Partito di classe e programma comunista 

(«il comunista»; N° 164 ; Giugno 2020)

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Una premessa

 

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente». Già da questa famosa frase, contenuta nell’Ideologia tedesca di Marx ed Engels (1846), è possibile dedurre il nocciolo della teoria del comunismo rivoluzionario, nella sua formulazione filosofica e politica. Alla base c’è la critica, dal punto di vista della concezione materialistica, della concezione idealistica della società e della storia che fino ad allora imperava, come filosofia classica tedesca, grazie ad Hegel e ai suoi successori critici, materialisti volgari (Feuerbach ecc.).

La concezione materialistica, nella quale è stata trasferita da Marx ed Engels la dialettica hegeliana, svela che «la natura procede dialetticamente e non metafisicamente» (Engels, Antidühring), come stavano dimostrando le moderne scienze naturali. Il mondo, perciò, scrive ancora Engels (Ludwig Feuerbach...), «non deve essere concepito come un complesso di cose compiute, ma come un complesso di processi, in cui le cose in apparenza stabili, non meno dei loro riflessi intellettuali nella nostra testa, i concetti, attraversano un ininterrotto processo di origine e di decadenza. (...) Per la filosofia dialettica non vi è nulla di definitivo, di assoluto, di sacro; di tutte le cose e in tutte le cose essa mostra la caducità e null’altro esiste per essa all’infuori del processo ininterrotto del divenire e del perire, dell’ascendere senza fine dal più basso al più alto, di cui essa stessa non è che il riflesso nel cervello pensante» (1). Come affermerà Lenin, «la dialettica, secondo Marx, è la scienza delle leggi generali del movimento, così del mondo esterno come del pensiero umano», quindi il materialismo dialettico, riprendendo l’Antidühring, «non ha più bisogno di nessuna filosofia che stia al di sopra delle altre scienze», salvando della precedente filosofia «la dottrina del pensiero e delle sue leggi, cioè la logica formale e la dialettica» (2). Se, perciò, «il materialismo in generale spiega la coscienza con l’essere, e non viceversa, ciò vuol dire che, applicato alla vita sociale dell’umanità, il materialismo esige che si spieghi la coscienza sociale con l’essere sociale» (3).

E, per approfondire meglio i principi fondamentali del materialismo storico e dialettico, Lenin ci rimanda ad un classico del marxismo, Per la critica dell’economia politica, nella cui prefazione Marx afferma:

«Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e combatterlo.

«Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione.Una formazione sociale non perisce finché non siano sviluppate tutte le forze produttive per la quale essa offra spazio sufficiente; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Pertanto l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorge dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana» (4).

L’antagonismo che sorge dalle condizioni di vita sociali degli uomini, è l’antagonismo di classe che ha caratterizzato tutte le società divise in classi. Contrariamente a quello che sostiene l’ideologia borghese – che non è se non il riflesso delle condizioni sociali determinate dai rapporti di produzione e di proprietà borghesi, quindi capitalistici – e cioè che con il progresso economico del capitalismo è possibile superare le contraddizioni della società capitalistica e appianare le sue contraddizioni, «la società borghese moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. La nostra epoca, l’epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L’intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l’una all’altra: borghesia e proletariato» (5).

Ecco dunque che il corso dello sviluppo delle società divise in classi porta ad un traguardo storico: al capitalismo, l’ultima società che si basa sulla divisione in classi contrapposte, l’ultima società in cui il progresso economico e sociale ha creato classe dominante e classi dominate, dallo scontro delle quali si aprirà la via ad una società superiore, al comunismo, che non avrà più bisogno di classi dominanti e classi dominate. Con la fine del capitalismo finirà la preistoria umana, finiranno gli antagonismi fra le classi e, quindi, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. (Lo sfruttamento d’una parte della società per opera dell’altra parte è dato di fatto comune a tutti i secoli passati, qualunque sia la forma ch’esso abbia assunto, Manifesto del partito comunista).

Sono la teoria del materialismo storico e dialettico, la dottrina della lotta di classe e la dottrina economica di Marx (del plusvalore), a svelare i misteri dello sviluppo sociale universale dell’umanità e a costituire le basi fondamentali della conoscenza preventiva del gigantesco sconvolgimento sociale che porterà la società capitalistica alla morte e alla nascita della nuova società di specie, una società che libererà del tutto lo sviluppo delle forze produttive perché distruggerà una volta per sempre tutte le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche borghesi, che formano la sovrastruttura della classe dominante moderna e che impediscono tale sviluppo.

Come afferma il Manifesto di Marx-Engels, «La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. (...) Ma ogni lotta di classi è lotta politica» (6), è, in definitiva, lotta tra la classe dominante e le classi dominate, è lotta per il potere politico. In tutto lo svolgimento storico delle società divise in classi, la classe rappresentante il modo di produzione più sviluppato rispetto a quello precedente è spinta storicamente a conquistare con violenza il potere politico, rivoluzionando l’intera società; il che significa che le forze produttive all’interno della società, dopo aver creato le forme di produzione (rapporti di produzione e di proprietà) più adeguate a quello sviluppo, seguono un processo di sviluppo che, ad un certo punto, le porta a scontrarsi con quelle stesse forme che, in un primo periodo ne hanno facilitato lo sviluppo e, in un periodo successivo, ne impediscono l’ulteriore sviluppo. Oltre ad essere la dimostrazione che sono le forze di produzione il motore dello sviluppo sociale, è anche la dimostrazione della tesi marxista secondo cui i rapporti di produzione, entro i quali le forze produttive in una prima fase si sono sviluppate, diventano un ostacolo al loro ulteriore sviluppo: la struttura economica della società si rivolta contro la sua sovrastruttura aprendo l’epoca della rivoluzione politica e sociale. E’ successo per le società asiatica, antica, feudale e succederà anche per la società capitalistica.

Qual è la condizione per l’esistenza e per il dominio della classe borghese? Sinteticamente il Manifesto di Marx-Engels risponde così: «è l’accumularsi della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato», cioè, né più né meno che i rapporti di produzione e di proprietà borghesi, per cui i capitalisti, proprietari di tutti i mezzi di produzione, riuniti nelle loro associazioni e difesi dallo Stato, costringono gli operai, i proletari, coloro che non possiedono nulla se non la propria forza lavoro individuale, a vivere solo se “vendono” la loro forza lavoro (la merce che possiedono) a chi la può “comprare” (i capitalisti) contro denaro (il salario) che è l’unico mezzo per procurarsi nel mercato i beni per vivere o, meglio, sopravvivere. Lo sviluppo del capitalismo porta la produzione dalla bottega artigianale alla manifattura e alla grande industria e, sebbene il lavoro salariato, come afferma il Manifesto, poggi «esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di loro», è proprio «il progresso dell’industria, del quale la borghesia è veicolo involontario e passivo» che «fa subentrare all’isolamento degli operai risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria, risultante dall’associazione. Con lo sviluppo della grande industria, dunque, viene tolto di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono del pari inevitabili» (7).

Il proletariato moderno è il prodotto più specifico della grande industria, mentre decadono e tramontano le altre classi (dalla nobiltà al clero, dalla piccola proprietà contadina alla piccola borghesia urbana). Classe dei senza riserve, dei possessori soltanto della forza lavoro che il capitale sfrutta per valorizzarsi, accumularsi, crescere ed asservirla, il proletariato soltanto fra tutte le classi che oggi stanno di contro alla borghesia, è una classe realmente rivoluzionaria; classe che, storicamente, rappresenta, nella società capitalistica, il processo di sviluppo rivoluzionario delle forze produttive, con tutte le sue contraddizioni perché, nel contempo, è classe per il capitale e classe per sé, cioè classe che, con la sua forza lavoro salariata nutre il capitale e il suo dominio economico, politico e sociale, e che, grazie alla condizione di classe produttrice della ricchezza sociale dipendente per la sua sopravvivenza dal salario, e quindi dal capitale che la sfrutta fin dalla sua comparsa nella storia, esprime la contraddizione massima della società attuale: produce tutto, non dispone di nulla.

Gli interessi della borghesia e del proletariato sono totalmente contrapposti, sia nell’immediato che nel processo storico; alla forza della dittatura di classe della borghesia il proletariato non potrà opporre che la forza della sua rivoluzione antiborghese, anticapitalistica, e la sua dittatura di classe. Il lavoro associato, la produzione associata, sono la forza dell’economia capitalistica, dell’economia basata sulla proprietà privata e sul lavoro salariato, ma sono anche la forza dell’anticapitalismo, del socialismo, cioè di un’economia che distrugge la proprietà privata e che, basandosi sulla socializzazione del lavoro, indirizza lo sviluppo economico generale alla soddisfazione della vita sociale degli uomini e non alla soddisfazione delle esigenze del mercato, del capitale, in una parola della società capitalistica.

