Livorno 1921. La formazione del Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista

( Supplemento 02 a «il comunista» N° 166, Gennaio 2020 / Livorno 1921, la formazione del Partito Comunista d'Italia ) 

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●  1920 - 1921

A conferma delle posizioni sostenute dalla Sinistra comunista d’Italia sulla scissione di Livorno e il suo significato storico

(Seguono alcuni documenti del 1921 e 1922)

 

 

Un partito in decomposizione

Da “Ordine Nuovo”, 10/3/1921. Firmato: A. Bordiga; in https://www.quinterna.org/archivio/1921_1923 partito_decomposizione.htm

 

 

In tutta Italia le masse volgono di questi giorni la loro attenzione sull’atteggiamento del Partito Socialista: sono in un periodo critico per la formazione del loro giudizio su questo Partito, su quanto rimane di questo partito.

I Comunisti hanno il dovere, oltre che la convenienza nel senso buono della parola, di approfittare di questo stato d’animo dei lavoratori per intensificare ed accentuare la spietata loro critica al processo degenerativo e decompositore del partito da cui sono usciti, convinti della sua impotenza ad agire come partito rivoluzionario della classe operaia italiana.

Se la divisione del Partito Socialista fosse avvenuta col taglio della destra, lasciando unita l’antica frazione massimalista, anziché come è effettivamente avvenuta; la lezione che ne scaturisce per tutti non sarebbe così suggestivamente proficua. Anche i più diffidenti ed i più maligni, se si vuole, di noi, anche i più corrivi a dubitare delle dichiarazioni di fede rivoluzionaria, non arrivano a prevedere l’enorme divario che si stabilisce tra il linguaggio, il contegno, la politica di oggi e di ieri di certi ultra massimalisti. La tattica dei comunisti italiani a Livorno, sostenuta con dirittura ed energia ammirevole dalla Internazionale e dai suoi rappresentanti, si è rivelata un reagente ottimo per precipitare l’opportunismo, questa tossina del movimento proletario così difficile ad isolare, anche laddove essa meglio si dissimula.

Contro la nostra critica implacabile i massimalisti di un tempo hanno ostinatamente tenute le loro posizioni; ricorrendo a tutti i mezzi hanno difeso l’audace assunto di essere tuttavia quelli di una volta, muoversi ancora sul terreno rivoluzionario di Bologna, sulla accesissima piattaforma delle elezioni del 1919. Col corredo di tutte le risorse anche più sleali hanno strepitato che lo ostracismo che veniva loro dato non discendeva da un contrasto tra la loro direttiva e quella comunista, ma da artefatte sovrapposizioni di capricciosi e personali dissensi, da superficiali rivalità di uomini chi sa come - accreditate da Mosca. Nonostante la valida nostra battaglia; nonostante le mille esperienze della insufficienza disastrosa dell’indirizzo del non c’era da stupirsi se tutta quella mobilitazione polemica riuscisse in parte a influenzare alcuni strati delle masse, inducendoli a credere ancora al rivo-luzionarismo dei vecchi capi.

Gli avvenimenti ultimi di questo breve periodo di vita iniziale del Partito Comunista, vengono a concorrere assai felicemente alla chiarificazione della coscienza delle masse; in quanto tutto l’atteggiamento odierno degli organi e degli uomini del PSI sta a provare l’assoluta analogia tra il pensiero ed il metodo proprio degli attuali del Partito Socialista, e quello dei riformisti loro compagni, che hanno almeno il merito di essere rimasti sempre gli stessi. Mentre questa analogia si pone in sempre maggiore evidenza, l’abisso si approfondisce tra i comunisti usciti dal partito ed i sedicenti comunisti che vi sono rimasti in felice combutta coi destrissimi; e la utilità della scissione come è avvenuta si rende evidente e convince le masse della bontà della posizione presa dai comunisti.

Non guardiamo più ai riformisti, non inseguiamo più le confessioni antirivoluzionarie dei Turati, dei Modigliani, dei D’Aragona, di cui già da anni abbiamo raccolto larga messe senza che ciò commuovesse o convincesse il cretinismo unitario; oggi v’è ben altro! E’ l’atteggiamento dei dinamitardi di ieri, di coloro che posano a ultrasinistri, peggio, a depositari del verbo rivoluzionario e intransigente del modo proletario, dei trionfatori di Bologna sul programma comunista, dei conquistatori di Montecitorio cogli emblemi rivoluzionari della rivoluzione russa; sono le inverosimili contorsioni di costoro che urge denudare senza pietà agli occhi delle masse perché queste vedano, giudichino, e diano l’ultimo crollo al traballante moncone di quello che fu il loro partito.

