Perché ci ricolleghiamo alla Terza Internazionale, fondata a Mosca nel marzo del 1919?

(«il comunista»; N° 161 ; Ottobre 2019)

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Indiscutibilmente, se non fosse stato per l’iniziativa, decisa e profondamente consapevole, del partito bolscevico di Lenin in merito alla necessità e all’urgenza di riorganizzare a livello internazionale, sul terreno della teoria marxista e del programma comunista che ne discende, le forze marxiste che non avevano ceduto al socialsciovinismo e all’opportunismo centrista alla Kautsky che fecero fallire miseramente la Seconda Internazionale di fronte alla prima guerra imperialista mondiale, la Terza Internazionale non avrebbe probabilmente mai visto la luce. Il partito bolscevico di Lenin non solo aveva guidato la rivoluzione proletaria russa sul terreno dell’internazionalismo e del socialismo, ma l’aveva portata alla vittoriosa conquista del potere politico, costituendo in questo modo il primo baluardo della rivoluzione proletaria internazionale.

La lotta contro le tendenze opportuniste socialdemocratiche e riformiste prima e, subito dopo, la lotta contro le tendenze centriste che si rivelarono attraverso le tesi di Kautsky, Hilferding, MacDonald ed altri avevano tracciato il solco profondo nel quale radicare l’organizzazione delle forze del marxismo rivoluzionario a livello europeo che, al tempo, voleva dire a livello mondiale. Questa lotta è stata parte integrante delle battaglie di classe che tutte le correnti marxiste rivoluzionarie hanno condotto in Germania, in Russia, in Polonia, in Ungheria, in Italia, in Austria, in Svizzera e in altri paesi europei e che costituirono, all’interno della Seconda Internazionale, l’ala sinistra rivoluzionaria. Fu quest’ala sinistra rivoluzionaria che si battè, in collegamento con le risoluzioni del congresso di Basilea del 1912, di Zimmerwald e poi di Kienthal, affinché, contro il cedimento di quasi tutti i partiti socialisti e socialdemocratici, che costituivano la Seconda Internazionale, rispetto alla borghesia dei propri paesi di fronte alla guerra imperialista scoppiata nel 1914, il proletariato mondiale potesse contare su direttive politiche e programmatiche rivoluzionarie, sulle quali riorganizzare una nuova Internazionale, la Terza, l’Internazionale Comunista.

La guerra, il pauroso fallimento dei partiti della Seconda Internazionale capeggiati dal partito socialdemocratico tedesco (il partito più forte e influente, con a capo Kautsky), l’oggettivo ritardo della formazione di partiti rivoluzionari nei fatti, e non solo a parole, in tutti i grandi paesi d’Europa, oltre alla particolare resistenza della corrente spartachista del partito tedesco (guidata dalla Luxemburg e da Liebknecht) rispetto alla rottura anche organizzativa col partito socialdemocratico, contribuirono a rimandare nel tempo la costituzione della Terza Internazionale i cui presupposti programmatici e politici erano chiari e definiti fin da Zimmerwald e Kienthal.

Alla Conferenza di Zimmerwald (5-8 settembre 1915), organizzata dal rappresentante del partito socialista svizzero Robert Grimm e dalla rappresentante del partito socialista italiano Angela Balabanoff, erano presenti i rappresentanti dei partiti socialisti e socialdemocratici che in un modo o nell’altro si opponevano alla guerra imperialista (dalla Svizzera alla Francia, dall’Italia alla Russia, dalla Germania all’Olanda, dalla Svezia e Norvegia al Regno Unito, dalla Bulgaria alla Romania, alla Polonia, alla Lituania), ma che non avevano le stesse posizioni. C’erano i bolscevichi Lenin e Zinoviev, i menscevichi Axelrod e Martov, i socialisti rivoluzionari come Èernov e l’“indipendente” Trotsky, i riformisti e pacifisti italiani Morgari, Balabanoff e Lazzari (famoso per il motto rispetto alla guerra “né aderire né sabotare”) e Serrati della sinistra del Psi e successivamente massimalista; e c’erano l’ala sinistra del partito socialdemocratico tedesco, come Ledebour (cofondatore del partito socialdemocratico indipendente tedesco), il riformista di sinistra svizzero Robert Grimm, i socialdemocratici svedesi e norvegesi ecc. Insomma, tutti oppositori della guerra imperialista ma con venature molto diverse tra gli uni e gli altri, e in ogni caso uniti nel prendere le distanze dal fallimento della Seconda Internazionale e nel lavorare per riorganizzare un punto di riferimento internazionale rivoluzionario ai proletariati condotti sui fronti di guerra. Avrebbe dovuto partecipare alla Conferenza di Zimmerwald anche Karl Liebknecht, l’esponente più deciso della corrente di sinistra del partito socialdemocratico tedesco, come le sue posizioni antimilitariste e rivoluzionarie dimostravano fin dal rifiuto di sottoscrivere i crediti di guerra nell’agosto 1914; ma volle far sentire la sua partecipazione, inviando dal carcere il suo saluto nella prospettiva della formazione della nuova Internazionale: «Sorgerà la nuova Internazionale, sorgerà sulle rovine della vecchia, su fondamenta nuove, più solide. A voi amici, socialisti di tutti i Paesi, sta di gettare oggi la prima pietra della futura costruzione. Giudicate implacabilmente i falsi socialisti! Fustigate quelli che tentennano e indugiano in tutti i Paesi, anche... quelli in Germania, senza riguardi! Sulla ristrettezza e la grettezza del giorno, sulla miseria di questi atroci giorni, vi apparirà la grandezza della meta! Viva la futura pace dei popoli! Viva l’antimilitarismo! Viva il socialismo internazionale, liberatore dei popoli, rivoluzionario! Proletari di tutto il mondo, tornate a unirvi!» (1).

Con Zimmerwald, il partito bolscevico di Lenin viene conosciuto in tutto il mondo e la sua influenza sulle correnti rivoluzionarie europee inizierà ad espandersi, tanto da poter imporre alla Conferenza dell’anno successivo, di Kienthal, ciò che non era stato accettato a Zimmerwald, e cioè che gli obiettivi storici della lotta rivoluzionaria del proletariato dovessero passare attraverso la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile.

Indiscutibilmente, la corrente rivoluzionaria europea che, insieme al bolscevismo leniniano, più di altre garantì una continuità programmatica, politica e tattica, fu la corrente di Sinistra del Partito Socialista Italiano, la stessa corrente che darà i natali al Partito Comunista d’Italia nel gennaio del 1921 e che si fece conoscere come “sinistra comunista” del PCd’I dopo essere stata sostituita alla direzione del PCd’I , nel 1923, dall’Internazionale Comunista, con una direzione meno intransigente e più malleabile ai tatticismi che stavano drammaticamente prendendo piede, in quei convulsi anni, all’interno dell’Internazionale stessa. E tale continuità era dimostrata dalla netta e decisa opposizione alla guerra italo-turca e alle posizioni che la distingueranno per l’intransigenza della battaglia contro il riformismo e contro uno sciovinismo ben mascherato da posizioni come il “né aderire, né sabotare”. Ma di questo parleremo in altri articoli dedicati alla prima guerra mondiale.

Negli anni della guerra, il movimento del proletariato dei paesi belligeranti si ergeva contro la guerra borghese: gli scioperi, la fraternizzazione tra i soldati nelle trincee sul fronte franco-tedesco e su quello italo-austriaco, le diserzioni sul fronte russo-tedesco e su quello italo-austriaco, erano segnali ben precisi dell’opposizione materiale del proletariato europeo alla guerra imperialista e dell’urgenza di una guida rivoluzionaria che sapesse non solo propagandare con tutti i mezzi a disposizione, legali e illegali, la necessità della rivoluzione proletaria antiborghese, cioè la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, ma anche agire di conseguenza organizzando concretamente l’opposizione alla guerra sia sui fronti che nelle retrovie. Ebbene, quella guida rivoluzionaria non poteva essere più la Seconda Internazionale né i partiti che ne facevano parte, perché nel momento in cui avrebbero dovuto tener fede alle risoluzioni e ai proclami internazionali ribaditi in più congressi avevano invece tradito su tutta la linea, passando a sostenere le ragioni, ciascuno per il “proprio” Stato, della guerra imperialista mondiale. L’opera sottile e capillare dell’opportunismo e del socialsciovinismo aveva condotto il proletariato a non avere alcuna forza per impedire la guerra imperialista, cosa che poteva avvenire solo scatenando la sua rivoluzione di classe; però non era stata in grado di soffocare completamente le tensioni sociali che spingevano i proletari a lottare sul terreno di classe che era stato il loro terreno di lotta fino a quando la guerra mondiale scoppiò. La tradizione classista del proletariato tedesco, italiano, russo, non era stata dimenticata, tanto che il proletariato tedesco lottò contro la guerra fin dal 1915 continuando a lottare per tutto il periodo di guerra e nel suo dopoguerra, come il proletariato russo che, dopo due anni e mezzo di massacri sul fronte occidentale, si sollevò in tutta la sua potenza contro lo zarismo – e fu la rivoluzione russa del febbraio 1917 –, e come il proletariato italiano che, nello stesso 1917, segnò con la rivolta del pane a Torino e con lo “sciopero militare” dei soldati italiani e la rotta di Caporetto la sua opposizione alla guerra; ma la lotta proletaria scoppiò anche in Inghilterra, con gli scioperi del 1917, in Spagna con la sciopero generale e in Francia con l’ammutinamento di 40.000 soldati francesi (2).

