La TCI (Battaglia comunista e CWO) nega la dittatura di classe a beneficio di una «vera democrazia»

(«il comunista»; N° 166 ; Dicembre 2020)

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La TCI, “Tendenza Comunista Internazionalista” è subentrata nel 2009 all’”Ufficio internazionale per un partito rivoluzionario” (IBRP). Riunisce principalmente il Partito comunista internazionalista -Battaglia comunista, in Italia e la Communist Workers Organization (CWO) (organizzazione di origine consiliare) in Gran Bretagna, e gruppi in vari paesi. In Francia pubblica Bilan et perspectives.

La TCI rivendica di essere erede del marxismo e più specificamente della Sinistra Comunista d’Italia. In realtà, nella misura in cui l’eredità consiglista della CWO diventa sempre più preminente, marxismo e Sinistra Comunista d’Italia diventano sempre più un lontano ricordo.

La TCI, nella sua presentazione nel suo sito web, afferma che: «Il superamento del capitalismo è possibile solo attraverso una rivoluzione, ossia con la conquista del potere politico del proletariato, fuori e contro tutti i canali della pseudo-democrazia borghese (elezioni, riforme, ecc.), meccanismi creati apposta per evitare qualunque cambiamento radicale della società. I forum della nostra “democrazia”, gli organismi di potere della rivoluzione, saranno invece i consigli proletari, assemblee di massa in cui gli incarichi saranno affidati con mandati precisi e revocabili in ogni momento. Ma tali organizzazioni non diventeranno mai veri organismi del potere proletario, senza l’adesione a un chiaro programma diretto all’abolizione dello sfruttamento e, quindi, all’eliminazione delle classi, per una società di “produttori liberamente associati” che lavorano per i bisogni umani. Questo programma non cadrà dal cielo, ma dall’impegno cosciente di quella sezione della classe lavoratrice che si sforza di cogliere le lezioni delle lotte passate, raggruppandosi a livello internazionale per formare un partito che si batta all’interno dei consigli contro il capitalismo, per il socialismo; non un partito di governo che si sostituisca alla classe, ma un partito di agitazione e di direzione politica sulla base di quel programma. Solo se i settori più avanzati del proletariato si riconosceranno nella direzione politica del partito, il percorso rivoluzionario si metterà sui binari della trasformazione socialista» (1).

Notiamo già che, dopo aver affermato la sua opposizione a “pseudo [sic!] canali democratici”, quando vuole caratterizzare il potere politico derivante dalla rivoluzione, La TCI parla di democrazia e non di dittatura del proletariato – che è, secondo Marx, una nozione centrale delle sue tesi. Il marxismo non è contrario alle elezioni perché non sono “veramente” democratiche, ma perché si basano proprio sulla menzogna democratica che tutti gli individui, indipendentemente dalla loro classe sociale, possiedono ugualmente la capacità di decidere la direzione e l’azione dello Stato.

Altri punti da notare sono la messa in primo piano dei “consigli operai” in questa “democrazia” e l’affermazione che per svolgere il loro ruolo dovranno adottare un chiaro programma di rivoluzione sociale. Si potrebbe vedere qui una contorta allusione alla necessità che il partito di classe diventi la forza dominante in questi consigli (altrimenti sarebbero solo “informi parlamenti dei lavoratori” – Trotsky, «Terrorismo e comunismo»), solo che questo programma non esiste ancora: sarà prodotto dalla coscienza dell’avanguardia operaia – il partito – che agisce in questi consigli! Questa concezione è fondamentalmente logica per un’organizzazione che afferma, nella sua piattaforma (2), di non essere il partito né «il suo unico nucleo esistente» (?), dato che bisognerà prima «chiarire» questo programma tra i futuri componenti di questo partito... Ma un partito è innanzitutto definito dal suo programma; se questo programma non esiste, non è chiarito, si può al massimo costituire una «Tendenza»...

