Livorno 1921. La formazione del Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista

( Supplemento 02 a «il comunista» N° 166, Gennaio 2020 / Livorno 1921, la formazione del Partito Comunista d'Italia ) 

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●  1920 - 1921

 

 

La Terza Internazionale e il parlamentarismo

(Dal “ Soviet” dell’11 aprile 1920; in Storia della Sinistra comunista, vol. II, p.525)

 

 

Premessa

 

Divergemmo dalle posizioni che assunse l’Internazionale Comunista sulla questione del parlamentarismo rivoluzionario, non per formali ragioni di principio, non per stupide ragioni di “purezza”, ma per ragioni tattiche molto concrete relative alle indicazioni che i partiti comunisti dovevano seguire nei paesi di vecchia democrazia. Proprio perché volevamo schierato il partito nella direzione degli obiettivi e dei principi del movimento comunista, e chiaro questo suo schieramento agli occhi dei proletari, propugnammo l’abbandono del metodo elettorale anche nella versione del “parlamentarismo rivoluzionario”, ben sapendo che quest’ultimo presupponeva in ogni caso la più salda omogeneità del partito nel difendere e perseguire il fine ultimo, ma sapendo altrettanto bene che questa omogenietà poteva essere conseguita a Occidente – cioè nell’area del pieno capitalismo e della rivoluzione proletaria unica – solo a patto di liberare la nostra strada dalle illusioni, seduzioni, deviazioni che il persistere del fondaccio legalitario, gradualista e schedaiolo, insomma parlamentare, alimentava da un secolo nelle stesse avanguardie operaie. Non negammo mai che il “parlamentarismo rivoluzionario” avesse la sua giustificazione storica nella Russia zarista, cioè quando e dove una rivoluzione perfino borghese era mancata; la Duma era o poteva effettivamente essere l’arena – per quanto secondaria agli occhi degli stessi bolscevichi – di uno scontro tra forze storiche a raggio ben più vasto; né che in una data fase il movimento operaio avesse dovuto farvi ricorso perfino in Occidente, se non altro in antitesi all’apoliticismo anarchico (infatti nel 1913 eravamo stati noi a batterci “contro l’astensionismo”). La situazione generale e mondiale era totalmente cambiata, sia per lo svolgimento della prima guerra mondiale e imperialista, sia per la rivoluzione russa vittoriosa e per il crescere gigantesco del movimento  del proletariato rivoluzionario nell’Europa occidentale pienamente capitalistica, ma ancora in assenza di partiti comunisti saldi nella teoria e nella prassi. Dopo la tragedia dell’ignominioso crollo della II Internazionale e il passaggio della socialdemocrazia nel 1918-19 alla testa della controrivoluzione con le armi del più moderno e raffinato meccanismo democratico, la preparazione rivoluzionaria delle masse in lotta tumultuosa e la selezione dell’avanguardia comunista non potevano essere compatibili con la preparazione elettorale. Era ancor più decisivo elevare l’antitesi tra riforma e rivoluzione, tra gradualismo e comunismo, a questione vitale per il partito di classe e, quindi, per il movimento proletario. Per disciplina la Sinistra comunista accettò di applicare in Italia la tattica del “parlamentarismo rivoluzionario”, e fu la sola in realtà che lo applicò secondo la piena impostazione che Lenin, Bucharin, Trotsky diedero alle tesi dell’Internazionale. Ma il bilancio del “poi”, purtroppo, diede ragione alla nostra impostazione tattica, confermando che il lavoro all’interno del parlamento borghese non porta alla sua distruzione, ma se ne viene distrutti. (Cfr. Storia della Sinistra comunista, vol. II, pp. 412-415).

 

 

La circolare del CE dell’Internazionale Comunista firmata da Zinoviev e pubblicata in Comunismo nn. 8 e 9 ci costringe a tornare ancora una volta sulla vessata questione del parlamentarismo. Su di esso la circolare nelle sue prime parole così si esprime: “ L’attuale fase del movimento rivoluzionario ha posto all’ordine del giorno, nella forma più aspra, tra le altre questioni, quella del parlamentarismo”.