Il socialismo, perciò, e tanto più il comunismo (fase superiore del socialismo), non sono idee da realizzare in un futuro tutto da scoprire: sono le fasi di un processo storico determinato dal reale sviluppo delle forze produttive e delle sue contraddizioni, sono la soluzione delle contraddizioni economiche e sociali del capitalismo che, grazie alla semplificazione dei contrasti di classe, ha scisso l’intera società in due grandi campi nemici: borghesia e proletariato. Questa affermazione del Manifesto del 1848, a 172 anni dalla sua pubblicazione, non ha perso validità; semmai è ancor più valida perché lo sviluppo del capitalismo, per quanto ineguale tra i diversi paesi, non ha risolto alcuna sua contraddizione, l’ha invece estesa a tutto il mondo e l’ha resa ancor più acuta, come le crisi economiche e finanziarie e le conseguenti guerre commerciali e guerreggiate dimostrano ampiamente.

Il materialismo marxista resterebbe una teoria astratta, come il materialismo premarxista, se non tirasse le conclusioni (e le valutazioni) «di tutto l’insieme dei rapporti reciproci di tutte le classi di una data società, senza eccezione e, per conseguenza, anche la considerazione del grado di sviluppo oggettivo di quella società e dei rapporti reciproci fra essa ed altre società» (8). E queste valutazioni servono come base di una giusta prospettiva programmatica della classe proletaria, appunto per orientare e guidare il suo movimento di classe verso l’obiettivo storico rivoluzionario, verso il superamento della società divisa in classi, verso la società di specie. Come ha più volte ribadito Amadeo Bordiga, la valutazione della situazione storica è fatto teorico da cui discende il programma d’azione e la tattica del partito.

La valutazione delle diverse fasi storiche, e dei compiti che il partito di classe deve svolgervi, discende necessariamente dalla dottrina, poiché essa definisce le finalità ultime che il movimento reale della classe proletaria dovrà storicamente raggiungere. Ed il programma del partito di classe, a sua volta, condensando i principi generali del movimento storico della lotta fra le classi, definisce la via obbligata per conseguire quelle finalità, ponendo le basi indispensabili ed esclusive per orientare l’applicazione pratica di questi principi, applicazione pratica che, come scrivevano Marx ed Engels nella Prefazione all’edizione tedesca del Manifesto del 1872, «dipenderà sempre e dovunque dalle circostanze storiche del momento», ragione per la quale non si doveva dare “alcuna importanza particolare alle misure rivoluzionarie proposte alla fine della sezione seconda» del Manifesto stesso, scritto nel 1848 (vedi «Proletari e comunisti», nella parte in cui si elencano le misure che potranno essere applicate «nei paesi più progrediti» dal potere politico che il proletariato avrà strappato alla borghesia).

 

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La situazione generale, dalla vittoria della controrivoluzione a metà degli anni Venti del secolo scorso, è via via peggiorata per la rivoluzione, per il movimento comunista internazionale, per la lotta del proletariato. E non poteva andare diversamente dato il profondo stravolgimento del marxismo operato dallo stalinismo e dal suo sistematico abbattimento di ogni principio, di ogni fine, di ogni punto di programma e di ogni criterio organizzativo e d’azione del partito di classe che, col bolscevismo di Lenin, si erano elevati all’altezza della più coerente ed intransigente difesa della teoria marxista e della più audace e coraggiosa lotta contro un nemico, il capitalismo nella sua espressione più potente e mondiale, che non trovò, allora, un altrettanto audace e forte contrattacco da parte dei partiti comunisti d’Europa. Questi partiti avevano il compito di preparare e guidare il proletariato, a partire da quello tedesco e francese, alla conquista rivoluzionaria del potere nei loro paesi a sostegno della rivoluzione comunista di Russia, del suo proletariato e del suo partito che, da solo, non avrebbe potuto resistere a lungo all’assedio delle potenze imperialiste. Ma quel compito non riuscirono a svolgerlo perché la loro formazione non ebbe i caratteri intransigenti con cui si formò il partito bolscevico, e come si formò successivamente il partito comunista d’Italia; portarono con sé tutti i pregiudizi borghesi sul principio della democrazia e sul metodo organizzativo democratico, vere infezioni letali che riuscirono a erodere – partendo dalla questioni politiche e organizzative più legate all’attività contingente e alla situazione del movimento proletario nei diversi paesi rispetto agli attacchi sistematici dei poteri borghesi – le barriere teoriche e programmatiche dall’interno stesso dei partiti e dell’Internazionale.

Non è stato un caso che, per battere il bolscevismo di Lenin, la controrivoluzione abbia utilizzato anche l’insidiosa arma dell’opportunismo classico, la socialdemocrazia riformista e nazionalista che, contro la vittoria rivoluzionaria in Russia e la straordinaria combattività del proletariato, in particolare in Germania, aveva partorito tendenze massimaliste che usavano una fraseologia estremista e rivoluzionaria al solo scopo di coprire la loro vera attitudine conciliatrice e, sostanzialmente, conservatrice del sistema capitalistico di produzione. E, mentre in Russia, la dittatura proletaria – consapevole della spinta storica che subiva l’economia arretrata russa nell’evolversi nelle forme capitaliste –, produceva il massimo sforzo nel dominarne lo sviluppo, agiva contemporaneamente nel sostegno e nella direzione delle forze rivoluzionarie europee e mondiali – attraverso l’Internazionale Comunista, costituita per guidare la rivoluzione internazionale e non per «costruire socialismo nella sola Russia» – al fine di spezzare l’isolamento in cui gli imperialisti la stavano chiudendo e di prepararsi a resistere anche per decine d’anni (dai vent’anni di buoni rapporti con i contadini di Lenin ai cinquant’anni di Trotsky) affinché i partiti comunisti, membri dell’Internazionale Comunista, avessero il tempo di prepararsi a loro volta, e di preparare il proletariato dei loro paesi, a sfruttare le successive occasioni storiche favorevoli. Come, ad esempio, la situazione in Inghilterra, con lo sciopero generale dei minatori del 1926 a cui si aggregarono tipografi, trasportatori, ferrovieri, edili ecc., e i tentativi rivoluzionari in Cina (Shanghai e Canton soprattutto) nel 1927, oggettivamente potevano essere sfruttate a vantaggio del movimento rivoluzionario mondiale. Ma, a quell’epoca, la degenerazione dell’Internazionale Comunista, in un crescendo drammatico passando dal fronte unico «politico» all’accettazione nell’Internazionale dei partiti «simpatizzanti» e al governo «operaio e contadino», era giunta a tal punto da abbandonare sia i movimenti di sciopero inglesi che i tentativi rivoluzionari in Cina al tragico destino di essere paralizzati, deviati e, infine, sconfitti da una strategia che puntava a difendere non gli interessi della rivoluzione proletaria mondiale, ma gli interessi dello Stato russo come dimostrato dal sostegno dato dalla politica sovietica al Comitato anglo-russo e alla direzione superopportunista delle Trade Unions contro il partito comunista inglese, e al Kuomintang di Chang-Kai-Shek contro il partito comunista cinese.

Il programma del comunismo rivoluzionario del 1919 alla fondazione dell’Internazionale Comunista, e ribadito con forza nel II congresso del 1920, dopo aver subito, ad opera delle tendenze opportuniste, uno strappo dopo l’altro sui punti fondamentali di tattica e di organizzazione, veniva così definitivamente seppellito sotto la nuova, e controrivoluzionaria, teoria del «socialismo in un solo paese».

Era evidente, per la Sinistra comunista d’Italia, che la questione centrale per i comunisti rivoluzionari, che all’epoca non avevano ceduto alla terza ondata opportunista rappresentata dallo stalinismo, era di riprendere la lotta per restaurare la teoria marxista, i principi e il programma del comunismo rivoluzionario; come era evidente che tale opera avrebbe richiesto molto tempo e, certamente, una lunga discussione con tutti i compagni che all'epoca si opponevano alla deriva stalinista.

Come scriveva Amadeo Bordiga a Karl Korsch nel 1926 (9) se, da un lato, era doveroso dire che: «Non si può dire che la “rivoluzione russa è una rivoluzione borghese”. La rivoluzione del 1917 è stata una rivoluzione proletaria, benché sia un errore generalizzarne le lezioni “tattiche”», dall'altro, era decisivo – posto il problema «di che cosa avvenga della dittatura proletaria in un paese, se non segue la rivoluzione negli altri paesi» – considerare tre ipotesi storicamente palusibili: «Vi può essere una controrivoluzione, vi può essere un intervento esterno, vi può essere un corso degenerativo di cui si tratta di scoprire e definire i sintomi e i riflessi entro il partito comunista».

