contrasti di classe, lungi dallo scomparire, si accentuano sempre più.

E’ su questo magma in continua ebollizione, su questa guerra sporca latente o aperta, che poggiano i fenomeni sociali visibili in superficie, inclusi i più secondari, che non si spiegano mai secondo una lotta di idee o di individui perché rispondono, in realtà, a forze molto più grandi come sono i potenti movimenti delle classi sociali in lotta. Se la Spagna è diventata un paese difficilmente governabile con i metodi democratici abituali dal 1975, se la stessa unità del paese è tornata ad essere messa in discussione interrompendo il patto istituzionale del 1978 o se il regime parlamentare fino a ieri bipartisan è scoppiato, le cause stanno nella vera crisi sociale che attraversa le sue arterie.

Dal 2007, la crisi economica ha messo in discussione l’equilibrio costituzionale del paese. La drastica caduta del profitto capitalista, che portò avanti il   “miracolo spagnolo”, spinse alla lotta tutte le fazioni della borghesia spagnola, che mobilitarono tutta la loro forza per garantirsi una quota di mercato contro i rivali. Per coloro che non ricordano, basti dire che l’inizio della “questione catalana” non sta nel “nazionalismo” storico, ma nel rifiuto da parte dello Stato centrale di concedere alla Catalogna un sistema fiscale simile a quello aplicato nei Paesi baschi. L’emergere di correnti politiche come la CUP, il referendum o l’intervento del governo centrale con l’articolo 155 della costituzione sono episodi di una battaglia condotta unicamente intorno a chi mette le mani sui profitti ricavati dallo sfruttamento della classe proletaria.

In un primo momento il Partito Popolare è stata la risposta che l’insieme della borghesia ha imposto di fronte ad una situazione di crisi e di emergenza: la necessità di obbedire ai diktat delle principali potenze imperialiste, che in Spagna hanno indirizzato gran parte dei loro investimenti internazionali, ha obbligato la borghesia spagnola a formare un “governo forte” che, oltretutto, desse anche una risposta energica agli sporadici scoppi di lotta della classe proletaria di fronte alle misure antioperaie che venivano applicate. Ma questa “risposta” borghese è stata efficace per soli quattro anni: l’aumento della tensione sociale, le forti tendenze centrifughe sponsorizzate dalla grande e dalla piccola borghesia catalana, la necessità di includere nelle istituzioni le nuove correnti politiche che rappresentavano gli interessi della piccola borghesia urbana, utili oltretutto per rafforzare il controllo esercitato sulla classe operaia... tutto ciò ha portato ad una frammentazione politica che, nelle elezioni del 2016, ha impedito la formazione di un governo stabile in un parlamento dal peso insignificante, tanto che il governo in essere ha governato da allora senza appoggiarsi al parlamento. Il precario equilibrio del governo è emerso dopo le seconde elezioni del 2016, guidato dal PP con l’appoggio di Ciudadanos, ed ha dovuto agire nell’interesse della borghesia finanziaria e di quella legata alle esportazione di capitali, imponendo la più forte tendenza accentratrice possibile contro le diverse le resistenze “periferiche” opposte dalle varie borghesie locali, sia sul terreno della lotta per l’autonomia come su quello municipale delle grandi metropoli spagnole. Ma, da diversi mesi, era chiaro che il Partito Popolare, seguendo questa linea, avrebbe fallito a causa, tra le altre cose, della sua incapacità di mobilitare le forze necessarie per poterla applicare con successo, visto il discredito giudiziario. La cosiddetta “operazione Ciudadanos”, movimento sponsorizzato allo scopo di portare al governo il “patriota” Albert Rivera e il suo improvvisato gruppo di parlamentari, sembrava poter avere un abbagliante successo data la complicità che annoverava tra la magistratura, la stampa, ecc. Ma, ovviamente, le stesse forze in gioco che questa operazione cercava di mettere fuori gioco, hanno risposto con un fronte unito che è riuscito a vincere la partita e, per il momento, ad imporre un governo “socialista” sostenuto da una maggioranza parlamentare nominale, ma senza alcuna vera forza. Questa non è, in alcun modo, una vittoria “progressista” o “contro la grande borghesia” come vaticinava Pedro Sánchez due anni fa, ma è un risultato simmetrico a quello che si ricercava con l’appoggio di Ciudadanos: tutti hanno cedut e il PSOE ora è al governo, comntando sull’esperienza pluridecennale al comando dello Stato grazie alla quale può fare quel che gli “appoggi” esterni in genere non consentono.

