Livorno 1921. La formazione del Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista

( Supplemento 02 a «il comunista» N° 166, Gennaio 2020 / Livorno 1921, la formazione del Partito Comunista d'Italia ) 

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●  1920 - 1921

Il secondo Congresso dell’Internazionale Comunista 

(luglio-agosto 1920)

 

 

Estratti dalle Tesi sul parlamentarismo

(2 agosto 1920)

(Protokoll, II; in Prometeo seconda serie, n. 2, febbraio 1951; vedi anche O preparazione elettorale o preparazione rivoluzionaria, Ed. Il Programma, 1966, pp. 29-33)

 

 

Fino al II Congresso dell’IC non era ancora stato chiaramente stabilito se le sezioni della nuova Internazionale, mentre denunciavano l’inganno, e additavano ai proletari la necessità di abbattere gli istituti della democrazia parlamentare, dovessero o no iscrivere fra i loro mezzi tattici, a puri scopi di propaganda rivoluzionaria e quindi antidemocratica, la partecipazione alle elezioni e ai parlamenti dell’Occidente capitalistico. La questione aveva avuto, a seconda dei paesi, sviluppi diversi. Nessuno metteva in dubbio né che la nuova organizzazione del proletariato rivoluzionario dovesse accogliere i soli movimenti che avessero lottato cointro la guerra imperialistica, rompendo con i socialtraditori che l’avevano appoggiata, né che le sezioni della Terza Internazionale dovessero agire sul terreno dell’insurrezione armata per abbattere il potere borghese e instaurare la dittatura del proletariato, come nella Russia dell’Ottobre 1917. Ma le tesi e risoluzioni tuttavia molto esplicite del I congresso del marzo 1919 non sembravano escludere, nello spirito degli stessi bolscevichi russi, che certi movimenti di orientamento anarchico o sindacalista-rivoluzionario venissero ad ingrossare la grande ondata rivoluzionaria: basti citare la Confederazione Nazionale del Lavoro spagnola, di tendenza libertaria, l’estrema sinistra della Confederazione Generale del Lavoro francese (C.G.T.), gli IWW (Operai industriali del mondo) americani, gli Shop Stewards Committees (Comitati di delegati d’impresa) scozzesi e inglesi.

Questi movimenti non esitavano a condannare il socialpatriottismo e il riformismo, non dubitavano della necessità dell’insurrezione, ma non avevano una chiara posizione su quei problemi del potere e del terrore rivoluzionario, dello Stato e del partito politico, che i bolscevichi avevano da parte loro pienamente risolti. Quasi tutti, sia per tradizione ideologica che per reazione all’opportunismo, si opponevano all’utilizzazione del parlamento.

In Italia, la questione fu posta con estrema chiarezza sin dagli ultimi mesi del conflitto mondiale. Il Partito Socialista, che era stato separato dalla corrente anarchica nel 1892 e dal quella anarco-sindacalista nel 1907 (nell’anno succesivo vi era pure stata una scissione sindacale con la nascita dell’Unione Sindacale Italiana, poi divisasi di fronte al problema della guerra), aveva evitato bensì di cadere nell’inganno dell’union sacrée, ma l’azione del suo gruppo parlamentare, dominato dalla destra, andava in controsenso ad ogni prospettiva di soluzione rivoluzionaria, pur avendo trionfato nel partito già nell’anteguerra, non aveva osato rompere se non con la estrema destra ultrariformista di Bissolati e consorti, espulsa nel 1912. Così gli elementi più decisi della sinistra del partito - che durante il conflitto mondiale avevano propugnato l’aperto disfattismo della difesa nazionale - cominciarono a presentire la necessità di una scissione dal vecchio partito e giunsero alla conclusione storica che, se si voleva preparare e condurre il proletariato all’assalto rivoluzionario, bisognava finirla col metodo elettorale e parlamentare da cui la stessa direzione detta “intransigente” era impeciata.

Questa posizione, difesa nel giornale “Il Soviet”, fondato a Napoli nel 1918 come organo della frazione comunista astensionista, fu respinta dalla maggioranza del partito al congresso di Bologna nel 1919. Ma i partigiani della partecipazione alle elezioni e al parlamento, pur facendosi forti dell’approvazione di Lenin, ebbero l’immenso torto di mantenere l’unità del grande partito elettorale, opponendosi così apertamente a Lenin e alle direttive fondamentali della Terza Internazionale e non esitando a respingere l’offerta degli astensionisti di rinunciare alla loro pregiudiziale antiparlamentare, purché la scissione fosse consumata.

