L'imperialismo americano si sta preparando ad una guerra con l'Iran?

(«il comunista»; N° 159; Maggio 2019)

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Un anno fa, l'8 maggio 2018, Trump annunciava al mondo che gli USA si ritiravano dal trattato internazionale sul nucleare che l'amministrazione Obama aveva firmato insieme agli altri membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna, ai quali si erano aggiunti Germania, Unione Europea e, naturalmente, Iran.

Nel frattempo la guerra in Siria, a cui partecipavano direttamente e indirettamente tutti i protagonisti del trattato sul nucleare con l'Iran, continuava a mietere vittime; l'Arabia Saudita intensificava la sua aggressione allo Yemen, Israele continuava la lenta ma inesorabile colonizzazione della Cisgiordania e a soffocare Gaza, la Turchia cercava di approfittare della guerra in Siria per stroncare le ambizioni curde nei territori di confine, la Russia intensificava in Siria la sua presenza militare e rafforzava il suo appoggio a Bachar al-Assad, e in Iraq e in Siria si diffondevano gli attacchi e la conquista di territori da parte del cosiddetto Stato Islamico. Il Medio Oriente si dimostra per l'ennesima volta non solo una "zona delle tempeste" tra le più tormentate, ma un'area nella quale tutte le potenze imperialistiche sono presenti a difesa dei propri interessi specifici, con i capitali, gli scambi commerciali (petrolio e armi soprattutto), le relazioni politiche e diplomatiche, le forze militari e il sostegno  e l'appoggio alle diverse fazioni locali che si scannano fra di loro non solo per interessi di bottega, ma anche per conto di questa o quella potenza imperialistica.

Dalla fine della seconda guerra mondiale imperialistica non è passato giorno senza che vi siano stati scontri armati e guerre devastanti. Le vecchie potenze coloniali, Inghilterra e Francia,  si dividevano i territori del Medio Oriente dopo il crollo dell'Impero Ottomano durante la prima guerra imperialistica. Si erano spartite i vari paesi non sulla base di considerazioni storiche, etniche e geopolitiche, ma sulla base dei loro interessi specifici e per un forte controllo delle risorse petrolifere di cui i paesi mediorientali abbondano. Con il declino delle vecchie potenze coloniali in seguito alla seconda guerra imperialistica e l'emergere prepotente dell'imperialismo americano, e russo, i paesi dell'area hanno subito tutta una serie di travagli che hanno dato luogo alla formazione di Stati la cui indipendenza veniva facilmente messa in discussione sia dalla lotta tra le fazioni interne ad ogni paese, sia dalla spietata concorrenza fra gli interessi contrastanti delle varie potenze imperialistiche che, nonostante il declino delle più vecchie, continuavano ad esercitare una forte influenza. Inutile ricordare che gli Stati Uniti fecero la parte del leone, ma non scalzarono mai del tutto i legami economici e politici che Inghilterra e Francia, in particolare, continuavano ad avere con le vecchie colonie e i vecchi protettorati. Lo sviluppo del capitalismo imperialistico non poteva, in ogni caso, impedire che la forza economica rappresentata dall'abbondanza di petrolio non esprimesse poteri politici borghesi nazionali e locali (non importa se vestiti da sceicchi, da re, da clan presidenziali), tali da fronteggiare, ad un certo punto, le stesse potenze imperialistiche dominanti con una forza di contrattazione commerciale - e di ricatto - impensabile all'inizio del XX secolo. Non sono mancate le "lotte di liberazione nazionale", da parte di palestinesi, curdi e yemeniti; ma queste lotte, strette nelle tenaglie degli interessi imperialistici e di quelli delle borghesie nazionali - sempre più vendute alle potenze che assicuravano loro maggiori privilegi e maggiore protezione -, non riuscirono a far fare ai relativi popoli un deciso passo avanti verso un'indipendenza e uno sviluppo capitalistico raffrontabili con quelli degli altri paesi.