Non c’è da stupirsi quindi se i compiti del futuro partito, soprattutto nel periodo del potere proletario, vengono minimizzati; la TCI si preoccupa di affermare che il partito non deve «sostituirsi alla classe (secondo le astrazioni metafisiche dei bordighisti)». Questa accusa di “sostituzionismo” non è nuova; è stata storicamente lanciata contro i bolscevichi nel periodo pre-rivoluzionario, poi dopo la presa del potere. Trotsky rispose brillantemente: «Ci hanno accusato più d’una volta di aver sostituito alla dittatura dei soviet quella del partito. E tuttavia si può affermare, senza rischiare di sbagliarsi, che la dittatura dei soviet è stata possibile solo grazie alla dittatura del partito: grazie alla chiarezza della sua visione teorica, grazie alla sua forte organizzazione rivoluzionaria, il partito ha assicurato ai soviet la possibilità di trasformarsi da informi parlamenti operai quali erano in un apparato di potere dei lavoratori. In questa “sostituzione” del potere del partito al potere della classe operaia non v’è nulla di fortuito e persino, in fondo, nessuna sostituzione. I comunisti esprimono gli interessi fondamentali della classe operaia. E’ del tutto naturale che nell’epoca in cui la storia pone all’ordine del giorno questi interessi in tutta la loro estensione, i comunisti diventino i riconosciuti rappresentanti della classe operaia nella sua totalità» (3).

Difendere il ruolo primario del partito non ha nulla a che fare con il sostituzionismo; il partito non è solo la frazione più avanzata del proletariato, è l’organo indispensabile a quest’ultimo per guidare la lotta rivoluzionaria come classe contro il capitalismo e per esercitare il suo potere dopo la rivoluzione; questo processo è descritto dal Manifesto del Partito Comunista di Marx-Engels quando parla di «organizzazione in classe quindi in partito politico» del proletariato quindi della sua «costituzione in classe dominante» (4). Il programma del partito, essendo la sintesi degli insegnamenti delle battaglie proletarie del passato, deve esistere prima del ritorno dei periodi rivoluzionari per consentire un’azione corretta in quei momenti; non ha bisogno di essere riscritto o chiarito in tutti gli svolti storici attraverso una discussione ad un certo punto tra gruppi eterogenei o un’espressione della “coscienza” dell’avanguardia. Affermare il contrario è un’attitudine revisionista, una vergognosa negazione (non ancora apertamente affermata) dell’eredità della Sinistra Comunista d’Italia.

Questa confusa dichiarazione di principi si riflette nella sua propaganda con l’appiattimento sul democratismo borghese.

Un recente articolo pubblicato sul suo sito web (leftcom.org), e originariamente pubblicato nella newsletter della CWO (Aurora), n. 48, si intitola “Workers’ Democracy is the Only Real Democracy”  (“La democrazia dei lavoratori è l’unica vera democrazia”) (5). Questa affermazione da sola è totalmente contraria al marxismo: i comunisti non nascondono, ma affermano apertamente che il potere proletario sarà dittatoriale, escludendo dalla vita politica le classi nemiche e i loro rappresentanti, compresi quelli travestiti da “socialisti” o “rivoluzionari”, e che la sua direzione sarà esercitata unicamente dal partito di classe. La “vera” democrazia è solo uno slogan vuoto per ingannare i proletari e coprire una delle forme di dittatura borghese.

Il contenuto dell’articolo è dello stesso genere. La CWO ci spiega che «Sotto il capitalismo, noi [chi? L’elettorato nel suo insieme? I proletari? I militanti della TCI?] eleggiamo dei rappresentanti come membri del Parlamento (…). Una volta eletti, è improbabile che vedremo i “nostri parlamentari” per i prossimi 4 o 5 anni quando torneranno a chiedere il nostro voto ancora una volta. Cosa fanno in Parlamento? Di solito votano per il proprio partito, o talvolta si ribelleranno e voteranno come meglio credono. I deputati non hanno alcun obbligo di votare secondo i desideri di coloro che li hanno eletti. Questo è ciò che significa la rappresentanza. Affidate al deputato di agire per voi e voi non avete assolutamente alcun potere di cambiarlo fino alle prossime elezioni. E, ovviamente, è escluso che il parlamento consideri cambiamenti fondamentali affinché ciascuno abbia voce in capitolo: come garantire che la comunità nel suo insieme [?] decida cosa produrre. (...) Come decidere cosa è meglio per la comunità invece di calcolare i profitti e le perdite (...)».

