Covid-19: un anno di tremende conferme. I governi borghesi puntano, in ogni paese, a salvare soprattutto l’economia nazionale. Le conseguenze mortali della pandemia? ...«danni collaterali»!

(«il comunista»; N° 167 ; Gennaio / Marzo 2021)

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Nel Comunicato ai lettori dell’11 marzo scorso (disponibile nel sito www.pcint.org), scrivevamo:

«Di fronte all’epidemia da coronavirus Covid-19 la borghesia ha preso una serie di misure restrittive eccezionali che mai aveva preso in precedenza in casi simili. La borghesia, condizionata dal suo stesso modo di produzione che mira essenzialmente alla valorizzazione del capitale sfruttando selvaggiamente le energie fisiche, nervose e sociali del proletariato e degli strati più deboli della popolazione in ogni paese, e nella sua impossibilità congenita di strutturare la società con una prevenzione efficace mirata alla salvaguardia della salute del genere umano nella sua vita economica e sociale, come non è in grado di razionalizzare l’economia capitalistica per armonizzarla con i bisogni della vita sociale umana e con l’ambiente naturale, portando l’intera società in situazioni di crisi sempre più devastanti, così non è in grado di affrontare gli eventi naturali – i terremoti, gli tsunami, le alluvioni, le epidemie, i cambiamenti climatici ecc. – con metodi e mezzi capaci di ridurre drasticamente gli effetti negativi e mortali di questi eventi. La scienza e le scoperte scientifiche, che tanta parte hanno avuto nello sviluppo delle forze produttive nell’epoca rivoluzionaria in cui la borghesia, con il contributo fondamentale delle masse proletarie e contadine povere, ha abbattuto violentemente le vecchie e superate forme feudali di produzione, di proprietà e di gestione sociale, sono state inesorabilmente piegate agli interessi del profitto capitalistico e del mantenimento dei rapporti di proprietà e di produzione che garantiscono il dominio di classe del capitale e, quindi, della borghesia». Un dominio di classe che si basa su rapporti di produzione e di proprietà attraverso i quali la classe borghese, proprietaria dei mezzi di produzione e della produzione sociale, ha sottomesso la grande maggioranza della popolazione umana alle condizioni di sopravvivere solo ed esclusivamente in regime di lavoro salariato, il modo più moderno e universale di sfruttare il lavoro umano allo scopo di valorizzare il capitale.

La classe dominante borghese, condizionata anch’essa dalla forza sociale rappresentata dal capitale e dal modo di produzione capitalistico, perdura nel suo dominio sociale solo se agisce al servizio del capitale e delle sue leggi, solo se la vita umana è regolata dallo scambio mercantile e se la produzione sociale risponde alle esigenze del mercato. Tutto è trasformato in merce, dagli alimenti ai rapporti sociali, dalla conoscenza alla vita individuale; attività, azioni, pensieri, rapporti interpersonali sono conformati alle esigenze del profitto capitalistico; ogni organizzazione sociale, ogni istituzione è indirizzata alla difesa del regime capitalistico. E’ naturale, perciò, che il potere borghese esprima, attraverso lo Stato e tutte le sue ramificazioni periferiche, politiche, amministrative e militari, la necessità che la popolazione di ogni paese – soprattutto in periodo di crisi economica e sociale – si pieghi alle esigenze della struttura economica esistente. Il mercato, perciò il profitto e le sue leggi primeggiano sulla vita sociale, sulla vita di ciascun essere umano, il cui benessere, la cui salute, non sono l’essenziale ma l’accessorio. E non c’è dimostrazione più evidente di questa realtà della situazione di crisi economica, di crisi sanitaria o di crisi di guerra, situazioni di crisi che lo sviluppo capitalistico stesso tende a sovrapporre e dalle quali, inevitabilmente, i gruppi economico-finanziari più potenti e gli Stati più forti traggono i maggiori benefici sottomettendo, o schiacciando, in una concorrenza sempre più spietata, i gruppi e gli Stati avversari.

La crisi sanitaria esplosa quest’anno a causa dell’epidemia da coronavirus si è sovrapposta ad una crisi recessiva di cui già diversi paesi imperialisti stavano soffrendo, e a situazioni di conflitti militari e di guerra che continuano a terremotare molte aree del pianeta, soprattutto in Medio Oriente, Africa, Asia centrale e America Latina. Nel mondo del capitale non esiste pace, se non come tregua tra guerre.

Simbologia e immagine della guerra sono state assunte, infatti, da tutte le borghesie per caratterizzare questo 2020, l’anno del Covid. “Siamo in guerra”, “guerra al coronavirus”, “guerra al nemico invisibile”, sono le grida e gli allarmi scattati dalla Cina all’Italia, dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti e al Brasile, dall’Australia all’India. In pochissimi mesi la pandemia da Sars-CoV2 ha fatto il giro del mondo, e a quelle grida si aggiungeva la sentenza assoluta: “Nulla sarà più come prima”! Vista la cronica mancanza di reale prevenzione sanitaria a difesa della salute pubblica, il sistematico depauperamento delle risorse destinate alla sanità pubblica a favore della sanità privata, il condizionamento della ricerca di qualsiasi ramo della scienza da parte del profitto capitalistico, la tendenza irreversibile del capitalismo a sfruttare qualsiasi risorsa umana e naturale a vantaggio del capitale e della sua valorizzazione e contro le esigenze di vita della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, quel “nulla sarà più come prima” suona come una prospettiva assolutamente negativa in cui l’umanità è stata disgraziatamente indirizzata.

L’unica risposta con la quale la scienza borghese cerca di contrastare le epidemie consiste nel produrre vaccini coi quali attenuare la letalità dei virus o dei batteri che sono all’origine delle malattie. L’interesse capitalistico prevale sull’interesse della scienza, perciò le ricerche e le sperimentazioni che possono avere uno sbocco nel produrre profitto nel più breve tempo possibile vengono finanziate a scapito di quelle che quello sbocco non lo garantiscono. E’ ovvio che solo i grandi gruppi chimico-farmaceutici dispongono dei capitali che servono a quelle ricerche e a quelle sperimentazioni, come è nella loro natura capitalistica non solo assicurarsi uno sbocco sul mercato, ma mettere in campo tutti gli stimoli necessari ad allargare il più possibile il mercato di riferimento. Se l’epidemia è circoscritta e riguarda un territorio limitato, l’interesse “scientifico” dei grandi gruppi chimico-farmaceutici è naturalmente limitato, e limitati sono, di conseguenza, i finanziamenti per la ricerca, le sperimentazioni e la produzione dei relativi vaccini; se, al contrario, l’epidemia si diffonde, o si lascia che si diffonda, su vasti territori, nei continenti o in tutto il mondo, allora l’interesse capitalistico aumenta vertiginosamente.

Come si diffondono l’Ebola, l’HIV, la Sars, il morbillo, il vaiolo, la poliomielite? Attraverso il contatto fisico, vivendo negli stessi ambienti animali e umani in cui i virus si formano, respirando la stessa aria; ci sono rari virus che si trasmettono solo tra umani, come il vaiolo e la poliomielite, mentre la stragrande maggioranza dei virus che si diffondono tra gli animali selvatici e gli animali domestici raggiungono l’uomo attraverso una serie di “salti” da un animale all’altro fino all’uomo grazie alle successive mutazioni di cui questi microrganismi sono capaci. Più gli uomini vivono in ambienti superaffollati e igienicamente malsani, più sono esposti all’infezione. Più gli uomini, che fanno parte del gruppo che un virus ha infettato, si muovono venendo a contatto con altri gruppi di uomini, più il virus si diffonde, viaggia da un villaggio all’altro, da una città all’altra, da un paese all’altro, da un continente all’altro. La velocità di diffusione dipende dalla più o meno grande mobilità degli uomini infettati e dal tempo, più o meno lungo, di spostamento degli infettati.

L’epidemia detta “spagnola” (1918-1920) ci ha messo circa due anni per diffondersi dall’America all’Europa (grazie allo spostamento delle truppe impegnate nella guerra mondiale); la Sars-CoV2 ci ha messo pochi mesi per diffondersi nel mondo, grazie ai contatti commerciali facilitati dai viaggi in aereo con cui, nel giro di 15 ore, si può andare da Shangai a New York.

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QUAL È L’INTERESSE DELLA SALUTE UMANA?