 

LA GRANDE BATTAGLIA CONTRO GLI OPPORTUNISTI DI OGNI RISMA

 

Lenin, nel suo scritto dell’agosto-settembre 1914, La guerra europea e il socialismo internazionale, sottolinea che «Nell’Internazionale europea dei nostri giorni ha fatto fallimento non il socialismo, ma il socialismo non bastante, cioè l’opportunismo [in altre parole, il riformismo di destra, NdR] e il riformismo [dunque il riformismo in generale, NdR]. Proprio questa “tendenza”, che esiste dappertutto, in tutti i paesi (...) per anni ha insegnato a dimenticare la lotta di classe. (...) Ammessa pure la completa “incapacità” e impotenza dei socialisti europei, la condotta dei loro capi è un tradimento e una bassezza: gli operai sono andati al macello, ma i capi? Votano a favore, entrano nel ministero!!! Anche in caso di completa impotenza essi avrebbero dovuto votare contro, non entrare nel ministero, non pronunziare ignominie scioviniste, non solidarizzare con la propria “nazione, non difendere la “propria” borghesia, ma al contrario avrebbe dovuto denunciarne le nefandezze» (3). Qui Lenin espone, sinteticamente, la tattica del parlamentarismo rivoluzionario, la tattica che tutti i partiti socialisti avrebbero dovuto applicare se avessero seguito coerentemente le risoluzioni e i proclami usciti dai congressi della Seconda Internazionale di Stoccarda (1907) e di Basilea (1912); partiti che avrebbero dovuto, sebbene al momento impotenti, mostrare la loro netta opposizione alla guerra borghese con atti e fatti concreti, utilizzando, oltre la propaganda diretta orale e scritta, anche la tribuna parlamentare. Ma tutti i partiti socialisti erano impregnati di opportunismo e di riformismo, sulla cui base poggiavano tendenze che, con l’avvicinarsi della crisi di guerra, peraltro prevista nei congressi precedenti della Seconda Internazionale, si definirono in modo sempre più preciso; per l’Italia basti pensare ai Treves e Turati, ai Bissolati e ai socialisti-rivoluzionari come Arturo Labriola; per la Russia ai menscevichi, ai Plechanov, agli Axelrod, ai Maslov e compagnia; per la Germania al revisionismo di Bernstein, che sarà la madre di tutti i riformismi, e di Vollmar, cui seguirà il riformismo centrista di Kautsky (in precedenza grande oppositore, a parole, di Bernstein) e poi il socialsciovinismo degli Scheidemann e dei Südekum; per la Francia e il Belgio ai Renaudel e ai Vendervelde; per l’America ai Gompers e compagni, e per l’Inghilterra ai Webb e agli Henderson. Come scriveva Lenin, l’opportunismo esiste dappertutto e contro di esso i marxisti rivoluzionari avevano il compito non solo di lottare su tutti i piani, ma anche di organizzarsi a livello internazionale e su basi non più federative come la Seconda Internazionale, ma su basi uniche, omogenee, che non dovevano lasciare spazio alle versioni “nazionali”, ai localismi, alle situazioni “particolari” e di funzionare come un unico partito internazionale. Questo, sulla base dell’esperienza drammatica del fallimento della Seconda Internazionale, era l’obiettivo della nuova Internazionale.

Lenin, nella Lettera agli operai d’Europa e d’America, del gennaio 1919, un mese e mezzo prima della fondazione della Terza Internazionale, scriveva:

«Il 20 agosto 1918 solo il nostro partito, il partito bolscevico, aveva rotto decisamente con la vecchia Internazionale, con la II Internazionale del periodo 1889-1914, che era fallita così vergognosamente durante la guerra imperialistica del 1914-1918. Solo il nostro partito si era avviato per una nuova strada, passando dal socialismo e dal socialdemocratismo, copertisi di vergogna per la loro alleanza con la brigantesca borghesia, al comunismo, passando dal riformismo e dall’opportunismo piccoloborghese, che permeavano e permeano tuttora profondamente i partiti soscialdemocratici e socialisti ufficiali, a una tattica realmente proletaria e rivoluzionaria. Oggi, 12 gennaio 1919, vediamo già tutta una serie di partiti proletari comunisti, non solo entro i confini del vecchio impero zarista, per esempio in Lettonia, in Finlandia, in Polonia, ma anche nell’Europa occidentale, in Austria, in Ungheria, in Olanda e, infine, in Germania. Nel momento in cui la tedesca “Lega di Spartaco”, con dirigenti così illustri e noti in tutto il mondo, con difensori della classe operaia così fedeli come Liebknecht, Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, Franz Mehring, ha rotto definitivamente i suoi rapporti con i socialisti del genere Scheidemann e di Südekum, con questi socialsciovinisti (socialisti a parole e sciovinisti nei fatti) che si sono disonorati per sempre a causa della loro alleanza con la brigantesca borghesia imperialistica di Germania e con Guglielmo II, nel momento in cui la “Lega di Spartaco” ha assunto il nome di “Partito comunista di Germania”, la fondazione della III Internazionale, dell’Internazionale comunista, realmente, proletaria, realmente internazionalista, realmente rivoluzionaria, è divenuta un fatto. Questa fondazione non è stata ancora sancita formalmente, ma di fatto la III Internazionale già esiste» (4).

Dunque, al fallimento della II Internazionale era necessario rispondere con la riorganizzazione delle correnti rivoluzionarie che hanno lottato contro l’opportunismo e il riformismo in tutti gli anni precedenti e che avevano ispirato le risoluzioni dei congressi di Stoccarda (1907), di Copenhagen (1911) e di Basilea (1912); era necessario rispondere con una lotta decisa e intransigente per la ricostituzione di una Internazionale realmente proletaria, internazionalista e rivoluzionaria. Il fallimento della II Internazionale non avvenne come un fulmine a ciel sereno. Lenin, in un suo articolo del settembre 1914, afferma:

«Il fallimento della II Internazionale è il fallimento dell’opportunismo, che si è sviluppato sul terreno delle particolarità del periodo storico trascorso (periodo cosiddetto “pacifico”) e, in questi ultimi anni, ha dominato di fatto nell’Internazionale. Da molto tempo gli opportunisti preparavano questo fallimento negando la rivoluzione socialista e sostituendo ad essa il riformismo borghese; negando la lotta di classe e la necessità di trasformarla – in determinati momenti – in guerra civile e predicando la collaborazione di classe; predicando lo sciovinismo borghese col nome di patriottismo e di difesa della patria; ignorando e negando una verità fondamentale del socialismo già enunciata nel Manifesto comunista, e cioè che gli operai non hanno patria; attenendosi ad un punto di vista sentimentale piccoloborghese nella lotta contro il militarismo, invece di riconoscere la necessità della guerra rivoluzionaria dei proletari di tutti i paesi contro la borghesia di tutti i paesi; trasformando la necessaria utilizzazione del parlamentarismo borghese e della legalità borghese nel feticismo per questa legalità e dimenticando l’obbligatorietà delle forme illegali di agitazione e di organizzazione nei periodi di crisi. Il “complemento” naturale dell’opportunsimo – complemento che è anch’esso borghese e ostile al punto di vista proletario, cioè marxista – è la corrente anarco-sindacalista che si è creata una fama non meno disonorante ripetendo con sussiego le parole d’ordine scioviniste durante la crisi attuale. Oggi non si possono adempiere i compiti del socialismo, non si può costituire un’effettiva unione internazionale dei lavoratori senza rompere decisamente con l’opportunismo e senza chiarire bene alle masse l’inevitabilità del fallimento di esso» (5).

