Terrore a Vienna

(«il comunista»; N° 166 ; Dicembre 2020)

 Ritorne indice

 

 

2 novembre 2020: ultima sera prima del lockdown. Gente per strada, nei bar, nei ristoranti. Intorno alle ore 20 c’è stata una sparatoria. Le prime cronache affermano che a sparare sono alcuni uomini, in tuta bianca e armati con fucili d’assalto. In conferenza stampa, secondo il “Corriere della Sera” di oggi 3 novembre, il ministro degli Interni austriaco Karl Nehammer ha dichiarato che la sparatoria è avvenuta in più punti della città, facendo finora 4 morti e una quindicina di feriti. Uno degli assalitori è stato ucciso dalla polizia secondo la quale era un simpatizzante dello Stato Islamico (Isis), mentre prosegue la ricerca degli altri componenti del gruppo. A fine giornata l’Isis ha rivendicato l’azione.

Sembra che l’attacco più forte sia avvenuto intorno alla sinagoga centrale di Vienna, Stadttempel, ma a quell’ora la sinagoga e il centro culturale ebraico lì vicino erano chiusi. I morti e i feriti, quindi, non sono ebrei, ma persone qualsiasi che casualmente si sono trovate sotto il tiro dei kalašhnikof. Ciò potrebbe indurre a pensare che l’attacco non avesse uno scopo antisemita, ma lo scopo più generico di terrorizzare una città approfittando della sera in cui la gente poteva ancora divertirsi e stare in compagnia fuori casa prima del periodo di lockdown decretato dal governo.

Come per gli attentati in Francia avvenuti nello scorso ottobre, anche di fronte a questa sparatoria il governo austriaco ha subito indicato il colpevole: il terrorismo islamico che, in questo caso, colpisce non attraverso persone che hanno preso l’iniziativa individuale per esprimere la propria rabbia e il proprio disagio, ma, suppone, secondo un piano preordinato e attraverso un commando fornito di armi da guerra. Certo, se effettivamente la sparatoria fosse stata opera di un commando terrorista, tutta la vicenda prenderebbe una dimensione diversa, mettendo il governo nelle condizioni di poter sbandierare questa azione come imprevedibile, non preventivabile, dipingendola con contorni di efferatezza ancor più marcati e aprendo in anticipo la giustificazione a tutta una serie di “misure di sicurezza” sia contro la comunità musulmana, sia contro ogni attività organizzata, politica, culturale o sindacale che non segua strettamente i canoni previsti dalla legge... Per esempio una manifestazione di protesta non autorizzata, uno sciopero con picchetti e azioni simili.

Questo attacco avviene nel pieno del periodo di difficoltà che il governo austriaco – come ogni altro governo – incontra dovendo fronteggiare una pandemia che sembrava in fase declinante e che invece torna a farsi drammatica, mettendo drasticamente in forse le possibilità di “ripresa economica” su cui ogni capitalismo nazionale punta. Avviene in un periodo in cui si fanno sempre più estese, in diversi paesi, le manifestazioni di insofferenza e intolleranza verso le misure di confinamento e di restrizione che i governi stanno nuovamente adottando, mentre pensavano di tornare a parlare di “crescita” e di dedicarsi ad amministrare un Pil meno negativo del previsto; in un periodo in cui la crisi economica si annuncia ben più grave di quel che i governi raccontano e in cui ci sono tutti i segnali per cui la disoccupazione aumenterà – ed era già aumentata – come aumenterà la precarietà del lavoro e, quindi, la precarietà della vita. Il rischio è che il controllo sociale, che ogni borghesia ha rafforzato approfittando della pandemia da coronavirus, non basti per tenere a freno le possibili esplosioni sociali e la possibile ripresa di lotte proletarie che, seppur isolate le une dalle altre, possono assumere caratteri di durezza e di vigore tali da danneggiare seriamente questo o quel settore economico.

Ecco allora che, in ogni paese, dal presidente della repubblica all’ultimo parlamentare dell’ultimo partitino che sia riuscito ad entrare in quell’enorme e dispendioso mulino di parole che è il parlamento, tutti insieme chiamano all’«unità nazionale» contro il nemico invisibile – il Covid-19 – e contro il nemico visibile, il terrorismo islamico. Aumentano i “nemici”... deve aumentare l’unità nazionale!

