ALGERIA

No alla mascherata elettorale e alle illusioni democratiche. Sì alla lotta di classe proletaria contro il capitalismo!

(«il comunista»; N° 162 ; Dicembre 2019)

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Dopo essere state costrette la scorsa primavera, sotto la pressione delle gigantesche manifestazioni popolari dell’Hirak [termine arabo che significa “movimento”, NdR], a rinunciare alla rielezione del presidente “decorativo” Bouteflika per un quinto mandato, le autorità algerine si sono ostinate a organizzare una nuova carnevalata elettorale: 5 candidati, provenienti dal sistema esistente e presentatisi alle elezioni presidenziali del 12 dicembre, vengono però respinti da una parte molto ampia della popolazione. I candidati, perciò, hanno rinunciato a condurre una campagna elettorale a causa dell’aperta ostilità della popolazione che, giustamente, vede in queste elezioni una pura operazione di rafforzamento del potere attuale.

Le proteste contro il sistema, che da febbraio si ripetono ogni settimana, hanno subito un inevitabile declino durante l’estate. Il presidente ad interim Bensalah ne aveva approfittato per annunciare che si trattava della fine dell’Hirak; ma, già a partire da settembre, le manifestazioni di massa sono riprese e hanno acquisito importanza con l’avvicinarsi della scadenza elettorale.

Per la 37a manifestazione dell’Hirak, il primo novembre, giorno della festa nazionale che commemora l’inizio della guerra di indipendenza, una vera marea umana ha invaso le strade di Algeri. Lo slogan principale, che riassume il contenuto generale delle rivendicazioni, era «per una seconda indipendenza».

Questi riferimenti a una «seconda indipendenza», gli orientamenti nazionalisti e le professioni di fede pacifista sono la dimostrazione dell’influenza politica dominante della piccola borghesia nell’Hirak; quest’ultima teme la lotta di classe perché si colloca tra le due classi antagoniste della società – capitalisti e proletari – il cui scontro minaccia di schiacciarla, e per questa ragione si erge a difensore di un “interesse generale” o “nazionale” al di sopra delle classi e ha come ideale la democrazia. Ma questo cosiddetto interesse generale è in definitiva solo l’interesse del capitale e la democrazia è solo una delle forme di dominio della borghesia.

Le autorità, negli ultimi mesi, non hanno risparmiato gli sforzi per indebolire l’Hirak: dai tentativi di divisione condannando i portatori della bandiera berbera a una crescente repressione dei manifestanti e delle manifestazioni, quando possibile (come durante delle manifestazioni studentesche, meno numerose), alla chiusura dei media e al divieto di riunioni dell’opposizione - per non parlare degli arresti di personalità, un tempo onnipotenti, arresti che sono stati fatti passare come lotta contro la corruzione per soddisfare le richieste dalla popolazione.

Così, all’inizio di maggio, Saïd Bouteflika, l’ex “uomo forte” del clan presidenziale è stato arrestato con i generali Tewfik (ex capo della temibile Sicurezza Militare) e Tartag (successore di quest’ultimo come capo dei Servizi di Sicurezza) (1) per “cospirazione contro l’autorità militare”, e in particolare il capo di Stato Maggiore, il generale Gaïd Salah, il nuovo leader de facto del paese; altri arresti sono poi seguiti.

Questi arresti sono in realtà l’espressione di una feroce lotta tra clan all’interno della classe dominante, che si ripercuote nell’esercito, la forza dirigente dell’Algeria dall’indipendenza. Finora, queste lotte si sono svolte perlopiù di nascosto dagli occhi della popolazione, ma il deterioramento della situazione economico-socio-politica, di cui l’Hirak è l’espressione, le ha portate allo scoperto.

 

UNO «SCIOPERO GENERALE» INTERCLASSISTA?

 

L’unanimismo popolare e nazionale che caratterizza politicamente l’Hirak è stato un fattore importante nella mobilitazione pacifica di ampie fasce della popolazione. I partecipanti alle gigantesche manifestazioni ne hanno ricavato un senso di potenza, alimentato inoltre dall’impossibilità per il potere di far ricorso a misure estreme di repressione contro folle così vaste senza provocare la temuta esplosione.