La guerra europea non è scoppiata all’improvviso e, quindi, non ha colto di sorpresa i marxisti rivoluzionari, ma, scrive Lenin, è stata «preparata durante decenni dai governi e dai partiti borghesi di tutti i paesi». «L’aumento degli armamenti, l’estremo inasprimento della lotta per i mercati della nuova fase imperialistica di sviluppo del capitalismo nei paesi più avanzati, gli interessi dinastici delle monarchie più arretrate dell’Europa orientale dovevano inevitabilmente condurre, e hanno condotto, a questa guerra. Conquistare territori e asservire nazioni straniere, mandare in rovina le nazioni concorrenti e depredarne le ricchezze, deviare l’attenzione delle masse lavoratrici dalla crisi politica interna in Russia, in Germania, in Inghilterra e in altri paesi, scindere le masse lavoratrici, abbindolarle mediante l’inganno nazionalistico e distruggerne l’avanguardia allo scopo di indebolire il movimento rivoluzionario del proletariato, ecco l’effettivo contenuto, il significato e la portata della guerra attuale» (6). Descrizione del tutto valida anche per la seconda guerra mondiale, con l’unica differenza che la fase imperialistica di sviluppo del capitalismo non era più “nuova”, ma procedeva a passi da gigante nelle sue caratteristiche principali quanto a lotta per i mercati, lotta per la conquista di territori e per asservire o rovinare nazioni straniere, e lotta per indebolire il movimento proletario, questa volta prevenendo la sua potenziale elevazione a movimento rivoluzionario attraverso la micidiale ondata opportunistica che prese il nome di stalinismo con la quale la collaborazione di classe e il completo asservimento delle masse proletarie alle esigenze capitalistiche nazionali e internazionali raggiunsero vette a cui non erano mai arrivate le forme umanitarie, filantropiche, pacifiste e riformiste dell’opportunismo che affossarono la Seconda Internazionale.

Con lo stalinismo si sono sommate le caratteristiche più deteriori delle due precedenti ondate opportuniste (la prima, a cavallo tra Ottocento e Novecento, caratterizzata dal revisionismo socialdemocratico che sosteneva il graduale e incruento affermarsi del socialismo; la seconda, segnata dalla scoppio della guerra imperialista 1914, caratterizzata dal socialpatriottismo e dal socialsciovinismo, intesi come necessari per impedire il ritorno del feudalesimo assolutista e la distruzione delle conquiste civili della borghesia e del progresso produttivo moderno), aggiungendovi l’aperto tradimento del programma internazionale comunista e la deviazione dalla linea rivoluzionaria classista fissata nei primi due congressi della Terza Internazionale (7).

La chiara e intransigente denuncia, di Lenin e del partito bolscevico, dell’opportunismo che portò la Seconda Internazionale al fallimento nel momento decisivo della lotta del proletariato di ogni paese contro la propria borghesia dominante, poneva inevitabilmente il partito bolscevico alla guida di tutto il movimento delle correnti rivoluzionarie a livello mondiale, compito che Lenin e i bolscevichi di allora si caricarono nella consapevolezza di una situazione storica che era ancora favorevole alla rivoluzione proletaria mondiale, e che poteva contare sulla vittoriosa rivoluzione dell’Ottobre 1917, sebbene in un paese capitalisticamente arretrato, e su una dittatura del proletariato esercitata con fermezza e disciplina eccezionali che costituiva un esempio concreto della potenza del movimento proletario di classe. Fu quella dittatura proletaria, esercitata con straordinaria intelligenza, che riuscì a difendere la conquista socialista del potere politico, che riuscì a togliere le armate russe dai fronti della guerra imperialista portando a termine una pace molto dolorosa (Brest-Litovsk), ma necessaria e che riuscì ad affrontare e condurre alla vittoria una tremenda guerra civile contro le bande delle guardie bianche che volevano restaurare lo zarismo e gli eserciti delle potenze imperialistiche che preferivano mille volte una Russia dominata dallo zarismo, visto che la borghesia russa si era dimostrata molto fragile, piuttosto che dal potere rivoluzionario del proletariato.

 

RINASCE L'INTERNAZIONALE, PROLETARIA E COMUNISTA

 

Lenin lancerà la sfida al mondo, nel settembre 1914, a guerra mondiale appena scoppiata e di fronte al fallimento della Seconda Internazionale: «L’Internazionale proletaria non è morta e non morirà. Le masse operaie, sormontando tutti gli ostacoli, creeranno una nuova Internazionale. L’odierno trionfo dell’opportunsimo non durerà a lungo. Quanto più numerose saranno le vittime della guerra, tanto più palese sarà per le masse operaie il tradimento consumato ai loro danni dagli opportunisti, e tanto più evidente sarà la necessità di rivolgere le armi contro il governo e la borghesia di ogni paese» (8). E ribadirà ancora: «La II Internazionale che è riuscita in 25 o 45 anni (secondo che si conti dal 1870 o dal 1889) a compiere un lavoro estremamente importante e utile di diffusione del socialismo e di organizzazione preparatoria, iniziale, elementare delle sue forze, ha compiuto la sua funzione storica ed è morta, vinta non tanto dai von Kluck (9), quanto dall’opportunismo. Lasciamo ora che i morti seppelliscano i morti. (...) L’Internazionale non esiste per sedersi intorno a una stessa tavola, per scrivere una risoluzione ipocrita e lambiccata di gente per la quale è autentico internazionalismo il fatto che i socialisti tedeschi giustifichino l’appello della borghesia tedesca a sparare contro gli operai francesi, e che i socialisti francesi giustifichino l’appello della loro borghesia a sparare contro i tedeschi “in nome della difesa della patria”!!! L’Internazionale esiste per ravvicinare (dapprima ideologicamente, e poi, a suo tempo, anche organizzativamente) gli uomini capaci, nei nostri difficili giorni, di difendere l’internazionalismo socialista coi fatti, cioè di raccogliere le loro forze e di “sparare per secondi” (10) contro i governi e le classi dirigenti, ciascuno nella propria “patria”. E’ un’opera non facile, che richiede una grande preparazione, grandi sacrifici, e che non potrà essere compiuta senza sconfitte. Ma proprio perché l’opera non è facile, bisogna intraprenderla solo con coloro che vogliono attuarla, senza temere di rompere completamente con gli sciovinisti e coi difensori del socialsciovinismo» (11).

A conclusione del congresso di fondazione dell’Internazionale Comunista, Lenin tira le somme in un breve resoconto pubblicato il 7 marzo 1919. Ecco le sue parole: «Compagni, non siamo riusciti a riunire al primo congresso dell’Internazionale comunista i rappresentanti di tutti i paesi dove si trovano gli amici più fedeli di quest’organizzazione, dove vi sono operai che simpatizzano appieno per noi. Consentitemi quindi di cominciare con una breve citazione che vi mostrerà quanto i nostri amici siano più numerosi di quel che vediamo e pensiamo, di quelli che siamo riusciti a radunare qui, a Mosca, nonostante le persecuzioni, nonostante la coalizione dell’onnipotente (così sembra) borghesia del mondo intero. Queste persecuzioni sono arrivate al punto che si è tentato di circondarci come con una muraglia cinese e che si sono espulsi i bolscevichi, a decine e a dozzine, dalle repubbliche più libere del mondo, quasi si temesse che una decina o una dozzina di bolscevichi fosse capace di contagiare il mondo intero; ma noi sappiamo che questo timore è ridicolo, perché i bolscevichi hanno già contagiato tutto il mondo, perché la lotta degli operai russi ha già fatto comprendere alle masse operaie di tutti i paesi che proprio qui, in Russia, si decide la sorte della rivoluzione mondiale» (12). Che l’Internazionale Comunista si fondasse sulla direzione che il reale movimento proletario internazionale aveva preso prima, durante e, soprattutto, dopo la guerra imperialista, era dimostrato quotidianamente, dalla Germania, dalla Francia, dall’Italia, dagli stessi Stati Uniti d’America, e che la rivoluzione vittoriosa in Russia fosse il primo baluardo della rivoluzione proletaria internazionale non era solo affermato dai boscevichi, ma era la realtà stessa del movimento rivoluzionario comunista. Dopo la vittoria dell’Ottobre russo e finita la guerra mondiale, dal 1918 cominciano a costituirsi i partiti comunisti, seguendo l’esempio del partito bolscevico: in Europa, in Germania, Finlandia, Grecia, Lituania, Olanda, Polonia, Ucraina; nel 1919 in Ungheria e Bulgaria; nel 1920 in Francia, Gran Bretagna, Spagna, Jugoslavia; nel 1921 in Italia, Cecoslovacchia, Romania e nel 1922 in Svizzera; negli Stati Uniti d’ America nel 1919, in Cina nel 1920. L’onda lunga della vittoria bolscevica nel 1917 e la stessa costituzione dell’Internazionale Comunista nel 1919 spinsero molte correnti di sinistra dei partiti socialisti e socialdemocratici, esistenti da tempo, a staccarsi da quello che era in un certo senso il “Partito-madre” per organizzarsi in partiti che, sulla base della lotta contro il riformismo e contro la partecipazione alla guerra imperialista, prendevano il nome di comunisti, per differenziarsi dai socialisti e dai socialdemocratici.