Lo sviluppo del capitalismo - che sia frenetico o lento, a seconda degli interessi che esprimono maggior forza nel dato periodo - comporta sempre lo sviluppo di contrasti tra le diverse borghesie dominanti, sul piano econolico e commerciale, come su quello politico e militare. Ma la grande concentrazione di giacimenti petroliferi proprio in quest'area e l'importanza che il petrolio riveste per ogni paese capitalista, hanno dato modo a determinati paesi - come la Persia di un tempo, oggi Iran, e l'Arabia Saudita - di costruire su quella forza economica e finanziaria poteri molto forti che esprimono ambizioni di controllo regionale in buona parte indipendente dagli interessi delle potenze imperialistiche che sono, comunque, lo sbocco di mercato della loro produzione petrolifera, sbocco senza il quale sarebbero delle potenze regionali dimezzate.

Ed è il caso proprio dell'Iran. Una volta crollato il regno dello scià Reza Pahlavi sull'onda della "rivoluzione islamica", l'Iran ha tentato di scrollarsi di dosso la tutela di Washington, e di Londra che con gli americani condivideva molti interessi nel paese. Poggiando le proprie ambizioni e la propria forza sui miliardi di barili di petrolio spediti in mezzo mondo, e sul peso che aveva all'interno dell'Opec in merito alla determinazione del prezzo "mondiale" del barile, oltre che sulla vittoriosa defenestrazione del regime dello Scià, l'Iran di Khomeyni si mise a capo delle masse diseredate islamiche - di religione sciita - per lanciare la lotta contro il "grande Satana" (cioè gli Stati Uniti e il suo maggior alleato in Medio Oriente, Israele). Il fondamentalismo religioso sciita (con a capo l'Iran) si divideva dal fondamentalismo religioso sunnita (con a capo  l'Arabia Saudita); così i due più potenti paesi islamici dell'area in forte contrasto fra di loro, si contrapponevano, e si contrappongono, su ogni fronte (politico, economico, militare, culturale) e gli USA, mentre hanno l'Iran come nemico principale nell'area, hanno invece l'Arabia Saudita, insieme ad Israele, come i maggiori alleati in zona. Difficile per l'Iran contrastare, con possibilità di successo, la notevole influenza degli USA. La guerra che l'Iraq di Saddam Hussein ha dichiarato all'Iran nel 1980 è stata una guerra sponsorizzata dagli Stati Uniti, e da Israele, che approfittarono delle mire di Bagdad sulla riva sinistra dello Shatt-al-Arab per disfarsi del regime islamico di Teheran. Questa guerra, che sembrava dovesse durare molto poco, si protrasse invece per 8 lunghi anni e terminò senza vinti né vincitori, senza conquiste territoriali, ma con 1 milione di morti e devastazioni gigantesche. E' noto che, due anni dopo, Saddam Hussein tentò un'altra conquista territoriale, in Kuwait, ma fu scornato anche lì; questa volta, dopo una guerra durata un anno e mezzo, fu sconfitto da parte di una coalizione internazionale a guida USA, vide aprirsi il periodo della decadenza del suo partito Bahat e del suo potere. Con gli attentati del 2001 alle Torri Gemelle di New York, che gli Stati Uniti vollero collegare all'Iraq, un'altra guerra a guida USA, si liberò del regime di Hussein. Da quel momento l'Iraq non ha avuto più le sembianze di un paese, con un suo popolo, dei confini e un potere in grado di sostituire Saddam Hussein e il suo partito nell'amministrazione del territorio "nazionale". Di fatto, l'Iraq ha visto la formazione di diverse fazioni e milizie armate che, in un modo o in un altro, agivano nel tentativo di accaparrarsi un pezzo del paese per i propri interessi. Così hanno tentato di fare i curdi, nell'Iraq del nord-est dove sono da sempre presenti, per attuare la loro tanto agognata indipendenza (che nessun paese, Turchia, Siria, Iraq, in cui essi abitano da secoli ha, in realtà, mai concesso). Così ha tentato di fare anche l'ammasso di milizie islamiche sotto il nome di "Stato Islamico", sopraggiunte dalla Siria, a sua volta devastata dalla guerra civile. Il risultato di tutte le guerre che hanno sconvolto il paese è stato la sua frammentazione tra un nord-est controllato dai curdi, un  sud-est controllato dal governo sciita, e il resto del paese controllato dai sunniti.

