Livorno 1921. La formazione del Partito Comunista d’Italia, sezione dell’Internazionale Comunista

( Supplemento 02 a «il comunista» N° 166, Gennaio 2020 / Livorno 1921, la formazione del Partito Comunista d'Italia ) 

Ritorno indice supplemento Livorno   -   Ritorno indice « il comunista »


 

●  1920 - 1921

A conferma delle posizioni sostenute dalla Sinistra comunista d’Italia sulla scissione di Livorno e il suo significato storico

(Seguono alcuni documenti del 1921 e 1922)

 

 

A proposito delle critiche della scissione di Livorno

(Lettera di Amadeo Bordiga alla “Rote Fahne”)

 

 

Il carattere internazionalmente emblematico della scissione italiana come contributo teorico e pratico a quella che avrebbe potuto essere (e purtroppo non fu) una “definitiva sistemazione internazionale del movimento comunista” [come scritto ne La scissione italiana e la politica internazionale: La crisi nella centrale del Partito comunista tedesco, ne “Il Comunista” del 6/III/1921], ebbe la sua controprova immediata nell’accelerazione da essa provocata nella crisi, a lungo rimasta latente, del partito tedesco, e nelle critiche, solo velate dalla sornioneria delle rispettive “alte sfere”, che le rivolsero i portavoce delle ali più moderate dei partiti francesi e cecoslovacco. Poiché il VKPD [Partito comunista unificato di Germania] era destinato ad anticipare con regolarità sconcertante le più discutibili “mosse tattiche” della Terza Internazionale prima della caduta nel precipizio della controrivoluzione stalinista e delle sue “scelte” strategiche, e poiché gli altri due partiti, nati costituzionalmente spurii, seguirono tale evoluzione con la puntigliosità di un barometro, le ripercussioni di Livorno nelle loro file aiutano anche a comprendere perché alle tappe successive del declino dell’Internazionale si sia sempre accompagna la rimessa in causa dei criteri di principio che, già codificati nelle Tesi del II Congresso, avevano presieduto alla scissione in Italia; quindi, la rimessa in causa di questa stessa scissione. Paul Levi, esponente di primissimo piano del VKPD, era presente al XVII congresso del PSI a Livorno e alla costituzione del Partito Comunista d’Italia, pur concordando con l’espulsione dei riformisti turatiani, era un convinto assertore della fusione dei comunisti di sinistra con i comunisti “unitari” perché secondo lui, e una buona parte dei dirigenti comunisti tedeschi provenienti dalla “sinistra” degli Indipendenti, alle loro spalle c’erano “grandi masse proletarie che avevano dimostrato in passato o dimostravano nel presente di cercare lealmente la via della Terza Internazionale”. (Cfr. Storia della Sinistra comunista, vol. III, pp. 331 e segg.).

Secondo Levi, in effetti, non c’era la necessità della scissione nel PSI, ma quella di accordarsi con gli unitari, considerando la formazione del partito comunista in Italia, e altrove, ancora una questione tutta da risolvere. Di fatto, avendo il Comitato Esecutivo dell’Internazionale sostenuto e decretato che in ogni paesi ci doveva essere soltanto un partito membro effettivo dell’Internazionale, e che in Italia questo partito era soltanto il Partito comunista appena costituitosi a Livorno, quest’ultimo era doverosamente impegnato a rispondere a queste posizioni chiarendo che, sebbene ogni scissione del partito proletario costituisse una difficoltà reale nelle file proletarie nel comprenderne tutte le motivazioni, la lotta di classe stessa e l’atteggiamento concreto dei comunisti rivoluzionari avrebbero contribuito a giustificare la scissione da tutte le tendenze socialdemocratiche, gradualiste, opportuniste sviluppatesi all’interno del partito proletario, e a comprenderne la necessità. Ciò che era valso per i bolscevichi rispetto ai menscevichi, valeva ancor più nell’Occidente democratico tra i comunisti rivoluzionari e tutte le tendenze falsamente comuniste, come d’altra parte dimostrarono di essere sia in quegli anni, sia negli anni successivi.

 

 

Milano, 28 gennaio 1921

 

Carissimi compagni della Rote Fahne,

 

Nell’Avanti! del 27 corrente, edizione milanese, leggo in un telegramma da Berna riprodotto in parte un vostro articolo di commento ai risultati del Congresso Socialista italiano di Livorno.

Mi manca la possibilità di vedere nel testo originale l’intero articolo, e d’altra parte certi passi della traduzione sono evidentemente imprecisi; tuttavia vogliate consentirmi alcune osservazioni al riguardo dei giudizi contenuti in detto scritto.

