Poggioreale, dove il rispetto della “dignità” non esiste

(«il comunista»; N° 162 ; Dicembre 2019)

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Negli scorsi numeri 157 e 158 abbiamo pubblicato degli articoli sulle condizioni invivibili nel carcere di Poggioreale (Napoli) e delle lotte dei detenuti contro di esse. Le denunce da parte dei detenuti e dei loro familiari non si sono mai fermate; ciononostante le condizioni di vita all’interno del carcere non sono cambiate, come non sono cambiate in quasi tutte le carceri italiane. E infatti le proteste non si placano anche perché alle condizioni insostenibili si aggiungono le morti, non solo per suicidio al quale si è portati proprio a causa di quelle condizioni, ma anche per un’assoluta trascuratezza nell’ assistenza medica, come nel caso di Claudio Volpe, morto per infarto il febbraio scorso nel carcere di Poggioreale. Pubblichiamo ora un altro articolo sullo stesso tema che nel numero scorso del giornale non ha trovato posto.

 

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Non si placano le proteste al carcere di Poggioreale di Napoli. Le continue morti per mancanza di assistenza sanitaria e i suicidi sollecitano i detenuti a forme disperate di protesta all’interno del carcere e  con l’appoggio spontaneo esterno dei familiari organizzati in comitato di lotta denominato “Parenti e amici dei detenuti a Poggioreale, Pozzuoli e Secondigliano”.

ll 13 giugno scoppia un’ennesima protesta  al padiglione Salerno. Centinaia di detenuti si barricano fuori dalle celle con materassi e suppellettili per chiedere il ricovero di un loro compagno. Ne scaturisce una rivolta con tavoli divelti e minacce al personale. La protesta dura circa due ore, poi i detenuti rientrano nelle proprie celle. Pare che i danni arrecati al padiglione siano ingenti. I detenuti “violenti” vengono trasferiti. Evidentemente una prima misura repressiva contempla che anche in carcere le avanguardie di lotta devono essere  tenute separate dal restante dei rivoltosi.

Per i sindacati di polizia la situazione è molto grave e pensano alla necessità di istituire una  “task force”. Intanto, per il 12 luglio, viene organizzata una manifestazione di protesta da parte dei familiari dei detenuti e frange dei centri sociali. La data non è stata  presa a caso, perché coincide con quella storica del 12 luglio 1968 quando, in una fase diversa, la rivolta di Poggioreale aprì la stagione delle rivolte in tutte le carceri d’Italia.

In questo clima, non potevano non farsi  avanti varie istituzioni, tra cui il garante dei detenuti della regione Campania ed esponenti dei Cinque Stelle che non hanno fatto altro che prendere atto del sovraffollamento delle celle, che peraltro aumenta e aumenterà ancora. “Alla persona che sbaglia va tolto il diritto alla libertà, ma non alla dignità”: è con  queste belle parole che si conclude l’intervento del garante dei detenuti  in Campania.

In questo contesto avviene un episodio straordinario che finisce su tutti i media nazionali. Dopo 100 anni di storia del carcere di Poggioreale un detenuto, il 5 dicembre dello scorso anno, veniva arrestato dopo essere riuscito ad evadere. Si trattava di un 32enne polacco accusato di omicidio. La sua evasione dura pochi giorni. L’evaso viene ritrovato e riportato in carcere. Dopo questa fuga, strana e  rocambolesca, che fa raggiungere il colmo ad una situazione già di per sé drammatica (quasi a voler dimostrare che effettivamente il carcere di Poggioreale non funziona tanto da permettere ad un detenuto di eludere la sorveglianza delle guardie e calarsi con delle lenzuola), il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria rivendica, demagogicamente e anche un po’ per esorcizzare l’accaduto, “l’abbattimento dell’istituto e la rimozione del capo dell’amministrazione penitenziaria dal suo incarico”.

I proletari in carcere  vengono spinti alla ribellione dalle condizioni invivibili dei penitenziari: sovraffollamento, mancanza di assistenza medica, ritorsioni e soprusi da parte delle guardie carcerarie. Le notizie che trapelano indicano un disagio generalizzato dove i suicidi diventano sempre più la norma. Situazione, questa, in cui versano tutti i penitenziari del territorio nazionale.

Ma le rivolte da sole non bastano per rendere più “umane” le condizioni di vita dei proletari in carcere. Il collegamento tra le diverse carceri può essere possibile solo con un intervento dall’esterno da parte delle avanguardie di lotta organizzate. Ed è proprio di questo che hanno paura partiti ed istituzioni, perché la lotta fuori dal carcere può coinvolgere molti altri strati proletari. La galera è un sistema repressivo di cui la borghesia non potrà mai fare a meno, e le situazioni precarie in cui versano gli istituti di pena dimostrano che la classe dominante borghese tratta i proletari, che si ribellano a condizioni di esistenza sempre peggiori, come dei reietti, meritevoli solo della totale emarginazione.

La lotta dei detenuti, spinti dalla disperazione delle loro condizioni carcerarie, può non limitarsi ad un naturale sfogo materiale ma avere un risultato non episodico nella misura in cui è collegata e sostenuta dalla lotta dei proletari fuori dalle carceri, nelle fabbriche e nelle piazze.

Il sistema carcerario non è mai stato organizzato, come pretende l’ipocrisia borghese, per “rieducare” coloro che vanno contro “la legge” e per “reintegrarli” nella società civile, ma è un sistema di condanna pensato per colpire soprattutto quei proletari che la società del profitto, del denaro, del sopruso, dello sfruttamento spinge ad andare contro le sue regole, le sue leggi e, quindi, a “delinquere”.

Lottare per migliori condizioni di esistenza in carcere e in fabbrica è la condizione elementare per non morire né in carcere né in fabbrica: i proletari vengono educati dalla borghesia ad essere schiavizzati per la vita e se infrangono le regole borghesi vengono colpiti senza scrupoli; ma la loro vera “educazione”, la loro vera “istruzione” la possono ricevere soltanto dalla lotta di classe proletaria, che li unifichi al di sopra delle mura delle carceri come delle mura delle fabbriche.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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