 

Innanzitutto non vivere in ambienti superaffollati e malsani, dunque evitare preventivamente di vivere in situazioni che facilitano la diffusione dei virus – siano essi specificamente umani, come il vaiolo e la poliomielite, siano quelli che provengono dagli animali selvatici e che si diffondono facilmente anche nei superaffollati allevamenti intensivi di bovini, ovini, polli, maiali ecc., o nei mercati dove si scuoiano e si vendono animali selvatici senza particolari attenzioni ingieniche. Al sorgere della malattia, che all’inizio colpisce sempre un gruppo relativamente ristretto di persone, l’intervento medico può risultare efficace se supportato dalla più estesa conoscenza degli elementi patogeni esistente al mondo, da un’organizzazione ospedaliera adeguata quanto a strutture, attrezzature, personale, e internazionalmente connessa, da una medicina del territorio presente ed efficiente e il tutto, ovviamente, esente da qualsiasi interesse di profitto capitalistico. In particolare, se la malattia è provocata da un patogeno sconosciuto o poco conosciuto, alla ricerca e alla sperimentazione deve essere dato tutto il sostegno e il tempo necessari – anche se le persone colpite sono poco numerose – e, naturalmente, nell’isolamento e nella massima protezione dei malati e del personale sanitario. D’altra parte, le ricerche già fatte su molteplici tipologie di virus, sulla loro trasmissibilità e sulla loro virulenza, e le sperimentazioni già avvenute sul campo, hanno portato ad un livello di conoscenza sufficiente per iniziare ad intervenire sull’organizzazione della vita sociale umana in modo da ridurre la letalità dei virus a numeri irrisori, sapendo oltretutto che i virus sono microrganismi più antichi dell’uomo con i quali  l’uomo – come qualsiasi essere vivente, pianta o animale – deve convivere. Non esiste l’eventualità che un domani l’uomo riesca a sconfiggere totalmente qualsiasi tipo di virus o di batterio che l’ambiente produce e che produrrà continuamente modificando le loro caratteristiche, il loro modo di comportarsi, eliminando alcune varianti che verranno sostituite da altre tipologie modificate, più aggressive o più resistenti; esiste però la possibilità che, in un lontano futuro, l’organizzazione sociale dell’uomo sviluppi la conoscenza di tutte le forme di vita che esistono ed esisteranno sulla terra in modo da poterle utilizzare ai propri fini e di rendere quelle più pericolose raramente letali rispetto a quanto non siano in epoca capitalistisca. Ma l’organizzazione sociale umana che potrà affrontare la vita in questo modo non potrà mai essere quella capitalistica, quella che si basa sulla divisione in classi della società, sui rapporti di produzione e di proprietà capitalistici. Stiamo parlando di una società completamente nuova, tutta da organizzare, della società socialista e del suo ulteriore sviluppo nella società comunista, cioè della società che trasformerà l’economia mercantile e capitalistica in economia sociale volta alla soddisfazione delle esigenze di vita dell’umanità in armonia con quelle dell’ambiente naturale e non del mercato.

Perciò la storia umana potrà iniziare solo dopo aver superato completamente le epoche storiche delle società divise in classi che si sono susseguite fino alla società capitalistica; e per storia umana non intendiamo la storia dello sviluppo dell’individuo-uomo, ma la storia della specie umana nell’ambiente naturale. Un ambiente che la borghesia tende oggettivamente a distruggere più che a conoscere; e quando approfondisce la sua conoscenza è soltanto per sfruttarlo a scopi di profitto capitalistico, cioè, in ultima analisi, per distruggere qualsiasi rapporto organico tra uomo e ambiente (basta considerare l’inquinamento atmosferico, quello del suolo e dei mari, le progressive cementificazione del suolo, la sistematica deforestazione, l’addensamento gigantesco degli uomini in metropoli mefitiche ecc.). 

Di fronte ad ogni epidemia, sulla base delle conoscenze scientifiche del momento –  inevitabilmente condizionate dai rapporti di produzione e di proprietà esistenti – si tendeva, fin dall’antichità, prima di tutto a separare gli infettati, gli ammalati da tutti gli altri, isolandoli, si cercava di stabilire i sintomi della malattia in modo da riconoscerli in tutti gli infettati e si cercava di individuare le cause che l’hanno provocata. Sulla base di queste prime evidenze si tentava di trovare i rimedi, provando e riprovando le forme più diverse di intervento con risultati generalmente scarsi, tanto da attendere che l’infezione epidemica si esaurisse da sola e spiegare la fine dell’epidemia come un miracolo, dovuto a qualche evento extraumano ed extraterrestre, a qualche divinità alla quale particolari uomini chiamati stregoni, esorcisti o preti si sono rivolti, con precisi riti, a nome dell’intera comunità. La grande differenza tra le conoscenze scientifiche di oggi e quelle dell’antica Grecia, o dell’antico Egitto, è determinata dallo sviluppo delle forze produttive e dalle organizzazioni economiche e sociali che, nella storia, lo hanno accompagnato. E’ proprio dell’uomo – non limitandosi più a raccogliere quello che la natura produce e grazie alla sua capacità di modificare l’ambiente in cui vive e di intervenire su di esso cercando di piegare gli elementi naturali a proprio vantaggio – fare dell’esperienza di tutto ciò che attiene alla sua vita, alla sua sopravvivenza, alla sua organizzazione sociale, al suo lavoro col quale ottenere un risultato diverso da quello che la natura spontaneamente produce, la base della conoscenza e, quindi, grazie allo sviluppo di metodi ed esperimenti atti a sviluppare la conoscenza iniziale, la base della scienza. Da quando la società si è sviluppata dal comunismo primitivo in società divisa in classi, grazie appunto allo sviluppo delle forze produttive e, quindi, dell’economia, le classi dominanti si sono impossessate, con l’organizzazione dei rapporti sociali e dei rapporti di proprietà, e con la forza, mano a mano di tutti i risultati di quello sviluppo, scienza compresa. La scienza, così, oltre ad essere proprietà privata dell’élite che possiede il potere politico e militare, è diventata un’arma di controllo sociale poiché dal suo uso e da come la si usa possono dipendere le fortune, o meno, delle classi dominanti.

Nella società capitalistica qualsiasi scoperta, qualsiasi ritrovato scientifico, qualsiasi passo avanti nella conoscenza – aldilà della casualità della scoperta o della specifica organizzazione della ricerca indirizzata a obiettivi prefissati – ha un risvolto economico preciso: può essere trasformato rapidamente in profitto, o in un elemento il cui solo possesso (e non importa che lo si usi o no) determina un vantaggio nella lotta di concorrenza, oppure, per quanto sia interessante dal punto di vista della scienza teorica, non dimostrando di possedere le caratteristiche sopra citate, viene accantonato, congelato, dimenticato. Nella società capitalistica ogni invenzione, ogni scoperta, ogni trovata che può avere un risvolto economico e commerciale è brevettabile, cioè è sottosposta alla proprietà privata della persona o dell’azienda che l’ha brevettata.

Nulla, nella società borghese, è a disposizione gratuita dell’intera comunità umana e se eccezionalmente qualcosa è gratis, come ad esempio il servizio dei pompieri o la mensa o il dormitorio per i poveri nei paesi capitalisti ricchi, è perché la classe dominante vuole evitare che di fronte ad emergenze sociali particolarmente impressionanti – come un edificio che va a fuoco o come  masse poveri che muoiono per strada di fame e di freddo – vi siano reazioni incontrollabili la cui repressione potrebbe essere più costosa e meno accettata dalle masse, mentre con questo tipo di compassione il potere borghese veste il proprio congenito cinismo con un velo di umanitarismo con cui ingannarle.

In realtà, i poteri borghesi non hanno alcuno scrupolo nel massacrare di fatica miliardi di proletari, di gettarli sul lastrico quando non li possono più sfruttare o di usarli come carne da cannone nelle loro guerre; nessuno scrupolo nel bombardare città intere, mettere a ferro e fuoco villaggi interi, lasciar morire nei loro “viaggi della speranza” centinaia di migliaia di profughi e migranti che scappano dalla miseria e dalle guerre, deportare e imprigionare milioni di migranti in campi di concentramento sottoponendoli a condizioni peggiori di quelle da cui sono fuggiti (basta l’esempio della Libia?).

La scienza borghese più avanzata è sempre quella applicata all’armamento bellico e alle necessità belliche, come dimostra il nucleare e internet, la cui successiva applicazione in campo civile ha moltiplicato i profitti già prodotti in campo militare. D’altra parte, come per il nucleare non abbiamo mai dato la colpa del suo potere distruttivo all’atomo, ma all’uso capitalistico dell’atomo, così per i vaccini non diamo la colpa al virus che dovrebbero curare, ma all’uso capitalistico della ricerca medica e farmacologica volta non a cooperare con l’organismo umano rafforzando il suo patrimonio immunitario, ma a sostituire questo patrimonio con organismi geneticamente modificati, perché così si impone l’interesse del profitto capitalistico.

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QUAL È L’INTERESSE DEL PROFITTO CAPITALISTICO RISPETTO ALLE MALATTIE?