E’ assodato che le varie correnti di sinistra dei partiti socialisti e socialdemocratici si muovevano su posizioni anche molto differenti fra di loro, pur antiriformiste e con l’obiettivo rivoluzionario della conquista non pacifica del potere politico e dell’instaurazione della dittatura del proletariato. La fondazione dell’Internazionale Comunista, promossa dai bolscevichi russi sulla base della lunga e tenace battaglia teorica e politica contro il fallimento della Seconda Internazionale, si pose il compito non di assemblare partiti socialisti già esistenti e influenti nei loro rispettivi paesi, ma di organizzare le correnti di sinistra, rivoluzionarie che si erano formate all’interno di quei partiti e che dovevano separarsi per costituire i nuovi partiti comunisti. Si trattava di un processo di decantazione, accelerato dalla guerra imperialista e dalla vittoriosa rivoluzione proletaria in Russia, che coinvolgeva il movimento socialista internazionale al quale il movimento reale dei proletariati in lotta in tutti i paesi chiedeva oggettivamente risposte ferme e prospettive chiare.

 

1919-1920: LA SITUAZIONE GENERALE È ANCORA POTENZIALMENTE RIVOLUZIONARIA

 

La situazione generale, quando a Mosca si riunì il II congresso dell’IC, sia dal punto di vista della situazione economica e sociale che da quello delle lotte di classe, appariva ancora densa di potenzialità rivoluzionarie, nonostante le dure sconfitte del 1919, primo anno di pace, in Finlandia e in Ungheria.

«In quei giorni – si legge nella nostra Storia della Sinistra comunista (13) – era in corso la controffensiva dell’Armata rossa contro l’estremo baluardo anglo-francese nell’Oriente europeo – la Polonia – e si attendeva da un momento all’altro la caduta, che poi non venne, di Varsavia. Contemporaneamente, le truppe dell’ultimo generale bianco foraggiato dall’Intesa, Wrangler, cedevano a poco a poco terreno nella Russia meridionale e specialmente in Crimea, fino a volatilizzarsi in un crollo verticale, conclusosi con l’imbarco su navi francesi degli ultimi sparuti reparti in novembre. La puntata al cuore della Polonia faceva dimenticare le gesta bestiali della controrivoluzione in Finlandia e Ungheria, mentre la combattività inesausta del proletariato tedesco, i grandi scioperi minerario in Inghilterra e ferroviario in Francia, il fermento che preludeva in Italia all’occupazione delle fabbriche, la stessa ondata di arresti e persecuzioni nei due grandi paesi vincitori della guerra in Occidente [poco prima del II Congresso erano stati arrestati in Francia Loriot, Monatte, Souvarine, in Inghilterra la Pankhurst, NdR], per non parlare della cronica instabilità politica e sociale della Spagna e nei Balcani e dei sintomi di irrequietudine nei paesi neutrali, dalla Svizzera alla Scandinavia, o in ex belligeranti minori come il Belgio e i Paesi Bassi, suffragavano la diagnosi di una crisi acuta del regime capitalistico cui non si sottraevano neppure i  grandi beneficiari del macello da poco consumato, gli Stati Uniti (sciopero dell’acciaio, settembre 1919-gennaio 1920) e che – come ricorderà Lenin nel discorso di apertura del Congresso il 19 luglio – trovava drammatica espressione nei contrasti fra gli stessi alleati alla conferenza di Parigi e nelle grida di allarme di un Keynes sulle conseguenze disastrose di una politica miopemente revanscista e, sul piano economico, particolarmente insensata». Ma l’Ottobre 1917 aveva attirato anche  «gruppi proletari di origini e tradizioni non marxiste, ma duramente impegnati nelle lotte sociali e pieni di carica rivoluzionaria, aprendoli almeno a un’iniziale comprensione dei problemi del partito, della conquista violenta del potere, della dittatura proletaria e del terrore: IWW americani, shop stewards committees inglesi, sindacalisti rivoluzionari francesi, italiani, spagnoli, tedeschi».

 

LA FRAZIOME ASTENSIONISTA COMUNISTA PER LA FORMAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA D'ITALIA

 

L’attrazione indiscutibile che l’Internazionale Comunista generò alla sua fondazione aveva colpito anche il Partito socialista italiano che fu uno dei primi partiti socialisti europei a chiedere di aderirvi. A quel tempo il PSI aveva una direzione considerata “rivoluzionaria intransigente”, secondo le decisioni dei congressi di prima della guerra; ma nel PSI si era formata, subito dopo il congresso del partito a Bologna nell’ottobre 1919, la Frazione Comunista Astensionista che aveva come suo mezzo di propaganda principale “Il Soviet” di Napoli. Ebbene, questa Frazione, guidata da Amadeo Bordiga, si rivolgerà direttamente al Comitato di Mosca della III Internazionale con una Lettera del novembre 1919 nella quale si intende chiarire le posizioni che la distinguono non solo dai riformisti e dai massimalisti, ma anche da altre forze socialiste di estrema sinistra. Le battaglie di classe che la Sinistra comunista aveva portato avanti prima, durante e dopo la guerra imperialista, tendevano con sempre maggior decisione alla scissione dal PSI, considerato ormai un partito che non avrebbe più potuto modificare il proprio atteggiamento e il proprio programma in senso nettamente comunista e rivoluzionario: il “né aderire né sabotare la guerra” (formula della destra rappresentata da Lazzari) andava a braccetto con la volontà di non cacciare dal partito i riformisti alla Turati e Treves per considerazioni puramente elettorali (da parte dei massimalisti elezionisti alla Serrati). L’astensionismo, perciò, fu una posizione oggettivamente necessaria per distinguersi da una “sinistra” all’acqua di rose rappresentata dalla Direzione del PSI; ma non era solo una questione di astensionismo elettorale perché, soprattuto nei confronti degli anarchici e dei sindacalisti rivoluzionari, la distinzione si basava sulla rivendicazione della conquista del potere politico per instaurare la dittatura del proletariato esercitata unicamente dal partito comunista. In questo primo contatto diretto tra i comunisti italiani e la III Internazionale, è evidente la battaglia di classe che la Frazione portava avanti nella prospettiva della costituzione del partito comunista in Italia, mentre si chiede all’Esecutivo dell’Internazionale Comunista una sua valutazione sull’elezionismo parlamentare, sulla scissione dal partito socialista italiano e sulla costituzione e i limiti dei Soviet in regime borghese. In particolare, sulla tattica relativa alla costituzione dei soviet, la Frazione mette in evidenza anche il netto dissenso con il gruppo degli ordinovisti torinesi.

Ma andiamo alla Lettera (14):

 

«Al Comitato di Mosca della III Internazionale

«Frazione Comunista Astensionista del Partito Socialista Italiano. Comitato Centrale

 

«Napoli, Borgo S. Antonio Abbate 221 «La nostra frazione si è costituita dopo il congresso di Bologna del Partito Socialista Italiano (6-10 ottobre 1919) ma aveva iniziato prima la sua propaganda a mezzo del giornale “Il Soviet” di Napoli, indicendo quindi un convegno a Roma il 6 luglio 1919 nel quale venne approvato il programma poi presentato al Congresso. Inviamo una collezione del giornale e diverse copie del programma e della mozione insieme alla quale fu posto in votazione.

«E’ bene premettere che durante tutto il periodo della guerra vi fu in seno al Partito un forte movimento estremista che si opponeva alla politica troppo debole del gruppo parlamentare, della Confederazione Generale del Lavoro – perfettamente riformisti – e della stessa Direzione del Partito, sebbene fosse rivoluzionaria intransigente secondo le decisioni dei congressi di prima della guerra. La Direzione è sempre stata divisa in due correnti di fronte al problema della guerra: la corrente di destra faceva capo a Lazzari, autore della formula “né aderire né sabotare la guerra”; la corrente di sinistra a Serrati, direttore dell’”Avanti!”. In tutte le riunioni tenute durante la guerra le due correnti però si presentavano solidali tra loro, e pur facendo riserve sul contegno del gruppo parlamentare non si mettevano decisamente contro di esso. Elementi di sinistra estranei alla Direzione lottavano contro questo equivoco prefiggendosi di scindere dal Partito i riformisti del gruppo ed assumere un atteggiamento più rivoluzionario.