La controrivoluzione dei generali bianchi c’era già stata, insieme all’intervento esterno dei paesi imperialisti, scatenando una guerra civile che durò 3 anni e che, alla fine, fu vinta dall’Armata Rossa nel 1921. Questa vittoria, però, non bastò a sciogliere tutti i nodi in cui erano intrappolate le correnti comuniste europee, in particolare in Germania, in Francia, in Inghilterra, in Austria, in Ungheria, in Polonia. I proletariati d’Europa avevano dimostrato prima, durante e dopo la guerra mondiale di muoversi sul terreno della lotta classista con spirito combattivo e con grande sacrificio, ma non poterono contare su partiti di classe formati, capaci e pronti a dirigerne le forze in senso esclusivamente rivoluzionario. L’appuntamento storico con la rivoluzione proletaria non veniva colto in quei turbolenti anni, ma il movimento comunista mondiale, che si era radunato intorno al partito bolscevico di Lenin e all’Internazionale Comunista fondata sulla grande vittoria rivoluzionaria in Russia, aveva davanti a sé ancora la possibilità di tornare ad attaccare le fortezze imperialiste sull’onda sia delle lotte dei popoli coloniali contro le metropoli colonialiste, sia delle lotte rinnovate del proletariato in Europa di cui lo sciopero dei minatori inglesi del 1926 era un vivo esempio.

Quel che mancò alla dittatura proletaria e comunista in Russia fu l’apporto decisivo della rivoluzione proletaria in Europa, perché mancò la presenza e la direzione di partiti comunisti saldi nel possesso della teoria, nel programma, nella tattica e nell’organizzazione. L’unico partito comunista d’Europa che si costituì su quelle basi solide fu il Partito Comunista d’Italia, nel gennaio 1921, che affondava le sue radici sia di teoria che di prassi nella lunga battaglia contro il culturalismo, la massoneria, il riformismo e, ultimo ma non meno importante, il massimalismo, che si rivelò molto più insidioso del riformismo alla Turati.

Ma, contro il peso storico che aveva il movimento operaio tedesco e francese, e quindi il corrispondente peso politico che avevano i partiti operai tedesco e francese e, di conseguenza, i partiti comunisti formatisi dopo la fine della prima guerra mondiale (nel 1918 il partito in Germania, preceduto dalla Lega Spartaco, nel 1920 in Francia), il PCd’Italia, pur formatosi nel 1921 con una scissione «alla bolscevica» (teoricamente e politicamente intransigente) dal Psi riformista e legalitario, per le stesse vicende storiche che ponevano le borghesie imperialiste tedesca e francese in posizione decisiva a livello mondiale – e perciò anche la lotta dei rispettivi proletariati – non ebbe all’interno dell’Internazionale di allora la rilevanza che le sue tesi e il suo comportamento nella preparazione rivoluzionaria avrebbero meritato.

La battaglia contro ogni cedimento di carattere opportunista, iniziata dalla corrente della Sinistra comunista d’Italia all’interno dell’Internazionale fin dal suo primo intervento al congresso del 1920, e continuata di fronte ad ogni strappo dal programma originario, non è stata condivisa nei suoi concetti di base e fino in fondo né dai capi dell’Internazionale, né dai rappresentanti dei partiti aderenti. Gli ammonimenti e l’opposizione della Sinistra comunista d’Italia rispetto alle tesi sul fronte unico politico, sul governo «operaio» e tanto più sul governo «operaio e contadino», sulla disciplina formale e burocratica della cosiddetta «bolscevizzazione» – ben inquadrati nell’articolo di Amadeo Bordiga del 1925, Il pericolo opportunista e l’Internazionale (10) – non sono stati presi in considerazione dai capi dell’Internazionale se non per accusarla di dogmatismo, di settarismo. Ma, quando l’attacco al corpo teorico fondamentale del marxismo fu dato con la teoria del socialismo in un solo paese, tra tutti i rappresentanti comunisti europei fu solo Bordiga ad opporsi decisamente, faccia a faccia, a Stalin; mentre, tra i grandi rivoluzionari artefici della rivoluzione proletaria in Russia, Trotsky, Zinoviev, Kamenev furono quelli che si opposero più tenacemente alla teoria del «socialismo in un solo paese», purtroppo con grave ritardo e appesantiti dalla precedente condivisione di molti cedimenti tattici e politici.

Nel quindicennio, tra il 1912 e il 1926, la Sinistra comunista d’Italia ha dimostrato in tutto il suo lavoro, la sua attività, i suoi interventi, i suoi scritti e il suo comportamento all’interno del PSI fino alla scissione del 1921, all’interno del Partito Comunista d’Italia dalla sua fondazione fino alla sua sostituzione alla direzione da parte dell’Internazionale, fino alla sua epulsione da parte della direzione stalinista, di aver sempre seguito un’intransigenza dottrinaria e politica applicata con coerente disciplina comunista, e di non avere mai ceduto a personalismi, sentimentalismi o a moralismi, ma di non aver mai nascosto o mitigato le proprie posizioni, saldamente ancorate al marxismo, in ogni situazione e in ogni ambito. La sua stessa storia ha dimostrato di essere l’unica corrente marxista in grado di rappresentare la continuità teorica, programmatica e politica del partito di classe nelle più diverse situazioni, nelle battaglie di classe contro il riformismo e il democratismo, nelle battaglie politiche e pratiche contro il fascismo e contro ogni cedimento dell’Internazionale sul piano politico e organizzativo, fino al tragico cedimento sul piano teorico e programmatico che portò l’Internazionale comunista ad essere uno strumento della controrivoluzione borghese che, nei confronti del movimento comunista internazionale, prese la definizione di stalinista. Perché Stalin, dopo la morte di Lenin, a capo dell’apparato statale e di partito, fu, con la sua opera, in Russia e a livello mondiale, il micidiale arnese della vittoria controrivoluzionaria che seppellì la rivoluzione d’Ottobre, la dittatura proletaria che sulla vittoria del 1917 fu instaurata in Russia e l’Internazionale comunista come partito mondiale della rivoluzione proletaria.

Il movimento politico comunista poteva rinascere soltanto sulla base del bilancio della rivoluzione e della controrivoluzione.

Solo la corrente della Sinistra comunista d’Italia, data la sua storica intransigenza dottrinaria e le sue battaglie di classe nei diversi ambiti, poteva svolgere questo bilancio nello stesso tempo in cui lo svolto storico che si concludeva con la partecipazione dei proletariati di tutti i paesi e della Russia «sovietica» stessa alla seconda guerra imperialistica mondiale poneva il problema storico della restaurazione del marxismo dalla sue fondamenta teoriche.

 

SULLA LINEA STORICA DELLA SINISTRA COMUNISTA

 

Nel luglio 1946, esce il primo numero della rivista «Prometeo», edita dal Partito comunista internazionalista che, dal 1945, aveva «battaglia comunista» come suo organo. Finita la guerra, e con la libertà di spostarsi su tutto il territorio italiano, tra il 1945 e il 1946, in diversi incontri tra compagni della vecchia guardia della Sinistra comunista che fondò il Partito comunista d’Italia nel gennaio 1921, ci fu la possibilità di incontrare anche Amadeo Bordiga che, dopo i periodi di confino a cui era stato costretto dal fascismo e terminata la stretta sorveglianza, aveva fatto ritorno a Napoli. E’ da quel luglio 1946 che Amadeo Bordiga inizia a collaborare regolarmente con il Partito comunista internazionalista con propri scritti, sebbene da più di un anno avesse avuto scambi di opinioni e incontri con diversi compagni della vecchia guardia impegnati a riunire i gruppi internazionalisti che, in Italia, a causa delle vicende della guerra, erano divisi tra il Nord, Roma e il Sud; un primo documento, la Piattaforma politica del partito (11), al quale Bordiga diede il suo contributo, uscì infatti nel 1945.

Dalle discussioni avute all’epoca, emerse indispensabile la messa a punto di un lavoro di bilancio della rivoluzione russa e della controrivoluzione staliniana, lavoro che non poteva se non affondare le radici sulle battaglie di classe che avevano distinto la Sinistra comunista, ma che avrebbe avuto bisogno di un lungo lavoro di ripresa di tutti gli aspetti teorici, di principio, programmatici, politici, tattici e organizzativi del marxismo in generale e dell’esperienza «russa» e «internazionale» in particolare. La Sinistra comunista d’Italia aveva un vantaggio rispetto a qualsiasi altra corrente di opposizione allo stalinismo (trotskista, gorteriana, buchariniana o altro), proprio perché la sua linea storica non aveva mai deviato dalla restaurazione del marxismo rivoluzionario contro tutti i revisionismi opportunisti, a cominciare dalle battaglie di classe contro il riformismo turatiano e il massimalismo sinistrorso alla Serrati, per proseguire poi nello stesso solco della restaurazione del marxismo dovuta a Lenin. Ed è grazie a quelle radici che il comunismo rivoluzionario nacque in Italia già adulto e fu in grado di preparare la scissione dai riformisti e dai massimalisti del PSI per costituire il Partito Comunista d’Italia «alla bolscevica» – come diciamo noi – data la sua caratteristica intransigenza dottrinaria e la contemporanea capacità di valutare gli eventi storici al di fuori di schematismi preconcetti. Non per nulla la Sinistra comunista d’Italia fu in grado di valutare anzitempo il fenomeno del fascismo come espressione non di una regressione storica del capitalismo, ma come la sua espressione più avanzata e moderna, o le pericolose insidie rappresentate da piccoli, ma non insignificanti, cedimenti sul terreno democratico e dalle alleanze con altri movimenti politici, cedimenti che, nel corso degli anni Venti del secolo scorso, portarono inesorabilmente, nel giro di sei anni, alla degenerazione il Partito bolscevico, l’Internazionale Comunista  e tutti suoi partiti membri.