 

Più malattie sono da curare, più farmaci si vendono. Il business dei farmaci si realizza solo se le malattie aumentano, aumentando quindi il numero di ammalati, meglio ancora se ogni persona si ammala più volte e di malattie diverse. Gli ammalati diventano così un mercato nel quale si tuffano tutte le aziende farmaceutiche in concorrenza fra di loro, mentre lo sviluppo del capitalismo conduce alla concentrazione e alla centralizzazione capitalistica; si formano così i grandi gruppi, le cosiddette multinazionali, i Big Pharma del mondo che, controllano non solo il grosso della produzione farmaceutica e della sua distribuzione, ma anche la ricerca.

Alla fine, la sanità pubblica, e quindi gli Stati, dipendono da questi grandi gruppi che sono in grado di fornire in grandi quantità farmaci di ogni tipo. E, come in altre situazioni, ben venga un’epidemia, meglio ancora se pandemia: il business dei vaccini tocca in questo modo vertici mai visti. E’ così che, di fronte alla prospettiva di una pandemia come questa del Covid-19, oltre alle decine di milioni di contagiati e al milione di morti che finora sono stati registrati, e nel prossimo anno potrebbe farne molti altri; di fronte quindi alla prospettiva di una vaccinazione di massa di centinaia di milioni di esseri umani, sono 58 i gruppi che si sono messi in gara per produrre e vendere il proprio vaccino (1).

Naturalmente la concorrenza, aumentando progressivamente, ha spinto e spinge le case farmaceutiche a produrre, in generale, farmaci sempre più specifici andando così incontro all’impostazione della medicina borghese che seziona il corpo umano in tante parti distinte, per ognuna delle quali si inventano farmaci appositi che, di fatto, per la maggior parte dei casi, si occupano dei sintomi (perciò non curano) e non dell’origine della malattia che, se conosciuta, in genere non viene curata tanto più che la vera cura sarebbe la prevenzione sociale, ma questa è sistematicamente assente. Se la prevenzione fosse la disciplina principale della medicina e, soprattutto, una bussola sociale, e funzionasse come arte sociale del benessere del genere umano, gran parte delle malattie che colpiscono gli uomini dopo essere state debellate non si presenterebbero più con la gravità con cui si diffondono oggi; e questo non grazie a particolari vaccini, ma grazie al vivere sano in ambienti sani e in modo sano, cosa che non è data dalla società borghese che dalle malattie, come dai disastri, dalle catastrofi e da ogni tipo di emergenza trae profitti giganteschi.

D’altra parte, a dimostrazione che il modo di produzione capitalistico e, quindi, la società borghese che si fonda su di esso, è un modo di produzione disumano basta l’esempio dei lavoratori salariati: sono costretti non a vivere, ma a sopravvivere e a sfamarsi esclusivamente se i capitalisti danno loro lavoro, cioè solo se sfruttano la loro forza lavoro e per il tempo che la sfruttano. Quando sta male, il lavoratore salariato viene rimesso in piedi in qualche modo perché torni a farsi sfruttare prima possibile, e a questa bisogna ci pensano i medici del lavoro i quali, quasi sempre, devono mettere da parte il loro giuramento di Ippocrate e seguire il giuramento fatto a Sua Maestà il Capitale: il benessere dell’economia, prima di tutto, a discapito del benessere dell’uomo.

Le malattie professionali, gli incidenti e le morti sul lavoro, i veleni e le sostanze tossiche che si respirano sui luoghi di lavoro e nelle città, le morti dilazionate nel tempo come quelle provocate dall’amianto, dallo stress, dalle più diverse forme di tumore o dall’indigenza e dalla fame, tutto questo viene, di fatto, considerato dalla borghesia un “danno collaterale” perché prioritario è il benessere dell’economia, dell’economia di ogni azienda come dell’economia nazionale. Il capitale, e non l’uomo, è al centro dello sviluppo sociale.

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CHE COSA È AVVENUTO DI FRONTE ALL’EPIDEMIA DA SARS-COV-2, GIORNALISTICAMENTE SEMPLIFICATA COME COVID-19?

 

La Cina, dove è scoppiata l’epidemia da Covid-19, ha atteso alcuni mesi prima di lanciare l’allarme di questa nuova polmonite; lo scopo di questo ritardo, mai ammesso, era di salvare il più a lungo possibile i suoi intensi traffici commerciali col mondo e di non far crollare la propria economia. Una volta che si è scoperto che questo virus si era diffuso anche in Europa, negli Stati Uniti e nel mondo, ogni Stato ha affrontato la vicenda sulla base dello stesso principio: salvare prima di tutto l’economia nazionale, che capitalisticamente parlando significa salvare i profitti, i business, i rapporti commerciali privilegiati della propria borghesia. Anche i governi che in un primo tempo hanno preso sotto gamba la pericolosità di questa pandemia, come in Gran Bretagna, negli Stati Uniti d’America o in Brasile, ridicolizzando i governi che iniziavano ad applicare molte restrizioni fino al lockdown generalizzato, una volta che i morti hanno iniziato ad essere migliaia, hanno dovuto tornare sui propri passi e copiare le misure che negli altri paesi erano state già prese da tempo. Non che questo abbia salvato dalla diffusione del Covid gli uni e gli altri paesi, perché alla fin fine tutti i governi borgehsi rispondono alle stesse leggi economiche. Ma la preoccupazione di salvare il buon andamento dell’economia non è emersa improvvisamente di fronte all’epidemia da Covid-19, viene da lontano ed è sistematicamente presente nella società borghese. Il buon andamento dell’economia si sposa perfettamente con gli affari e con l’interesse personale e con quello di gruppi borghesi che, anche se temporaneamente, hanno potere politico decisionale, soprattutto nell’amministrazione pubblica che gestisce soldi pubblici, dunque anche con il malaffare che in situazioni di emergenza fiorisce come non mai. 

Dato per scontato, ormai, che l’impreparazione generale di ogni paese nel riconoscere questa epidemia e nell’affrontarla con mezzi che si suppone siano alla portata di ogni paese capitalisticamente avanzato, era inevitabile che ogni governo, prima o poi, dovesse ricorrere a rimedi e misure d’emergenza che, come abbiamo detto fin dall’inizio della crisi sanitaria, hanno avuto come obiettivo principale non la salute della popolazione, ma il controllo sociale da parte borghese. Aldilà del fatto che le misure adottate dai governi siano state e siano tuttora la cosa da fare per limitare la diffusione dei contagi e la letalità della Sars-CoV-2 – dai dati che gli stessi istituti di statistica borghesi dei vari Stati forniscono (al 27 dicembre) non è così – ogni governo ha perseguito esattamente gli stessi obiettivi: difendere al massimo possibile l’economia nazionale e applicare un controllo sociale molto più stretto di quanto fosse possibile in situazioni non d’emergenza; e i quasi 81 milioni di contagiati e 1,8 milioni di morti vengono registrati cinicamente come il prezzo pagato nella “guerra al coronavirus” (qualche esempio: USA, contagiati quasi 19 milioni e mezzo, morti 340mila; Europa+Russia, contagiati circa 28 milioni, morti oltre 596mila; Asia, contagiati 18 milioni circa, morti quasi 308mila ecc.): una “guerra” in realtà mai combattuta contro il virus, che rimane un perfetto sconosciuto, ma contro gli uomini e il cui massimo responsabile è proprio la classe borghese dominante.

In alcuni casi, come in Cina, in Corea del Sud, in Giappone (dai dati ufficiali forniti da questi paesi che prendiamo, alla pari di tutti gli altri dati, con le pinze, anche perché tra i morti registrati come vittime del Covid-19 in verità in moltissimi casi sono registrati anche coloro che hanno avuto patologie gravi pregresse), sembra che le misure di isolamento, di intervento medico, di organizzazione sanitaria e di protezione individuale, abbiano dato dei risultati molto meno gravi che nel resto dei paesi del mondo (in Cina, dove l’epidemia è scoppiata per prima, a fronte di 88.933 contagiati, contano 4.634 morti; in Corea del Sud, contro 56.872 contagiati, contano 808 morti; in Giappone contro 218.467 contagiati, i morti sarebbero 3.062). Ultima notizia, dal tg24.Sky.it del 29 dicembre: la Russia ammette che le vittime sono oltre il triplo di quelle comunicate (al 27.12.2020 il numero di vittime comunicato era di 54.091): si attende la stessa ammissione anche da parte della Cina, della Corea del Sud, del Giappone...