«Il congresso di Roma del 1918, tenuto poco prima dell’armistizio, nemmeno seppe romperla colla politica transigente dei deputati, e la Direzione, pure aggiungendosi elementi estremisti come Gennari e Bombacci, non mutò sostanzialmente la sua direttiva, attenuata dalla debolezza verso certe manifestazioni della destra contraria all’indirizzo della maggioranza del Partito.

«Dopo la guerra, apparentemente tutto il Partito prese un indirizzo “massimalista” aderendo alla Terza Internazionale. Il contegno però del Partito non fu soddisfacente dal punto di vista comunista; vi preghiamo di vedere sul “Soviet” le polemiche col gruppo parlamentare, colla Confederazione (a proposito della “costituente professionale”) e colla stessa Direzione, specie per la preparazione dello sciopero del 20 e 21 luglio.

«Subito noi, con altri compagni di tutta Italia, ci orientammo verso l’astensionismo elettorale, che abbiamo sostenuto al congresso di Bologna. 

«Desideriamo che sia chiaro che al Congresso ci siamo divisi da tutto il resto del Partito non solo sulla questione elettorale, ma anche su quella della scissione del Partito.

«La frazione “massimalista elezionista”, vincitrice al Congresso, aveva anch’essa accettata la tesi della incompatibilità della permanenza nel Partito dei riformisti, ma vi rinunziò per considerazioni purante elettorali nonostante i discorsi anticomunisti di Turati e Treves. Questa è una forte ragione per l’astensionismo: non sarà possibile la costituzione di un partito puramente comunista se non si rinunzierà alla azione elezionistica e parlamentare.

«La democrazia parlamentare nei paesi occidentali assume forme di tale carattere, che costituisce l’arma più formidabile per la deviazione del movimento rivoluzionario del proletariato.

«La sinistra del nostro partito fin dal 1910-1911 è impegnata nella polemica e nella battaglia contro la democrazia borghese, e questa esperienza conduce a concludere che nell’attuale periodo rivoluzionario mondiale deve essere troncato ogni contatto col sistema democratico.

«La situazione attuale in Italia è questa: il Partito fa la campagna contro la guerra ed i partiti interventisti, sicuro di ricavarne un grande successo elettorale, ma poiché il governo attuale è composto da partiti borghesi contrari alla guerra del 1915, si determina una certa confluenza tra l’azione elettorale del Partito e la politica del governo borghese.

«Siccome tutti gli ex deputati riformisti sono stati ripresentati candidati, il governo Nitti, che è con loro in buoni rapporti, come risulta dalle ultime vicende parlamentari, farà in modo che essi riescano a preferenza. Dopo, l’azione del partito, già esaurito dai grandi sforzi della attuale campagna elettorale, si perderà in polemiche col contegno transigente dei deputati.

«Avremo quindi la preparazione delle elezioni amministrative per luglio 1920; per molti mesi il partito non farà propaganda e preparazione seriamente rivoluzionaria. E’ da augurarsi che avvenimenti imprevisti non superino e travolgano il partito. Noi diamo importanza alla questione dell’azione elettorale e pensiamo che non sia conforme ai principi comunisti lasciare la decisione in merito ai singoli partiti aderenti alla III Internazionale. Il Partito comunista internazionale dovrebbe esaminare e risolvere tale problema.

«Oggi noi ci prefiggiamo di lavorare alla costituzione di un partito veramente comunista, e per ciò lavora la nostra frazione nel seno del PSI. Ci auguriamo che i primi eventi parlamentari condurranno verso di noi molti compagni, in modo da realizzare la scissione dei socialdemocratici.

«Al congresso hanno votato per noi 67 sezioni con 3.417 voti, mentre i massimalisti elezionisti hanno vinto con 48.000 voti, e i riformisti ne hanno avuti 14.000.

«Noi dissentiamo anche dai massimalisti su altre questioni di principio: per brevità vi uniamo una copia del programma approvato dal congresso che è oggi il programma del Partito (col cambiamento del programma, nemmeno un socio ha lasciato il partito) con alcune nostre osservazioni.

«Occorre notare che non siamo in rapporti di collaborazione coi movimenti fuori dal Partito: anarchici e sindacalisti, perché seguono principi non comunisti e contrari alla dittatura proletaria, anzi essi accusano noi di essere più autoritari e centralizzatori degli altri massimalisti del partito. Vedere le polemiche su “Il Soviet”.

«E’ necessario in Italia un complesso lavoro di chiarificazione del programma e della tattica comunista, a cui noi dedicheremo tutte le nostre forze. Se non si riesce ad organizzare un partito che si occupi unicamente e sistematicamente della propaganda e preparazione comunista nel proletariato, la rivoluzione potrà risolversi in una sconfitta.

«Sull’opera tattica e specie in merito alla costituzione dei Soviet, ci pare che si stanno commettendo errori anche dai nostri amici, col pericolo che tutto si limiti ad una modificazione riformistica dei sindacati di mestiere. Si lavora infatti alla costituzione dei comitati di officina, come a Torino, riunendo poi tutti i commissari di una data industria (metallurgica) che prendono la direzione del sindacato professionale col nominare il comitato esecutivo.

«Si resta così fuori dalle funzioni politiche dei Consigli operai a cui occorerebbe preparare il proletariato, pur essendo, secondo noi, il problema più importante quello di organizzare un potente partito di classe (partito comunista) che prepari la conquista insurrezionale del potere dalle mani del governo borghese.

«Sarebbe vivo desiderio nostro conoscere al vostra opinione:

«a) sull’elezionismo parlamentare e comunale e l’opportunità d’una decisione in merito della Internazionale comunista;

«b) sulla scissione del partito italiano;

«c) sul problema tattico della costituzione dei Soviet in regime borghese e sui limiti di tale azione.

 

«Salutiamo voi e il grande proletariato russo pioniere del comunismo universale.

«Napoli, 10 novembre 1919

«Per il Comitato Centrale - Amadeo Bordiga».

 

Questa Lettera fu seguita da una seconda Lettera dell’11 gennaio 1920, con la quale la Frazione entrava più a fondo nel merito delle posizioni che la distinguevano da tutte le altre correnti presenti nel PSI e, con più evidenza, dall’anarchismo e dal sindacalismo, e delineava chiaramente la prospettiva della separazione dal PSI e la costituzione del partito comunista in Italia.

 

La Frazione, quanto al PSI, chiarisce perciò che:

«Il partito italiano non è un partito comunista e nemmeno rivoluzionario; la stessa maggioranza “massimalista elezionista” è piuttosto sul terreno degli indipendenti tedeschi. Noi al congresso [di Bologna, NdR] ci dividemmo da essa non solo per la tattica elettorale, ma altresì per la proposta di esclusione dal partito dei riformisti capitanati da Turati.

«La divisione dunque tra noi e quei massimalisti che votarono a Bologna la mozione Serrati non è analoga a quella che separa nel partito comunista tedesco i sostenitori dell’astensionismo da quelli della partecipazione elettorale, ma è piuttosto simile alla divisione tra comunisti e indipendenti.

«Programmaticamente il nostro punto di vista non ha nulla a che fare con l’anarchismo e il sindacalismo. Siamo fautori del partito politico marxista forte e centralizzato di cui parla Lenin, anzi siamo i più tenaci assertori di questa concezione nel campo massimalista. Non sosteniamo il boicottaggio dei sindacati economici ma la loro conquista da parte dei comunisti, e le nostre direttive sono quelle che leggiamo in una relazione del compagno Zinoviev al congresso del Partito comunista russo pubblicata dall’Avanti! del 1° gennaio.

«Quanto ai Consigli operai, essi esistono in Italia solo in alcune località, ma consistono soltanto nei Consigli di fabbrica, composti di commissari di reparti, che si occupano di questioni interne dell’azienda. E’ invece nostro proposito prendere l’iniziativa della costituzione dei Soviet municipali e rurali, eletti direttamente dalle masse riunite per fabbriche o villaggi, perché pensiamo che nella preparazione della rivoluzione la lotta deve avere carattere prevalentemente politico. Siamo per la partecipazione alle elezioni di qualunque rappresnetanza della classe lavoratrice a cui prendano parte solo lavoratori. Siamo invece apertamente avversi alla partecipazione dei comunisti alle elezioni per i parlamenti, consigli comunali o provinciali o costituenti borghesi, perché riteniamo che in tali organismi non sia possibile fare opera rivoluzionaria, e crediamo che l’azione e la preparazione elettorale ostacolino la formazione nella massa lavoratrice della coscienza comunista e la preparazione alla dittatura proletaria in antitesi alla democrazia borghese. (...)