Il problema sarebbe quindi l’arbitrarietà degli eletti a causa della mancanza di controllo da parte degli elettori su di loro tra due tornate elettorali. Si ha l’impressione di leggere i lamenti dei sostenitori del “referendum di iniziativa popolare” o del “referendum revocatorio” come negli Stati Uniti, o le vuote riflessioni anarchiche sulla “democrazia diretta”.

La CWO non si ferma qui e presenta ai suoi lettori il suo modello di democrazia: «Nella democrazia della classe operaia che emergerà durante la rivoluzione per rovesciare il capitalismo, ogni assemblea elegge delegati, non rappresentanti. Essi hanno il mandato per realizzare i desideri della loro collettività. Se scoprono di non poterlo fare, tornano nella comunità di base e la convincono a cambiare rotta o vengono sostituiti da un altro delegato».

Ecco la “democrazia operaia”: assemblee che rappresentano la “collettività”, la “comunità” di cui i delegati hanno un mandato imperativo. Questo mandato è il vecchio sogno dei repubblicani borghesi del XIX secolo che speravano di far rivivere la rivoluzione giacobina… borghese. Quanto a questa “collettività” da cui vengono eletti questi delegati, è un insieme la cui natura rimane indistinta.

In effetti, la “democrazia operaia” della CWO è solo una versione idealizzata della democrazia borghese. E’ significativo, da questo punto di vista, che l’articolo denunci solo «i Trump, i Bolsonaro, i Putin e gli Xi Jin Ping», proprio le persone che la borghesia occidentale critica a gran voce per le loro pratiche “antidemocratiche”. È per caso che il giornale di un’organizzazione britannica apparentemente rivoluzionaria non aggiunge alla sua lista il primo ministro di Sua Maestà, Boris Johnson? Non sarebbe un adattamento alla corrente principale della propaganda mediatica?

I marxisti devono opporsi incessantemente alla propaganda democratica onnipresente perché la sua funzione è fondamentalmente antiproletaria: il suo scopo è quello di ostacolare il più possibile l’organizzazione e la lotta dei proletari su basi di classe, illudendoli che sarebbe possibile per loro, con il voto della “comunità nazionale” nel suo insieme, cioè di tutte le classi confuse, ottenere tranquillamente il successo delle loro rivendicazioni, “immediate” o “generali”.

Ma, del resto, la caratteristica fondamentale del potere rivoluzionario proletario – la dittatura del proletariato – non risiede nella forma politica che sogna, contrariamente a quanto immaginano i consiglisti, perché questa può cambiare a seconda dei tempi e dei paesi: ad esempio, se la rivoluzione fosse scoppiata in Italia nel 1920, il ruolo dei consigli operai (soviet) sarebbe stato svolto dalle camere del lavoro che erano allora gli organi di centralizzazione e di estensione delle lotte operaie.

 

LA RIVOLUZIONE NON E' UN PROBLEMA DI FORME DI ORGANIZZAZIONE

 

Per illustrare il modo marxista di affrontare la questione, citeremo alcuni brevi estratti da Il principio democratico, invitando i lettori a leggerlo nella sua interezza (6).

Questo è un articolo che la TCI dovrebbe rivendicare visto che è stato scritto nel 1922 dal più eminente rappresentante della Sinistra Comunista d’Italia, Amadeo Bordiga. Questo pone la domanda: possiamo definire il potere proletario dopo la rivoluzione come “una democrazia proletaria”? E lui risponde: « (...) Può ben darsi che si arrivi alla conclusione che il meccanismo stesso si presti, con date modalità, e finché dalla evoluzione stessa delle cose non ne nasca uno meglio adatto, ma occorre convincersi che proprio nessuna ragione milita che ci possa far stabilire a priori il concetto di sovranità della “maggioranza” del proletariato». Orrore! esclameranno tutti i democratici, compresi quelli di “estrema” sinistra ...