Va da sé che anche l’impatto negativo dell’epidemia sulla crescita economica è stato differente tra la Cina e gli altri paesi; secondo le previsioni dell’FMI la Cina, tra i grandi paesi oltre all’India, chiuderà il 2020 con un Pil in positivo (+1,2%) e segnerà un +9,2% nel 2021, mentre tutti gli altri concorrenti mondiali chiuderanno il 2020 in forte negatività (USA -5,9%, Germania -7%, Giappone -5,2%, Gran Bretagna -6,5%, Francia -7,2%, Italia -9,1%, Spagna -8%, Russia -5,5%, Brasile – 5,3% ecc.); per l’India, come dicevamo, l’FMI prevede una chiusura per il 2020 a +1,9%. Quanto alle previsioni del 2021, contro il dato fortemente positivo della Cina, e di un +7,4% dell’India, tutti gli altri concorrenti mondiali segneranno, sempre secondo l’FMI, un incremento decisamente inferiore (USA +4,7%, Germania +5,2%, Giappone +3%, Gran Bretagna +4%, Francia +4,5%, Italia +4,8%, Spagna +4,3%, Russia +3,5%, Brasile +2,9%), il che non consentirà loro di recuperare interamente le perdite del 2020, cosa che fa prevedere non solo la continuazione, per più anni, della crisi economica già iniziata nel 2019, ma anche una stretta sui propri proletariati nazionali poiché gli effetti di questa crisi aumenteranno notevolmente le difficoltà in cui si imbatteranno tutti i maggiori paesi capitalisti sia a livello economico e finanziario, con indebitamenti che sono anch’essi destinati ad aumentare, sia a livello dei rapporti tra gli Stati.

I fattori di contrasto si acutizzeranno in tutte le aree del mondo, nell’area del Pacifico come in quella europea, nell’area mediorientale come in quella dell’Oceano Indiano, nell’area caraibica e sudamericana come in quella mediterranea, nel nord-Africa, nel Corno d’Africa e nell’Africa sub-sahariana, nel Golfo Persico come in quella dell’Asia centrale. Tutti i maggiori paesi imperialisti, inevitabilmente, sono e saranno coinvolti perché non esiste alcuna area al mondo, dall’Artico all’Antartide, estranea ai loro interessi. Sebbene non tutte le potenze imperialistiche, per difendere con tutti i mezzi, compresi quelli militari, i propri specifici interessi, siano pronte ad uno scontro bellico di dimensioni mondiali – basti pensare alla Germania e al Giappone su cui pesano ancora le limitazioni in fatto di armamenti provenienti dalla sconfitta nella seconda guerra mondiale, e alla stessa Cina che solo ultimamente ha iniziato a dotarsi di una marina militare – ciò non vuol dire che non ci pensino e che non si preparino industrialmente, organizzativamente e socialmente, alla mobilitazione generale in vista di una futura guerra mondiale.

Come le guerre locali sono, oltre ad occasioni formidabili per l’industria degli armamenti di ogni paese di smerciare i propri prodotti, occasioni perché ogni potenza coinvolta testi le sue capacità militari, la velocità e l’efficacia del suo intervento, così la crisi sanitaria attuale è un’occasione per i poteri borghesi di ogni paese per  testare la risposta interna da parte proletaria a misure “da tempi di guerra”, saggiando nello stesso tempo il tipo di reazioni che socialmente possono presentarsi.

Obbligare i proletari ad andare al lavoro nonostante le restrizioni adottate, e in condizioni di difficoltà negli spostamenti, nella sanificazione degli ambienti di lavoro, in mancanza di protezioni individuali adeguate e sotto il ricatto di perdere il lavoro, significa allenare il proletariato ad essere sfruttato e ad obbedire in nome di obiettivi economici e sociali definiti essenziali aldilà di ogni interesse e rivendicazione specificamente operaia; significa abituare i proletari a situazioni di disagio, di eccezione e di pericolo che domani, in situazione di guerra guerreggiata, diventeranno la norma. La sospensione forzata delle famose “libertà individuali” previste dalle costituzioni e vantate dai regimi democratici come il non plus ultra della civiltà moderna, a causa dell’emergenza da coronavirus, dell’emergenza del terrorismo islamico o dell’aggressione bellica di uno Stato nemico, è un assaggio di quello che già avviene in molti paesi (basti pensare alla Cina, alla Russia, alla Turchia, all’Egitto, tanto per citarne alcuni) e che domani avverrà dappertutto in caso di guerra mondiale. Il proletariato dovrà prendere atto di essere un bersaglio non casuale o secondario delle politiche di controllo sociale, e dovrà porsi il problema pratico di come organizzare non solo la resistenza alla pressione e alla repressione borghese, ma anche i propri interessi di classe per poterli difendere ed imporre al suo nemico principale: la borghesia di casa propria.

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DI FRONTE AD UN ATTACCO COSÌ VIRULENTO DEL NUOVO CORONAVIRUS – FACILITATO DALL’ASSENZA DI PREVENZIONE, DALLA SOSTANZIALE DISORGANIZZAZIONE DELLA SANITÀ PUBBLICA E DALL’INSIPIENZA DEI GOVERNANTI – CHE COSA HANNO FATTO E FANNO I POTERI BORGHESI DI OGNI PAESE?

 

Hanno colto l’occasione che forniva questa epidemia, data la sua contagiosità e la sua letalità, e data la paura che è stata appositamente diffusa e ingigantita di fronte a questo “nemico invisibile”, per aumentare il controllo sociale genericamente sulla popolazione e, in particolare, sul proletariato. La chiamata insistente a lottare “tutti uniti” contro il coronavirus, sostenuta dalla propaganda mainestream, e da misure restrittive e di confinamento simili a quelle che si prendono in tempo di guerra, con la mobilitazione di tutte le forze dell’ordine e dell’esercito a difesa di quelle misure, fa parte della politica di collaborazione tra le classi che è attuata da decenni da tutti i governi borghesi in ogni paese, ma che, in questo caso, è volta ad agire come preparazione ad una guerra non tanto contro un “nemico invisibile” come il virus, ma contro un nemico visibilissimo da individuare, prima o poi, in uno Stato nemico, o più Stati nemici, che vanno combattuti perché accusati di essere gli “aggressori” di turno, gli aggressori che mettono in pericolo la “nostra libertà”, la “nostra civiltà”, la “nostra “patria”. Quando i borghesi utilizzano il termine nostro lo fanno come faceva un tempo il re usando il termine noi, il famoso pluralis maiestatis; sia il re che i borghesi intendono parlare a nome del popolo, e l’inganno sta proprio nel concetto di popolo perché non distingue la divisione in classi della società. Sia i re che i borghesi, essendo rappresentanti di classi dominanti, si prendono il vezzo di parlare a nome di tutte le classi al solo scopo di ingannare e fregare le classi dominate. Ci sono stati momenti rivoluzionari nella storia in cui i re sono stati detronizzati o decapitati (Parigi 1789) e i borghesi sono stati, a loro volta, cacciati dal potere (Parigi 1871, Pietroburgo 1917) e vinti nella guerra civile (Pietroburgo 1918-1921). Momenti che non sono bastati per cambiare completamente la società, ma che segnano una direzione nella quale le forze produttive, se dirette secondo la forza storica che rappresentano, avanzano inesorabili verso il culmine dello scontro di classe per il quale il partito proletario rivoluzionario, dunque il partito comunista senza alcun aggettivo nazionale, fin dal 1848 di Marx ed Engels, è chiamato a prepararsi.

In ogni caso, ogni Stato borghese, per far fronte a qualsiasi guerra, tanto più alla guerra guerreggiata, ha e avrà bisogno della massima “unità nazionale”, obiettivo che persegue da sempre con ogni mezzo politico, sociale, militare. La storia delle guerre precedenti lo dimostra chiaramente, come dimostra che l’unica forza in grado di opporsi alla guerra imperialista, di combattere contro di essa e di porre ad essa una reale alternativa, è la forza di classe del proletariato. Ecco perché, pur nella confusa propaganda popolare che la borghesia dominante utilizza tradizionalmente, è il proletariato, la classe dei lavoratori salariati, ad essere l’obiettivo principale delle preoccupazioni borghesi. Se il potere borghese ha contro il proprio proletariato, è molto difficile che riesca a fargli fare la guerra senza pesanti reazioni interne, e in ogni caso è molto difficile che riesca a mantenere fino in fondo gli impegni di guerra presi con gli alleati. Le sollevazioni contro la guerra in Germania e la rivoluzione proletaria in Russia, durante la prima guerra imperialista mondiale, dimostrano che è il proletariato la vera forza sociale in grado di farla finita con la guerra borghese, ponendosi sul terreno della rivoluzione, indirizzando tutte le proprie forze a combattere prima di tutto la borghesia di casa propria per conquistare il potere politico, abbattendo perciò lo Stato borghese – che è l’espressione della dittatura di classe borghese – e instaurare al suo posto la propria dittatura di classe, lo Stato proletario.