«La tattica seguita dai compagni russi di partecipare alle elezioni per la Costituente e poi di sciogliere colla forza questa stessa assemblea, anche se non ha costituito una condizione sfavorevole al successo sarebbe pericolosa in paesi dove la rappresentanza parlamentare, anziché essere una formazione recente, è un istituto costituito saldamente da molto tempo e radicato nella coscienza e nelle abitudini dello stesso proletariato.

«Il lavoro occorrente a predisporre le masse alla abolizione del sistema di rappresentanza democratica appare ed è per noi molto più vasto e sostanziale che in Russia e forse in Germania, e la necessità di dare la massima intensificazione a questa propaganda di svalutamento dell’istituto parlamentare e di eliminazione della sua nefasta influenza controrivoluzionaria ci ha condotti alla tattica astensionista. Contrapponiamo alla attività elettorale la conquista violenta del potere politico da parte del proletariato per la formazione dello stato dei Consigli, e quindi il nostro astensionismo non discende dalla negazione della necessità di un governo rivoluzionario centralizzato. Siamo anzi contrari alla collaborazione cogli anarchici e sindacalisti nel movimento rivoluzionario, perché essi non accettano quei criteri di propaganda e di azione».

 

La lettera concludeva con l’annuncio che la Frazione intendeva separarsi dal PSI perché quest’ultimo voleva mantenere al suo interno tutti i diversi anticomunisti, per costituire il Partito comunista in Italia «il cui primo atto sarà quello di mandarvi la sua adesione alla Internazionale comunista» (15).

 

LE TESI FONDATIVE DELL'INTERNAZIONALE COMUNISTA

 

D’altronde, che cosa aveva proclamato il I congresso dell’Internazionale Comunista? Riprendiamo una sintesi dalla nostra Storia della Sinistra comunista:

«Tesi di Lenin sulla democrazia borghese. La risoluzione svolge in pieno le questioni di dottrina e di principio sulla distruzione dello Stato borghese e la conquista del potere proletario, come formulate in Stato e rivoluzione e nei testi fondamentali del marxismo. Siamo nel campo dei principi generali collegati alla situazione storica seguita alla prima guerra mondiale:

«La storia insegna che nessuna classe oppressa è mai giunta alla dominazione, né ha potuto mantenervisi, senza passare attraverso un periodo di dittatura, durante il quale essa si impadronisce del potere politico ed abbatte con la forza la resistenza disperata, esasperata, non arretrante di fronte ad alcun delitto, che gli sfruttatori oppongono (...). Tutti i socialisti, dimostrando il carattere di classe della civiltà borghese, della democrazia borghese, del parlamentarismo borghese, hanno espresso l’idea, già formulata con la massima esattezza scientifica da Marx ed Engels, che la più democratica delle repubbliche borghesi non può essere che una macchina per opprimere la classe operaia a favore della borghesia, la massa dei lavoratori a favore di un pugno di capitalisti (...). Nello stato di cose creato in particolare dalla guerra imperialistica, la dittatura del proletariato non è soltanto assolutamente legittima in quanto strumento atto a rovesciare gli sfruttatori e a schiacciarne la resistenza, ma anche assolutamente indispensabile per tutta la massa lavoratrice come solo mezzo di difesa contro la dittatura della borghesia che ha causato la guerra e che prepara nuove guerre. Il punto più importante che i socialisti non comprendono, e che costituisce la loro miopia politica, il loro irretimento in pregiudizi borghesi, e il loro tradimento politico verso la classe operaia, è che nella società capitalistica, non appena si aggrava la lotta di classe che ne è alla base, non esiste nessun mezzo termine fra la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato. Tutti i sogni di soluzione internedia non sono che piagnistei reazionari di piccoli borghesi.

«Piattaforma dell’Internazionale comunista. Riafferma i principi della presa rivoluzionaria del potere, della distruzione dell’apparato statale borghese e della sua sostituzione con un potente apparato statale proletario “sempre più centralizzato nella sua forma”, come “organo di costrizione diretto contro gli avversari della classe operaia” e destinato “ad infrangere e rendere impossibile la resistenza” così come a “realizzare una crescente centralizzazione dei mezzi di produzione e la direzione di tutta la produzione secondo un piano unico”, avviando il processo di graduale trapasso dal modo di produzione capitalistico a quello socialista e dalla società borghese divisa in classi alla società senza classi, la società di specie.

«Risoluzione sulle correnti socialiste e la conferenza di Berna dei socialtraditori. Vi è posta in pieno la questione della ricostituzione del partito rivoluzionario con stretto legame alla teoria e con valutazione delle due schiere di socialisti rinnegati, tesi da allora classica: da un lato i socialpatrioti, aperti scherani della borghesia, come quelli che assassinarono Liebknecht e Luxemburg; dall’altro i pericolosi centristi (tra i quali si annoverano Kautsky e Adler, Turati e MacDonald) che negano la dittatura proletaria nella sua universalità, e che Lenin non a caso definisce col termine di socialpacifisti. Non si proclama soltanto la scisssione irrevocabile coi primi: si afferma che “la rottura organizzativa col centro è una necessità storica assoluta”.

«Tesi sulla situazione internazionale e la politica dell’Intesa. Sono riferite al momento storico dato, ma la loro costruzione è universalmente valida. Vi è ribadita la condanna del pacifismo della Società delle Nazioni di allora, del pacifismo di Mosca e dell’ONU di oggi.

«Risoluzione sul terrore bianco. La spietata difesa della borghesia e del suo privilegio viene fatta risalire non a forme preborghesi (come si farà poi col fascismo italo-tedesco), ma all’imperialismo dei democratici paesi dell’Intesa, e come sola via d’uscita è indicato il rovesciamento del capitalismo.

«Manifesto ai proletari del mondo intero. Riallacciandosi a un secolo di lotte proletarie, termina col grido di guerra: “La critica socialista ha sufficientemente flagellato l’ordine borghese. Il compito del Partito comunista internazionale è di abbattere questo ordine di cose e di costruire al suo posto il regime socialista (...). Sotto la bandiera dei Soviet operai, della lotta rivoluzionaria per il potere e la dittatura del proletariato, sotto le bandiere della III Internazionale, proletari di tutti i paesi, unitevi!”».

 

L'INTERNAZIONALE COMUNISTA DOVEVA ESSERE IL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

 

Va notato che l’Internazionale Comunista viene più volte chiamata dai suoi stessi fondatori Partito comunista internazionale, considerando questo organismo come un partito mondiale unico, un unico stato maggiore della rivoluzione mondiale. Esattamente come lo intendevano Marx ed Engels, come lo intendeva Lenin e come l’ha sempre inteso la Sinistra comunista d’Italia. Ed è a questo concetto, per noi basilare, che, nel corso dello sviluppo del partito ricostituito nel secondo dopoguerra, e in seguito al suo sviluppo effettivamente internazionale e alle crisi che diedero vita a più di un partito comunista “internazionalista”, il partito rappresentato dal giornale “il programma comunista”, dalla rivista in lingua francese “programme communiste” e dal giornale in lingua francese “le prolétaire”, dal 1965 decise di chiamarsi “Partito comunista internazionale”. Ma, si dirà: le crisi successive che hanno colpito il partito dagli anni Settanta del secolo scorso in poi hanno generato diversi gruppi politici che si autodefiniscono anch’essi “partito comunista internazionale”, perciò non basta cambiare una parola per “distinguersi” da tutti gli altri. Vero, per distinguere il partito autenticamente di classe, comunista e rivoluzionario da ogni altro partito sedicente comunista e operaio, non basta cambiare un termine nel nome del partito; la distinzione sta nel programma, nelle linee tattiche e organizzative, nell’azione e nei comportamenti pratici nelle diverse situazioni. Se guardiamo alla sfilza di partiti “comunisti” che hanno tradito e rinnegato il marxismo rivoluzionario dallo stalinismo in poi, il quadro generale è maledettamente confuso. L’opportunismo, foraggiato da ogni classe dominante borghese del mondo, con la vittoria della controrivoluzione staliniana che ha seppellito la rivoluzione proletaria in Russia, in Europa, in Cina e nel resto del mondo, ha trovato una nuova vitalità.

Mentre l’opportunismo del primo ventennio del Novecento si distingueva dal marxismo rivoluzionario rivendicando la via riformista e parlamentare, pacifista e gradualista per raggiungere, a suo dire, lo stesso obiettivo: “il socialismo”, l’opportunismo che si impose sul movimento proletario internazionale attraverso lo stalinismo è andato molto più in là nella falsificazione del marxismo: rivendicò come “comunista”, “rivoluzionario”, “proletario” un impianto teorico e politico del tutto borghese e controrivoluzionario e, come un cancro, lavorò silenziosamente dall’interno stesso del partito rivoluzionario e del corpo sociale del proletariato per sostituire gli interessi, i programmi, gli atteggiamenti pratici di classe, internazionalisti  e comunisti con gli interessi, i programmi e gli atteggiamenti pratici capitalisti e borghesi, etichettando come “socialiste” le categorie classiche del capitalismo (mercato, denaro, concorrenza ecc.).

