Su Stefano Cucchi, pestato a morte dopo l’arresto... continua il depistaggio da parte dei carabinieri

(«il comunista»; N° 157; Gennaio 2019)

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Sulla vicenda Cucchi, morto il 22 ottobre 2009, una settimana dopo l’arresto, è stato scritto molto in questi anni, soprattutto grazie alla tenace lotta portata avanti dalla sorella Ilaria, perché la verità sulla sua morte venisse a galla.

Leggiamo su  “la Repubblica” del 21 gennaio 2019: «”Bisogna avere spirito di corpo, se c’è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare”. Questo avrebbe detto, secondo quanto riferito da un carabiniere intercettato al telefono mentre parla con un collega, il comandante del Gruppo Napoli, Vincenzo Pascale. La conversazione telefonica tra i due carabinieri è stata intercettata il 6 novembre scorso, a processo in corso, (...). E’ la prova che, come già successo in passato, si continua a cercare di depistare le indagini. Di annacquare le responsabilità dei carabinieri coinvolti».

Succede, quindi, in particolare quando muore un arrestato e i parenti delle vittime rendono pubblica la vicenda , che le “forze dell’ordine” vengano richiamate dai loro capi allo “spirito di corpo”. Lo si è visto in tanti casi, prima e dopo il G8 di Genova 2001, da non sorprenderci che, anche quando alcuni elementi  delle forze dell’ordine non se la sentono più di continuare a dire il falso, continuino le pressioni perché la verità non emerga. Tutori della legge che vanno contro la legge, che agiscono da fuorilegge, rischiano, in particolare se ci scappa il morto, la condanna o il posto di lavoro, e di mettere in difficoltà le proprie linee di comando; perciò la “linea di difesa” adottata, oltre all’omertà o al “non ricordo”, è quella del depistaggio, delle false dichiarazioni. Ma anche quando il poliziotto o il carabiniere, cosciente di aver abusato del proprio potere, ma sicuro di contare sullo “spirito di corpo” e di passarla liscia, non riesce a farla franca e viene comunque processato e, talvolta, colpito da una condanna, alla “giustizia borghese” interessa che lo Stato e tutte le sue istituzioni ne escano puliti, immacolati, e soprattutto che la colpa sia addossata non all’istituzione statale in quanto tale, ma al singolo funzionario che ha usato le... “maniere forti”. Così lo Stato risulterà sempre aldisopra delle parti e potrà continuare a esibire nei suoi tribunali il clamoroso falso: la legge è uguale per tutti!

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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