Per quanto questo obiettivo della lotta rivoluzionaria proletaria, oggi, appaia lontano nel tempo, è però sempre presente ad ogni borghesia dominante perché la storia ha insegnato anche ad essa che le sue crisi economiche e finanziarie non saranno mai superate definitivamente, che la guerra fra gli Stati borghesi è una costante dello sviluppo della sua società, e che il proletariato è l’unica forza sociale che le si contrappone mettendo in pericolo il suo potere. La borghesia, in quanto classe dominante, deve sottomettere alle sue esigenze di classe tutte le altre classi e, in particolare, la classe del proletariato; in un mondo ormai universalmente sottoposto ai contrastanti interessi interimperialistici, e non importa in quale paese e in quale continente eserciti il suo potere, la borghesia di qualsiasi paese non può più estraniarsi dalle lotte di concorrenza e dai conflitti che ne derivano. Coinvolta direttamente o indirettamente, ogni borghesia nazionale non può più stare alla finestra o “scegliere” di starsene da parte, in pace, per poi godere dei vantaggi derivanti dalla fine della guerra “degli altri”. Lo sviluppo imperialistico del capitalismo ha dato origine ad un mercato nel quale necessariamente ogni paese è coivolto, come attore principale o meno. Ma, nei paesi capitalisti più ricchi, la borghesia ha tratto un’altra lezione importante dalla storia delle lotte di classe: sul piano economico e sociale le è più conveniente soddisfare qualche richiesta del proletariato perché così appiana, almeno in parte, i fattori di conflitto sociale. I famosi ammortizzatori sociali hanno dimostrato e dimostrano che, tacitando alcune esigenze di vita dei proletari, mantengono il proletariato nell’alveo della collaborazione di classe e contribuiscono, nello stesso tempo, a dividere i proletari in molti strati sociali differenziati, alcuni più privilegiati degli altri. E sappiamo fin dal Manifesto del partito comunista di Marx-Engels che la concorrenza fra gli operai stessi è l’arma con cui la borghesia riesce non solo a dominare più a lungo sul proletariato, ma anche la causa per la quale l’organizzazione dei proletari in classe, quindi in partito politico, viene continuamente spezzata. L’unità nazionale, cui si appella la borghesia, in ogni situazione di crisi e di emergenza, come attualmente nella crisi da Covid-19, viene contrapposta, in realtà, all’unità di classe del proletariato, perché questa unità di classe significherebbe il superamento della concorrenza fra gli operai stessi, significherebbe rinsaldare la solidarietà di classe fra tutti i proletari non importa a quale settore, categoria, genere, età o nazionalità appartengano; l’unità di classe del proletariato esprime la forza di classe del proletariato, mentre l’unità nazionale esprime la forza di classe della borghesia dominante.     

La forza sociale del proletariato non è neutra; nemmeno il proletariato può “scegliere” di starsene in disparte mentre la propria borghesia “fa la guerra”, perché in guerra la borghesia manda il proletariato ed è lui che viene utilizzato come carne da cannone. Per quanto la tecnologia moderna abbia fatto passi da gigante nell’aviazione, nella marina, nella guerra a terra, è la massa di proletari che subisce i massacri più orrendi perché la guerra non si fa più soltanto sul fronte delle trincee, ma si svolge su tutti i territori e, soprattutto, contro la popolazione civile. Alla guerra guerreggiata, la borghesia prepara il proletariato non solo usando la propria forza economica e politica, instillando la paura di un nemico straniero aggressivo, ma usando anche la politica di collaborazione di classe per la quale sono sempre molto attivi gli strati della piccola borghesia e dell’aristocrazia operaia, cioè gli strati sociali che la borghesia corrompe difendendo, almeno sulla carta, la loro piccola proprietà, i loro piccoli patrimoni e i loro piccoli privilegi sociali.

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COVID-19: DISOCCUPAZIONE E “LIBERTÀ”, “FRATERNITÀ”, “UGUAGLIANZA”...

 

Una parte importante di piccoloborghesi vanno in rovina a causa della concentrazione capitalistica, rovina aggravata dalle misure anti-Covid; una parte del proletariato viene licenziata perché le aziende chiudono o falliscono, e una parte di giovani non trova lavoro semplicemente perché non c’è lavoro per loro, e il poco lavoro che si rende disponibile è solo quello a salari bassissimi e in assenza di qualsiasi previdenza.

Già nel 2019 i dati ufficiali della disoccupazione segnalavano una situazione grave. Alcuni paesi, secondo i dati dell’FMI, registravano percentuali pericolose per la pace sociale: Grecia 17,1%, Spagna 14,1%, Italia 10%, Francia 8,5%, per flettere poi lentamente: Portogallo 6,5%, Irlanda 5%, fermandosi tra il 3 e il 4% per il Regno Unito, gli USA, la Cina, la Germania. Se a questi dati ufficiali si aggiungono i milioni di poveri presenti in ogni paese, gli stessi dati ufficiali del disagio sociale salgono verticalmente. E che cosa prevede l’FMI, riguardo la disoccupazione, per il 2020 e il 2021? Inesorabilmente le percentuali salgono. Secondo i dati di previsione il 2020 si presenta così: Grecia 22,3% (5 punti percentuali in più), Spagna 20,8% (quasi 7 punti percentuali in più), Italia 12,7% (quasi 3 punti percentuali in più), Portogallo 13,9% (più alta di 7 punti) Irlanda 12,1% (7 punti in più anche in questo caso), Francia 10,4% (2 punti in più), e con 1 punto o poco meno in più è previsto l’aumento della disoccupazione anche nel Regno Unito (4,8%), in Germania (3,9%) e in Cina (4,3%), ma quel che può sorprendere è il dato degli Stati Uniti dove l’FMI prevede che la disoccupazione schizzi a 10,4%, quasi 7 punti in più in un solo anno! Il 2021 non è migliore, in genere la percentuale è sempre più alta di quella del 2019 anche se un po’ più bassa del 2020. A parte che la disoccupazione potrebbe aggravarsi maggiormente se, come sembra, la pandemia invece di tendere a diminuire i suoi effetti negativi tenderà ad aumentarli, tanto che in alcuni paesi hanno prospettato il 2024-2025 come gli anni in cui la loro crescita economica potrebbe tornare alle percentuali pre-Covid del 2018 (che già non erano esaltanti), la previsione è nera per l’economia, ed è nerissima per il proletariato.

Ogni borghesia nazionale tenderà ad accelerare la ripresa economica del proprio paese, e quindi tenderà a spremere dalle masse proletarie una produttività come finora non aveva mai fatto. In quest’anno di crisi tutti i grandi paesi imperialisti stanno mettendo sul tavolo dollari ed euro a miliardi anche per le “famiglie”, i “lavoratori”, le “partite iva”, i settori che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi a causa dei lockdown e delle restrizioni negli spostamenti (turismo, ristorazione, sport, divertimento ecc.); in realtà i miliardi di dollari e di euro andranno soprattutto a sostegno di tutti quei comparti economici che hanno più possibilità di rialzarsi rapidamente e di tornare a far profitto, a far concorrenza a quelli degli altri paesi, mentre si assisterà ad una serie di politiche tendenzialmente protezionistiche nello stesso termpo in cui ogni paese – chi più, chi meno – si indebiterà ancor più per poter avere a disposizione liquidità da utilizzare sia per la “ripresa economica”, sia per il mantenimento di una pace sociale che è sempre più messa in pericolo dagli effetti della stessa crisi, effetti che si sono accumulati negli anni e che tendono ad aggravare pesantemente le condizioni generali di esistenza delle masse proletarie. 

Una pace sociale alla quale sono chiamate ad operare tutte le forze politiche e sociali, dai partiti e dai sindacati influenti sui lavoratori alle associazioni del volontariato, alle organizzazioni benefiche e religiose. L’unione nazionale è la bandiera di tutte queste forze e le organizzazioni cosiddette “dei lavoratori” – ma opportuniste fino al midollo – svettano su tutte le altre per servilismo. I capitalisti e, dunque, la classe dominante borghese, sono naturalmente il nemico principale della classe proletaria; gli opportunisti, i falsi comunisti, gli operai imborghesiti dalla mentalità piccoloborghese sono le forze d’appoggio del nemico principale perché svolgono il lavoro sporco di ingannare le masse proletarie per conto della borghesia; sono quindi anch’essi, inevitabilmente, nemici della classe proletaria. 