Ebbene, il primo testo teorico-programmatico ufficiale e pubblico con cui il Partito comunista internazionalista si presentò è stato il Tracciato d’impostazione, scritto da Amadeo Bordiga e pubblicato nel n. 1 della citata rivista «Prometeo» (12). Questo testo si distingue dalla Piattaforma del 1945, pur riprendendone il grosso dei temi svolti, perché si limita ad una serie organica di affermazioni teorico-politiche che, per l’appunto, tracciano «con la maggior chiarezza l’indirizzo della pubblicazione. Enuncia soltanto, in modo da fissare i cardini principali, e col fine di evitare confusione ed equivoci, involontari o organizzati». Non sfugga il fatto che qui si parla di indirizzo della pubblicazione, e  non di «indirizzo del partito»; é certamente una differenza sottile, visto che «Prometeo» è una pubblicazione del Partito comunista internazionalista, ma esprime il fatto che Bordiga, pur essendo proiettato al lavoro di bilancio della rivoluzione russa e della controrivoluzione nell’ambito di un lavoro collettivo a carattere di partito, ed avendo la capacità teorica e politica per dedicarvi le proprie energie, era contrario alla frettolosa costituzione formale del «partito», che invece era fortissimamente voluta da Damen e da molti compagni anche della Frazione all’estero che, finita la guerra, rientravano in Italia. La questione, per Bordiga, era di contenuto, non di forma, perché la ricostituzione del partito di classe, dopo la sua completa distruzione ad opera dello stalinismo, doveva essere il risultato della restaurazione del marxismo rivoluzionario che lo stalinismo aveva falsificato e sfigurato totalmente. Restaurazione che non poteva limitarsi alla ripubblicazione del programma del Partito comunista d’Italia del 1921, né alla continuità «fisica» dei compagni della vecchia guardia e del loro lavoro politico condotto dalla Frazione di sinistra all’estero che, in più occasioni, in realtà, aveva assunto posizioni errate (13). Si trattava di riprendere l’abc del marxismo, a partire dal Manifesto del partito comunista di Marx-Engels, ed il Tracciato serviva, giustappunto, a fissare i cardini principali dell’indirizzo politico che il movimento doveva prendere. Non si poteva non riconoscere che i termini di marxismo, socialismo, comunismo, movimento politico della classe proletaria sono stati abusati in tutti i modi, e che questo abuso aveva creato una grandissima confusione tanto che partiti e movimenti completamente fuori da ogni indirizzo classista e rivoluzionario, o addirittura movimenti conservatori e borghesi, osavano, e osano ancor oggi, dirsi comunisti o marxisti. Ma questi abusi non hanno spinto la corrente di Sinistra comunista ad abbandonare ai nemici di classe e agli opportunisti revisionisti questi termini, termini del cui significato storico invece si è fatta carico di difendere strenuamente, come d’altra parte dei temini di rivoluzione proletaria, dittatura del proletariato, Stato proletario, terrore rosso, ridando loro il pieno significato dal punto di vista del marxismo non adulterato.

Perciò, fin dall’inizio, il Tracciato ha fissato con chiarezza la linea storica a cui il Partito comunista internazionalista si è richiamato, e non poteva essere che la seguente:

«il Manifesto dei Comunisti del 1848 (intitolato anche esattamente Manifesto del partito comunista, senza aggiunta di nome di nazione); i testi fondamentali di Marx ed Engels; la classica restaurazione del marxismo rivoluzionario contro tutti i revisionismi opportunisti, che accompagnò la vittoria rivoluzionaria in Russia, e i testi fondamentali leninisti: le dichiarazioni costitutive della Internazionale di Mosca nel I e II congresso; le posizioni sostenute dalla sinistra nei congressi successivi dal 1922 in poi. Limitatamente all’Italia, la linea storica si ricollega alla corrente di sinistra del Partito Socialista durante la guerra 1914-18, alla costituzione del Partito Comunista d’Italia a Livorno nel gennaio 1921, al suo congresso di Roma 1922, alle manifestazioni della sua corrente di sinistra prevalente fino al congresso di Lione nel 1926, e successivamente fuori del partito e del Comintern ed all’estero».

All’epoca, nella lotta contro lo stalinismo, si erano distinti in particolare Trotzky e il movimento che da lui prese il nome, ed anche da questo movimento era necessario distinguersi nettamente. Ecco perché, dopo aver condensato nelle poche righe riportate sopra, nel Tracciato Bordiga ritenne necessario aggiungere: «Questa linea non coincide con quella del movimento trotzkista della IV Internazionale. Tardivamente Trotzky e più tardivamente Zinoviev, Kamnev, Bucharin e gli altri gruppi russi della tradizione bolscevica, reagirono alla tattica errata che fino al 1924 avevano sostenuta e riconobbero che la deviazione si aggravava fino a travolgere i principi politici fondamentali del movimento. I trotzkisti di oggi si richiamano alla restaurazione di quei principi, ma non hanno chiaramente rigettati gli elementi dissolventi della tattica “manovristica” falsamente definita come bolscevica e leninista».

L’obiettivo generale del Tracciato era, quindi, dare una sintesi «dei cardini della nostra dottrina, il materialismo dialettico, e della loro corretta applicazione non solo all’analisi del succedersi dei modi di produzione, e del ciclo rivoluzionario, riformista e controrivoluzionario percorso da ciascuno, ma alla precisazione della strategia e della tattica del movimento comunista lungo la parabola sciaguratamente più che secolare del modo di produzione capitalistico e delle forme di spietato dominio mondiale della classe borghese sul proletariato». Esso, come abbiamo sempre ribadito, non dimostra ma afferma, non discute ma proclama, «traccia le vie – sempre quelle da un secolo – di una milizia rivoluzionaria in inflessibile marcia contro corrente, chiamata a ritrovare le armi della sua battaglia futura lungo la strada, gloriosa anche nella sconfitta, delle generazioni passate». E’ una traccia da seguire, un’impostazione da tradurre in atto (14).

Il Tracciato d’impostazione è, di fatto, un testo programmatico, sulla base del quale si sono poi sviluppati tutti i temi in esso contenuti, per i quali particolare attenzione sarà dedicata alla «questione russa» sia dal punto di vista della rivoluzione proletaria e delle sue prospettive mondiali, sia dal punto di vista della controrivoluzione che, con la «teoria del socialismo in un paese solo», rinnegherà completamente il marxismo decretando il seppellimento della rivoluzione d’Ottobre, la degenerazione dell’Internazionale Comunista  e il tradimento del movimento rivoluzionario mondiale.

Le vicende storiche che seguirono alla rivoluzione d’Ottobre e che si caratterizzarono per la debolezza teorico-politica del movimento comunista europeo, appesantita dai pregiudizi sulla democrazia non solo dal punto di vista del metodo organizzativo, ma anche dal punto di vista della visione politica generale, mostrano come l’intera guida del movimento comunista internazionale pesasse sulle spalle del solo Partito bolscevico. Sebbene fosse una necessità urgente sentita da tutte le correnti comuniste europee, a partire da Rosa Luxemburg e dalla stessa Sinistra del PSI, la ricostituzione dell’Internazionale, dopo il tradimento della Seconda di fronte alla guerra imperialista, non poteva che basarsi sull’iniziativa e sulla forza del Partito bolscevico di Lenin. Infatti, in piena guerra civile, in cui le armate bianche dei Kaledin, Kornilov, Wrangler, Denikin, Kolciak, Judenic, sostenute e foraggiate da tutti gli imperialismi: tedesco, francese, inglese, giapponese, statunitense, alleati – sebbene tra di loro in guerra – tentavano di abbattere il potere sovietico, è il Partito comunista bolscevico ad organizzare, nel 1919, il primo congresso nella nuova Internazionale, che si chiamerà Internazionale Comunista, come comunisti erano tenuti a chiamarsi tutti i partiti ad essa aderenti, proprio per distinguersi dai termini «socialista» e «socialdemocratico» che i partiti della Seconda Internazionale col loro tradimento infangarono.