Secondo esso voi non condividereste l’atteggiamento intransigente tenuto a Livorno da noi della Frazione Comunista verso i cosiddetti “Comunisti unitari” e sareste della opinione che con un po’ più di buona volontà da parte nostra si sarebbe potuto giungere allo scopo, da voi ritenuto giusto, di eliminare dal Partito e dalla Terza Internazionale la sola frazione di destra riformista.

Tale giudizio di evidente gravità, non può essere da noi accettato. Voi avreste la impressione che esisteva la possibilità di indurre i comunisti unitari capitanati da Serrati a disfarsi dei riformisti, subito, col voto del Congresso come applicazione delle decisioni di Mosca. Noi invece siamo convintissimi in base a mille e mille prove, che non esisteva affatto una via per raggiungere tale scopo, e ciò a parte il fatto che l’uscita di tutta la frazione Serrati dalla Terza Internazionale deve considerarsi come un avvenimento utile ed assai istruttivo per la tattica comunista é come una disgraziata conseguenza della situazione creatasi a Livorno. S’intende che alludiamo ai capi, ma non vi era altro mezzo per staccare da essi le masse che li seguivano e che da loro erano state ingannate sui termini della questione, che quello della scissione completa dopo la quale noi abbiamo intrapresa una viva campagna per attirare a noi il proletariato italiano.

Ma per ritornare alla possibilità dell’altra soluzione da voi prospettata, l’uscita cioè dal partito della piccola minoranza di destra, eccovi, senza entrare in troppi dettagli, le ragioni che dimostrano come tale soluzione fosse praticamente irraggiungibile.

Nella campagna per la preparazione del Congresso gli unitari, per acquistare voti, asserirono di essere disposti alla “epurazione” del Partito, ossia ad eliminare se non una frazione o dei gruppi, almeno taluni uomini più compromessi per i loro noti atteggiamenti riformistici. Ebbene, tale loro proposito sparì nelle giornate di Livorno; anzi gli unitari nelle loro adunanze di frazione smentirono la voce corsa che volessero proporre la esclusione dei deputati Turati e Ciccotti, i due elementi che Serrati era meno alieno dal sacrificare. La tesi unitaria dunque anziché avvicinarsi alla nostra - esclusione col voto del Congresso di tutta la frazione riformista, detta “di concentrazione socialista” - se ne allontanava sempre di più tendendo a destra in modo accentuatissimo. Ciò avvenne anche sulla questione collaterale del nome del partito: gli unitari nella loro mozione di Firenze proponevano il nome “Socialista-Comunista”, a Livorno deliberarono di ritornare al nome “socialista”, evidentemente per mettersi sul terreno della frazione di destra contrarissima al cambiamento di nome.

Ancora: vi era una corrente, quella del compagno Graziadei, che si proponeva appunto lo scopo da voi tratteggiato della cosiddetta “Unità comunista”. Soprattutto dopo le dichiarazioni dei riformisti, che audacemente asserivano di accettare i ventun punti e tutte le formule comuniste, nel momento stesso che ingiuriavano e diffamavano la Terza Internazionale, e dinanzi al contegno rivoltante dei serratiani, Graziadei e i suoi amici dichiararono che lo scopo era irraggiungibile e votarono senz’altro la nostra stessa mozione, come sono oggi con noi nel partito comunista.

La stessa opinione venne espressa dai compagni i quali rappresentavano l’Internazionale; ed anche di tutti i comunisti esteri che assistevano al congresso. Chi conosce la politica antica, e soprattutto recente degli unitari, e chi ha inteso i loro discorsi al congresso e le loro invettive contro i rappresentanti della Internazionale Comunista, per non dire contro i comunisti italiani, sa che essi se non sono riformisti, differenziano dai riformisti solo in quanto sono più pericolosi di loro per lo sviluppo della rivoluzione proletaria in Italia.

Infine, secondo la versione dell’ Avanti! nel nostro articolo sarebbe anche detto che la situazione creatasi è sfavorevole pel fatto che la frazione comunista italiana non costituisce un gruppo solido e chiaro. Su ciò non vogliamo trattenerci. Ci auguriamo solo che lo svolgimento della organizzazione e dell’opera del nostro partito comunista, costituito da pochi giorni, ma già in magnifica e concorde attività, dimostri che invece deve parlarsi di un chiaro solido e potente partito, degno rappresentante della Internazionale comunista in Italia.

 

Con saluti comunistici

Amadeo Bordiga

Da “Il Comunista” 3 febbraio 1921

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorno indice supplemento Livorno   -   Ritorno indice « il comunista »