L’obiettivo di fondo della borghesia capitalista rimane sempre uno: sfruttare una grande massa di lavoratori salariati da cui estorcere il plusvalore, che è la vera fonte del profitto capitalistico. Non basta infatti avere capitali in abbondanza, o petrolio o gas naturale nel proprio sottosuolo, come non basta avere terre da coltivare, foreste da cui ricavare legname o fiumi su cui costruire centrali elettriche: ci vuole forza lavoro salariata in abbondanza da applicare in ogni attività affinché quelle risorse siano economicamente utilizzabili e fruttino profitti. «La condizione più importante per l’esistenza e per il dominio della classe borghese è l’accumularsi della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato»: è la verità svelata dal «Manifesto del partito comunista» di Marx-Engels, non ieri, ma centosettantadue anni fa!

La borghesia non può fare a meno dello sfruttamento della forza lavoro salariata, per quante invenzioni tecniche o, come si usa dire oggi, tecnologiche, riesca ad applicare al suo sistema produttivo e distributivo. Perché? Perchè l’origine della valorizzazione del capitalista non sta tanto nella vendita dei prodotti, quanto nel «tempo di lavoro operaio non pagato» al salariato; questo tempo di lavoro non pagato si trasforma, all’origine del processo di produzione, in plusvalore, cioè in un valore supplettivo che il capitale non può avere col semplice trasferimento del suo valore iniziale nel prodotto finale. Il capitale non si autovalorizza, né nel mercato, né tanto meno in borsa: la sua valorizzazione è prodotta dallo sfruttamento del lavoro salariato. E’ per questa ragione che il proletariato, cioè la classe dei lavoratori salariati, è la vera produttrice della ricchezza sociale.

La borghesia, d’altra parte, non ha potuto fare a meno del proletariato fin da quando – per scardinare i vincoli feudali, giuridici, amministrativi, economici e politici che non le permettevano di sviluppare la manifattura e poi l’industria e non le permettevano di allargare la massa di forza lavoro necessaria a quello sviluppo – doveva rivoluzionare la società abbattendo il potere politico di nobiltà e clero, eliminare le mille divisioni tra feudi e province unendoli in un unico territorio nazionale al quale dare un unico governo, un corpo di leggi che valesse su tutto il territorio nazionale, in sostanza un unico potere politico. E’ grazie al coinvolgimento del proletariato urbano e delle masse contadine povere che la borghesia è riuscita a conquistare il potere politico, abbattendo il potere feudale o il potere ancor più antico, e ad aprire la società allo sviluppo capitalistico. Questo è stato un decisivo passo avanti nella storia, dal punto di vista economico innanzitutto, e dal punto di vista sociale e politico, ma non dal punto di vista dei grandi ideali di libertà, fraternità e uguaglianza tanto decantati dagli inni e dalla propaganda della classe borghese. Nessuno di questi ideali è stato finora realizzato e, finché sussisterà il regime borghese, mai si realizzerà.

Dei tre grandi ideali l’unico che la borghesia ha effettivamente perseguito, ma solo parzialmente, è stato quella della “libertà”: non della libertà per tutti gli esseri umani di vivere secondo le proprie esigenze e le proprie pulsioni, ma della libertà del borghese di impossessarsi dei mezzi di produzione, terra compresa, con la forza, e della sua libertà di sottomettere al giogo del lavoro salariato una massa sempre più vasta di uomini spogliati di ogni risorsa di sopravvivenza, riducendoli a pura forza lavoro, equiparandola ad una qualsiasi merce presente sul mercato in cui domina la legge borghese della domanda e dell’offerta.

La “fraternità” è andata a farsi benedire già nella fase della conquista del potere, potere che non ha condiviso con nessun’altra classe sociale, né col proletariato né col contadiname; semmai, quando ormai il modo di produzione capitalistico si era sufficientemente radicato da non essere più scardinanabile a favore di modi di produzione precedenti, il potere lo condivideva con i nobili, con le gerarchie ecclesiastiche, con i proprietari terrieri che avevano, con lei, il comune interesse di difendere un regime basato sulla proprietà privata e sullo sfruttamento sistematico della forza lavoro salariata. Quando non sono stati tolti di mezzo, come nella rivoluzione borghese francese e nella rivoluzione proletari russa, i vari re, principi, papi, vescovi, imam, hanno continuato e continuano a parassitare la società capitalistica svolgendo, in cambio, la classica funzione di spacciatori dell’oppio dei popoli che Marx affibbiava alla religione: la borghesia se ne serve per rimbecillire le masse illustrando loro status sociali che non potranno mai raggiungere, ma che possono ammirare per i privilegi e il lusso in cui vivono, cosa che non le impedisce di servirsi  anche della democrazia con la quale illudere le masse di potersi autogovernare o di poter “scegliere” i governanti più adatti... Nella realtà, l’antagonismo che, nel feudalesimo, metteva le diverse classi (nobiltà, clero, contadiname, borghesia urbana, proletariato) le une contro le altre, non è sparito con la rivoluzione borghese, ma si è ridotto sostanzialmente all’antagonismo tra borghesia e proletariato, le due classi principali della società, un antagonismo che è alla radice della rivoluzione proletaria, ieri come in futuro.

Lo sviluppo del capitalismo, ha sviluppato anche i fattori di concorrenza tra aziende e tra Stati, e ciò ha comportato lo scontro tra di loro per accaparrare i mercati di sbocco delle merci prodotte: addio “fraternità” che la stessa borghesia ha elevato a grande ideale ma svuotandolo completamente; via libera, dunque, alla guerra commerciale e, di conseguenza, alla guerra guerreggiata. L’ambiente borghese, che ribadisce ad ogni piè sospinto i rapporti di proprietà privata a cominciare dai rapporti tra esseri umani, portando oltretutto l’individualismo e la competizione tra individui alle estreme conseguenze, è l’ambiente in cui la violenza per strappare la proprietà privata altrui o per difenderla risulta il denominatore comune di ogni rapporto, economico, politico, sociale, personale. In regime di proprietà privata la “fraternità” è talmente irrealizzabile che la stessa religione si è sentita in dovere di giustificare la sua difficile conquista inventandosi la storiella di Caino che, per invidia, uccide il fratello Abele. Farla finita col regime borghese e con il sistema economico capitalistico che lo sostiene aprirà la strada ad una società che non avrà bisogno di trasformare i propri ideali in inganni. La fraternità sarà una cosa talmente normale e naturale che non avrà bisogno di essere idealizzata perché sarà il risultato di un’armonia sociale raggiungibile soltanto in una società che avrà completamente sepolto i rapporti di produzione e di proprietà borghesi. Certo, per raggiungere quella società, che è l’obiettivo storico della lotta rivoluzionaria del proletariato a livello internazionale, è necessario passare attraverso la rivoluzione, che è la cosa più autoritaria che si possa immaginare – come diceva Engels polemizzando con gli anarchici –, attraverso perciò la violenza rivoluzionaria con la quale la classe proletaria sarà in grado di opporsi, e debellare, qualsiasi forma di oppressione e di violenza che la borghesia applica allo scopo di mantenere il suo potere, i suoi privilegi sociali, i suoi profitti.

“Uguaglianza”, grande parola dall’alto potere morale che richiama una “giustizia” divina presente all’origine del cristianesimo che si oppose ad ogni forma di schiavitù: tutti gli uomini sono uguali davanti a dio...: questa la formula declamata ancor oggi da ogni pulpito religioso. Ma in terra la diseguagliaza è la norma, e non solo e non tanto tra ricchi e poveri, ma in particolare tra le classi sociali. E più si sviluppa il regime della libertà borghese, più la società sprofonda nelle disuguaglianze in una società che non solo si divide nelle grandi classi sociali principali, borghesia e proletariato, ma che divide in stratificazioni diverse, e tra di loro contrastanti, sia la borghesia che il proletariato. E fino a quando le condizioni generali della società non saranno talmente critiche da produrre un’oggettiva polarizzazione di classe ai due poli principali – appunto, borghesia e proletariato – siamo destinati ad assistere ad una continua frammentazione di interessi particolari che tendono, soprattutto nei ricchi paesi capitalistici, a coagularsi intorno a frazioni organizzate, partiti, lobby, gruppi, clan che cercano di sottrarsi uno con l’altro fette di potere e fette di mercato, con ogni mezzo possibile, e soprattutto con mezzi illeciti e criminali come la cronaca di ogni paese non fa che mettere in primo piano continuamente.