L’apporto da parte del movimento comunista europeo all’Internazionale Comunista e al Partito bolscevico avrebbe dovuto rafforzare sia politicamente che tatticamente la nuova Internazionale; avrebbe dovuto, sulla base dell’esperienza pluridecennale della lotta nel paesi avanzati dove la democrazia borghese dominava, portare argomenti ed esempi reali proprio sulla base della lotta contro il sostegno alla guerra imperialista di entrambi i fronti bellici e, in particolare, della lotta in ambiente politico e sociale democratico, rilevando tutte le infinite trappole e le illusioni alimentate da questo ambiente. Salvo l’apporto, in questo senso, dato dalla Sinistra del PSI (la nostra corrente di Sinistra comunista) e dal Partito comunista serbo, con la loro netta opposizione alla guerra e alla democrazia borghese, tutte le altre correnti di sinistra rivelarono una reale debolezza teorica e l’incapacità di liberarsi totalmente dall’influenza del metodo democratico sia nella prospettiva politica che nell’organizzazione del partito. Lo stesso Partito comunista tedesco, pur esprimendo compagni di grandissima levatura come Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, e pur confrontato con un proletariato magnificamente e tenacemente combattivo, non riuscì a rompere definitivamente con le illusioni di una democrazia che si volle «proletaria», ma che era figlia della democrazia borghese, e che metteva in primo piano l’unità organizzativa di un partito con una grande storia alle spalle, e in secondo piano la chiarezza teorica e programmatica di un partito che doveva invece dimostrare al proletariato di aver rotto qualsiasi legame, anche solo ideologico, con le politiche e le pratiche della vecchia socialdemocrazia.

I deliberati del I e del II congresso dell’Internazionale Comunista, dovuti esclusivamente ai bolscevichi e basati sulla loro esperienza diretta nella lunga lotta contro lo zarismo, contro la guerra, contro ogni deviazione anarchica, socialrivoluzionaria, plechanoviana e nella dura e permanente opera di restaurazione del marxismo, sono, come detto, rivendicati pienamente dalla nostra corrente, ed anche le tesi sul parlamentarismo rivoluzionario, dovute a Lenin e difese strenuamente da Bucharin e da Trotzky. Questa tattica, che teneva conto della grande influenza che la democrazia parlamentare aveva ancora sulla grandissima parte del proletariato europeo, aveva «carattere completamente opposto alla vecchia pratica socialdemocratica e con l’obbiettivo di svolgere la propaganda e l’agitazione rivoluzionaria, di affrettare il disgregamento degli organi della democrazia borghese» (15), ossia la distruzione del parlamento, ma utilizzandolo come tribuna generale dalla quale far conoscere le posizioni e le critiche dei comunisti alla grande maggioranza del proletariato, dimostrando che, in realtà, non era da questa tribuna che ci si poteva aspettare la conquista del potere politico e che, perciò, non veniva sospesa, ma rafforzata, la preparazione rivoluzionaria del partito e del proletariato nella lotta diretta sul terreno immediato come su quello politico più generale.

Chi ci segue sa che la Sinistra comunista d’Italia sostenne con forza le proprie posizioni e le ragioni dell’astensionismo elettorale e della lotta contro la democrazia parlamentare, ma che accettò la tattica del parlamentarismo rivoluzionario, votata a maggioranza, in quanto tattica non esclusiva della preparazione rivoluzionaria del partito e i cui risultati avrebbero dovuto essere verificati e valutati nei congressi successivi. L’ammonimento della nostra corrente mise in rilievo il timore che, nei paesi europei in cui la democrazia borghese dominava da molto tempo, il parlamentarismo tout court primeggiasse sulla parte tattica «rivoluzionaria» per la quale, in effetti, l’esperienza storica che i bolscevichi portavano a suo sostegno non era equiparabile a quella dei paesi di lunga democrazia e, in ogni caso, era legata fortemente alle condizioni storiche in cui la rivoluzione russa del Febbraio e dell’Ottobre si svolse, quelle appunto di una rivoluzione doppia, nella quale all’ordine del giorno dal punto di vista economico e sociale c’era la rivoluzione borghese in cui la partecipazione dei contadini assumeva un peso vitale per il suo successo; una rivoluzione borghese in cui si era inserita la lotta rivoluzionaria del proletariato e che poteva, come avvenne, trascrescere in rivoluzione proletaria a condizione che la guida rivoluzionaria fosse presa interamente ed esclusivamente dal partito proletario di classe. Era evidente anche ai bolscevichi la differenza delle condizioni storiche della rivoluzione proletaria in Russia e in Europa; la tattica perseguita del parlamentarismo rivoluzionario tendeva ad approfittare anche di questo strumento per accelerare la preparazione rivoluzionaria dei partiti nei paesi occidentali, allargandone l’influenza sugli strati proletari che seguivano ancora i partiti socialisti riformisti. L’isolamento del potere bolscevico e l’assedio da parte di tutte le forze dell’imperialismo mondiale, insieme alle lotte del proletariato europeo, in particolare in Germania, in Ungheria, in Italia, che non sfociavano in una reale rivoluzione internazionale, spingevano i bolscevichi a tentare tattiche audaci che, adottate in Russia, ad esempio con i socialisti rivoluzionari, avevano un senso storico strategico decisivo viste le condizioni storiche di rivoluzione democratico-borghese, ma che, trasferite nei paesi occidentali – come ad esempio il «fronte unico politico» – comportavano inevitabilmente dei cedimenti sul piano teorico-programmatico e, quindi, sul piano politico.

La nostra corrente ha sempre difeso strenuamente il ruolo egemonico del proletariato nella rivoluzione antifeudale ed antizarista perseguita da Lenin e dal Partito bolscevico, vero filo conduttore che, attraverso la «prova generale» del 1905, gli anni della reazione, la prima guerra mondiale e la rivoluzione di febbraio, ha portato senza soluzioni di continuità alla vittoria proletaria e socialista dell’Ottobre 1917, all’instaurazione della dittatura proletaria guidata dal partito bolscevico, al trionfo su tutti i nemici, interni ed esterni, nella guerra civile, e ai primi anni della NEP. In tutto ciò si riconosce che il partito di classe in Russia era cosciente di doversi assumere i compiti propri di una rivoluzione democratico-borghese, ma spinta fino in fondo, e di essere, ad un tempo, il reparto d’avanguardia della rivoluzione proletaria mondiale alla quale dedicava le sue migliori energie e dalla cui vittoria si attendeva il passaggio, altrimenti impossibile, della stessa Russia al socialismo.

Questa linea venne dapprima interrotta, poi capovolta, dalla controrivoluzione borghese che chiamammo staliniana, il cui sbocco ultimo fu la costruzione non del «socialismo» nella sola Russia – secondo il marxismo storicamente impossibile in un solo paese se anche fosse capitalisticamente avanzato – ma di una struttura economica e sociale pienamente capitalistica alla quale corrispondeva una sovrastruttura politica, ideologica e giuridica pienamente borghese, tuttora in piedi. Le vicende russe e mondiali hanno dato ragione alla Sinistra comunista d’Italia: quei cedimenti e quelle tattiche ardite al di fuori di una valutazione corretta della situazione non potevano che portare alla sconfitta della rivoluzione proletaria in Russia e nel mondo, il bilancio della quale doveva far da base alla rinascita del movimento comunista internazionale dopo che una seconda e più tragica guerra imperialista mondiale ricacciò il movimento proletario internazionale nelle braccia dei nazionalismi e della collaborazione interclassista, operazione che riuscì grazie allo strangolamento della dittatura proletaria bolscevica per mano degli stessi traditori stalinisti e alla falsificazione di tutti i cardini del marxismo riassunta nella «teoria del socialismo in un solo paese».

Ma il bilancio della sconfitta della rivoluzione proletaria in Russia e nel mondo, non poteva essere tirato se non ricollegandosi al marxismo originario e non adulterato, e questo ricollegamento dipendeva dall’opera di restaurazione della teoria marxista allo stesso modo in cui la fece Lenin, ma in un quadro storico internazionale molto più sfavorevole di quello in cui agirono Lenin e i comunisti rivoluzionari dei primi decenni del Novecento.

 

Il programma del partito di classe

 

E’ parte integrante del grande lavoro di restaurazione della dottrina marxista e dell’organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, la definizione del programma del partito che tenesse conto dello svolgimento reale della rivoluzione e della controrivoluzione. Non bastava, infatti, che il gruppo di compagni della Sinistra comunista d’Italia che intendevano lavorare per la ricostituzione del partito riproponessero, alla fine della seconda guerra mondiale, pari pari il programma del Partito Comunista d’Italia del 1921. La degenerazione dell’Internazionale Comunista e dei partiti che ne facevano parte, fino alla teoria del «socialismo in un solo paese», col corollario di fronti popolari e blocchi partigiani e nazionali e la partecipazione alla guerra imperialista della Russia sedicentemente bolscevica e comunista, avevano sconvolto completamente il quadro mondiale in cui il movimento proletario e il movimento comunista erano stati tragicamente sconfitti e da questa sconfitta dovevano rinascere.