Nello stesso periodo Lenin scrisse il suo famoso L’Estremismo, malattia infantile del comunismo, avendo sotto mira in particolare il problema tedesco (dove i comunisti avevano di fronte sia  la tendenza del sindacalismo rivoluzionario sia il pericolo di infiltrazione da parte di tendenze a sfondo anarchico, incapaci di comprendere la questione dell’autorità in seno al partito e allo Stato.La critica di Lenin, dominata dall’attenzione con cui egli segue lo sviluppo del movimento tedesco, d’importanza fondamentale, tratta questo problema parallelamente a quello della tattica parlamentare; ed è indiscutibile che egli condanna tanto la scissione sindacale quanto l’astensionismo elettorale.

Nel frattempo, la frazione astensionista italiana si era sforzata di precisare in due lettere al Comitato Esecutivo dell’Internazionale (1), che in Italia queste due questioni non interferivano affatto l’una nell’altra: che la frazione di sinistra del Partito Socialista condivideva in pieno le posizioni marxiste sul partito e sullo Stato, e che non soltanto non aveva alcuna simpatia per il movimento anarchico o sindacalista, ma conduceva contro di esso da tempo una polemica aperta. Se queste lettere dovettero superare molti ostacoli per giungere a Mosca, è un fatto che Lenin intervenne di persona affinché un rappresentante della Frazione Comunista Astensionista partecipasse al II congresso mondiale.

Il relatore sulla questione del parlamentarismo rivoluzionario fu Bucharin, che parlò durante la seduta del 2 agosto 1920 presentando le Tesi che aveva redatte con Lenin e alle quali Trotsky aveva fatto una introduzione dal titolo “La nuova epoca e il nuovo parlamentarismo”, annunciando un controrapporto del rappresentante degli astensioni italiani (Amadeo Bordiga), che aveva pure sottoposto al congresso un corpo di tesi. Seguirono molti interventi fra i quali nuovamente Lenin e Bordiga (vedi oltre in questo Supplemento).

Nelle tesi della Frazione comunista astensionista si ribadisce che la divergenza tattica non riguarda in alcun modo questioni di teoria o di principio, tanto che il relatore pregò i pochi esponenti di tendenze sindacaliste contrari per principio all’azione politica, di non votare per le sue tesi per quanto votassero contro le tesi di Bucharin. Esito del voto: le tesi Bucharin sono votate a grande maggioranza, contro sette voti contrari, e tre voti alle tesi Bordiga.

Va detto che l’Introduzione di Trotsky, le tesi di Bucharin-Lenin e quelle della Frazione comunista astensionista italiana, nell’esame della funzione storica del parlamento borghese, non presentano alcuna differenza. Dal punto di vista dei principi, tutt’e tre stabiliscono che si deve abbattere con un’azione violenta il potere di Stato borghese e distruggerne fino all’ultimo ingranaggio la macchina; che il parlamento è uno degli elementi più controrivoluzionari dell’apparto statale borghese, e deve quindi essere eliminato con la forza. Così avevano fatto i bolscevichi con l’Assemblea Costituente, pur avendo partecipato alla sua elezione. Così Marx aveva suggerito di fare nel 1871, quando si augurò che i comunardi marciassero su Versailles e disperdessero l’ignobile Assemble aNazionale dal cui grembo uscì la III Repubblica. Dopo la sua vittoria, il proletariato deve costruire un nuovo Stato, lo Stato della sua dittatura, fondato sui Consigli operai, e segnare così la fine storica del potere borghese, dello Stato e del parlamento capitalistico.

La storia successiva mostra che la controrivoluzione borghese, nella doppia veste della democrazia borghese e dello stalinismo, ha sconfitto e, infine, sepolto, la gloriosa tradizione comunista del proletariato russo e mondiale, facendo riemergere dai campi delle guerre imperialiste la bandiera dell’elettoralismo e del parlamentarismo a beneficio esclusivo della conservazione sociale e dello sfruttamento capitalistico. Quel che i marxisti italiani di allora previdero, in assenza della rivoluzione proletaria e comunista in Europa, purtroppo si verificò: andare nel parlamento per distruggerlo, si rimane completamente invischiati a tal punto che del “parlamentarismo rivoluzionario” rimase solo il parlamentarismo trasformatosi rapidamente in controrivoluzionario.