Questa situazione non è stata risolutiva nemmeno grazie alla controffensiva contro lo Stato Islamico lanciata tra il 2015 e il  2017 dalla solita coalizione a guida USA; situazione che potrebbe riprentarsi in un prossimo futuro con altri attori.

All'interno di questo quadro continuamente modificato e modificabile a seconda dei rapporti di forza tra poteri statali locali e i poteri imperialistici esterni, che continuamente tentano di muovere le pedine locali ad esclusivo vantaggio dei propri interessi immediati e futuri, l'Iran stesso ha tentato di accordarsi con il "grande Satana" approfittando delle piccole aperture che l'amministrazione Obama lasciava intravedere sul tema più delicato nei rapporti internazionali: il nucleare. Grazie al trattato sul nucleare del 2015, l'economia iraniana nei due anni successivi è cresciuta, non solo vendendo più petrolio e gas naturale, ma anche sviluppando altri settori non direttamente legati agli idrocarburi. Tuttavia la situazione sociale,  rimase particolarmente difficile per tutti gli strati proletari, tanto che aumentarono le agitazioni operaie in diverse città del paese, e tra queste gli scioperi del dicembre 2017 (1), di segno decisamente proletario, scossero non poco il regime islamico che al suo vertice, all'epoca, vedeva, come Guida Suprema, l'ayatollah Khamenei e come presidente e capo del governo, fin dal 2013, Hassan Rouhani, considerato un riformista. Ma le agitazioni operaie e studentesche erano dirette anche contro Rouhani perché le promesse di ammortizzatori sociali e di maggiore libertà di espressione non sono state mantenute. La crisi in cui l'Iran è precipatato in tanti anni di guerre e di sanzioni ha certamente indebolito le possibilità governative di tacitare in qualche modo i bisogni più urgenti del proletariato e degli strati diseredati del paese e, per quanto la serrata propaganda islamica abbia trovato terreno fertile per coinvolgere il proletariato nella collaborazione fra le classi, indirizzandolo contro le aggressioni economiche e politiche dell'America e dell'Unione Europea, resta il fatto che alle peggiorate condizioni di sopravvivenza di gran parte della popolazione iraniana, nelle città e nelle campagne, il potere borghese non ha trovato di meglio che distribuire qualche briciola ma accompagnandola con la tradizionale repressione statale.

  L'Iran è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e possiede riserve di gas naturale molto vaste, oltre a ricchi giacimenti di rame, carbone, uranio, piombo, ferro, bauxite ecc. E' un paese che, non solo per storia millenaria, ma anche per le risorse naturali e per la sua posizione geografica, ambisce a diventare una potenza regionale di prima grandezza, traguardo che non può raggiungere con le sue sole forze. Perciò, o diviene amico e alleato di una coalizione imperialista o diviene amico e alleato della coalizione imperialista concorrente. Quali sono gli imperialismi che si sono opposti e si oppongono allo strapotere degli USA? La Russia, certamente, ma oggi ancor di più la Cina. Ecco allora che si spiegano, rispetto alla guerra in Siria, gli accordi tra Iran e Russia, per appoggiare il regime di Bachar al-Assad che Washington, Londra e Parigi volevano abbattere; ed ecco soprattutto spiegati gli accordi economico-finanziari e commerciali con la Cina: Pechino è sottoposta ad una notevole pressione americana sui dazi, sia rispetto ai rapporti bilateriali tra i due paesi, sia riguardo alle sanzioni che gli USA hanno appesantito nei riguardi dei paesi che commerciano con Teheran (cosa che riguarda l'Europa oltre che la Cina). Ma l'imperialismo cinese, da qualche decennio, non può limitare la propria zona d'influenza all'Asia: è un imperialismo che punta a sovvertire gli equilibri mondiali usciti non solo dalla fine della seconda guerra mondiale, ma anche quelli che si stanno costruendo dagli anni '90 del secolo scorso, cioè dal crollo dell'URSS.