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MENTRE CORREVA LA PANDEMIA DA CORONAVIRUS, I BORGHESI PROGETTAVANO MILIARDI DI PROFITTI CONTRO DECINE DI MILIONI DI MORTI

 

In realtà, se l’epidemia da Sars-CoV-2 si è diffusa rapidamente in tutto il mondo, provocando – secondo i dati ufficiali – decine di milioni di contagi e più di un milione di morti, è responsabilità totale della classe dominante borghese non solo cinese, che ha ritardato molto nell’allarmare l’OMS, ma di tutti gli altri paesi, soprattutto dei paesi occidentali che, in buona misura – con il pretesto che si trattava di un virus “sconosciuto” – si sono lasciati “sorprendere” da questa nuova epidemia che, tendenzialmente, stava colpendo soprattuto gli anziani che, si sa, nella contabilità borghese gli anziani non costituiscono più una forza lavoro da sfruttare, ma sono un “peso” per le casse della Previdenza sociale. Tutti gli anziani che muoiono senza godere pienamente della pensione costituiscono un risparmio per lo Stato. Siamo cinici? Non noi, è lo Stato borghese, con tutte le sue ramificazioni locali, che sistematicamente facilita l’aggravamento delle condizioni di lavoro e di esistenza delle masse proletarie e il salasso dei salari dei lavoratori, soprattutto di quelli giovani, considerando i lavoratori anziani come un non-valore e salassando sistematicamente anche le loro pensioni. Se poi si tolgono di mezzo a causa di malattie non più curabili, o perché non hanno le risorse necessarie per farsi curare, meglio, vuol dire che lo Stato risparmia soldi senza poter essere incolpato di aver lasciato morire gli anziani...

Non ci si poteva aspettare che i governanti traessero dall’esperienza delle epidemie precedenti e, in particolare da quella della Sars-CoV-1 (coronavirus anche questo) le lezioni che potevano servire per attrezzare meglio le strutture ospedaliere pubbliche esistenti e ammodernandole, dotandole di tutti i mezzi necessari per affrontare emergenze di questo tipo, per preparare meglio il personale sanitario e per aumentarne il numero, per sostenere adeguatamente i medici di famiglia e, in generale, la medicina del territorio perché è il primo fronte su cui impattano gli ammalati, e per rendere più efficienti i laboratori di analisi e più rapidi i risultati degli esami: tutto questo, e tutto ciò che riguarda la prevenzione e la cura delle malattie, costituisce un costo, e in questa società i costi devono essere giustificati dai profitti che si possono ricavare; in caso contrario, i costi vanno tagliati. Ed è esattamente quello che succede nella realtà. Lo Stato borghese è pronto a distribuire medaglie agli “eroi” del momento, a coloro che in pratica sono costretti o si sentono in dovere di sopperire individualmente a tutte le mancanze della sanità pubblica, in termini di ore giornaliere di lavoro, di stress, di rischi per la loro stessa salute, ma agisce in nome di interessi generali che non hanno niente a che fare con la salute di tutti i cittadini. Lo Stato borghese è prima di tutto il garante dell’interesse capitalistico, non della salute pubblica; e se alla salute pubblica dedica attenzione e risorse – ma mai l’attenzione e le risorse effettivamente necessarie alla sua cura – è solo in funzione della pace sociale, in funzione del controllo sociale grazie al quale la popolazione, e il proletariato innanzitutto, vengono indirizzati a comportarsi nel lavoro e nella vita quotidiana secondo le esigenze di Sua Maestà il Capitale.

Su epidemie e pandemie sono stati scritti migliaia di libri (2), di trattati, sono state fatte innumerevoli conferenze, studi, ricerche, sono stati distribuiti riconoscimenti formali e insigniti dei più alti onori epidemiologi, virologi, infettivologi, scienziati di ogni disciplina. La “comunità scientifica”, come i borghesi amano chiamare il gruppo elitario di scienziati che, per la maggior parte, hanno fatto la propria fortuna personale legandosi mani, piedi e cervello alle grandi compagnie chimico-farmaceutiche diventando in questo modo i loro portavoce, è in realtà un’arma in mano ai capitalisti più potenti che sono coloro che possono mettere a disposizione, o togliere, i miliardi che servono per iniziare e continuare determinate ricerche, costituire Istituti e attrezzare laboratori che oltre alle ricerche si occupino anche di statistiche e di marketing, finalizzando il tutto, ovviamente, alla produzione di farmaci, alla loro propaganda e alla loro vendita.

La precedente epidemia da coronavirus, la Sars-CoV-1, si è diffusa tra il novembre 2002 e il 2004 soprattutto nella Cina continentale, e a Hong Kong, Taiwan, Singapore, Canada e in altri 24 paesi, con pochissimi casi di contagio, ma con una letalità preoccupamte (in media del 9,6%, toccando punte del 17 e del 21% a Hong Kong e a Taiwan, territori che con i paesi occidentali hanno rapporti molto stretti e non possono essere accusati di tenere nascosto questo genere di informazioni). Apparentemente quell’esperienza, alla pari di tante altre precedenti, non è servita a niente, vista l’impreparazione generale mostrata di fronte alla nuova epidemia di un altro coronavirus, la Sars-CoV-2.

Ci sono però rappresentanti della classe borghese dominante che, invece, di queste esperienze ne tengono conto, eccome, e per scopi ben precisi. L’esempio lo ha dato fin da tempi lontani la Rockefeller Foundation e oggi anche la Bill & Melinda Gates Foundation con i loro progetti basati su simulazioni molto precise, ad esempio di pandemie da coronavirus (3). Lo scopo di queste simulazioni era ed è evidente: preparare la classe dominante borghese a situazioni di emergenza assoluta, molto simili alle situazioni di guerra mondiale: una classe dominante preparata ad affrontare queste situazioni sapendo di non poterle prevenire o evitare, ma dalle quali deve cercare di uscire con meno danni possibili al sistema economico generale e, in particolare, pur subendo tracolli economici e finanziari di notevole portata, in grado di saper cogliere ogni occasione per salvare le élites economico-finanziarie e politico-militari che avranno il compito, appena superata l’emergenza, di rimettere in moto il sistema economico, di organizzare una spartizione dei mercati mondiali secondo le esigenze dei poli imperialistici più potenti e di stendere sull’intero pianeta un controllo sociale in grado di tener a bada le masse proletarie più combattive e insofferenti, reprimemdo ogni sollevazione e ogni moto sociale che potrebbero innescare insurrezioni e rivolte civili.

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IN QUALE PROSPETTIVA SI DEVE MUOVERE IL PROLETARIATO

 

I proletari non hanno da aspettarsi dalla classe dominnate borghese nulla di diverso dalla permanenza delle loro condizioni di sudditanza dal suo potere economico e politico, condizioni che sono la base del loro asservimento ad un regime che ha il compito di difendere la continuità del sistema economico capitalistico, il dominio del mercantilismo e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ribellarsi perché queste condizioni sempre più oppressive finiscano è più che naturale; lottare contro la classe padronale che su queste condizioni di sfruttamento vive e si arricchisce a scapito dell’intera umanità è anch’esso del tutto naturale. Ma ribellarsi anche violentemente, come è successo da sempre nella storia delle lotte fra le classi, non è bastato e non basta perché i regimi di classe finora esistiti mettono in conto che la forza e la violenza che usano per instaurarsi e per resistere nel tempo genera forza e violenza contraria, perciò sono pronti ad affrontarla. Quel che deve cambiare, fondamentalmente, è il sistema economico di base su cui i regimi borghesi sono eretti, e tale cambiamento radicale può avvenire soltanto attraverso una rivoluzione politica e sociale come la storia ha dimostrato. Ma la rivoluzione politica e sociale non è un preparato da laboratorio, non è il risultato della volontà di qualche gruppo cospiratore né, tantomeno, il prodotto di un movimento spontaneo delle masse. La spontaneità con cui le masse oppresse si ribellano alle condizioni intolleranti di vita è l’elemento naturale della vitalità di un movimento sociale, ma è destinata ad essere sterile, o addirittura controproducente, se non viene educata, istruita, preparata a trasformarsi in una effettiva forza sovvertitrice, in grado di travolgere tutti gli ostacoli che le classi dominanti frappongono tra se stesse e le masse sotto la direzione di una guida speciale che possieda la conoscenza del movimento storico delle forze produttive, delle cause materiali che mettono in movimento le forze sociali e degli obiettivi che questi movimenti esprimono oggettivamente grazie allo sviluppo economico e sociale avvenuto. Questa guida speciale è il partito di classe del proletariato, il partito che si fonda sull’unica teoria rivoluzionaria in grado di prevedere il corso storico dello sviluppo della lotta fra le classi; se non avesse questa capacità previsionale non sarebbe una teoria rivoluzionaria, ma una tra le tante teorie che la cultura borghese sforna ad ogni modificazione superficiale del corso di sviluppo del capitalismo. Unica è la teoria rivoluzionaria, unico è il programma rivoluzionario, unico deve essere il partito di classe che si fonda su di essi.

L’attuale crisi sanitaria mondiale ha messo in luce ancor più le fortissime contraddizioni che caratterizzano la società borghese e per quanto, in ogni paese, i rispettivi governi tentino di far passare l’idea che lo stesso sistema economico e sociale che genera costantemente crisi, povertà, fame e guerre, sia in grado di rimediare ai giganteschi danni che provoca, i fatti dimostrano quel che i comunisti, da Marx ed Engels in poi, hanno sempre previsto: Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall’altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse (4).