Alla borghesia dominante fa gioco che il pericolo degli attacchi terroristici distragga le masse dalle enormi carenze in campo sanitario che in ogni paese si sono potute riscontrare; fa gioco, alla borghesia dominante, che i provvedimenti di confinamento e di ulteriori restrizioni si mescolino con provvedimenti inerenti alla sicurezza pubblica, alla sicurezza nazionale; che alla paura di essere contagiati dal coronavirus si aggiunga la paura di essere bersagli casuali di terroristi armati fino ai denti...

Il fatto che oggi un attentato come questo sia avvenuto in un paese come l’Austria non deve sorprendere. Già nel 2018, il cancelliere Sebastian Kurz aveva annunciato il “pugno di ferro” contro il “fondamentalismo islamico” e aveva provveduto a far chiudere sette moschee e ad espellere alcuni imam, considerando le moschee come “covi” di terroristi. Il pretesto, allora, per questo giro di vite non era stato un attentato o un atto terroristico, ma la rievocazione storica della battaglia di Gallipoli, del 1915 (nello Stretto dei Dardanelli) in cui l’esercito dell’impero ottomano aveva sconfitto gli eserciti di Francia e del Regno Unito; questa rievocazione si era svolta all’interno di una delle più grandi moschee di Vienna, gestita dall’Unione islamico-turca d’Austria. In quella rievocazione apparivano dei ragazzini in divisa militare che marciavano sventolando bandiere, ed altri, fingendosi morti, si coprivano con il drappo turco. Kurz dichiarò che «Società parallele, l’islam politico e la radicalizzazione non hanno posto nella nostra società» (1). Ed è nota a tutti la dura posizione del governo austriaco verso gli immigrati, condivisa con tutti i governi europei del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Cechia, Slovacchia), e con le destre come quella italiana di Salvini-Meloni-Berlusconi, la francese del Front National di Marine Le Pen, la greca di Alba Dorata o la spagnola di Vox.

In Austria gli immigrati regolari di fede musulmana, provenienti soprattutto dalla Turchia e dai Balcani, secondo il Fondo austriaco per l’integrazione (Öif), sono circa 700mila, quasi l’8% della popolazione totale (2); per degli elementi che aderiscono al fondamentalismo islamico può non essere  difficile trovare degli appoggi e nascondersi. Ma per il governo centrale l’immigrato è tollerato se si piega senza protestare a condizioni di vita le più disagiate e discriminanti, se viene normalmente sfruttato più dei proletari autoctoni; è comunque considerato appartenente ad una “razza inferiore” nella quale albergherebbero normalmente la delinquenza, la violenza e il terrorismo.

Non è una novità che i borghesi trattino tutti coloro che manifestino – anche senza azioni da commando e senza armi – il propio disagio sociale e la propria rabbia per le condizioni di vita intollerabili, come marmaglia, feccia della società. Le contraddizioni sempre più acute della società capitalistica inevitabilmente portano in superficie ogni manifestazione violenta del disagio sociale che va a scontrarsi con un potere economico che fa di tutto per difendere il profitto capitalistico e un potere politico che tenta di mantenere il controllo sociale, soprattutto delle masse operaie, affinché esse continuino a farsi sfruttare secondo le esigenze del capitale, continuino a sopportare, senza ribellarsi, disoccupazione, peggiori condizioni di lavoro e di esistenza, insicurezza generale del proprio prossimo futuro. Gli ammortizzatori sociali e l’opera di tutte le forze dell’opportunismo e del collaborazionismo di classe servono proprio a questo scopo. Ma la crisi in cui il capitalismo incappa ciclicamente assottiglia sempre più il margine dentro il quale tutte queste misure riescono a mantenere un certo grado di pace sociale, andando ad erodere almeno una parte dei privilegi e del benessere in cui lo sviluppo capitalistico ha cullato gli strati della piccola borghesia. E’ da questi strati piccoloborghesi, incattiviti da una situazione generale che fa intravvedere la loro rovina sociale, che sorgono reazioni di tipo razzista contro i “diversi”, contro gli immigrati, tanto più se “clandestini”. Il terrorismo piccolo borghese, confessionale o meno, incanala questo tipo di reazioni, attira la sua manodopera imbottendola ideologicamente di un’alta missione che, nel caso dell’islamismo, consisterebbe nel combattere ogni dimostrazione irrispettosa nei confronti dei suoi simboli, ridicolizzandoli. E così una vignetta satirica che ha per oggetto un simbolo dell’islam, o atti ritenuti offensivi verso la “libertà di culto” dell’islam (come chiudere le moschee), diventano motivi più che sufficienti per covare una vendetta che, prima o poi, può trovare i suoi mezzi materiali in quelli che il terrorismo islamico chiama i suoi soldati.