Se pur si sfuggita si confrontano col programma massimalista di Bologna, le attuali dichiarazioni dei dirigenti del PSI, che tutti lo firmarono e lo sostennero quanto noi, più arrabbiatamente di noi perfino, si deve concludere che in certe situazioni le velenose tendenze del hanno per loro funzione di andare incontro al programma della sinistra, di farlo proprio nelle forme più chiassose e più vilmente demagogiche, per imprigionare il movimento delle masse e metterlo un giorno nelle mani delle tendenze di destra, cioè del riformismo qualificato che, tra le altre virtù, e pari a quella della coerenza ha la qualità di sapere abilmente attendere la sua ora lasciando fare ai suoi alleati del centro anche quando appare per la platea come la loro testa di turco.

Come conciliare le odierne dichiarazioni della Direzione socialista e dell’Avanti che logicamente hanno prodotto in quella parte delle masse non ancora orientate verso il Partito Comunista un senso di meraviglia infinita che va cedendo rapidamente il posto ad una santa indignazione, come accordare le invocazioni alla pace sociale, ai metodi “civili” di lotta politica e di classe; gli inviti al proletariato, non a trattare una tregua col nemico, ma a disarmare senz’altro rimettendosi alla buona volontà di esso pel ritorno alla “vita normale”; con le fondamentali affermazioni di Bologna, affacciate come un vangelo, proclamate come un giuramento, con teatralità finanche eccessiva? Non siamo più dunque nel periodo rivoluzionario mondiale che deve vedere la lotta suprema tra il proletariato e la borghesia per il potere? Non è più vero che la borghesia non potrà essere spossessata senza violenza armata, poiché non si lascerà spossessare senza aver ricorso al suo apparato di forza organizzata? E questo non sarebbe più vero quando il fenomeno fascista viene a darne la dimostrazione lampante? Non siamo più in presenza del dilemma inesorabile: dittatura della borghesia o dittatura del proletariato; è ciò proprio quando la borghesia proclama audacemente la sua prepotente volontà di dominio stracciando tutte le concessioni e le convenzioni economiche e politiche intercedute tra i suoi poteri costituiti e le classi lavoratrici?

Perché gli ex-massimalisti, badate, non fanno una questione contingente di convenienze tattiche; non dicono che in questo momento convenga al proletariato chiudersi in una prudente preparazione e non accettare di sciupare le proprie forze in azioni immediate. Anche questo sarebbe nella situazione odierna un suggerimento disfattista, poiché proprio i fatti degli ultimi mesi hanno provato che l’offensiva borghese si ringagliardisce sempre più dinanzi alla remissività proletaria. Ma i rinnegati del massimalismo dicono e fanno ben peggio. Essi barattano con una meravigliosa sfacciataggine quello che era ieri il nocciolo del metodo che asserivano di accettare poiché danno come norma definitiva alle masse nella loro azione avvenire, la rinunzia alla violenza, e si sforzano di ricondurle sul terreno della lotta pacifica, con armi e forze, che per essere di natura affatto spirituale e morale, fanno ormai paura solo ai seguaci dell’idealismo storico, tra i quali lo Stato borghese non suole reclutare i suoi governanti e i suoi sicari.

E se si volesse dire che il movimento della violenza rivoluzionaria e sarà quel tale momento teorizzato dal maestro dell’ unitarismo social-comunista; non si farebbe che confermare quanto siano peggiori dei riformisti autentici - che almeno hanno la sincerità di condannare i mezzi violenti e di proporre chiaramente altri mezzi all’azione delle masse - questi cialtroni di pseudo rivoluzionari nostrani. La violenza finale rivoluzionaria è necessariamente preceduta da tutto un periodo in cui gli scontri sono episodici. In tale periodo, compito del partito rivoluzionario è preparare ed organare la forza proletaria; ma ciò non può ottenersi predicando l’astensione da quel mezzo d’azione fondamentale, di cui non basta dimostrare la indispensabilità finale, ma pel quale occorre un vero allenamento tecnico. Questo fanno i capi del Partito Socialista in questo momento. Essi sembrano aver gettato uno sguardo sull’inizio della realizzazione di quel processo rivoluzionario scritto nei loro programmi di una volta, e di ritrarsene nella stessa misura in cui quel programma si svolge in realtà. Non è più vero che la guerra borghese nel suo periodo di liquidazione deve volgersi nella guerra rivoluzionaria di classe!

Questo si era detto per scherzo, poiché la guerra di classe si deve svolgere con armi civili, non con quelle stesse che si misero nelle mani dei lavoratori per l’opera fratricida di quattro anni!

La borghesia trasporta all’interno il suo armamentario di guerra esterna e i pretesi massimalisti, anziché vedervi la conferma della dottrina abbracciata ieri rispondono coll’invocare il disarmo! Dinanzi a questa situazione il nostro dovere primo è l’attacco a fondo contro questi sabotatori della rivoluzione; e solo di pari passo colla liquidazione degli ultimi residui della loro influenza che si può esplicare la serrata preparazione rivoluzionaria che è compito del nostro Partito. La rapida disgregazione del partito socialdemocratico sarà l’indice dell’incremento delle energie rivoluzionarie del proletariato italiano.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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