Per i borghesi, la via d’uscita dalle crisi generate dal sistema economico e sociale capitalistico va cercata sempre in particolari “vaccini”, ma, come succede in campo medico-sanitario così succede in campo economico e sociale: anche il presunto vaccino, contro la tale o tal altra infezione virale, segue la legge economica esistente, dunque è sottoposto alla legge del profitto capitalistico come qualsiasi altra attività. E la legge del profitto capitalistico è esattamente quella che provoca le crisi economiche e finanziarie che ciclicamente colpiscono la società. La crisi economica, cioè la malattia da curare, è provocata dalla sovraproduzione di merci perché è questa che genera l’intasamento dei mercati e, quindi, la crisi economica. La produzione capitalistica si sviluppa in sovraproduzione e, bloccando i mercati, blocca se stessa, facendo ammalare l’intero sistema economico. Per curare questa malattia la borghesia deve distruggere una parte consistente di forze produttive, in modo da lasciare spazio alla ripresa della produzione di merci che, a loro volta, entro un tempo tendenzialmente sempre più ristretto, andranno nuovamente ad intasare i mercati, anche se nel frattempo si saranno conquistati nuovi mercati e si saranno sfruttati più intensamente i vecchi. Una crisi verrà superata preparando i fattori della crisi successiva che sarà progressivamente più generale e violenta. Proprio come scritto nel Manifesto centosettantadue anni fa.

Non esistono mezzi borghesi in grado di curare una volta per tutte le malattie che la stessa società borghese produce; esistono dei rimedi, questo sì, che sono però peggio delle malattie perché aggravano la situazione generale.

La classe borghese non è solo la beneficiaria esclusiva del capitalismo, è anche la guardia armata del capitalismo; è al servizio del modo di produzione capitalistico che si basa sullo sfruttamento della forza lavoro salariata da parte del capitale. Il capitale è posseduto dai capitalisti, la forza lavoro è posseduta dai proletari. Per togliere ai capitalisti il potere di sfruttare la forza lavoro e di appropriarsi dell’intera ricchezza sociale prodotta è necessario togliere dalle loro mani il potere politico e militare con cui difendono il loro potere di classe, potere che non lasceranno mai senza combattere con tutti i mezzi che hanno a disposizione e con tutta la violenza che ritengono necessaria. La lotta fra le classi non è mai una lotta di idee, una lotta pacifica: è una lotta per la vita o per la morte dell’una o dell’altra classe. La storia ha già dimostrato che la borghesia non lascerà mai il potere pacificamente, magari a fronte di un esito elettorale che la metta in minoranza. Socialmente è da sempre una minoranza, ma questo non le ha impedito, proprio in ragione dei rapporti di produzione e di proprietà instaurati dalla rivoluzione borghese, di dominare sull’intera sociaetà, piegando la maggioranza ai suoi interessi, alle sue esigenze di classe, ai suoi voleri.

Perciò i proletari si ritroveranno, ad un certo punto dello sviluppo delle contraddizooni sociali e delle crisi capitalistiche, di fronte ad un bivio: o lottare per farla finita una volta per tutte con lo sfruttamento capitalistico e con tutte le violente contraddizioni che questo sfruttamento comporta, o piegarsi alle esigenze del sistema capitalistico, riducendosi a indicare attraverso una scheda di voto o attraverso l’assenza di lotta, quale clan di politicanti borghesi si occuperà, per un certo periodo di anni, di sfruttarli, opprimerli, affamarli, mandarli a morire per le loro guerre.

Noi, piccolo gruppo compatto che crediamo fermamente nella teoria del comunismo rivoluzionario, cioè nella teoria marxista originaria, tenendoci strettamente per mano – come diceva Lenin nel suo Che fare? – continuiamo a lavorare per preparare il partito di classe di cui domani avrà bisogno il movimento di classe del proletariato, un partito che non potrà che essere internazionalista e internazionale e il cui compito è e sarà di educare, influenzare e organizzare il proletariato ai suoi compiti rivoluzionari di classe. Compito difficilissimo, certo, e che molti ex marxisti hanno abbandonato preferendo cullarsi nell’illusione di cambiare il mondo con la sola... forza del pensiero..., ma indispensabile perché la storia non offre altre soluzioni se non il salto rivoluzionario dalla società divisa in classi alla società senza classi, alla società di specie, in una parola al comunismo.   

 

31 dicembre 2020

 


 

(1)   Cfr. La carica dei vaccini: attacco al virus, “il venerdì”, 24.12.2020. Con le più note Pfizer-BioNTech, AstraZeneca, Moderna, Johnson&Johnson, le cinesi Sinopharm e Sinovac, l’indiana Bharat Biotech, la russa Gamaleya (per il vaccino chiamato Sputnik V), sono 58 le aziende farmaceutiche che si sono messe a produrre, con diverse tipologie di metodo, i vaccini per combattere la Sars-CoV-2. Ognuna di queste case farmaceutiche declama l’efficacia del proprio vaccino dal 60 al 95%, somministrando due dosi in tempi diversi o mezza dose per volta, o una dose soltanto, dopo aver iniziato ma non terminato una serie di testi su uomini, e non sapendo quali reazioni negative potranno avere o quali allergie potranno scatenare. Altre 164, invece, hanno fatto e stanno facendo testi su animali dai quali ovviamente contano di trarre elementi per affinare altri tipi di vaccini.

(2)   E’ di recente pubblicazione, proprio in merito alle epidemie, un libro molto documentato dal titolo Spillover. L’evoluzione delle pandemie, di D. Quammen (pubblicato per la prima volta nel 2012 il cui titolo originale era Spillover. Animal Infections and the Next Human Pandemic dalla W.W.Norton & Company, Inc.), edito da Adelphi Edizioni, Milano 2017. Spillover significa “salto di specie”, cioè quando un patogeno (virus, batterio o altro microrganismo) passa da una specie ospite ad un’altra, sia che passi da un animale ad un altro animale, sia che passi da un animale all’uomo come nel caso dei coronavirus e della gran parte dei virus. La bibliografia che accompagna questo libro riguarda più di 300 autori delle più diverse discipline e ricerche, di cui sono segnalati i vari scritti pubblicati nelle più prestigiose riviste come The Lancet, Science, Nature, e dalle più diverse Accademie di fama mondiale. In questo caso la “comunità scientifica” mondiale è ben presente. 

(3)   Vedi l’articolo Diseguaglianze e lotta di classe, “il comunista n. 166, dicembre 2020, in cui si riferisce anche dell’attività della Bill & Melinda Gates Foundation e della sua iniziativa, chiamata “Event 201” – lanciata nell’ottobre 2019 – in cui si simulava un’epidemia causata da un nuovo coronavirus, tipo Sars, trasmesso dai pipistrelli ai maiali e da questi all’uomo, portando ad una grave pandemia che in 18 mesi avrebbe provocato nel mondo 65 milioni di morti. Iniziativa che sollecitava, a suon di miliardi di dollari, la ricerca per la produzione di vaccini contro la Sars. In effetti, già la Sars-CoV-1 aveva dato evidenze sulla base delle quali era facile ipotizzare che una pandemia dello stesso tipo si sarebbe ripresentata nel giro di dieci-vent’anni. Lo scenario ipotizzato già nel maggio 2010 dalla The Rockefeller Foudation (nel suo documento intitolato Scenarios for the Future of Technology and International Development), anticipando lo scenario successivo ipotizzato da Bill e Melinda Gates, partiva da una pandemia provocata da un nuovo ceppo influenzale, estremamente virulento e letale, trasmesso dalle oche selvatiche all’uomo, e prevedeva l’infettamento del 20% della popolazione mondiale e la morte di 8 milioni di persone in soli 7 mesi, per la maggior parte giovani adulti in buona salute. Ovvio l’effetto devastante di questa pandemia sull’economia mondiale, con tutto il corredo di misure restrittive, chiusure improvvise di interi settori industriali e sviluppo delle tecnologie, soprattutto informatiche, non solo per mettere in grado i governi di controllare e monitorare i propri cittadini, ma anche per modificare nelle aziende i modi di lavorare di buona parte dei dipendenti impiegati soprattutto nell’amministrazione, nella contabilità, nei rapporti con i fornitori, attraverso il telelavoro e lo smart working, aumentando così l’isolamento di ciascun lavoratore dai propri compagni di lavoro e risparmiando una serie di costi fissi.

(4)   Cfr. Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, § Borghesi e proletari, Giulio Einaudi Editore, Torino 1962, p. 108.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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