Ma questa operazione non poteva avvenire, data la forza con cui il proletariato russo ed europeo si stavano imponendo nel corso storico aperto dalla prima guerra imperialista mondiale e dalla rivoluzione bolscevica d’Ottobre, se non agendo sì dall’interno del partito bolscevico e dell’Internazionale Comunista, ma con estrema violenza e un sistematico terrorismo disciplinare con cui si eliminò fisicamente tutta la vecchia guardia comunista, in Russia e fuori di Russia.

Nonostante la forza della controrivoluzione borghese e la vittoria dell’opportunismo stalinista, ci sono termini che non si possono lasciare ai nemici della classe proletaria, ai nemici della rivoluzione, ai nemici del comunismo, e questi termini sono certamente partito comunista, comunismo, internazionalismo proletario, dittatura del proletariato. L’opera devastante dell’opportunismo attuata dallo stalinismo e proseguita da tutte le verie tendenze figlie dello stalinismo – come il maoismo, il guevarismo, il democratismo popolare ecc. – non può essere contrastata efficacemente coniando nuovi termini o termini che appaiono più “vicini” alla comprensione delle masse (come disgraziatamente si coniarono nell’Internazionale che stava degenerando: “governo operaio” e, addirittura, “governo operaio e contadino”, al posto di dittatura proletaria), ma con una costante, tenace, inflessibile battaglia di classe in difesa della teoria marxista e della sua coerente applicazione sul piano programmatico, politico, tattico e organizzativo. La nostra corrente di Sinistra comunista aveva già posto al partito bolscevico e all’Internazionale Comunista appena fondata, dunque fin dal 1919, il problema della valutazione storica della democrazia nei paesi occidentali in cui la democrazia borghese aveva una lunga storia ed un’influenza determinante sulle masse proletarie; ed era ben cosciente che la situazione rivoluzionaria, apertasi con la guerra imperialista e con la vittoriosa rivoluzione d’Ottobre, poteva essere sfruttata positivamente anche nei paesi occidentali alla condizione di distinguersi nettamente da tutte le forze riformiste e rivoluzionarie inconseguenti, come gli anarchici e i sindacalisti rivoluzionari, non solo nella proclamazione dei grandi principi e della prospettiva rivoluzionaria generale, ma nella stessa tattica sul terreno politico ed economico immediato; e il tema della democrazia, dell’elezionismo, del parlamentarismo doveva trovare non solo una risposta sul piano teorico e politico generale, ma anche su quello tattico a partire dall’esclusione del loro utilizzo ai fini della lotta di classe e rivoluzionaria sostituendolo con la preparazione rivoluzionaria del partito e, attraverso di esso, delle masse proletarie. L’impegno delle forze rivoluzionarie non doveva essere convogliato sul terreno democratico ed elettorale che favoriva indiscutibilmente la classe dominante borghese e le forze opportuniste, ma sul terreno nettamente di classe al fine di organizzare il proletariato non alle campagne elettorali e alle “battaglie parlamentari” dove primeggiavano gli opportunisti di ogni risma, ma alla sua organizzazione di classe, antiborghese a tutti i livelli, e alla preparazione rivoluzionaria con l’obiettivo dichiarato, e perseguito, della conquista violenta del potere politico e dell’instaurazione della dittatura del proletariato esercitata unicamente dal partito di classe, dal partito comunista rivoluzionario.

 

L'INTRANSIGENZA TEORICA, PROGRAMMATICA, POLITICA, TATTICA E ORGANIZZATIVA DELLA SINISTRA COMUNISTA: INDISPENSABILE ALLORA, OGGI E DOMANI

 

L’intransigenza che la Sinistra comunista d’Italia esprimeva sia sul piano teorico, dei principi e programmatico, sia sul piano politico, della tattica e dell’organizzazione si dimostrò, nel tempo, assolutamente necessaria e vitale per il movimento comunista internazionale; ammorbidendo quell’intransigenza, nell’illusione di conquistare più velocemente la maggioranza del proletariato, si finì per perderla del tutto e cadere nelle braccia dell’opportunsimo e della democrazia borghese. Fin dai primi contatti con l’Internazionale Comunista, come abbiamo visto, la posizione netta sulla scissione dai riformisti e dai massimalisti del PSI – che d’altra parte aveva aderito all’Internazionale e ciò aveva contribuito ad ingannare l’Internazionale e a frenare la decisa opera di distinzione della Frazione comunista astensionista – e la motivata tattica dell’astensionismo rivoluzionario, volevano dimostrare che in Italia essa rappresentava l’unica forza comunista coerente e operante, con una storia di battaglie di classe che affondava le radici nella lotta contro la guerra italo-turca del 1911-12, contro la massoneria e il riformismo gradualista dei Turati e dei Treves, contro le tendenze anarchiche che negavano la necessità dello Stato proletario e della dittatura del proletariato esercitata dal partito comunista, contro i sindacalisti antipartito e contro tutte quelle forme di opportunismo latente che, sebbene ricoperte da frasi e concetti rivoluzionari e marxisti, dovevano essere riconosciute per quelle che erano e combattute. E la battaglia di classe si estendeva anche nei confronti della Confederazione Generale del Lavoro che, in tutte le occasioni in cui la spinta proletaria alla lotta doveva essere unificata e diretta in senso antiborghese e rivoluzionario, mostrava avversione verso gli scontri violenti con la polizia o con l’esercito e perciò tentennava costantemente nell’organizzare gli scioperi e soprattutto lo sciopero generale e, naturalmente, tendeva a dividere le lotte proletarie per aziende, per settore, per regione.

Fin dai primi vagiti, la Sinistra comunista in Italia ebbe un’attitudine centralistica e internazionalista, grazie alla quale la sua intransigenza dottrinaria si prolungava naturalmente sul piano della tattica e dell’organizzazione. Si capisce, quindi, come mai la Sinistra comunista premeva sull’Internazionale perché dall’intransigenza che dimostrava sul piano teorico, di principio e programmatico passasse anche all’intransigenza tattica e organizzativa. Al 2° congresso dell’I.C., la battaglia della Sinistra otterrà un incrudimento delle Condizioni di ammissione all’I.C., la 21ª, secondo la quale i membri del partito che respingono per principio le condizioni e le tesi dell’Internazionale comunista devono essere espulsi. Ma la stessa costituzione del partito comunista in Italia, per la quale fin dal 1918, come dimostrano gli articoli de “Il Soviet”, i comunisti “astensionisti” lavoravano, richiese un tempo più lungo di quanto non fosse nelle certezze della Sinistra comunista. Il massimalismo socialista (rivoluzionari a parole, democratici nei fatti) non ingannò la tendenza comunista che faceva capo al “Soviet” e a Bordiga, ma riuscì ad ingannare i capi dell’Internazionale Comunista che si convinsero dopo due anni che i massimalisti alla Serrati non avevano alcuna intenzione di rompere coi riformisti alla Turati, abbacinati com’erano dal mito dell’unità del partito. Si dovrà arrivare al XVII congresso del PSI, che si tenne a Livorno dal 15 al 20 gennaio del 1921, quando i comunisti della Frazione, con l’appoggio dell’Internazionale Comunista e seguiti dagli ordinovisti di Torino, da ex massimalisti di sinistra e dalla grandissima maggioranza della Federazione giovanile, si scissero definitivamente dal PSI per fondare finalmente, il 21 gennaio, il Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista. La storia dimostrerà che l’intransigenza teorica e pratica della Sinistra comunista d’Italia non era un vezzo intellettuale, né un “vizio d’origine”, né tantomeno un atteggiamento elitario e semicospirativo, ma l’indispensabile impostazione che si doveva dare al partito di classe perché avesse, in tutte le situazioni, le armi teoriche e politiche per affrontare tutti i nemici della rivoluzione proletaria e del comunismo. Si disse fin da allora che la costituzione del Partito Comunista d’Italia fu attuata alla bolscevica, ricordando il Lenin dal Che fare? in poi, ossia rompendo nettamente non solo sul piano teorico-programmatico, ma anche sul piano politico, tattico e organizzativo con il riformismo e tutte le varianti di un estremismo parolaio e impotente. Ebbene, nell’Occidente imperialista, democratico, forgiatore di opportunisti a qualsiasi livello, solo un partito di classe con quelle caratteristiche e che non deflettesse mai da quell’intransigenza poteva essere d’esempio a tutti gli altri paesi occidentali. E non è stato un caso che, nel tremendo naufragio in cui s’inabissarono partiti e compagni rivoluzionari di grandissimo valore, soltanto la Sinistra comunista d’Italia riuscì a mantenere salda – durante il ventennio fascista, durante la baldanzosa e intrisa di sangue vittoria dello stalinismo e durante e dopo il secondo macello imperialista mondiale – la linea rivoluzionaria di classe ed avere la forza di restaurare il marxismo come dovette fare Lenin nel primo ventennio del Novecento, solo in uno scenario storico molto più negativo per il movimento proletario internazionale. Ma di tutto questo ne riparleremo.