Tuttavia, queste manifestazioni pacifiche e rituali, per quanto numerose, si sono dimostrate incapaci non solo di “togliersi dai piedi” il potere, ma anche di strappargli le più piccole concessioni. Questo è il motivo per cui da diverse settimane, e con insistenza crescente nell’ultimo periodo, la prospettiva di indire uno sciopero generale è tornata alla ribalta; i proletari sono in effetti la vera forza trainante del movimento che è nato sul terreno di una crisi sociale dilagante. La loro forza potenziale va ben oltre ogni manifestazione, poiché sono in grado di mettere in ginocchio l’economia del paese. Ma questa prospettiva di sciopero generale non significa che gli interessi specifici dei proletari siano venuti passati in primo piano: al contrario, secondo alcuni, la forza dei proletari dovrebbe essere messo al servizio di interessi che non sono loro.

È così che il Patto dell’Alternativa Democratica (PAD), che riunisce partiti trotskisti (PST, PT), neo-stalinisti (MDS), berberi (FFS), borghesi liberali (RCD) ecc., accusando il potere, in una conferenza stampa, di mettere “in pericolo la coesione sociale e nazionale, nonché la perpetuazione dello Stato”, evoca come mezzi d’azione “anche lo sciopero generale”, ma a condizione che sia garantito “un servizio minimo nei settori strategici”! (2). È così che il PST chiede uno “sciopero unitario generale” per imporre “l’elezione di un’Assemblea costituente sovrana e rappresentativa delle aspirazioni democratiche e sociali della maggioranza delle masse popolari” (3). Ma una tale Assemblea, per la quale il PST chiama i proletari allo sciopero generale, ignorerebbe le “aspirazioni” di classe del proletariato, a favore delle “aspirazioni” interclassiste!

Gli interessi proletari sono il contrario: non la coesione sociale e nazionale, che significa la paralisi del proletariato, ma la diffusione della lotta di classe; non la perpetuità dello Stato borghese, pilastro della dittatura della borghesia, ma la lotta per abbatterlo; non un’Assemblea costituente democratica per riformare la società, ma la lotta rivoluzionaria per rovesciare il capitalismo e instaurare lo Stato degli operai e degli sfruttati: la dittatura del proletariato!

I leader militari di cui il vecchio generale Gaïd Salah è solo il portavoce, sono gli agenti del capitalismo che si è sviluppato in Algeria dall’indipendenza, sfruttando i proletari e rovinando i piccoli contadini, come fa il capitalismo in tutti i paesi. La lotta “contro il sistema” dell’Hirak è impotente perché il suo interclassismo le  impedisce di diventare una lotta anticapitalista.

Solo il proletariato può lottare contro il capitalismo, portando dietro di sé le masse sfruttate, in unione con i proletari degli altri paesi. Ma per far questo, la prima condizione è che si organizzi e combatta su posizioni di classe, per la difesa dei propri interessi e che si doti del suo organo politico, il partito di classe, per dirigere la sua lotta: è questo il bisogno più urgente per i proletari dell’Algeria, e del mondo!

 

- No alla mascherata elettorale, no ai vicoli ciechi democratici!

- Sì alla lotta di classe proletaria contro il capitalismo!

- Per la costituzione del partito comunista rivoluzionario, interna- zionalista e internazionale!

 

10/12/2019

 


 

(1) Contemporaneamente a questi cacicchi del regime algerino, fu arrestata anche la “trotskista” Louiza Hanoune nota per i suoi compromessi con l’ex clan presidenziale, la leader del Partito dei Lavoratori aveva partecipato a un incontro riservato tra Tewfik e Bouteflika per discutere del rovesciamento di Gaïd Salah, proprio quando il suo partito faceva finta di riprendere lo slogan dell’Hirak: “Sistema, vattene!”.

(2) Liberté, 9/12/2019

(3) Dichiarazione del Segreteriato Nazionale del PST, 16/11/2019

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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