L'Iran, in questo periodo, proprio in seguito alla politica "anti-iraniana" di Trump, sta diventando nuovamente un casus belli, come afferma "Il Sole-24 Ore" (2). Colpire l'Iran per colpire la Cina? Non è escluso, tanto più di fronte alla serrata attività politica e diplomatica di Xi Jinping con le sue "Vie della Seta" che sta usando come arieti per penetrare nei mercati dell'Asia centrale, dell'Europa dell'Est e dell'Ovest, dell'Africa, spingendosi fino all'America Latina, finora considerato "regno" di Sua Maestà Washington.

Nel batti e ribatti di minacce e avvertimenti tra Washington e Teheran, dopo l'annunciata sospensione degli accordi sul nucleare da parte di Trump (JCPOA, Joint Comprehensive Plan Of Action), che avevano lo scopo di ridurre il programma di armamento nucleare da parte iraniana a fronte di un sensibile alleggerimento delle sanzioni, non è ancora ben chiaro quali decisioni finali prenderanno i rispettivi governi. Nessuno dei due, al momento, intende prendersi la responsabilità di fare una mossa che porti direttamente allo scontro militare. Non va infatti dimenticato che quell'accordo è stato "il prodotto di più di 10 anni di negoziati. L'Occidente temeva che il programma nucleare iraniano in continua espansione potesse costituire un serio rischio di proliferazione nucleare. A preoccupare ancor di più l'Europa, era la possibilità che gli Stati Uniti e Israele, o entrambi, potessero sferrare degli attacchi militari in un paese di 80 milioni di abitanti. In seguito alle invasioni dell'Afghanistan nel 2001 e dell'Iraq nel 2003, gli europei vollero evitare maggiori fattori di instabilità nel loro vicinato" (3). Per gli imperialisti europei, perciò, quell'accordo era un vantaggio sia per "normalizzare" i rapporti diplomatici e commerciali con l'Iran, sia per evitare ulteriori "fattori di instabilità" in una zona - come fosse il "cortile di casa" - che già di per sé è sommamente tormentata e instabile.

Ma i tanti attori interessati non sono inclini ad un serio compromesso come spesso fanno intendere. Israele ed Arabia Saudita, per ragioni diverse, ma comuni in questo caso, sono i veri avversari territoriali dell’Iran; perciò, si sono dati e si danno un gran daffare per intralciare e far fallire ogni compromesso che permetta all’Iran, commerciando liberamente e relazionandosi con il mondo senza tanti problemi, di rafforzare il suo peso nell’area. L'Iran, per contro, ha allacciato rapporti più stretti con Russia e Cina in funzione antiamericana, certamente, ma anche per assicurarsi un respiro economico e politico più ampio nell'area mediorientale. D'altra parte l'Iran, oltre a rappresentare una forza economica potenzialmente molto più importante di quanto non lo sia oggi - soffocata com'è dall'assedio economico e finanziario occidentale - rappresenta anche un mercato di 80 milioni di potenziali consumatori, dunque un mercato di sbocco per molti paesi capitalisti. L'Iran è un paese esportatore soprattutto di petrolio, gas naturale, prodotti chimici e plastici, ferro e acciaio e minerali metalliferi, ma per sviluppare il proprio capitalismo deve importare macchinari, prodotti metallurgici e farmaceutici, armamenti, prodotti alimentari: se non esporta petrolio e gas naturale, che sono la fonte primaria delle sue risorse finanziarie, non ha i capitali per accrescere la sua economia. Perciò non può che tentare di legarsi politicamente ed economicamente con le potenze imperialistiche avversarie degli Stati Uniti: Russia e Cina, appunto. Grazie alla Russia, dato il peso che questa ha sulla Siria del clan degli Assad, e grazie ai legami con gli sciiti siriani e gli Hezbollah libanesi, l'Iran ha più possibilità di difendere i suoi confini occidentali rompendo l'accerchiamento a ovest dato dall'Iraq, colonizzato in buona parte dagli americani, e dalla Turchia che, a sua volta, ha forti ambizioni di controllo nell'area mediorientale. Negli ultimi tempi la Cina ha cominciato a rappresentare un potenziale partner strategico, sia come paese importatore di petrolio (l'Iran è il principale fornitore della Cina), sia come investitore. Nei primi mesi del 2019 la Cina ha aumentato le importazioni di petrolio dall'Iran del 78%, passando da 431.000 a 767.000 barili al giorno. E'  interessante sottolineare che le compagnie cinesi intendono lavorare nei giacimenti di petrolio e gas iraniani e, in questa direzione, Pechino sta progettando uno sviluppo delle infrastrutture della Repubblica islamica  (4). Va detto che la Cina importa petrolio e gas dalla Russia, dai paesi del Golfo Persico - 'Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, oltre all'Iran - e dagli Stati Uniti. Come abbiamo visto, gli Stati Uniti hanno bloccato le proprie importazioni dall'Iran e cercano di imporre agli altri paesi che hanno rapporti con l'Iran di fare lo stesso, o di diminuirle in modo consistente; nello stesso tempo, dato il contrasto commerciale con la Cina, possono spingere gli altri paesi del Golfo a non esportare più petrolio e gas in Cina, dando loro in cambio alcune agevolazioni sul mercato americano. Ovvio che la Cina cerchi altri partner, ovvio che la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina coinvolga anche altri paesi che con la Cina hanno rapporti stretti. Ma le guerre commerciali, soprattutto se gli avversari sono di prima grandezza, prima o poi sboccano in guerra fredda se non guerra guerreggiata.