In realtà, la storia dimostra che il terrorismo colorato da atti di fede religiosa non è che un’arma in più in mano alla conservazione sociale borghese, fornendo a determinati strati piccoloborghesi rovinati dalle crisi del capitale uno sfogo “nobile” per atti criminali, e ai rappresentanti del potere politico borghese l’occasione per un controllo sociale ancor più stretto di quanto non sia già, ribadendo, inoltre, il concetto che è solo lo Stato l’ente che ha diritto di usare violenza perché ha il compito di reprimere ogni atto che si opponga all’ordine sociale stabilito...

I proletari, nella storia del loro movimento di classe nei paesi capitalisti industrializzati, hanno più volte dovuto fare i conti con il terrorismo, da quello apertamente di tipo anarchico a quello, del tutto opposto, di tipo fascista. Ma ha dovuto anche imparare, durante la sua lotta classista, che si deve confrontare con un altro tipo di terrorismo, molto più infingardo e insidioso perché più mascherato, più coperto da motivazioni di civiltà di cui la democrazia è feconda come non mai. Basta solo pensare al terrorismo diffuso con la pandemia da coronavirus e con le regole del coprifuoco: chiudetevi in casa!, non create assembramenti!, denunciate chi non mette la mascherina!, se non seguite i provvedimenti delle autorità siete colpevoli di diffondere l’epidemia!, curatevi a casa e non nei pronto-soccorso! ecc. I motivi per salvaguardare la salute che ogni governo ha propagandato insistentemente sono motivi “nobili”, salvo il fatto che la prevenzione e la cura della salute fa acqua da tutte le parti visto che la sanità pubblica collassa sistematicamente anche in assenza di epidemie, a tutto vantaggio della sanità privata.

I proletari sono coloro che subiscono il peso maggiore, e le conseguenze più pesanti, in ogni situazione di crisi economica e sociale. Perché devono andare a lavorare in condizioni di rischio per la propria salute già in tempi “normali” (le stragi sul lavoro lo dimostrano ogni anno), e lo devono fare (nelle produzioni essenziali per la vita di tutti, in realtà essenziali per la vita del capitale) durante l’epidemia quando il rischio è ancora maggiore. Essi subiscono direttamente le conseguenze della crisi, con la disoccupazione, la precarietà del lavoro quando lo trovano, con salari che non bastano a sfamare la famiglia. E devono pagare un prezzo sempre più alto, in termini di sforzo fisico e nervoso e in termini di malattie, perché il capitale pretende una produttività sempre più alta e, quindi, una competitività delle proprie merci sempre più forte. Le ganasce di cui l’operaio è prigioniero sono l’obbligo di lavorare come salariato e l’obbligo di alzare sempre più la propria produttività, perché il capitale si valorizza solo in questo modo ed è la sua legge a dominare sulla vita di tutti.

Nella prima ondata della pandemia, questa primavera, i proletari hanno alzato la voce: Non siamo carne da macello!, minacciando scioperi e pretendendo che gli ambienti di lavoro venissero sanificati. Sentivano di essere indispensabili perché l’attività a cui erano chiamati era “essenziale” per la vita quotidiana di tutti. Ma sentivano anche di essere in parte vittime di un sacrificio generale, perché la crisi aveva colpito, e continuava a colpire, i lavoratori delle piccole e medie aziende, nell’industria, nell’agricoltura, nei servizi, che chiudevano o dimezzavano la propria attività. Hanno dovuto però sentire anche l’estrema debolezza che la loro classe oggi manifesta nella società a causa di una politica sindacale che invece di unificarne le forze e dare battaglia per rivendicazioni che riguardano tutte le categorie, tutti i settori, tutti gli operai non importa se giovani o vecchi, maschi o femmine, autoctoni o immigrati, li ha costantemente divisi, isolati, messi gli uni contro gli altri, producendo così un effetto negativo sulla loro capacità di resistere e di lottare attraverso un’altra forma di terrorismo, quella della perdita del posto di lavoro che significa perdita del salario e, perciò, la miseria e la fame.