 


 

(1) Cfr. Karl Liebknecht, Scritti politici, Feltrinelli Editore, Milano 1971, pp. 260-261. La lettera alla Conferenza di Zimmerwald è datata 2 settembre 1915.

(2) Su questi ammutinamenti nella prima guerra mondiale, Stanley Kubrik girò un famoso film, Paths of Glory, nel 1957; il titolo francese era Les Sentiers de la gloire, e in italiano Orizzonti di gloria. Il regista lo dovette girare in Germania perché la Francia vietò sia di girarlo sia di proiettarlo nelle sale; tale divieto durò fino al 1975. In Italia uscì in qualche sala d’essai per poi sparire del tutto. Cfr. https://www. assaltoal cielo.it/2016/09/10/il-crollo-della-seconda-internazionale/

(3) Cfr. Lenin, La guerra europea e il socialismo internazionale, fine agosto-settembre 1914, in Opere, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 21, pp. 14-15.

(4) Cfr. Lenin, Lettera agli operai d’Europa e d’America, 21 gennaio 1919, in Opere, vol. 21, cit., pp. 434-435. Va annotato che Lenin, scrisse questa Lettera il 12 gennaio, ma prima di inviarla giunse la notizia dell’assassinio di Rosa Luxemburg e di Kark Liebknecht da parte del governo dei «socialisti» Ebert e Scheidemann, dimostrando col «selvaggio e infame assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg» di essere una «banda di spregevoli servitori del Kaiser e della borghesia», di essere gli «agenti della borghesia nel movimento operaio», o, come i migliori socialisti d’America li hanno battezzati, «con un’espressione meravigliosa per la sua espressività e per la sua profonda verità», «come “labor lieutenants of the capitalis class”, luogotenenti operai della classe capitalistica». Perciò Lenin riprese in mano la Lettera, affondando ancor di più la denuncia e la critica del socialsciovinismo e dell’opportunismo di ogni colore, con queste parole: «Le righe precedenti erano state scritte prima del selvaggio e infame assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg per opera del governo di Ebert e Scheidemann. Questi carnefici, che strisciano servilmente davanti alla borghesia, hanno permesso alle guardie bianche tedesche, cani da guardia della sacra proprietà capitalistica, di linciare Rosa Luxemburg, di colpire alle spalle Karl Liebknecht, adducendo il pretesto palesemente falso di una sua “fuga” (lo zarismo russo, reprimendo nel sangue la rivoluzione del 1905, ha fatto ricorso più volte ad assassini di questo genere, adducendo lo stesso falso pretesto della “fuga” degli arrestati); questi carnefici hanno coperto in pari tempo le guardie bianche con l’autorità di un governo colpevole che si pretende al di sopra delle classi! Non  vi sono parole per esprimere la turpitudine e l’infamia di questo omicidio commesso da sedicenti socialisti. Evidentemente, la storia ha scelto una strada nella quale la funzione dei “luotenenti operai della classe capitalistica” deve essere svolta fino all’”estremo limite” della ferocia, della bassezza e della vigliaccheria». Cosa avrebbe dovuto dire Lenin, quando quel limite fu tragicamente superato, e di molto, quanto a ferocia, bassezza e vigliaccheria, da sedicenti comunisti come gli sgherri di Stalin nelle sue cosiddette “purghe”?

(5) Cfr. Lenin, La guerra e la socialdemocrazia russa, in Opere, Editori Riuniti, vol. 21, cit., pp. 23-24

(6) Ibidem, p. 19.

(7) Per approfondire questo tema cfr. le Tesi caratteristiche del partito comunista internazionale, dicembre 1951, «In difesa della continuità del programma comunista», pp. 145-164.

(8) ) Cfr. Lenin, La guerra e la socialdemocrazia russa, cit., p. 25.

(9) Alexander von Kluck era un generale tedesco noto, come comandante della 1ª armata, soprattutto per la prima battaglia della Marna che si svolse dal 5 al 12 settembre 1914; la vittoria in questa battaglia avrebbe aperto all’esercito tedesco, dopo aver invaso e vinto in poco tempo le battaglie in Belgio, la via per conquistare Parigi. Il generale Kluck era noto per essere molto aggressivo e determinato, ma nella battaglia della Marna non aveva preventivato la forte e determinata resistenza dell’esercito francese, unitamente a corpi militari britannici, che gli impedì di vincerla e che, secondo gli storici, segnò il fallimento della “guerra lampo” con cui conquistare Parigi e l’inizio di una tragica guerra di trincea che durerà 4 anni.

(10) Qui Lenin si riferisce ad una citazione presa da Engels (del 1891): «Per favore, sparate per primi, signori borghesi! », nello stesso articolo (Sciovinismo morto e socialismo vivo),  spiegando che Engels difendeva «l’utilizzazione da parte di noi rivoluzionari, della legalità borghese nell’epoca del cosiddetto sviluppo pacifico costituzionale. Il pensiero di Engels era assolutamente chiaro: noi operai coscienti, spareremo per secondi; oggi è per noi più vantaggioso, per passare dalla scheda elettorale alle “fucilate” (cioè alla guerra civile), utilizzare il momento in cui la borghesia stessa violerà quella base legale che essa ha creato».

(11) Cfr. Lenin, Sciovinismo morto e socialismo vivo, in Opere, Editori Riuniti, vol 21, cit., pp. 87-88.

(12) Cfr. Lenin, La fondazione dell’Internazionale Comunista, 7 marzo 1919, Opere, Editori Riuniti, Roma 1967, vol. 28, p. 484.

(13) Cfr. Storia della Sinistra comunista, vol. II, Edizioni il programma comunista, Milano, 1972, p. 546.

(14) Questa Lettera fu rintracciata dai compagni che collaboravano al lavoro sulla Storia della Sinistra comunista, presentato regolarmente nelle Riunioni Generali di partito; questa lettera fu seguita da un’ulteriore Lettera dell’11 gennaio 1920 in cui vi si faceva riferimento e si lamentava la non avvenuta risposta. In realtà, sia la Lettera del 10 novembre del 1919 che la Lettera dell’11 gennaio 1920, consegnate nelle mani del corriere del PSI, tale Aldo Soncelli, perché le recapitasse al Comitato di Mosca della III Internazionale, non arrivarono mai in quanto il Soncelli si rivelò essere il capitano dei carabinieri Luigi Ferrari, infiltratosi con successo nel PSI. “Il programma comunista”, nel suo n. 18 del 1964 pubblicò per la prima volta la seconda lettera, ritrovata nella rivista Stato Operaio, nel 1934, che si pubblicava a Parigi, e che era entrata in qualche modo in suo possesso. La prima Lettera fu invece rintracciata nell’Archivio Centrale dello Stato, tra i documenti sequestrati dalla polizia, durante la continua ricerca di documenti inerenti la storia della Sinistra comunista; anch’essa fu pubblicata, successivamente, ne “il programma comunista”, n. 14 del 1965. Il primo volume della Storia della Sinistra comunista, ed il vol. I bis, giungevano all’agosto 1919 e non potevano contenere questi documenti che furono inseriti nel secondo volume, essendo questo dedicato al periodo che va dal Congresso di Bologna del PSI al Secondo Congresso dell’Internazionale Comunista (vedi vol. II, pp. 110-115). Queste due Lettere (del 10 novembre 1919 e dell’11 gennaio 1920) sono state pubblicate anche nella “Rivista storica del socialismo”, n. 27 del 1966. Sono state, poi, pubblicate anche dalla Fondazione Amadeo Bordiga, nella serie dedicata agli Scritti 1911-1926 di Amadeo Bordiga: la prima lettera del 10 novembre 1919, nel vol. 3°, la seconda dell’11 gennaio 1920, nel vol. 4°.

(15) Cfr. Storia della Sinistra comunista, vol. II, cit. , pp. 113-115. 

 

 

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