I proletari non possono aspettarsi nulla di buono da questo cambio di governo. Se il governo del PP aveva indurito le leggi repressive contro di loro, il PSOE sicuramente le manterrà. Se il governo del PP ha avviato le riforme del lavoro e delle pensioni che hanno rivestito di legalità il brutale impoverimento dei lavoratori visto negli ultimi anni, il PSOE non alzerà un dito per revocarle. Inoltre, sicuramente il PSOE guiderà, o preparerà, i mezzi affinché altri portino a compimento le nuove misure anti-proletarie che la debole “ripresa” economica esige. La stabilità promessa dal PSOE è la stabilità richiesta dai capitalisti affinché le loro imprese ottengano il massimo profitto possibile. Se il governo si consolida, lo farà sulle spalle dei proletari e nella misura in cui può garantire alla borghesia il quadro politico di cui ha bisogno per imporre le sue richieste. Se non riuscirà a farlo, questo interregno servirà solo a preparare il campo a qualunque altra forza politica sia in grado di fornire tali garanzie.

La farsa democratica rimette in moto tutti i suoi meccanismi. Se due anni di Podemos in Parlamento e cinque di candidature di Unidad Popular nei consigli comunali e nelle Comunità autonome volevano dimostrare alla classe proletaria l’inutilità di qualsiasi iniziativa della “cattiva” politica parlamentare, ora torna a patrocinare di nuovo la grande speranza bianca della rigenerazione democratica, un governo socialista che ripulirà le istituzioni e ristabilirà la democrazia come garante della pace sociale. Ma il fatto che la borghesia debba ricorrere ogni volta e con maggiore frequenza a questo tipo di manovra, il fatto che tutti i partiti che dicono di rappresentare i proletari devono sempre più spesso piegarsi a giochi che già in anticipo appaiono inutili, indica che, lentamente, il margine di manovra su cui conta l’inganno democratico ed elettorale tende ad esaurirsi.

Mentre in Spagna la crisi di governo ha occupato tutte le notizie, l’Unione Europea avvertiva che avrebbe risposto ai dazi, imposti dagli Stati Uniti, con i loro, continuando una guerra commerciale che impegna le principali potenze imperialiste, compresa la Cina. Si stanno avvicinando tempi più difficili, in cui la classe proletaria sarà chiamata dalla borghesia di casa propria a sostenere la difesa degli interessi nazionali, gli interessi dell’economia della patria e dello Stato. A questo scopo serve il gioco democratico: lusinga i proletari, li separa dal terreno della lotta di classe in difesa dei loro soli interessi per deviarli e portarli nell’ovile della collaborazione interclassista. La crisi sociale che si manifesta nella crisi parlamentare richiederà presto nuovi sacrifici alla classe operaia e i governi “progressisti” e i loro amici saranno, con ogni probabilità, quelli che li dovranno imporre.

Di fronte a questa prospettiva, i proletari hanno una sola strada: abbandonare qualsiasi speranza che le vie democratiche e la collaborazione tra le classi possano dare una soluzione a una situazione che peggiora sempre più, e ritornare sul terreno della lotta di classe, a cominciare dal più immediato come la difesa delle condizioni di sopravvivenza, sui posti di lavoro e nei quartieri in cui vivono. In questa lotta, la classe proletaria non avrà alleati esterni. Non verranno a soccorrerla i “comuni del cambiamento” né i governi progressisti: solo la loro lotta decisa, che parta dal terreno più concreto e immediato, ma che deve essere in grado di elevarsi al livello della lotta politica, della lotta generale contro l’insieme della borghesia, può inserirsi in una prospettiva di vittoria della lotta di classe e ricvoluzionaria.

 

Contro il circo elettorale e qualsiasi governo borghese, sia esso conservatore o progressista!

Per la ripresa della lotta di classe!

Per la ricostituzione del partito comunista internazionale!

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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