Il terrorismo, quindi, non ha un’unica targa, quella dell’islamismo. Il terrorismo economico è un’arma che i capitalisti, e per loro conto, i governi e i politici borghesi, usano sistematicamente, in fabbrica e nella vita sociale, quotidianamente. Questo terrorismo è decisamente di classe perché è esercitato dalla classe borghese dominante e da tutti i suoi complici in veste “operaia” che sbandierano la collaborazione fra le classi come il non plus ultra delle ricette per una “giustizia sociale” che, in realtà, fin quando esisterà il capitalismo, non ci sarà mai.

L’unità nazionale a cui il potere politico borghese si appella, non è che un obiettivo esclusivamente borghese perché favorisce esclusivamente il capitalismo: attraverso di essa la borghesia sottomette il proletariato agli interessi esclusivi dei capitalisti e della loro società. All’unità nazionale, che dovrebbe difendere un “bene comune”, ma che in realtà è un bene solo per il capitale, i proletari devono opporre la propria unità di classe, l’affasciamento delle forze proletarie in lotta contro gli interessi dei capitalisti.

Se l’unità nazionale invocata dalla classe borghese diminante ha senso, per essa, in ogni frangente, anche in piena epidemia da coronavirus e in periodo di grave crisi economica, ha ancor più senso, per i proletari, indirizzarsi verso l’unità di classe, verso la solidarietà di classe, perché soltanto questa è in grado di rafforzare la capacità di resistere agli attacchi del capitale e la capacità di reagire a quegli attacchi lottando per rivendicazioni che riguardino esclusivamente gli interessi proletari. Con l’unità nazionale la borghesia cerca di nascondere l’antagonismo di classe che la oppone al proletariato, mentre la usa in tutte le sue forme contro il proletariato. Con l’unità di classe, il proletariato mostra di essere una forza sociale che esprime non solo propri interessi, ma propri obiettivi sia nell’immediato sia nel futuro.

Gli atti di terrorismo verificatisi in Francia, in Austria e che si verificano in gran parte del mondo e non sempre con motivazioni religiose, sono anche la dimostrazione che il capitalismo è scosso sempre più da lotte intestine tra fazioni borghesi che tentano di accaparrarsi parte della ricchezza prodotta dal lavoro salariato, dal proletariato.

Contro tutte queste forme di terrorismo che vanno, in ogni caso, a colpire gli interessi proletari perché difendono soltanto interessi borghesi, i proletari hanno una via da seguire: lottare sul terreno dell’antagonismo di classe, rivolgere i propri sforzi per organizzarsi indipendentemente dagli interessi e e dagli apparati della conservazione borghese, unirsi attraverso piattaforme di lotta per rivendicazioni esclusivamente proletarie. E’ una via difficile e per molti proletari sconosciuta perché sono troppo giovani e non hanno potuto contare sull’esempio dei proletari più anziani, ma è l’unica in cui i proletari possono effettivamente riconoscersi come componenti di una classe che non deve essere condannata allo sfruttamento perenne, all’incertezza della vita, alla miseria e alla morte, ma che è in grado di rivoltare la società capitalista da cima a fondo, rimettendo il lavoro sociale al servizio non dei capitalisti, non del mercato, ma della società.

3 novembre 2020                        

 


 

(1) Cfr. www.ilgiornale.it/news/mondo/laustria-fa-guerra-allislam-moschee-chiuse-espulsi-imam-1538075.html

(2) Cfr. https://diblas-udine.blogautore.repubblica.it/2017/05/12/in-rapida-crescita-in-austria-la-popolazione-di-fede-musulmana/ 

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice