Alle borghesie dominanti torna talmente comoda l’epidemia di Covid-19 che hanno fatto di tutto per diffonderla nel mondo...

(«il comunista»; N° 168 ; Aprile / Maggio 2021)

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Siamo ancora in piena ondata pandemica da Sars-CoV-2 (Covid-19), nonostante le varie misure di contenimento che i diversi governi, uno dopo l’altro, hanno preso e continuano a prendere dal gennaio 2020. In realtà, quel che appare evidente ormai anche ad un bambino, è il cinico approfittare della diffusione di questo virus, e di tutte le sue varianti, da parte dei governi borghesi di tutto il mondo, a partire dalle maggiori potenze imperialiste (dai superdemocratici Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Francia, Germania ecc., alla falsa comunista Cina), per rimettere in qualche modo ordine negli affari dei grandi trust capitalistici e nelle alleanze tra i vari Stati in previsione di crisi ben più profonde e gravi, tanto da portare ad una terza guerra mondiale.

In che cosa consiste, da parte della borghesia di ogni paese, questo approfittare della pandemia da Covid-19? Aldilà della potenza economico-finanziaria di ciascun paese, e quindi del loro potere imperialistico, quel che accomuna, all’immediato, le borghesie più potenti e quelle più deboli è il loro atteggiamento nei confronti del proletariato e delle masse popolari in una situazione generale di crisi economica aggravata dalla crisi sanitaria in cui è precipitata la gran parte dei paesi del mondo. Ogni borghesia, infatti, nella situazione in cui  soprattutto le masse proletarie e più povere si sono ancor più indebolite – a causa dell’aumento della disoccupazione, dell’aumento dei lavori precari, dell’abbattimento dei salari, del prosciugamento dei miseri risparmi accumulati negli anni, della chiusura delle attività di piccolo commercio, di artigianato, di piccola agricoltura, dell’aumento dell’indebitamento di ogni famiglia ecc. – ha colto l’occasione per aumentare il suo controllo sociale. Tutte le misure targate “Covid” sono innanzitutto destinate ad abituare le masse ad obbedire alle disposizioni calate dall’alto; disposizioni che hanno assunto, di volta in volta, un carattere ondivago a seconda degli interessi economico-politici che si imponevano, ma che seguivano nel loro insieme un’unica direzione, quella appunto del rispetto delle disposizioni che i governi emanavano. Tutte le misure sono state e vengono tuttora motivate con la “lotta al coronavirus”, e il fatto di doverle rispettare viene propagandato come un “interesse comune” di tutti i “cittadini”. Un interesse “comune” come quello delle case farmaceutiche che speculano sui vaccini e l’interesse dei proletari che hanno perso o stanno per perdere il lavoro, e quindi il salario?; tra l’interesse della casta privilegiata dei politicanti che si intascano fior di stipendi e l’interesse del proletario che col suo salario non arriva a fine mese?; tra l’interesse dei capitalisti che approfittano ancor più della situazione di crisi sociale per sfruttare più intensamente i lavoratori, mettendoli gli uni contro gli altri e l’interesse di chi non possiede nulla se non la sua forza lavoro che però non sa a chi offrire e per quanto tempo? Insomma, bisognerebbe credere all’interesse “comune” tra oppressori e oppressi, tra sfruttatori e sfruttati, tra chi lavora e produce e chi intasca a piene mani i profitti, tra chi possiede tutto e chi non possiede nulla! E, naturalmente, combattere “insieme”, combattere oggi il nemico invisibile – il coronavirus –, domani il nemico in carne e ossa – il nemico giallo, bianco o nero che sia. Credere, obbedire, combattere, di fascista memoria...

Ogni governo si appella all’unione nazionale, alla solidarietà, e naturalmente al rispetto della legge e delle regole che vengono emanate di volta in volta; ogni governo e ogni politicante, che non hanno il problema di mettere insieme il pranzo con la cena, cianciano di occuparsi del “bene comune”, di pensare a coloro che “sono in difficoltà” e di preoccuparsi di destinare risorse finanziarie per “aiutare” chi ha perso il lavoro, chi ha dovuto chiudere il suo ristorante o il suo piccolo commercio, chi si sobbarca la fatica di assistere familiari disabili o particolarmente anziani, insomma tutti coloro che non condividono gli stessi privilegi di chi sta al governo e in parlamento e di coloro ai quali non mancano capitali da mettere a profitto. Nell’orizzonte politico e sociale, in ogni paese, soprattutto nei paesi più industrializzati e più potenti, è presente una massa sempre più numerosa di grandi e piccoli capitalisti, di grandi e piccoli speculatori, di grandi, medi e piccoli borghesi che occupano tutta una serie di posizioni così importanti e indispensabili alla tenuta della sovrastruttura politica, culturale e religiosa della società capitalistica – dagli avvocati ai professionisti dell’intrallazzo, dai pubblicitari ai professionisti del marketing, dai sondaggisti elettorali ai commercialisti e a tutto quello strato di figure “professionali” che la società del capitale richiede per far funzionare sempre meglio e più velocemente l’attività principale della borghesia sotto ogni cielo, cioè lo sfruttamento della classe produttrice per eccellenza, il proletariato!

Che alla borghesia non interessi per nulla il “bene comune” è dimostrato da più di centocinquant’anni, da quando, come affermavano Marx ed Engels, la classe borghese «costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza». Che significa questo? «I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate», e infatti, già all’epoca essi constatavano che «sono decenni ormai che la storia dell’industria e del commercio è soltanto storia della rivolta delle forze produttive moderne contro i rapporti moderni della produzione, cioè contro i rapporti di produzione che costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio» (Manifesto del partito comunista, 1848).

Ebbene, che cosa è cambiato dal 1848? Per quanto riguarda il dominio della borghesia sulla società vi è stato un indiscutibile ampliamento dei mezzi coi quali essa lo stringe saldamente nelle proprie mani, mentre – come previsto dal marxismo – la lotta fra le classi, e principalmente tra la borghesia e il proletariato, di fronte allo sviluppo del capitalismo, invece di diminuire e azzerarsi (come fantasticavano e fantasticano i riformisti e gli opportunisti di tutte le epoche) si è acutizzata a tal punto che la classe borghese – tratte le lezioni dalle rivolte popolari, dalle insurrezioni e dalle rivoluzioni proletarie – è passata ad utilizzare ogni mezzo di prevenzione contro il movimento rivoluzionario del proletariato e la sua organizzazione di classe, sia sul piano economico immediato trasformando i sindacati operai in istituzioni borghesi integrate nello Stato, sia sul piano politico, distruggendo i partiti politici rivoluzionari attraverso l’infezione democratica e collaborazionista.

Così facendo, e finora cogliendo una vittoria controrivoluzionaria che produce ancora effetti disastrosi sul proletariato, sulla sua capacità di resistere all’oppressione capitalistica e di organizzarsi come classe indipendente e contrapposta alla borghesia, la borghesia può ancora forzare la mano nel far piegare i proletari di tutti i paesi alle proprie esigenze, esigenze che sono dettate da un sistema economico e sociale tutto proiettato al mercato, alla lotta di concorrenza commerciale, alla sopraffazione imperialistica, passando sopra la vita di miliardi di esseri umani allo scopo di continuare ad intascare profitti e a mantenere i propri privilegi.

Come la classe borghese non è in grado, se non marginalmente, di organizzare una effettiva prevenzione rispetto alle crisi economiche, commerciali e finanziarie, non  è in grado di farlo nemmeno rispetto alle crisi sanitarie e alle sciagure che sistematicamente colpiscono in modo tragico le popolazioni (alluvioni, terremoti, incendi, epidemie ecc.), perché da queste essa trae ulteriori profitti oltre a quelli tradizionali provenienti dallo sfruttamento costante dei lavoratori salariati. Essa ha invece molto interesse a cercare di prevenire in tutti i modi le rivolte e i movimenti rivoluzionari del proletariato, perché è da questi che possono venire i pericoli mortali per il suo dominio politico, economico e sociale.

La borghesia demagogicamente parla sempre di pace, di benessere sociale, di unione nazionale, di solidarietà generalizzata tra tutti i cittadini, parla del suo Stato e delle sue istituzioni come uniche garanzie perché la pace, il benessere, la solidarietà generale non cedano alla guerra e alle disuglianze. Ma, nello stesso tempo, si dedica alla guerra e alla sua preparazione, armandosi sempre più: la guerra commerciale, la guerra di concorrenza, la guerra di rapina, la guerra guerreggiata, la guerra mondiale. La borghesia sa ormai perfettamente che la società che ha costruito a sua immagine e somiglianza va inesorabilmente incontro a periodi di crisi tali da ricondurre improvvisamente la società ad uno stato di barbarie (ancora dal Manifesto di Marx-Engels). Ma la borghesia è una classe che non può cambiare né la sua società, né tantomeno se stessa: per quanto si atteggi a riformista, per quanto tenti di ammorbidire i suoi aspetti più contraddittori e crudeli, essa è schiava dei potenti mezzi di produzione e di scambio che essa stessa ha creato, ma che non riesce a dominare, ma da cui è dominata. Essa ha, in ogni caso, un certo margine d’azione in cui può decidere di usare determinati mezzi politici, economici, sociali, militari al fine di attrarre a difesa del proprio dominio una gran parte del proletariato: la democrazia, sul piano politico, gli ammortizzatori sociali, sul piano economico, l’opera pia del volontariato civile e religioso sul piano sociale, l’ordine e la repressione sul piano militare per ribadire che è lo Stato ad essere l’unica istituzione atta a mantenere l’ordine e reprimere ogni disordine. Tutta la costruzione politica, amministrativa, burocratica, culturale, religiosa, scientifica che caratterizza la società moderna non è altro che la rappresentazione dell’interesse dominante che è esclusivamente capitalistico.

Di fatto, nello sviluppo capitalistico della società, la borghesia non è che l’espressione su tutti i piani degli interessi del capitale: essa comanda sul proletariato con la forza del ricatto perché è l’unica a sfruttare la sua forza lavoro dal quale sfruttamento dipende il salario proletario per vivere; ma è a sua volta comandata dagli stessi mezzi di produzione e di scambio che essa ha creato e che non riesce in nessun modo a dominare.

Perciò è costretta ad abbinare le sue azioni ciniche e aggressive – come quando chiude le fabbriche e licenzia migliaia di operai, o quando scatena una guerra contro un altro paese per impossessarsi delle sue ricchezze, o quando i suoi interessi possono essere perseguiti e difesi meglio da una dichiarata dittatura militare – con il volto del campione dei “diritti”, della compassione e della pietà per i “più sfortunati”, ingannando così le classi lavoratrici dopo averle martoriate.

La classe borghese, nel suo cinico dominio economico e sociale, per salvaguardare i suoi interessi di classe – che si cristallizzano nella sopravvivenza del modo di produzione capitalistico, quindi dei rapporti borghesi di produzione, di scambio e di proprietà – è in realtà disposta non solo a commettere una strage continua, sui posti di lavoro, nelle strade, negli ospedali, nelle carceri, nelle grandi e misere periferie delle metropoli, ma anche le stragi provocate dalle guerre di rapina con le quali le borghesie più potenti cercano di sottomettere le borghesie più deboli. Né si vergogna per il criminale fallimento della sanità pubblica, forzata a tamponare una situazione che la pandemia di coronavirus attuale rende sempre più tragica. La strage di milioni di persone, in particolare anziane, con gravi patologie, disabili che non sopravvivono al Covid-19, accompagna la strage di migliaia di migranti che le guerre e la miseria spingono a fuggire dai propri paesi.

Il quadro che si presenta a chi oggi guarda quel che è avvenuto anche solo nei settantacinque anni dalla fine della seconda guerra imperialistica mondiale, è un quadro terrificante: la violenza che sprizza da ogni poro di questa società e la precarietà di vita che caratterizza ogni giorno che passa sono diventate ormai talmente normali da far dimenticare completamente che cosa significhi godere la vita su questa terra.

 

QUAL È IL FUTURO IN QUESTA SOCIETÀ?

QUALE SARÀ IL FUTURO, INVECE, NELLA SOCIETÀ COMUNISTA?

 

Che futuro sta proponendo la borghesia? Niente di diverso, sostanzialmente, da quello che è già avvenuto da quando la borghesia ha superato la sua fase “rivoluzionaria” rispetto al feudalesimo ed è diventata classe conservatrice e reazionaria: lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e il regime oppressivo degli Stati più forti sulle popolazioni del mondo non scompariranno se non dopo che i rapporti borghesi di produzione, di scambio e di proprietà saranno finalmente distrutti e sostituiti da rapporti comunistici di produzione, di distribuzione e di proprietà che non avranno più nulla da condividere con la società borghese perché l’economia comunista si fonderà sulle esigenze reali della specie umana e non su quelle del mercato, per cui non esisterà più nessuno scambio mercantile, nessun capitale, nessuna moneta, nessuna proprietà privata, e sarà scomparsa ogni forma di oppressione. La produzione sociale, che il capitalismo ha introdotto e sviluppato con il lavoro associato e con l’applicazione della tecnica e delle scoperte scientifiche, non sarà più finalizzata al profitto capitalistico, né i mezzi di produzione e tanto meno la produzione stessa saranno sottoposti a proprietà e appropriazione private, ma saranno a disposizione dell’intera collettività umana; la produzione sociale, organizzata razionalmente sulle effettive esigenze di vita del genere umano sarà accompagnata da una distribuzione di tutti i prodotti secondo le reali necessità dei gruppi umani abitanti sull’intero pianeta come un’unica comunità planetaria e non più divisa in nazioni ricche e nazioni povere, in nazioni usuraie e nazioni debitrici, in Stati oppressori e popolazioni oppresse. La produzione sociale, perciò, sarà liberata finalmente da una delle contraddizioni più acute che subisce nella società borghese, quella della produzione per aziende e, quindi, supererà finalmente l’anarchia di mercato in cui è immerso il capitalismo e dedicherà lo sviluppo delle forze produttive alle produzioni effettivamente necessarie e utili alla specie umana, alla ricerca scientifica e alla conoscenza del nostro pianeta e dell’universo come nessuno scienziato borghese può nemmeno immaginare.

Va da sé che la nuova organizzazione sociale avrà nei suoi obiettivi primari la salute della specie umana, senza distinzioni di nazionalità, di genere, di razza, di età. La buona salute degli esseri umani – e quindi la loro capacità fisica, nervosa e intellettuale di cooperare alla vita sociale al meglio delle potenzialità individuali e in piena armonia anche con l’ambiente naturale – è fra le esigenze primarie della vita ed è perciò che la nuova organizzazione sociale considererà la prevenzione ai primi posti in ogni campo, nel lavoro sociale come nelle attività ricreative, nei rapporti con la natura e i suoi fenomeni come nei rapporti sociali ad ogni livello, da quello medico a quello interpersonale. Il lavoro, continuerà ad essere il perno intorno al quale si svilupperà la vita sociale, ma non sarà più fonte di fatica e di sfruttamento, fonte di logoramento fisico e psichico e di morte: sarà fonte di gioia, perché attraverso la sua riduzione in termini di ore giornaliere dovute da ognuno alla società e in termini di fatica fisica e psichica dovute alla normale e necessaria applicazione delle capacità individuali alla produzione sociale, si libererà quotidianamente molto tempo da dedicare ai rapporti sociali, allo studio, alla conoscenza, al gioco, al divertimento, all’ozio. Il comunismo sarà la gioia di vivere per tutti gli esseri umani, nella piena consapevolezza di ognuno di far parte di uno sviluppo sociale finalmente fattore, e non solo prodotto, della storia dell’uomo.

L’apprendista stregone rappresentato dalla borghesia, sopraffatto dalle potenze economiche da lui evocate e impotente a dominarle, andrà per sempre a far parte della preistoria umana costituita dal contraddittorio e tormentato sviluppo economico e sociale delle società divise in classi che dallo schiavismo antico ha portato alla società capitalistica.

Questo futuro della società umana non è dato dallo sviluppo graduale dell’odierna società borghese, e non é un’utopia immaginata per lenire le ferite che il capitalismo provoca su ogni essere umano. E’ il risultato dello sviluppo storico accidentato e irrazionale del movimento delle forze produttive che lo stesso capitalismo ha creato e portato alla loro massima espressione in una società divisa in classi; uno sviluppo storico che il capitalismo – come in precedenza hanno fatto sia il feudalesimo che la società schiavista – tenta in tutti i modi di frenare, di contenere nei suoi rapporti di produzione e di proprietà. Come la quantità di vapore prodotta all’interno di una caldaia ad un certo punto preme sulle sue pareti fino a farle cedere, così le forze produttive, che lo stesso modo di produzione capitalistico sviluppa incessantemente e che cerca di contenere nelle forme di produzione che permettono alla classe dominante borghese di trarre solo per sé il maggior profitto dal loro sfruttamento, premono sulle pareti della società borghese, sui rapporti di produzione e sociali borghesi fino a romperli e ad aprire in questo modo la necessità di rivoluzionare l’intera società. La classe borghese teme più di ogni cosa precisamente quella rottura sociale perché quest’ultima aprirà l’epoca in cui la società andrà incontro alla rivoluzione generale.

 

LA STORIA È DALLA PARTE DELLA CLASSE PROLETARIA RIVOLUZIONARIA

 

E’ già successo nella storia della società capitalistica che le forze produttive si siano scontrate con le forme di produzione borghesi e, quindi, con il potere politico della borghesia. E non si è trattato soltanto delle lotte che il proletariato ha condotto contro la borghesia capitalista per ottenere condizioni immediate di lavoro e di vita meno brutali, lotta che i proletari sono spinti a condurre ogni volta che quelle condizioni diventano particolarmente insopportabili. Nel 1848 europeo, nel 1871 parigino, nel 1917 russo e mondiale, e ancora nel 1927 cinese, il proletariato ha dimostrato di essere non solo una classe per il capitale, ma anche una classe per sé, cioè una classe che lotta per propri obiettivi di classe e storici e che dà la vita per la propria rivoluzione. Nel 1848, a Parigi, a Berlino, a Vienna, a Milano i proletari insorti sono stati battuti ed hanno subito la reazione controrivoluzionaria di tutti i poteri europei il cui terreno Marx non ebbe timore di affermare che era, nello stesso tempo, terreno rivoluzionario perché su quel terreno si dimostrava che da quel momento in poi le sorti storiche della società umana sarebbero state giocate dalle due classi principali della società moderna, il proletariato, classe rivoluzionaria, e la borghesia, classe controrivoluzionaria e, quindi, reazionaria.

Nel 1871, durante la guerra franco-prussiana, è il proletariato di Parigi che si erge a punta di diamante della rivoluzione proletaria internazionale, si costituisce nella Comune – primo esempio storico della dittatura del proletariato, pur con tutte le sue debolezze e contraddizioni – e tiene testa agli eserciti francese e prussiano per 72 giorni nei quali comunque adotta all’immediato alcune misure politiche ed economiche che hanno costituito un esempio pratico di quel che il potere proletario, abbattuto il potere borghese, deve iniziare necessariamente a fare (eliminazione dell’esercito permanente e armamento dei lavoratori; eleggibilità e revocabilità in qualsiasi momento di tutti i funzionari senza alcuna eccezione; riduzione dei loro stipendi a livello del salario degli operai; eliminazione del parlamentarismo e della divisione dei poteri legislativo ed esecutivo sostituiti da un organismo – la Comune – non parlamentare ma di lavoro, legislativo ed esecutivo allo stesso tempo; eliminazione del lavoro notturno dei panificatori ecc.). La Comune fu battuta, almeno 100 mila comunardi furono trucidati (1), la controrivoluzione borghese (capitanata da Thiers), alleatasi con la monarchia prussiana, strangolò la Comune proletaria.

Con la prima guerra mondiale il capitalismo segna un’altra tappa del suo sviluppo, quella imperialistica, in cui il capitale finanziario diventa il vero dominatore di ogni economia. Ma contro la guerra imperialistica, vera guerra di rapina, i proletari europei e in particolare in Germania, in Italia, in Serbia, in Russia si ribellano esprimendo un movimento antimilitarista e antibellicista che salva l’onore del proletariato di fronte al tradimento improvviso di quella che avrebbe dovuto rappresentare e guidare la lotta rivoluzionaria del proletariato mondiale, la Seconda Internazionale. Con il 1917 russo, e con la Rivoluzione d’Ottobre, il proletariato torna a marciare sulla via della rivoluzione internazionale, e in Russia, sotto la guida del partito bolscevico di Lenin, abbatte il potere zarista, abbatte il potere borghese di Kerensky e instaura la dittatura del proletariato sulla base delle lezioni tratte da Marx dalla Comune di Parigi, rafforzando le misure che la Comune aveva preso e adottandone altre (come il controllo della Banca centrale, l’esclusione dal potere di ogni rappresentante della borghesia, la repressione di ogni sollevazione contro il potere instaurato, l’eliminazione dei simboli del vecchio regime a cominciare dallo zar, l’interruzione della guerra da parte russa con la firma della pace a Brest-Litowsk ecc.). Per qualche anno dopo la vittoria dell’Ottobre russo il proletariato mondiale si mobilitava nella stessa direzione tracciata dai bolscevichi, con in più l’organizzazione dell’Internazionale Comunista come primo esempio pratico di partito mondiale del proletariato. Ma le forze di resistenza della borghesia internazionale, appoggiate dalle forze dell’opportunismo socialdemocratico e massimalista (comunista a parole, borghese nei fatti), riuscirono ancora una volta – e questa volta alla scala mondiale – a difendere efficacemente il potere borghese nei paesi industrializzati e a restaurarlo in Russia, attraverso la degenerazione staliniana del partito bolscevico e dell’Internazionale Comunista.

Lo sviluppo del capitalismo in Russia, e nell’estremo Oriente, è stato certamente un progresso storico rispetto alla forte arretratezza economica del continente asiatico, ma l’opera traditrice dello stalinismo ha impedito al movimento proletario in Occidente di poter contare su una ferma e coerente guida rivoluzionaria, facendola deviare nel parlamentarismo democratico più inconcludente, ed ha impedito al movimento proletario cinese, nel 1927, di mettere la propria forza al servizio della rivoluzione proletaria anche in Asia, deviandolo sul terreno di un puro nazionalismo borghese dopo averlo abbandonato e lasciato massacrare a Shanghai e a Canton dalla sbirraglia del Kuomintang di Chiang-Kai-shek.

La teoria del socialismo in un solo paese definisce inesorabilmente la via della sconfitta più cruda della rivoluzione proletaria internazionale di cui il potere sovietico instaurato in Russia nel 1917 era il primo baluardo. Da quel momento in poi, con la distruzione del partito di classe e del movimento rivoluzionario del proletariato, inizia il lungo periodo controrivoluzionario in cui siamo ancora immersi e dal quale si potrà uscire solo riconquistando il terreno della lotta di classe, della rivoluzione proletaria e, non ultimo tra i fattori decisivi della vittoria rivoluzionaria, della ricostituzione del partito comunista a livello internazionale.

Ha un bel vantarsi, ogni borghese, della “fine del comunismo” che sarebbe stata provocata dal crollo dell’URSS, un paese dove in realtà si è sviluppato soltanto il capitalismo mentre la rivoluzione proletaria, dopo averla tradita, è stata annegata nel sangue per opera dello stalinismo e non solo in Russia, ma nel mondo. Il socialismo (e tanto meno la sua fase superiore, il comunismo) non è mai stato “costruito” dal punto di vista economico in Russia semplicemente perché mancavano le basi economiche (ossia lo sviluppo del capitalismo) per la trasformazione economica socialista, cosa che si apprestava a fare il potere politico bolscevico – questo sì socialista – in attesa dell’apporto indispensabile della rivoluzione proletaria europea. Lenin e i bolscevichi rivoluzionari hanno sempre saputo e dichiarato apertamente che non è possibile il socialismo in un solo paese, fosse anche il più avanzato del mondo. Ma se il comunismo fosse davvero finito, che bisogno avrebbero le borghesie di ogni paese di investire enormi risorse finanziarie per tenere in piedi istituzioni e organizzazioni politiche, sociali, culturali ed economiche il cui scopo è solo quello di ingannare il proletariato e deviarlo dal suo terreno di lotta classista?; che bisogno avrebbero di rafforzare costantemente le proprie forze di polizia e di aumentare il controllo sociale? Il vero pericolo storico per il potere di classe della borghesia viene dunque sempre dalla classe proletaria? La borghesia non lo ammetterà mai, ma tutti i suoi comportamenti politici, sociali, culturali, e il rafforzamento costante del proprio Stato, indicano che soltanto il proletariato rivoluzionario rappresenta la forza sociale che seppellirà la società borghese e il suo modo di produzione.

Ciò non toglie che le borghesie lottino costantemente tra di loro per accaparrarsi fette di mercato, ma il vero nemico storico è il proletariato.

«La borghesia è sempre in lotta – affema il Manifesto del 1848 – da principio contro l’aristocrazia, più tardi contro le parti della stessa borghesia i cui interessi vengono a contrasto col progresso dell’industria, e sempre contro la borghesia di tutti i paesi stranieri». La borghesia, quindi, non trova mai pace nella sua stessa società e non può non lottare anche contro la classe salariata, il proletariato, perché «la crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più oscillante il salario degli operai; l’incessante e sempre più rapido sviluppo del perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio e il singolo borghese assumono sempre più il carattere di collisioni di due classi. Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i borghesi, e si riuniscono per difendere il loro salario. Fondano perfino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua è là la lotta prorompe in sommosse». Quel che qui è descritto riguarda solo il lontano 1848? No, in sostanza riguarda anche l’oggi, perché le collisioni sociali sono sempre più collisioni di due classi, anche se vengono mascherate e confuse in moti popolari in cui i diversi strati piccoloborghesi si mescolano con il proletariato cercando di trascinarlo a sostenere rivendicazioni che in realtà non mettono in discussione né il potere della grande borghesia né il sistema economico di sfruttamento del proletariato, ma mirano a rafforzare i piccoli privilegi che legano la piccola borghesia alla conservazione reazionaria della società attuale.

Nella storia della sua lotta il proletariato ha conquistato il diritto di organizzarsi sia sul terreno della difesa economica, sia sul terreno politico più generale; ma i “diritti”, se non sono sostenuti dalla forza, sono soltanto parole che non hanno alcun valore, ed è la stessa borghesia a confermarlo con le sue leggi e con il suo potere. La lotta proletaria di classe è lotta politica, proprio perché ha posto concretamente come suo obiettivo primario la conquista del potere politico che significa spezzare lo Stato borghese e avviare tutte le misure politiche, sociali ed economiche che aprono la via alla società socialista.

E’ la storia a dimostrare con i fatti, con la lotta di classe e con le rivoluzioni, che la classe proletaria – appoggiandosi sulle sue organizzazioni classiste indipendenti e se diretta dal suo partito di classe – è la sola a poter cambiare completamente la società, trasformandola da società oppressiva e divisa in classi in società di specie, armonicamente organizzata sull’intero pianeta. E’ evidente che il proletariato non poteva e non può aspettarsi che la classe dominante borghese stia a guardare il proprio crollo generale senza reagire.

La borghesia, infatti, ha utilizzato e utilizza tutti i mezzi possibili per contrastare la spinta rivoluzionaria del proletariato, e quando i mezzi pacifici non risultano adeguati agli scopi dell’oppressione sociale la borghesia passa senza alcuno scrupolo ai mezzi violenti. D’altra parte, tutta la società borghese poggia sulla violenza economica con la quale la classe borghese si è imposta nella società. Costringere i proletari, da quando nascono, a farsi sfruttare nel lavoro salariato per vivere non è forse la violenza di base su cui si erge tutta la società del capitale?

L’accenno agli esempi storici sopra citati serve per affermare che il movimento reale delle forze produttive verso il rivoluzionamento totale dei rapporti di produzione e sociali esistenti nella società divisa in classi, è un movimento storicamente inarrestabile: il proletariato (come d’altra parte la borghesia tra il Quattrocento italiano e l’Ottocento europeo) ha lottato subendo una serie tragica di sconfitte, financo quando è riuscito a instaurare la sua dittatura di classe a Mosca facendo tremare le cancellerie di tutto il mondo. La prospettiva risolutrice della rivoluzione proletaria può essere rallentata, stoppata, interrotta, cancellata temporaneamente dalla memoria di alcune generazioni proletarie, ma inevitabilmente si ripresenta ad ogni crisi economica capitalistica, ad ogni crisi sociale provocata da una guerra o da una pandemia come attualmente.

 

LA BORGHESIA NON PUÒ NON SFRUTTARE LA FORZA LAVORO PROLETARIA

 

E indiscutibile che i sacrifici più duri li ha sempre fatti e continua a farli la classe proletaria, sia in termini salariali sia in termini di condizioni di lavoro. A fronte di progressi tecnologici vantati come il non plus ultra dalla borghesia (dicono che un piccolo elicottero, un drone, chiamato Ingenuity sia giunto ultimamente su Marte e che, oltre ad essersi appoggiato sul suo suolo, stia anche compiendo dei brevi voli a 5 metri d’altezza...), e mentre le statistiche ufficiali esaltano il fatto che le sorti del mondo sono in mano ad un pugno di Stati e che i capitali che muovono l’economia mondiale sono controllati da una minoranza di capitalisti, le condizioni di esistenza del proletariato nella realtà quotidiana peggiorano sistematicamente. La borghesia sa bene che non può fare a meno del proletariato: da un lato, perché solo dallo sfruttamento della sua forza lavoro salariata riesce a estorcere nella giornata di lavoro il plusvalore che poi suddivide in profitti, interessi, ulteriori capitali da investire, rendite di varia natura e, dall’altro lato, perché oltre a costituire una grande massa di consumatori costituisce anche la massa di soldati da irreggimentare e da mandare al macello nelle guerre di rapina che ormai caratterizzano la sua storia da più di cent’anni. Perciò la borghesia investe fior di capitali nelle più diverse forze di conservazione, sul piano politico, su quello economico e sociale e su quello ideologico-culturale. Ha bisogno di schiavi salariati che si pieghino alle esigenze del suo dominio economico e politico e non può farlo soltanto con la repressione. Meglio se una vera e propria armata di professionisti della collaborazione fra le classi, privilegiati e strapagati, opera ideologicamente, politicamente e socialmente perché i proletari continuino a illudersi che delle riforme in qualche modo migliorino le loro condizioni di esistenza, condizioni che, in realtà, rimangono quelle di schiavi salariati, con tutte le conseguenze di peggioramento che ne derivano.

Come scrivevano Marx ed Engels nel Manifesto del 1848, «l’operaio moderno, invece di elevarsi man mano che l’industria progredisce scende sempre più al disotto delle condizioni della sua propria classe. L’operaio diventa povero, e il pauperismo si sviluppa anche più rapidamente che la popolazione e la ricchezza».

Che cosa dimostra questo? «che la borghesia – continua il Manifestonon è in grado di  imporre alla società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice», che «non è capace di garantire l’esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di essere da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo»,  e perciò si dimostra che la stessa «esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società».

 

NON SARÀ MAI UN VOTO DI MAGGIORANZA PARLAMENTARE CHE SCALZERÀ DAL POTERE LA BORGHESIA

 

Il problema è che la classe borghese non ha alcun interesse e alcuna intenzione di togliersi di mezzo, vista la sua incompatibilità con la società (Manifesto), e di lasciare che un’altra classe, la classe proletaria, prenda il suo posto nella direzione generale della società. La classe borghese è talmente avvinta al capitalismo e ai privilegi che dal suo dominio le derivano che non getterà mai la spugna: lottando insieme al proletariato e al contadiname contro i feudatari si è imposta come classe dominante ed ha rivoluzionato il modo di produzione e la società; lottando contro le borghesie straniere e opprimendo le popolazioni di interi continenti ha universalizzato la sua società e la sua economia estendendo il suo dominio di classe in tutto il mondo pur non sviluppando alla stessa maniera l’economia di tutti i paesi; lottando contro il proletariato fin dalle sue prime rivolte contro l’oppressione salariale e sociale si è rafforzata al potere ed ha sviluppato una propria intelligenza di classe dominatrice tirando lezioni anche dalle lotte e dalle rivoluzioni proletarie che, finora, è riuscita a sconfiggere. Ha utilizzato molto abilmente tutte le correnti ideologiche, politiche e religiose a fini di conservazione sociale attirandole, ciascuna per le proprie specifiche caratteristiche, nella gestione politica e sociale e dando loro una sufficiente base economica “garantita” per trasformarle in sentinelle e, allo stesso tempo, in pretoriani in difesa del suo potere.

La classe borghese, così, appare invincibile. Finora non c’è stata crisi economica, sociale, sanitaria, di guerra che l’abbia disarcionata per sempre dal potere politico. Ed anche quando il potere politico l’ha perso, o era sul punto di perderlo, sotto i colpi delle rivoluzioni proletarie che abbiamo ricordato sopra, è riuscita a resistere e a riconquistarlo. Con la sconfitta della rivoluzione russa negli anni Venti  del primo dopoguerra, e della rivoluzione in Germania e in Europa – sconfitta dovuta in gran parte all’opera traditrice e opportunista delle forze socialdemocratiche e nazionalcomuniste che, come un cancro, hanno agito dall’interno dei partiti proletari distruggendone gli anticorpi rivoluzionari marxisti – la borghesia imperialistica, scossa dalla marea rossa che aveva messo in pericolo il suo potere in tutti i paesi, oltre al metodo democratico e parlamentare ha scoperto un nuovo modo per consolidare il proprio potere politico, il metodo fascista, dichiaratamente dittatoriale, certo, ma poggiante non solo sulla repressione del movimento operaio e delle sue organizzazioni, ma soprattutto sulla collaborazione di classe che, col fascismo, diventerà politica sociale istituzionalizzata. La borghesia capì che, per superare le crisi di sovraproduzione sempre più gravi a cui la sua economia inesorabilmente va incontro, per contenere le tensioni sociali e i movimenti di rivolta e rivoluzionari del proletariato e per allontanare il più possibile il momento in cui il suo potere politico veniva pericolosamente attaccato, e spezzato, dal movimento proletario rivoluzionario, doveva superare in qualche modo la fase dell’illimitato liberalismo e affidarsi ad «una forma di autolimitazione del capitalismo, livellando intorno ad una media l’estorsione del plusvalore» (2), cosa che già con il fascismo italiano, e più ancora con il nazionalsocialismo tedesco, aveva sperimentato e che, aldilà della vittoria militare sui loro regimi nella seconda guerra imperialista, ha successivamente ereditato e adottato in tutti i grandi paesi industrializzati. La politica della collaborazione tra le classi, unita alle forme di autolimitazione del capitalismo nell’estorsione del plusvalore e alla politica istituzionalizzata degli ammortizzatori sociali, ha costituito il “salto di qualità” del regime borghese, riuscendo così ad intrappolare il proletariato nella rete della “solidarietà nazionale”, dell’interesse “comune”, della politica dei “sacrifici oggi” prospettando dei “benefici domani”. Politiche finalizzate, in ultima analisi, ad irreggimentare il proletariato in difesa della società borghese e della sua economia, in tempi di pace come in tempi di guerra. Naturalmente questa autolimitazione non avviene in tutti i paesi del mondo e nella stessa misura. Oltre ad un certo limite questa autolimitazione non può andare perché è lo stesso sistema capitalistico che glielo impedisce: la lotta di concorrenza riporta prima o poi le borghesie più potenti a rafforzare lo sfruttamento della propria forza lavoro salariata in vista dei contrasti bellici sempre presenti all’orizzonte, e ad incrementare l’oppressione dei paesi più deboli in cui non ha bisogno di adottare quell’autolimitazione che, nei paesi imperialistici più forti, permette loro di controllare le masse proletarie attraverso le riforme e gli ammortizzatori sociali.  

Le situazioni di crisi spingono i poteri borghesi ad adottare politiche di emergenza. Ma l’emergenza di cui si riempiono la bocca tutti i politicanti e tutti i rappresentanti delle attività economiche e finanziarie, consiste nel frenare il più possibile la caduta dei profitti e nel non perdere il controllo sociale. Pandemia o non pandemia, l’economia va salvata: questo è il grido d’allarme lanciato da tutte le borghesie del mondo. E tutti gli interventi fatti per limitare i contagi e i ricoveri, e le chiusure delle attività che facilitano gli assembramenti di molte persone, erano e sono indirizzati a limitare i danni alle attività industriali, finanziarie, commerciali e politiche ritenute essenziali per ogni economia nazionale.

Non è un caso che, di fronte all’attuale pandemia di Covid-19, tutti i governi borghesi abbiano utilizzato una terminologia militare, come “guerra al coronavirus”, “guerra al nemico invisibile”, “coprifuoco” ecc., e imposto misure drastiche di confinamento colpendo duramente le “libertà individuali” tanto osannate e vantate come segno di grande civiltà... E’ sicuro che i borghesi, se volevano riunirsi per fare affari, per prendere accordi o per divertimento, il modo lo trovavano senza dover sottostare ai controlli di polizia; il confinamento e il divieto di assembramento, di riunione e di divertimento valgono soprattutto per i proletari che non hanno luoghi appartati in cui la polizia non mette il naso, ma hanno la strada, le piazze, al massimo i parchi, ossia i luoghi nei quali la polizia ha compiti di controllo molto più facili.

Quando la borghesia dominante parla di “guerra al coronavirus” – e lo fa in assenza di una ricerca scientifica adeguata alla necessaria conoscenza di tutto ciò che riguarda la vita di tutti gli esseri viventi di questo pianeta, perché la ricerca scientifica che interessa alla borghesia è solo quella finalizzata al profitto – in realtà parla di lotta per difendere il profitto capitalistico, per tornare ad accumularlo grazie ad una crescita economica per la quale in tutte le nazioni, in tutto il mondo, si devono fare i sacrifici “necessari”. Va da sé che i sacrifici necessari li deve fare prima di tutto il proletariato, e questo non è solo perché è una classe subordinata rispetto alla classe dominante borghese; anche la piccola borghesia è una classe subordinata alla grande borghesia, e in periodo di crisi, non solo i proletari ma anche i piccoli borghesi subiscono dei danni. Ma i proletari sono l’obiettivo predestinato dello sfruttamento capitalistico in ogni tempo, di pace o di guerra, di crisi o di espansione economica, perché le condizioni di esistenza della borghesia dipendono esattamente dallo sfruttamento sistematico della forza lavoro salariata. Questo sfruttamento è la base della violenza borghese in questa società.

In democrazia la violenza borghese è nascosta dalla collaborazione fra le classi e dalle pratiche elettorali e parlamentari che danno l’impressione di essere i mezzi pacifici attraverso i quali la maggioranza della popolazione può decidere del proprio futuro. Da più di cent’anni è dimostrato che questi mezzi, per quel che riguarda la classe proletaria, hanno solo una funzione ingannatrice, che tentano di coprire una violenza di fondo che sprizza da tutti i pori della società attuale. Più il capitalismo rimane in piedi, e più violenza viene usata per allungargli la vita. E contro questa violenza non c’è voto che possa fermarla; e non parliamo solo delle guerre, delle lotte tra organizzazioni criminali, delle oppressioni razziali, ma anche della violenza quotidiana che, nei paesi civilissimi, si manifesta negli infortuni e nelle morti sul lavoro, nei licenziamenti e nei lavori precari, nel lavoro nero e nel caporalato, nelle violenze domestiche, nelle violenze delle forze di polizia ecc. La violenza della società borghese, e quindi della classe dominante borghese, può essere contrastata e fermata soltanto dalla lotta rivoluzionaria del proletariato che non potrà non usare i mezzi della violenza per vincere e far desistere la resistenza della borghesia alla sua scomparsa dalla storia. Oggi i proletari non hanno la benché minima idea di quanta forza essi rappresentano, di quanta forza sociale essi sono in grado di esprimere per cambiare il mondo. Sono ancora talmente prigionieri delle illusioni che l’ideologia borghese alimenta continuamente, da non riconoscersi come una classe che nel passato ha già espresso una prospettiva storica rivoluzionaria. Saranno i fatti materiali, le crisi sociali ancor più acute di quanto non siano state finora a spingere le masse proletarie nell’arena dell’aperta lotta fra le classi, e allora, nella lotta per sopravvivere, nella lotta per difendersi dai disastri mortali in cui le gettano e le getteranno le borghesie di ogni paese, nella loro organizzazione e nella loro solidarietà di classe riconosceranno di essere l’unica forza viva di questa società, l’unica che può assicurare un futuro umano all’uomo distruggendo  tutto ciò che fa della società del capitale una società disumana e disumanizzante.

 

PER RIALZARSI, IL PROLETARIATO DEVE ROMPERE I VINCOLI POLITICI E SOCIALI CHE LO INCATENANO AL CARRO BORGHESE E RICONQUISTARE IL TERRENO DELLA SUA LOTTA DI CLASSE

 