L'Iran, da parte sua, ha un'arma che spesso, in situazioni di crisi internazionale, minaccia di usare: il blocco dello Stretto di Hormuz, lo stretto che collega il Golfo Persico al Golfo di Oman aprendo la via marina verso l'Oceano Indiano. Per questo stretto passa un terzo del petrolio trasportato via mare ogni giorno da parte dei paesi del Golfo. Perciò Washington, pur facendo la voce grossa con Teheran e con tutte le capitali che hanno rapporti economici con l'Iran, non si può permettere, oggi, di scatenare una guerra che si amplierebbe in pochissimo tempo al mondo intero. Mostra i muscoli, certamente, e questo la sollecita a prepararsi in modo adeguato, e meglio di qualsiasi altro imperialismo, ad una terza guerra mondiale; ma non è pronto, come non sono pronti né la Cina, né la Russia, né la Germania, né il Giappone, cioè le potenze mondiali in grado di attrezzare industrialmente potenti eserciti nazionali, dotati di sistemi tecnologici all'avanguardia e capaci in pochi anni di allestire marina e aviazione militari in grado di competere con i futuri nemici. Naturalmente l'aspetto dell'armamento nucleare (tattico e strategico) è uno dei più delicati ed è certamente un aspetto primario, soprattutto a livello di deterrenza. Nel mondo, secondo i dati ufficiali pubblicati al 2018 (5), i paesi che posseggono armi atomiche sono 9, per un totale di 14.455 ordigni. Stati Uniti e Russia ne posseggono il 92% (13.300); gli altri paesi sono Francia, Cina, Regno Unito, Pakistan, India, Corea del Sud ed Israele (che non le ha mai dichiarate ufficialmente). In realtà, i paesi che avevano dei programmi nucleari militari sono molti, programmi però abbandonati nel tempo in seguito al Trattato del 1970 di "non proliferazione nucleare" e a causa degli altissimi costi per portarli a termine; ma, in caso di "necessità", sono programmi che possono sempre essere ripresi e completati...