Valgano queste parole come risposta per coloro che dicono che noi abbiamo fatto di essa una specie di incubo, che noi soli diamo ad essa un’importanza eccessiva, mentre è una questione di tattica e non di programma, e perciò di carattere secondario.

Abbiamo già varie volte detto che per noi le questioni di tattica hanno un valore grandissimo, perché esse indicano l’azione che i partiti debbono svolgere; essi discutono le questioni di programma precisamente per ricavarne le direttive tattiche, altrimenti invece di essere partiti politici sarebbero congregazioni di sognatori.

Tra i socialdemocratici ed i comunisti ciò che li divide non è già la finalità lontana che tutti e due vogliono raggiungere, ma precisamente la tattica, e la divisione è così profonda che in Germania e altrove tra le due parti è corso non poco sangue. Non si vorrà sostenere che ciò sia secondario e di poca importanza.

Noi siamo d’accordo nell’ammettere che la questione del parlamentarismo vada distinta in due questioni. Sulla prima, cioè sulla necessità di abbattere il parlamentarismo per dare tutto il potere ai Soviet, non vi dovrebbe essere disaccordo tra i partiti, e quindi tra gli iscritti ad essi, aderenti alla III Internazionale, perché questo costituisce il caposaldo, la spina dorsale del programma suo.

Diciamo dovrebbe perché a questo dovere si sottrae il PSI, di cui una notevole parte sostiene palesemente il concetto inverso ed un’altra non meno notevole non si è resa conto per nulla dell’antitesi profonda che vi è tra parlamentarismo e potere soviettista. Forse per la conoscenza di questo ibridismo equivoco che esiste nel nostro Partito i compagni della III Internazionale, mentre si rivolgono agli altri partiti, non si occupano di quello italiano. Attendono forse che esso esca dall’equivoco? E staranno freschi ad aspettare!

Per quanto riguarda la seconda questione, che “possono essere sfruttati i parlamenti borghesi al fine dello svolgimento della lotta di classe”, non ci sembra esatto, secondo quanto afferma la circolare, che essa non sia in alcun rapporto con la prima questione.

Se si riconosce che vi è una profonda antitesi tra la concezione parlamentare e quella soviettista, bisogna pur riconoscere che sia necessario preparare spiritualmente le masse a rendersi conto di questa antitesi, a familiarizzarsi con l’idea della necessità di abbattere il regime parlamentare borghese e di costituire i Soviet.

I partiti che sostengono questo programma possono efficacemente svolgere la loro propaganda solo al patto di non svalorizzarlo nel modo più assoluto con l’azione, accettando essi stessi di partecipare alla funzione dei parlamenti. Ciò specialmente nei paesi in cui tale partecipazione è stata valorizzata dalla lunga consuetudine e dal credito che a tali organi è stato dato proprio da quei partiti che oggi vorrebbero sostenere al riguardo un concetto opposto.

Questi partiti hanno educato con persistenza le masse a che esse diano suprema importanza ai parlamenti, predicando che tutto il potere statale appartiene ad essi e che, sol che si riesca a conquistarne la maggioranza, si è padroni assoluti del potere.

A maggior ragione una campagna elettorale a contenuto antiparlamentare non può essere fatta insieme sotto la medesima bandiera, in nome e con la disciplina del medesimo partito, da coloro che almeno a parole domandano l’abbattimento “dal di dentro” del parlamento borghese e coloro che continuano a considerarlo dal punto di vista della socialdemocrazia.

Gli esempi che Zinoviev adduce a sostegno della sua tesi non sono convincenti. Dire che i bolscevichi russi abbiano partecipato alle elezioni della Costituente per spazzar via questa 24 ore dopo, non è dimostrare che si sia sfruttato in pro della rivoluzione il parlamentarismo borghese. Evidentemente i bolscevichi parteciparono alle elezioni perché in quel momento non sentirono di avere forza sufficiente per impedire le elezioni della Costituente, altrimenti ciò avrebbero fatto. Appena ebbero la coscienza di essere forti abbastanza, si decisero all’azione. Questa forza essi non potettero acquistare in virtù della loro partecipazione alla lotta, né potettero acquistarne almeno la coscienza, perché i risultati elettorali non furono, e fortunatamente, a loro favorevoli. Forse, se ciò fosse avvenuto, la Costituente non l’avrebbero più abbattuta.

Per dimostrare l’inutilità della Costituente e di qualsiasi parlamento, o meglio, per dimostrare l’utilità di abbatterli, noi accettiamo che possa giovare l’intervento nelle lotte elettorali, ma solamente in senso negativo ossia senza candidati. Soltanto così può avere reale efficacia presso le masse la dimostrazione dell’antiparlamentarismo, perché essa è concorde nella teoria e nella pratica, non contraddittoria come quella che può essere fatta da quella rinnovellata sirena, l’aspirante parlamentare antiparlamentarista.

Così pure non ha valore il ricordare che i bolscevichi parteciparono alla Duma zarista prima della guerra, in una condizione storica profondamente diversa, quando la possibilità di un prossimo abbattimento del regime borghese non era nemmeno un sogno; né è esatto dire che la qualità di parlamentare abbia giovato all’opera rivoluzionaria di Liebknecht durante la guerra, quando questa qualità non fece altro che costringerlo ad un primo voto forzato favorevole ai crediti militari. Accanto a lui ed insieme con lui, non pochi altri martiri affrontarono la medesima lotta, la quale si svolse tutta al di fuori del parlamento, ove non fu permesso neppure di parlare.

L’argomento della relativa immunità che può dare il privilegio parlamentare a qualcuno che ne possa godere non può affacciarsi alla mente di chi sente in sé la profonda fede di votarsi alla causa della rivoluzione, che richiede spirito di sacrificio illimitato.

D’altra parte, quando il deputato compie davvero opera rivoluzionaria e pericolosa, perde la sua garanzia, come provò lo stesso Liebknecht, come i deputati della Duma zarista o del parlamento bulgaro, ecc. Quanto alle mine che i deputati comunisti pongono contro il nemico mentre si trovano nel suo campo, e che sono i loro voti, i loro discorsi, i progetti di legge, ordini del giorno, magari urli, pugni e simili, non vi è da temere: con esse, tutt’al più, si fa saltare in aria... un ministero.

Il CE della III Internazionale, ritenendo che gli antiparlamentari siano sindacalisti ed anarchici, si preoccupa di includere questi nel Partito Comunista per tonalizzare in certo qual modo i provenienti dai partiti socialisti più disposti all’azione parlamentare che a quella illegale, cui tendono più degli altri. Perciò, mentre insiste nel dichiarare che la vera soluzione è fuori del parlamento, nella strada, consiglia a quelli l’azione parlamentare e a tutti l’unione, perché non si indeboliscano forze rivoluzionarie che esso mostra in fondo di ritenere più efficaci e decise dei primi.

Senza ripetere ancora una volta quanto sia diverso il nostro antiparlamentarismo da quello dei sindacalisti e degli anarchici, noi conchiudiamo che riteniamo, in perfetto accordo col CE della Terza Internazionale, che la questione del parlamentarismo debba essere definita in norma generale. Se però il CE crede di averla risolta con la sua circolare, noi sosteniamo che non possiamo accettare la sua risoluzione che non risolve nulla, ma lascia le cose tal quali sono con tutte le loro nocive conseguenze. La questione va posta nel prossimo congresso della Terza Internazionale, per modo che ovunque i partiti aderenti ad essa ne adottino e pratichino disciplinatamente i deliberati.

Non mancheranno in seno al congresso coloro che faranno conoscere tutte le ragioni che consigliano, a parer nostro, la Terza Internazionale ad adottare in rapporto al parlamentarismo la tattica astensionista che noi sosteniamo.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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