 

(1)      Pubblicate ne “il programma comunista” n. 18 del 1964 e n. 14 del 1965.

 

 

Nelle attuali condizioni, caratterizzate dallo scatenarsi dell’imperialismo, il parlamento è divenuto uno strumento di menzogna, di frode, di violenza, di distruzione, di atti di brigantaggio, opera dell’imperialismo. Le riforme parlamentari, mancanti di ogni contenuto di continuità e stabilità e concepite senza piano d’insieme, hanno persa ogni importanza pratica per le masse lavoratrici. (...)

I parlamenti borghesi, che costituiscono uno degli apparati principali della macchina governativa, non possono essere conquistati dal proletariato più che non lo sia in generale lo Stato borghese.

Il compito del proletariato consiste nel far saltare la macchina governativa della borghesia, nel distruggerla insieme alle istituzioni parlamnentari, siano esse quelle delle repubbliche o quelle delle monarchie costituzionali. (...)

Il comunismo si rifiuta dunque di vedere nel parlamentarismo una delle forme della società futura; si rifiuta di vedervi la forma della dittatura di classe del proletariato, nega la possibilità della conquista stabile dei parlamenti, si dà come scopo l’abolizione del parlamentarismo.

Non può dunque essere questione della utilizzazione degli istituti borghesi di governo, che in vista della loro distruzione. E’ dunque in questo senso ed unicamente in questo senso che la questione può essere posta.

 

Il comunismo, la lotta per la dittatura del proletariato e l’utilizzazione dei parlamenti borghesi

 

1. Il parlamentarismo come sistema statale è divenuto una forma “democratica” di dominio della borghesia che, in una certa fase di sviluppo, ha avuto biosgno della finzione di un organismo popolare rappresentativo, che dall’esterno sembra essere un’organizzazione della “volontà popolare” valida indipendentemente dalle classi, ma che è in sostanza uno strumento di oppressione e assoggettamento controllato dal capitale dominante.

2. Il parlamentarismo è una forma particolare dell’ordinamento statale; perciò non può essere la forma delle società comuniste, in cui non ci sono neé classi, né lotta di classe, né potere statale.

3. Il parlamento non può neppure fungere da forma di amministrazione dello Stato proletario nel periodo di transizione dalla dittatura della borghesia alla dittatura del proletariato.

Quando la lotta di classe abbia avuto sbocco nella guerra civile, il proletariato deve costituire la propria organizzazione statale come organizzazione di lotta a cui i rappresentanti delle passate classi dominanti non  sono ammessi. In questa fase la finzione della “volontà popolare” è assolutamente dannosa per il proletariato.

Il proletariato non ha bisogno di nessuna divisione parlamentare dei poteri, che gli è dannosa. La forma assunta della dittatura proletaria è la repubblica sovietica.

4. Il parlamento borghese, uno degli ingranaggi più importanti dell’apparato statale borghese, proprio in quanto tale non può essere conquistato permanentemente, esattamente come il proletariato non può conquistare lo Stato borghese. Il compito del proletariato è quello di fracassare il meccanismo statale borghese, distruggerlo, e con esso distruggere le istituzioni parlamentari, siano esse repubblicane o derivanti da una monarchia costituzionale...

5. Lo stesso discorso vale per amministrazione comunali borghesi.

6. Di conseguenza, il comunismo ripoudia il parlamentarismo come forma della futura società, come forma della dittatura di classe del proletariato. Nega la possibilità di conquistare permanentemente il parlamento; il suo obiettivo è distruggere il parlamentarismo. Ne deriva che il comunismo può interessarsi solo di sfruttare le istituzioni dello Stato borghese allo  scopo di distruggerle. Il problema si può porre in questo modo, e solo in questo modo.

7.Ogni lotta di classe è una lotta politica, perché in ultima analisi è una lotta per il potere. Qualsiasi sciopero che si propaghi per tutto il paese danneggia lo Stato borgehse ed assume pertanto una carattere politico...

8.Dunque, la questione della lotta politica non si identifica affatto con la questione dell’atteggiamento da tenersi nei confronti del parlamento. La prima è una questione generale della lotta di classe proletaria, in cui delle lotte ristrette e settoriali si radicalizzano fino a trasformarsi in lotta generale per l’abbattimento dell’ordine capitalista nel suo complesso.