Perciò il programma del partito di classe che doveva essere ricostituito non poteva rimanere formalmente lo stesso del 1921, formulato in un periodo in cui la rivoluzione proletaria aveva vinto in Russia e la dittatura di classe instaurata rappresentava la guida reale dell’attesa rivoluzione proletaria internazionale alla cui preparazione erano chiamati tutti i partiti aderenti all’Internazionale Comunista. Il programma di Livorno 1921 rifletteva interamente l’indirizzo dell’Internazionale Comunista dei suoi primi due congressi, e i principi in esso contenuti erano sempre validi nella loro duplice natura di cardini invarianti ed internazionali del movimento. Il programma lega la teoria e l’azione del partito, è da entrambe inseparabile e quindi anche dalla agitazione e propaganda (16): è la sintesi che Amadeo Bordiga dà in una sua lettera del 1952, ma non può prescindere dagli eventi storici in cui i rapporti di forza tra le classi, e in particolare i rapporti di forza tra borghesia e proletariato, cambiano radicalmente, ponendo nei fatti il problema teorico della valutazione della situazione generale completamente modificata e della formulazione ancor più netta degli obiettivi e dei compiti del partito comunista rivoluzionario senza rinnegare, anzi ribadendo con più forza, la linea storica da cui discende.

In una riunione generale di partito del 1972, nel rapporto intitolato «Tattica e organizzazione sono inscindibili dai principi», si cita Lenin in uno dei suoi interventi al III Congreso dell’I.C., in polemica con Terracini sui concetti di maggioranza, massa, offensiva, quando precisa con nettezza cristallina: «I principi non sono il fine, non sono il programma, non sono la tattica e non sono la teoria. La tattica e la teoria non sono i principi» (17); Lenin sostiene che teoria, fine, programma, principi, tattica del partito comunista mondiale sono aspetti e momenti diversi della funzione del partito, ma tra di loro sono dialetticamente uniti. I principi del comunismo consistono nell’instaurazione della dittatura del proletariato e nell’impiego della costrizione statale nel periodo di transizione dal capitalismo al socialismo, mentre il fine della lotta rivoluzionaria è la società senza classi e quindi senza Stato, cioè il punto d’arrivo di tutto il ciclo destinato a condurre al comunismo. Principi e fini non sono la stessa cosa; infatti ci distinguiamo dagli anarchici non sul fine ultimo – anche loro, almeno quelli ortodossi, lottano per una società senza classi e senza Stato – ma sono del tutto contrari ai principi della dittatura di classe, del terrore, dello Stato proletario e, naturalmente, sono contrari al partito di classe come organo della rivoluzione proletaria e come unico organo politico ad esercitare la dittatura proletaria in ogni paese in cui la rivoluzione proletaria ha vinto e per tutto il periodo di transizione dal capitalismo al socialismo. Ecco perché non basta condividere il fine per essere comunisti, ma bisogna condividere senza alcuna riserva anche i principi che, per il marxismo, quindi per Lenin come per noi, sono invarianti.

Che cosa distingue la teoria dal programma? Riprendiamo dal Rapporto or ora citato: «La teoria, o dottrina del partito, tratta della storia della società umana e del suo concatenamento; comprende quindi il fine e i principi, ma non si esaurisce in essi, né la sua accettazione “intellettuale” coincide di per sé con l’adesione a quella milizia che è il partito. Essa è carne e sangue del partito non meno dei principi», per Marx ed Engels come per Lenin e come per la nostra corrente di Sinistra comunista. La teoria, basandosi sul materialismo storico e dialettico e proprio perché tratta della storia della società umana, è universale, e suoi dettami valgono sotto ogni cielo. Senza teoria rivoluzionaria il proletariato non è nulla, è una formula classica del marxismo; ma si può aggiungere che senza teoria rivoluzionaria anche il partito proletario non è nulla, perché senza di essa non ci sarebbe azione rivoluzionaria.

Dunque, fine e principi sono contenuti nella teoria, e il programma? «Il programma è la formulazione della prospettiva d’azione prossima – nel senso storico e non pettegolo – del partito: non è la teoria e non è i principi, ma non può contraddire né l’una né gli altri, che al contrario ne costituiscono le basi; ed è a sua volta inderogabile».

E’ esattamente su queste fondamenta che è si è basata l’Internazionale Comunista che, al suo II congresso del 1920, fissò anche le Condizioni di ammissione valide per tutti i partiti che volevano aderire e che li vincolavano – come insistette la Sinistra comunista d’Italia – ad accettarle tutte, insieme alle tesi dell’I.C. che sono in sostanza gli accapi del programma del partito comunista mondiale. Chi non accettava anche una sola di quelle 21 condizioni o delle tesi dell’I.C., non poteva far parte dell’Internazionale e, se aveva aderito in precedenza, veniva espulso.

Nella visione di Marx, Engels, Lenin e nostra, teoria-fine-principi-programma sono un tutto unico che, pur rispondendo a funzioni diverse, formano un solo blocco, invariante e vincolante.

Ogni partito comunista che andava formandosi in quegli anni doveva avere lo stesso programma e applicarlo attraverso l’azione, quindi con una tattica che, nello stesso tempo, non entrasse in contraddizione col programma e che tenesse conto del reale rapporto di forze esistente nel paese in cui agiva. Se è vero che il proletariato, come afferma il Manifesto del 1848, se la deve vedere prima di tutto con la propria borghesia, è evidente che il partito di classe debba preparare e guidare il proletariato innanzitutto nel proprio paese per rovesciare la classe dominante borghese del paese stesso. Ma la visione e il fine del partito di classe non sono limitabili nei confini di un paese, ma sono inerenti alla società umana mondiale, e il programma che caratterizza il partito di classe conferma questa sua universalità. Anche la sua tattica, che dal programma discende, pur tenendo conto delle diverse situazioni storiche delle grandi aree geo-politiche e delle fasi della lotta fra le classi, non può essere un elemento staccato, a sé stante, per il quale le decisioni vengano prese autonomamente dalle sezioni nazionali dell’Internazionale, o addirittura dalle sezioni regionali o locali. Anche su questo tema la Sinistra comunista d’Italia diede un importante contributo all’I.C. quando insistette perché le Norme tattiche fossero fissate internazionalmente e fossero inderogabili.

Le Tesi di Roma del PCd’I del 1922, definiscono molto chiaramente che non si può tracciare un unico binario tattico; il gioco complesso delle forze sociali, delle classi e delle mezze classi e dei partiti, richiede che si tenga conto di fasi di avanzata o di rinculo della lotta di classe, di fasi di offensiva o difensiva e delle aree in cui quel gioco complesso si attua. Ma tutto ciò può e deve essere previsto dal partito, in forza propria della teoria scientifica che possiede, il che gli dà l’obbligo di fissare una “rosa” delle eventualità e delle “alternative” tattiche «in modo bensì multiplo ma senza mai infrangere il legame coi principi – quindi con la teoria e il programma – ed anzi commisurando ad essi ogni soluzione». Le questioni tattiche, inoltre, non potranno che essere risolte sempre centralmente, condizione sine qua non per risolverle internazionalmente. Ma della questione della tattica, e dell’organizzazione, parleremo in articoli successivi.

 

IL PROGRAMMA DEL PARTITO NON CAMBIA, NÉ OGGI NÉ DOMANI

 

Il partito, quindi, dalla sua ricostituzione nel secondo dopoguerra, doveva recepire nel suo programma tutti i punti contenuti del Programma di Livorno 1921, ma doveva, nello stesso tempo, recepire pienamente la valutazione della «situazione del mondo capitalistico e del movimento operaio dopo la seconda guerra mondiale», come dichiarato nel piccolo cappello inserito a partire dal punto 8 del programma del Partito comunista internazionale. Tra il 1921 e il 1945 il mondo capitalistico era riuscito a recuperare e vincere le forze del proletariato internazionale e, con il fascismo e il nazismo, aveva forgiato un più moderno e organizzato controllo totalitario economico, sociale e politico – con «l’aumento del potenziale di polizia e militare dello Stato» – che permise al capitalismo di superare la sua prima crisi sociale mondiale dovuta alla guerra e al suo dopoguerra, e di piegare la forza sociale del proletariato alle proprie esigenze concedendogli in contropartita una serie di misure atte a proteggerlo da un generale peggioramento delle sue condizioni di vita e di lavoro. Il fascismo non fu una regressione della società borghese alla situazione pre-borghese, pre-liberale, ma l’espressione più avanzata sul piano politico, economico e sociale del capitalismo imperialistico. Le forze dell’opportunismo che portarono alla degenerazione l’Internazionale Comunista, il Partito bolscevico e tutti i partiti ad essa aderenti, cavalcarono le «interpretazioni pacifiche evoluzioniste e progressive del divenire del regime borghese», inneggiando alla lotta contro il fascismo per ripristinare il regime democratico, come se il fascismo fosse un passo indietro nella storia e la democrazia fosse un passo avanti, una transizione necessaria fra capitalismo e socialismo.

Il programma del Partito comunista internazionale, che pubblichiamo regolarmente su ogni numero del giornale, e che, come il «Distingue il nostro partito», è parte integrante dei nostri organi di stampa (18), riprende nei primi 7 punti i principi contenuti in tutti i 10 punti del programma del Partito Comunista d’Italia stabilito a Livorno 1921, a partire dall’antitesi di interessi e dalla lotta di classe fra proletariato e borghesia, dal riconoscimento dello Stato borghese e della democrazia come difesa degli interessi della classe capitalistica, alla necessità storica dell’abbattimento violento del potere borghese per l’instaurazione della dittatura proletaria (Stato proletario) guidata unicamente dal partito comunista rivoluzionario, alla necessaria difesa dello Stato proletario contro tutti i tentativi controrivoluzionari e alla sua funzione di intervento nei rapporti dell’economia sociale con misure indirizzate alla sostituzione del sistema capitalistico con la gestione collettiva della produzione e della distribuzione, avviando la trasformazione economica e di tutte le attività della vita sociale verso la razionale amministrazione delle attività umane con l’inevitabile estinzione dello Stato politico.

I punti 8, 9, 10 e 11 contengono i tratti essenziali di valutazione e di principio – non nuovi, ma più scolpiti – che discendono dalla valutazione della situazione storica caratterizzata dalla definitiva degenerazione dell’Internazionale Comunista e dei partiti ad essa aderenti, dalla teoria del socialismo in un paese solo, dalla partecipazione della Russia e di tutti i partiti «comunisti» alla seconda guerra imperialista, dai fronti popolari e dai blocchi partigiani, dalla lotta per il ripristino della «democrazia» e contro ogni totalitarismo; in sintesi, dalla collaborazione fra le classi che proprio il fascismo istituzionalizzò e che la democrazia post-fascista ereditò in pieno.

E’ diventata perciò centrale la posizione secondo cui, come detto nel punto 8, nel corso della prima metà del secolo ventesimo, «il sistema sociale capitalistico è andato svolgendosi in campo economico con l’introduzione dei sindacati padronali tra i datori di lavoro a fine monopolistico e i tentativi di controllare e dirigere la produzione e gli scambi secondo piani centrali, fino alla gestione statale di interi settori della produzione; in campo politico con l’aumento del potenziale di polizia e militare dello Stato ed il totalitarismo di governo» (in campo economico leggi imperialismo e monopoli, in campo politico leggi fascismo, democrazia blindata). Erano, questi, tipi nuovi di organizzazione sociale, imprevisti e imprevedibili dal marxismo? Assolutamente no, il marxismo ha previsto lo sviluppo del capitalismo nella sua forma monopolista e imperialista a cui giunge il processo di concentrazione economica, nella produzione, nella distribuzione e nel sistema bancario; e a tale concentrazione corrisponde inevitabilmente la concentrazione del potere politico, non importa se nella forma apertamente controrivoluzionaria del fascismo o se rivestita da ingannevoli forme democratiche e parlamentari.

E’ d’altra parte interesse costante della classe dominante borghese alimentare e rafforzare la concorrenza all’interno della classe operaia attraverso la formazione dell’aristocrazia proletaria, fenomeno ben individuato da Engels fin dal 1845 (vedi la Situazione della classe operaia in Inghilterra) e ribadito in una lettera a Marx del 1858 (e ripresa da Lenin nel suo Imperialismo, ultima fase del capitalismo), quando sottolinea «l’effettivo progressivo imborghesimento del proletariato inglese, di modo che questa nazione che è la più borghese di tutte, sembra voglia portare le cose al punto di avere un’aristocrazia borghese e un proletariato borghese accanto alla borghesia. In una nazione che sfrutta il mondo intero, ciò è in un certo qual modo spiegabile» (19). In realtà, il fenomeno dell’imborghesimento del proletariato che Engels aveva chiaramente identificato nell’Inghilterra di metà Ottocento in quanto «padrona del mondo», agli albori del processo di sviluppo che diventerà l’imperialismo capitalistico, si è diffuso in tutti i paesi capitalisti avanzati, fomando così le basi materiali dell’opportunismo riformista e della collaborazione fra le classi. Compito del partito di classe, quindi, non era e non è soltanto quello di criticare l’opportunismo operaio e tutte le sue varianti formatesi nel tempo, ma di lottare su tutti i piani – teorico, politico, tattico e organizzativo – sul terreno immediato (sindacale, se si vuol usare un termine abituale) come sul terreno politico generale. Compito del partito di classe – che riunisce in sé la parte più avanzata e decisa del proletariato – è di «unificare gli sforzi delle masse lavoratrici volgendoli dalle lotte per interessi di gruppi e per risultati contingenti alla lotta generale per l’emancipazione rivoluzionaria del proletariato»; nello stesso tempo, ha anche il compito «di diffondere nelle masse la teoria rivoluzionaria, di organizzare i mezzi materiali d’azione, di dirigere nello svolgimento della lotta la classe lavoratrice assicurando la continuità storica e l’unità internazionale del movimento» (punto 4 del programma). Abbiamo sottolineato la parte che riguarda la continuità storica e l’unità internazionale del partito (in questo caso, parlando di “movimento” si intende il movimento politico rivoluzionario, cioè il partito di classe), perché sono decisivi sicuramente per il successo della lotta rivoluzionaria del proletariato, ma anche, nel caso la lotta non raggiunga l’obiettivo della conquista del potere politico, per la sua ripresa in tempi successivi.

Oltre alla rivendicazione generale della lotta di classe del proletariato, come classe indipendente ed antagonista a tutte le altre classi della società, e dell’organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del proletariato, il partito di classe, è indicata la sola alternativa storica da opporre alla collaborazione fra le classi e alla solidarietà nazionale in pace e in guerra: «il riaccendersi della lotta interna di classe fino alla guerra civile delle masse lavoratrici per rovesciare il potere di tutti gli Stati borghesi e delle coalizioni mondiali, con la ricostituzione del partito comunista internazionale come forza autonoma da tutti i poteri politici e militari organizzati». La marxista costituzione del proletariato in classe dominante prevede che all’abbattimento dello Stato borghese segua la costituzione dello Stato proletario come «mezzo e arma di lotta in un periodo storico di trapasso», la cui «massima esplicazione storica del suo organamento è stata finora quella dei Consigli dei lavoratori apparsa nella rivoluzione russa dell’Ottobre 1917, nel periodo dell’organizzazione armata della classe operaia sotto la guida del partito bolscevico, della conquista totalitaria del potere, della dispersione dell’assemblea costituente, della lotta per ributtare gli attacchi esterni dei governi borghesi e per schiacciare all’interno la ribellione delle classi abbattute, dei ceti medi e piccoloborghesi e dei partiti dell’opportunismo, immancabili alleati della controrivoluzione nelle fasi decisive».

Infine, ribadendo il fatto che il regime proletario può degenerare – come di fatto avvenne in Russia – e tirando una lezione storica dalla sconfitta subita a metà degli anni Venti del secolo scorso non solo in Russia, ma a livello mondiale, l’ultimo punto del programma, il n. 11, afferma: «La difesa del regime proletario dai pericoli di degenerazione insiti nei possibili insuccessi e ripiegamenti dell’opera di trasformazione economica e sociale, la cui integrale attuazione non è concepibile all’interno dei confini di un solo paese, può essere assicurata solo da un continuo coordinamento della politica dello Stato operaio con la lotta unitaria internazionale del proletariato di ogni paese contro la propria borghesia e il suo apparato statale e militare, lotta incessante in qualunque situazione di pace o di guerra, e mediante il controllo politico e programmatico del partito comunista mondiale sugli apparati dello Stato in cui la classe operaia ha raggiunto il potere».

Riassumendo, nel programma del partito sono contenuti i principi della rivoluzione proletaria internazionale e comunista che derivano dalla teoria marxista e gli obiettivi che devono essere raggiunti con l’azione del partito; «teoria ed azione sono campi dialetticamente inseparabili, i cui insegnamenti derivano da bilanci dinamici di scontri avvenuti tra forze reali di notevole grandezza ed estensione, utilizzando anche i casi in cui il bilancio finale si è risolto in una disfatta delle forze rivoluzionarie: E’ ciò che noi abbiamo chiamato col vecchio criterio marxista classico: “lezioni delle controrivoluzioni”» (20).

