Cantano vittoria i sindacati tricolore dopo la firma dell’ ipotesi di accordo per il rinnovo del Contratto nazionale dei metalmeccanici… ma i proletari portano a casa solo miseria!!!

(«il comunista»; N° 167 ; Gennaio / Marzo 2021)

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Il 5 febbraio 2021 è stato firmato il nuovo Ccnl dei metalmeccanici da Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil e Federmeccanica, Assistal. Tenendo conto che era scaduto a dicembre del 2019 e che è stata allungata la sua durata di 6 mesi fino al 30 giugno del 2024, significa che l’aumento che i sindacati collaborazionisti hanno ottenuto di 112 euro lordi al 5° livello retributivo sarà spalmato su ben 4 anni e mezzo (54 mesi). Il livello medio in cui è inquadrata la maggior parte degli operai è il 3° livello retributivo (paga base attuale di 1.628,69 euro lordi), quindi l’aumento riparametrato sarà di 100,26 euro lordi; inoltre questo aumento sarà dato in 4 tranche: la prima scatterà il 1° giugno del 2021 (22,38 euro), la seconda a giugno del 2022 (22,38 euro), la terza a giugno del 2023 (24,18 euro), l’ultima a giugno del 2024 (31,33 euro); tolte le tasse è evidente la miseria dell’aumento e del costo praticamente nullo per il padronato.

Anche il nuovo Ccnl dei metalmeccanici è fatto su misura – come ormai da decenni – sulle esigenze strettamente aderenti alle aziende e al mercato, quindi agli interessi del padronato. Infatti se andiamo a leggere il testo inerente alla questione professionale si capisce immediatamente che potrebbe essere stato scritto direttamente dai padroni per come si è cercato di specificare le declaratorie professionali in cui sono inquadrati i lavoratori, rinnovando i vecchi schemi per renderli più aderenti alle nuove tecnologie della produzione.

L’inquadramento unico risaliva al 1976 e con questo accordo verrà sostanzialmente modificato: il vecchio inquadramento era un meccanismo “inventato” per aumentare la concorrenza tra gli operai, in particolare tra i livelli retributivi più bassi e quelli più alti, mentre il nuovo inquadramento renderà, così sembra, più difficile ai livelli più bassi salire la scala salariale, quindi farà ulteriormente aumentare la concorrenza tra gli operai.

Va anche detto che il 2021 sarà “povero” di aumenti salariali a livello di contratto aziendale. L’aumento salariale –  trasformato da decenni dai sindacati tricolore in un “premio di risultato” (una specie di “una tantum” che il padrone eroga in base all’aumento della produzione) – e solo lì dove si contratta (in quasi la metà delle aziende non esiste), a causa della crisi economica aggravata dalla pandemia del 2020, subirà un abbattimento considerevole data la riduzione della produzione, e così sarà pure in questo 2021. Inoltre, si arrivava già da un contratto nazionale firmato nel 2016, che dal punto di vista degli aumenti salariali era stato ancora più magro di quello firmato attualmente; ciò significa che per i proletari sarà veramente dura far fronte all’aumentato costo della vita con questa miseria.

I proletari, per strappare anche solo qualche cosa di più sostanzioso dal punto di vista salariale, devono lottare uniti fuori dalle compatibilità con le esigenze dell’economia nazionale e aziendale, organizzandosi autonomamente e indipendentemente dai metodi e dai mezzi che il collaborazionismo sindacale impone loro da decenni. La collaborazione col padronato da parte dei sindacati tricolore non è soltanto una pratica opportunista, ma è diventata una esigenza capitalistica di gestione della forza lavoro in funzione della massima produttività in ogni azienda, tanto più di fronte alla crisi economica a causa della quale una parte considerevole delle aziende che non sono fallite hanno perso profitti e sbocchi di mercato. I sindacati tricolore, perciò, non fanno che rafforzare il loro ruolo non solo di pompieri rispetto alle spinte di lotta che spontaneamente i proletari esprimono, ma di veri e propri aguzzini del proletariato grazie ai posti di lavoro usati come ricatto rispetto all’ammontare dei salari e alla disponibilità dei proletari a piegarsi alle esigenze aziendali in termini di flessibilità e di produttività.

I proletari hanno la necessità sempre più evidente di lottare mettendo al centro della lotta obiettivi che partano direttamente dalla loro condizione reale di vita e di lavoro, vanno rivendicati forti aumenti salariali a partire dalle esigenze del proprio bilancio economico familiare non di quello aziendale o nazionale, hanno l’esigenza di lottare contro la competitività tra livelli salariali diversi, rivendicando aumenti maggiori per le categorie peggio pagate, un fattore che li unifica nella lotta contro il padronato. Hanno l’esigenza di lottare contro l’aumento dei carichi di lavoro, l’aumento dei ritmi di lavoro, la precarietà del posto di lavoro e quindi del salario. Hanno l’esigenza di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario, di lottare per avere misure di sicurezza e prevenzione dagli infortuni sul lavoro, per avere un ambiente di lavoro privo di sostanze nocive che minano la loro salute e abbreviano la loro vita. Hanno bisogno della solidarietà tra proletari contro i padroni, della solidarietà di classe e non della solidarietà tra lavoratori e padronato; ed hanno bisogno di lottare uniti con i licenziati e i disoccupati perché non è mai sicuro che la disoccupazione non colpisca  quella data azienda o quel dato settore di lavorazione: oggi e domani può colpire qualsiasi azienda, e quindi qualsiasi proletario, giovane o anziano che sia.

Ma per ottenere ciò è necessario fare un primo passo: rompere con la pratica del collaborazionismo sindacale che mette sempre di fronte ai proletari le esigenze “superiori” dell’economia nazionale e aziendale e non una lotta unificata e diretta contro tali esigenze che è l’unico modo per i proletari di riguadagnare la loro vita e ridurre la pressione del capitale sulla loro pelle. E’ un passo difficile da mettere in pratica, visti i decenni di politiche collaborazioniste attuate dai sindacati che falsamente si presentano come difensori degli interessi dei lavoratori, ma è l’unico passo che può far imboccare ai proletari la strada su cui è possibile costruire la forza di classe, la solidarietà di classe e su cui si può innestare una lotta che non sprechi le energie proletarie ma che metta a frutto un’esperienza preziosa per il suo allargarsi a tutti i settori e per il suo sviluppo, base imprescindibile della lotta per l’emancipazione dei proletari dalla schiavitù salariale.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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