9... La guerra civile è guerra. In questa guerra il proletaruiato deve avere il proprio corpo di coraggiosi ufficiali politici, il proprio forte stato maggiore politico, che diriga le operazioni della lotta in ogni campo.

10. La lotta di massa è un metodo complessivo di sviluppare azioni che assumono forme sempore più aspre e portano logicamente all’insurrezione contro lo Stato capitalista.

In questa lotta di massa che evolve in guerra civile, il partito guida del proletriato deve di regola assicurarsi tutte le posizioni legali, utilizzandole come centri ausiliari della propria attività rivoluzionaria e inserendole nel proprio piano generale di campagna, la campagna della lotta di massa.

11.Un centro ausiliario di questo genere è costituito dalla tribuna del parlamento borghese. Non costituisce un valido argomentoi contro la partecipazione alla lotta parlamentare il fatto che il parlamento sia un’istituzione dello Stato borghese. Il partito comunista non entra in tale istituzione per fungervi da parte organica del parlamento, ma al fine di aiutare le masse a spezzare l’apparato statale e il parlamento stesso con l’azione dall’interno del parlamento...

12. Questa attività parlamentare, che consiste principalmente nell’agitazione rivoluzionaria fatta dalla tribuna parlamentare, nello smascheramento dei nemici, nella mobilitazione ideologica delle masse, che,soprattutto nelle zone arretrate, sono ancora impacciate da illusioni democrayiche e guardano alla tribuna parlamentare, dev’essere integralmente e assoluitamente subordinata alle finalità e ai compiti della lotta di massa in atto fuori dal parlamento. La partecipazione alla lotta elettorale e la proprganda rivoluzionaria compiuta da dentrp al parlamento sono di particolare importanza per l’approccio politico a quei settori della classe operaia che fino ad ora sono rimasti lontani dalla vita politica...

18... Tanto il boicottaggio delle elezioni o del parlamento, quanto l’uscita dal parlamento sono ammissibili principalemnte quando esistano le condizioni favorevoli ad un passaggio immediato alla lotta armata per il potere.

19. Bisogna sempre avere presente la relativamente scarsa importanza di questa questione. Dato che il centro di gravità politico si trova nella lotta per il potere statale in atto fuori del parlamneto, è ovvio che il problema della dittatura proletaria e della lotta di massa per tale dittatura non può venir posto sullo stesso piano del problema dell’utilizzazione del parlamento.

20. Ecco perché l’Internazionale comunista sottolinea con la massima forza che essa considera un grave errore qualsiasi scissione o qualsiasi tentativo di scissione all’interno del Partito comunista sui quest’unica questione...

 

L’attività parlamentare rivoluzionaria

 

4. Un parlamentare comunista è obbligato, per decisione del comitato centrale, ad affiancare al lavoro legale quello clandestino. Nei paesi in cui i deputati comunisti godono dell’immunità parlamentare grazie alle norme di legge borghesi, questa immunità deve venire utilizzata per appoggiare le attività clandestine del partito in campo organizzativo e propagandistico

5. I depuitati comunisti debbono subordinare tutte le proprie attività parlamentari all’azione del partito fuori dal parlamento. Bisogna presnetare regolarmente delle proposte di legge con valore dimostrativo elaborate secondo le direttive del partito e del comitato centrale, senza pensare che verranno accettate dalla maggioranza borghese, ma a scopo di propaganda, agitazione, e organizzazione...

8. Ogni parlamentare comunista deve rammentare di non essere un legislatore alla ricerca di un accordo con altri legoslatori, ma un agitatore di partito mandato in campo nemico per seguire le decisioni del partito. Il deputato comunista non è responsabile di fronte alla massa disorganizzata degli elettori, ma di fronte al partito comunista, legale o clandestino.

9. I discorsi dei deputati comunisti in parlamento debbono essere di facile comprensione per ogni semplice lavoratore, ogni contadino, ogni lavandaia, ogni pecoraio, in modo che il partito possa pubblicarli in volantini da distribuire in ogni angolo del paese...

11. I deputati comunisti debbono utilizzare la tribuna parlamentare per smascherare non soltabnto la borghesia ed i suoi seguaci dichiarati, ma anche i socialpatrioti e i riformisti, per smascherare l’irresolutezza dei politici “centristi” e gli altri avversari del comunismo, e per fare propaganda agli ideali dell’Internazionale comunista.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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