Non è solo il programma che distingue il partito di classe da tutti gli altri partiti operai o sedicentemente comunisti. Diversi partiti e diverse correnti politiche che negli anni gloriosi della vittoria bolscevica in Russia e della costituzione dell’Internazionale Comunista si dissero d’accordo con Lenin e con le tesi fondative dell’I.C., attirati dalla grande influenza che il movimento rivoluzionario organizzato nell’Internazionale stava avendo sul proletariato mondiale, pur accettando formalmente le tesi dell’Internazionale avanzarono molteplici “se” e “ma” giustificandoli con il fatto che ogni situazione nazionale, in cui ogni partito agiva, aveva, o poteva avere, delle particolarità, delle caratteristiche specifiche che richiedevano una certa libertà d’azione, tattiche diverse da quelle enunciate, metodi e mezzi d’azione non previsti o prevedibili alla data in cui venivano formulate le tesi. Inutile dire che i bolscevichi, a partire da Lenin, e la Sinistra comunista d’Italia difendevano l’intransigenza non solo teorica, programmatica e politica, ma anche tattica e non nel senso banale di una rigidità formale, che richiama la disciplina burocratica, ma nel senso bene illustrato nella nostra Struttura economica e sociale della Russia d’oggi con queste parole: «Indubbiamente, la nostra lotta è per l’affermazione, nella attività del partito, di norme di azione “obbligatorie” del movimento, le quali devono non solo vincolare il singolo e i gruppi periferici, ma lo stesso centro del partito, al quale si deve la totale disciplina esecutiva, in quanto è strettamente legato (senza diritto di improvvisare, per scoperta di nuove situazioni, di ciarlataneschi apertisi “corsi nuovi”) all’insieme di precise norme che il partito si è dato per guida dell’azione».

Ma questo obbligo non va frainteso, e infatti il testo precisa subito dopo: «Tuttavia non si deve fraintendere sulla universalità di tali norme, che non sono norme originarie immutabili, ma norme derivate. I principi stabili, da cui il movimento non si può svincolare, perché sorti – secondo la nostra tesi della formazione di getto del programma rivoluzionario – a dati e rari svolti della storia, non sono le regole tattiche, ma leggi di interpretazione della storia che formano il bagaglio della nostra dottrina. Questi principi conducono nel loro sviluppo a riconoscere, in vasti campi e in periodi storici calcolabili a decenni e decenni, il grande corso su cui il partito cammina e da cui non può discostarsi, perché ciò non accompagnerebbe che il crollo e la liquidazione storica di esso. Le norme tattiche, che nessuno ha il diritto di lasciare in bianco né di revisionare secondo congiunture immediate, sono norme derivate da quella teorizzazione dei grandi cammini, dei grandi sviluppi, e sono norme praticamente ferme ma teoricamente mobili, perché sono norme derivate dalle leggi dei grandi corsi, e con esse, alla scala storica e non a quella della manovra e dell’intrigo, dichiaratamente transitorie» (21).

Come scriveva Lenin: per cambiare tattica, bisogna prima avere un piano tattico, ben definito e vincolante in modo che il cambiamento di tattica non confonda e non disorganizzi il partito. Il programma definisce la rotta che va seguita senza contraddire i principi e la teoria da cui discende, attraverso una tattica e un'organizzazione coerenti. Ne parleremo prossimanente.

 


 

(1) Cfr. F. Engels, Antidühring, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 10; e F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 28.

(2) Cfr. Lenin, Karl Marx, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 21, p. 46.

(3) Ibidem, p. 47.

(4) Cfr. K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Prefazione, gennaio 1859, Opere complete, vol. XXX, pp. 298-299.

(5) Cfr. Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, Giulio Einaudi Editore, Torino 1962, pp. 100-101.

(6) Ibidem, p. 100, e p. 112.

(7) Ibidem, pp. 116-117.

(8) Cfr. Lenin, Karl Marx, cit. p. 66.

(9) Cfr. Lettera di Amadeo Bordiga a Karl Korsch, Napoli, 28 ottobre 1926, in «Prometeo» n. 7, ottobre 1928; «il programma comunista» n. 21 del 25/10/1971; «Programme communiste» n. 68 del 1975; in Amadeo Bordiga: Scritti scelti, a cura di F. Livorsi, Feltrinelli Editore, Milano 1975; in La crisi del 1926 nel Partito e nell’Internazionale, «Quaderni del Programma Comunista», n. 4, aprile 1980.

(10) Pubblicato ne «l’Unità», 30 settembre 1925; in «Prometeo», nn. 23 e 25, ottobre 1929; anche ne «il programma comunista», n. 11 del 1958; e in La Sinistra Comunista e il Comitato d’intesa, Quaderni internazionalisti, Torino 1996.

(11) La Piattaforma politica del partito di classe, redatta nella primavera del 1945 a guerra ancora in corso, è il primo risultato di un lavoro che vide insieme i gruppi di militanti che si rifacevano alla Sinistra comunista, riunitisi poi alla fine della guerra. In essa vi sono ancora delle considerazioni errate sulla Russia e una valutazione ancora troppo ottimistica circa la situazione creatasi in quel dopoguerra; errori che verranno corretti già nel testo Le prospettive del dopoguerra in relazione alla piattaforma del Partito, pubblicato nel n.3, ottobre 1946 di «Prometeo». E’ stata ripubblicata nel n. 6 dei «testi del partito comunista internazionale» intitolato Per l’organica sistemazione dei principi comunisti, e poi anche ne «il comunista» n. 21-22, aprile 1990 con le necessarie precisazioni.

(12) Cfr. «Prometeo» n. 1, luglio 1946, in www.pcint.org, sezione Archivi, Prometeo 1946-1952; anche nel volumetto n. 1 dei «testi del partito comunista internazionale» intitolato Tracciato d’impostazione/I fondamenti del comunismo rivoluzionario, Milano 1974.

(13) Cfr. Storia della Frazione all’estero, fino al 1935 (Rapporto alla Riunione Generale di Milano, 1-2 novembre 1980), in «il comunista», Ia serie, nn. 7, 8, 9, 10 del 1984.

(14) Cfr. la Nota introduttiva, al Tracciato d’impostazione/I fondamenti del comunismo rivoluzionario, cit.

(15) Cfr. Mozione di Imola (comunista pura), presentata al XVII Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano, tenutosi a Livorno tra il 15 e il 20 gennaio 1921, dalla Frazione comunista astensionista, insieme al programma del Partito comunista in Italia che, sulle stesse indicazioni della Terza Internazionale, da questo congresso doveva nascere. In «Resoconto stenografico del XVII Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano», Edizioni Avanti, Milano 1963. Il 21 gennaio 1921, al Teatro San Marco di Livorno, con l’adesione piena della Federazione giovanile del PSI, fu costituito il Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista, e la Frazione comunista astensionista fu sciolta.

(16) Cfr. Lettera di Bordiga a Perrone, 25 novembre 1952, «Fondo Ottorino Perrone», presso l’Université Libre de Bruxelles [ULB], citata in Né con Truman, né con Stalin.- Storia del Partito Comunista Internazionalista (1942-1952)”, di S. Saggioro, Edizioni Colibrì, Milano 2010.

(16) Cfr. Lettera di Bordiga a Perrone, 25 novembre 1952, «Fondo Ottorino Perrone», presso l’Université Libre de Bruxelles [ULB], citata in Né con Truman, né con Stalin.- Storia del Partito Comunista Internazionalista (1942-1952)”, di S. Saggioro, Edizioni Colibrì, Milano 2010.

(17) Cfr. Lenin, Discorso in difesa della tattica dell’Internazionale Comunista, al III Congresso dell’I.C., 1 luglio 1921, in Opere, vol. 32, p. 445, Editori Riuniti, Roma 1967.

(18) Mentre la manchette «Distingue il nostro partito» è pubblicata da ogni testata di partito, il «Programma del Partito comunista internazionale», per ragioni essenzialmente di spazio non appare nei giornali in lingua francese le prolétaire e in lingua spagnola el proletario, ma è pubblicato regolarmente nelle riviste teoriche di partito, in queste due lingue, programme communiste e el programa comunista, nel periodico in inglese Proletarian, e nel giornale in lingua italiana il comunista poiché in queste due lingue non ci sono le corrispondenti riviste.

(19) Cfr. Engels a Marx, 7 ottobre 1858, Marx-Engels, Opere complete, vol. XL, Editori Riuniti, Roma 1973.

(20) Cfr. Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale, secondo le posizioni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio storico della sinistra comunista (Tesi di Napoli), punto 5, presentate alla Riunione» generale  del partito a Napoli il 17-18 luglio 1965, e pubblicate in «il programma comunista», n. 14, 28/7/1965.

(21) Cfr. Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, Edizioni il programma comunista, Milano 1976,  cap. 3. Ulteriore trattazione sulla «tattica», pp. 54-55.

 

 

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