Su molti media, in questi mesi, si sono lette le preoccupazioni di governi e di "esperti" circa il pericolo di una guerra fra gli Stati Uniti e l'Iran, una guerra che potrebbe assomigliare a quella contro l'Iraq di Saddam Hussein (giustificata con le false documentazioni sulla costruzione di armi nucleari) o a quella contro la Libia di Gheddafi (accusato di "terrorismo"); dunque, una guerra che richiederebbe la costituzione di una coalizione occidentale a capo della quale, ovviamente, si metterebbe Washington. Una simile ipotesi troverebbe una base concreta nel movimento delle forze armate statunitensi. L'allarme viene dagli esponenti del governo britannico; il Segretario di Stato per gli affari esteri, Jeremy Hunt, avverte del pericolo che un "incidente" possa scatenare un conflitto. "In prossimità delle acque del Golfo Persico - scrive "Il Sole-24 Ore" - si trovano la portaerei Lincoln con 50 aerei da combattimento, 5 navi da guerra più il gruppo d'assalto anfibio. Gli Usa hanno poi schierato batterie di missili Patriot in Qatar ed hanno inviato i grandi bombardieri B-52" (6). Sta di fatto, però, che gli alleati tradizionali degli Usa  non sono attualmente nelle condizioni di sostenere una guerra come fecero contro la Libia o contro l'Iraq, per ragioni politiche innanzitutto. Il Regno Unito è indebolito da un governo che doveva dar seguito alla Brexit e, invece, ha fallito e la sua premier May ha dovuto dimettersi; Francia, Germania e Italia sono alle prese con le elezioni europee che, secondo i sondaggi, premieranno i partiti "sovranisti" che pensano prima di tutto al proprio paese e non a impelagarsi in avventure guerresche in un'area in cui lo scontro si alzerebbe immediatamente a livelli mondiali con conseguenze imprevedibili. Per non incorrere in situazioni non volute e rischiose, per l'appunto, la Germania e l'Olanda hanno sospeso le loro attività di addestramento dell'esercito iracheno, mentre la Spagna ha ritirato la sua fregata impegnata in esercitazioni nel Golfo con il gruppo navale della portaerei Lincoln (7).

Dallo scontro tra USA e Iran, si conferma quanto dicevamo nel luglio dello scorso anno (8) e cioè che "La particolare brutalità della diplomazia americana nei confronti dei trattati e degli accordi internazionali con cui ha deciso di non rispettarli più, la sua mancanza di riguardo nei confronti degli alleati di cui non esita a calpestare gli interessi, i veri ultimatum che presenta ai suoi concorrenti, di cui si lamentano i capitalisti europei, giapponesi o cinesi, con l'espressione della brutalità della politica imperialista che di solito si manifesta nei confronti degli Stati più deboli" si spiegano "con il fatto che l'imperialismo USA intende reagire al suo relativo indebolimento rispetto ai suoi concorrenti, in primo luogo rispetto alla Cina". Le frizioni commerciali e gli scontri economici tra i grandi Stati sono destinati a raggiungere, prima o poi, un livello sempre più alto, passando dalla guerra commerciale al conflitto armato

Da anni le potenze imperialiste, direttamente o indirettamente, procedono manu militari perché il solo commercio, la sola trattativa politica e diplomatica, non bastano mai a superare le situazioni di crisi che si susseguono continuamente, alternando fasi di "tempesta" a fasi di "bonaccia".

Il proletariato assiste impotente alle guerre e alle minacce di guerra. Completamente svuotato del suo programma rivoluzionario, delle sue tradizioni di classe, nelle metropoli imperialiste come nelle altre capitali del mondo, non ha ancora la forza di ribellarsi ai poteri borghesi, imbracciare le sue armi di classe e lottare per la propria completa emancipazione dal capitalismo, sbarazzandosi di tutte le illusioni democratiche e opportuniste.

La lotta di classe, come la rivoluzione, non si inventa, si fa. Il proletariato lo ha già fatto, lo rifarà. E' certo!  

 


 

(1) Vedi www.lavocedellelotte.it/2018/01/03/la-politica-iraniana-oggi-tra-proteste-e-governo-rouhani/

(2) "Perché nel Golfo sale il rischio di una terza guerra", Il Sole-24 Ore, 16/05/2019.

(3) Cfr https://www.ecfr.eu/rome/post/iran_ perche_l accordo_ sul_ nucleare_ e_ ancora_ importante_ per_ leuropa, 23/01/2019.

(4) Cfr. https://www.controinformazione. info/la-cina-aumenta-le-importazioni-di-petrolio-dalliran-e-dal-venezuela/

(5) Cfr. www.sipri.org - I paesi che posseggono testate nucleari dette "tattiche" senza averle fabbricate sono: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi, Turchia; ma Giappone, Spagna, Arabia Saudita, Iran hanno certamente allo studio progetti, più o meno avanzati per l'armamento nucleare. 

(6) Cfr. "Perché nel Golfo sale il rischio di una terza guerra", cit.

(7) Ibidem.

(8) Cfr. il comunista n. 154, Luglio 2018

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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