Ma Bordiga spiega: «Lo Stato proletario, come organizzazione di una classe contro altre classi che devono essere spogliate dei loro privilegi economici, è una forza storica reale che si adatta allo scopo che persegue, ossia alle necessità per cui è nata. Essa potrebbe in dati momenti prendere impulso dalle più vaste consultazioni di massa come dalla funzione di ristrettissimi organi esecutivi muniti di pieni poteri; l’essenziale è che a questa organizzazione di potere proletario si diano i mezzi e le armi per abbattere il privilegio economico borghese e le resistenze politiche e militari borghesi, in modo da preparare poi la sparizione stessa delle classi, e le modificazioni sempre più profonde dello stesso suo compito e della sua struttura.

«Una cosa è indubbia: che mentre la democrazia borghese non ha che lo scopo effettivo di escludere le grandi masse proletarie e piccolo-borghesi da ogni influenza nella direzione dello Stato, riservata alle grandi oligarchie industriali, bancarie, agrarie, la dittatura proletaria deve poter impegnare nella lotta che impersona i più vasti strati della massa proletaria e anche quasi proletaria.

«Ma il raggiungimento di questo scopo non si identifica affatto, se non per chi è suggestionato da pregiudizi, con la formazione di un vasto ingranaggio di consultazione elettiva: questa può essere troppo e – più sovente – troppo poco, facendo sì che dopo una simile forma di partecipazione molti proletari si astengano da altre manifestazioni attive della lotta di classe. D’altra parte, la gravità  della lotta in certe fasi esige prontezza di decisioni e di movimento e centralizzazione dell’organizzazione degli sforzi in una direzione comune.

« (...) Il meccanismo costituzionale dell’organizzazione di Stato nella dittatura del proletariato non è solo consultivo, ma al tempo stesso esecutivo, la partecipazione se non di tutta la massa degli eleggenti per lo meno di un vasto strato di loro delegati non è intermittente ma continua nelle funzioni della vita politica. È interessante come questo si raggiunga senza danno  anzi parallelamente al carattere unitario dell’azione di tutto l’apparato, proprio coi criteri opposti a quelli dell’iper-liberalismo borghese: ossia sopprimendo sostanzialmente il suffragio diretto e la rappresentanza proporzionale, dopo essere passati sopra l’altro sacro dogma del suffragio uguale, come abbiamo visto.

«(...) In ogni caso ci teniamo a chiarire che non attribuiamo nessuna intrinseca virtù a queste forme di organizzazione e rappresentanza, traducendosi quanto andiamo dimostrando in una tesi marxista basilare che può enunciarsi così: “la rivoluzione non è un problema di forme di organizzazione“. La rivoluzione è invece un problema di contenuto, ossia di movimento e di azione delle forze rivoluzionarie in un processo incessante, che non si può teorizzare cristallizzandolo nei vari tentativi di una immobile “dottrina costituzionale”».

Non può quindi essere caratterizzato da una forma particolare di rappresentanza politica – e ancor meno da una forma democratica “superiore”, ma dalla sua azione per rovesciare e sradicare il capitalismo nel mondo intero!

 


 

(1) Cfr. https://www.leftcom.org/it/about-us

(2) La “Piattaforma politica della TCI” è disponibile nel suo sito (leftcom.org) dal 28/02/2020.

(3) Trotsky, Terrorismo e Comunismo, “Testi del marxismo rivoluzionario” n. 1,  Edizioni Il Comunista, Milano 2010, p. 90.

(4) Cfr. Marx-Engels, Il Manifesto del partito comunista, cap. 1 “Borghesi e proletari”, in qualsiasi edizione.

(5) Aurora n° 48 (ottobre 2019).

(6) L’articolo si trova nella raccolta Partito e classe, testi del Partito Comunista Internazionale n. 4, pp. 57-58.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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