I proletari si rendono conto di essere la classe salariata da cui i capitalisti e tutto il sistema di potere borghese, attraverso lo sfruttamento della loro forza lavoro, traggono i loro profitti e la loro forza nel dominio sulla società? Sì, lo sanno perfettamente, ma in grandissima parte continuano ancora a credere che, per cambiare la posizione sociale in cui sono costretti a vivere, la via da percorrere sia quella che porta ad un sistema più “democratico”, più “giusto”, più “egualitario”, insomma meno “divisivo” e “ineguale”; e che, per attuare questo cambiamento, si debba trovare un governo che capisca le esigenze anche dei più sfortunati, di chi non arriva alla fine del mese, di chi ha difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena, di chi ha perso il lavoro, di chi è sfruttato in modo bestiale, di chi soffre di disabilità, di chi è costretto a vivere ai margini della società ecc. I proletari, da quando nascono, vengono educati a credere che il sistema economico capitalistico sia l’unico esistente, l’unico che possa permettere di migliorare la propria vita e che, attraverso le “giuste” riforme, si possa garantire ai propri figli un futuro migliore... Ma gli anni passano, e passano i decenni e questo sistema economico e sociale continua a produrre diseguaglianze, sofferenze, ingiustizie, e non riesce mai a superare i fattori di crisi economica che, al contrario, si ripresentano ciclicamente e con sempre maggior virulenza. Non solo, ma invece di produrre soluzioni grazie alle quali non succedano più disastri e sciagure – la fame nel mondo continua a mietere vittime, epidemie e pandemie continuano far morire soprattutto la povera gente, gli infortuni e le morti sul lavoro continuano a riempire elenchi interminabili, le guerre fra Stati continuano a macellare uomini donne e bambini, la sopravvivenza nei paesi natiii è talmente precaria che spinge milioni di esseri umani ad attraversare deserti e mari  e a lasciarci la pelle, palazzi e ponti mal fatti crollano, i mezzi di trasporto, su strada, su ferrovia, in mare o aereo, diventano prima o poi delle bare ecc. – il sistema capitalistico produce continuamente occasioni di morte, di sofferenza, di incertezza: esso vive sulle sciagure, vive sullo sfruttamento dei lavoratori salariati, ingrassa le pance e i portafogli dei borghesi mentre getta sul lastrico e nella fame milioni di proletari.

Nonostante tutto questo, i proletari, intossicati fino al midollo dai veleni di questa società, sia fisici che mentali, non riescono ancora a disfarsi delle illusioni alimentate dal sistema democratico e parlamentare. Credono ancora che le contraddizioni sociali che la borghesia non riesce a dominare possano essere dominate e risolte dai mezzi politici che la stessa borghesia propone e impone. Il capitalismo è un modo di produzione che esprime la sua forza dittatorialmente, e la borghesia, che è la classe sociale che lo rappresenta e lo difende, non può che sottostare ai diktat del suo sistema economico: essa domina politicamente sulla società, ma è dominata economicamente dal capitalismo stesso. E per quanto cerchi di governare la sua economia non riesce ad indirizzarla secondo criteri di giustizia sociale, di quell’eguaglianza, di quella fraternità, di quella libertà che sono state sempre sbandierate come obiettivi che solo la società borghese può raggiungere a beneficio di tutta l’umanità... La storia ha dimostrato che l’alta idea della giustizia sociale, rappresentata dalla democrazia borghese è solo un gigantesco inganno e, prima che fosse il marxismo a dimostrarlo, lo ha dimostrato proprio la storia dello sviluppo delle forze produttive e dei movimenti sociali di classe che hanno prodotto le forme di produzione adeguate a quello sviluppo. Col capitalismo lo sviluppo delle società divise in classi è giunto alla sua ultima era, la successiva era non potrà che essere quella della società senza classi. La storia della lotta fra le classi ha dimostrato che non è possibile giungervi attraverso la democrazia borghese; le classi decisive della società sono ormai soltanto due, la borghesia e il proletariato, e nessun sistema democratico può eliminare lo storico e necessario scontro finale tra di loro, tra la classe conservatrice, la classe degli oppressori, e la classe rivoluzionaria, la classe degli oppressi.

La democrazia borghese dell’epoca imperialistica non ha niente a che fare con l’antica democrazia greca e nemmeno con la vecchia democrazia “liberale”. La dimostrazione non la si trova solo nel fatto che le grandi decisioni politiche, economiche e sociali vengono prese, in realtà, in riunioni separate e nascoste tra rappresentanti di trust, di lobby e politici degli Stati più potenti, ma anche soltanto osservando i parlamenti: a che servono? A ratificare decisioni sostanzialmente già prese in altre sedi, e a fare teatro, far vedere al “popolo bue” che le cose vengono “discusse” e che il voto finale – che favorisca o meno le proposte messe ai voti – è l’attuazione di quella democrazia parlamentare alla quale le masse proletarie sono chiamate a credere.

Non solo i parlamenti sono dei mulini di parole, ma sono specchietti per le allodole che il sistema democratico ha costruito e tiene in piedi per ingannare le masse popolari e, soprattutto, proletarie. E la drammatica vicenda della pandemia di Covid-19 ha largamente dimostrato che le decisioni politiche reali non sono prese dai parlamenti, ma dai governi e che i governi rispondono agli interessi non del popolo elettore, ma dei grandi poli finanziari, industriali e commerciali; ha dimostrato l’inutilità dei parlamenti, confermando per l’ennesima volta la tesi marxista secondo la quale la democrazia parlamentare non è che il velo menzognero col quale la borghesia tenta di nascondere la reale dittatura di classe che essa esercita sull’intera società. E contro la dittatura della borghesia non c’è lotta democratica che tenga: è necessaria la lotta rivoluzionaria, la lotta del proletariato per la conquista del potere politico e per l’instaurazione della sua dittatura di classe. Solo per questa via si potrà intervenire, con tutta la forza necessaria, per sradicare dalla produzione sociale il sistema capitalistico con tutte le sue contradddizioni, le sue diseguaglianze, le sue oppressioni, aprendo finalmente l’era della società di specie, senza più divisioni di classe e forme di oppressione.

La lezione che i proletari devono trarre dalla situazione di crisi economica e sanitaria che stiamo vivendo e dalla quale, per l’ennesima volta, stanno emergendo tutte le conseguenze peggiori in termini economici, politici, sociali e naturalmente sanitari, sulle masse proletarie e diseredate, è una lezione politica di vitale importanza: contro la “ripresa economica” che la borghesia persegue esclusivamente a fini di profitto c’è solo la ripresa della lotta classista del proletariato, per la quale lotta è necessaria la riorganizzazione proletaria intorno ai suoi esclusivi interessi di classe, a cominciare dalle rivendicazioni economiche di base, come gli aumenti salariali, i salari integrali ai licenziati e ai disoccupati e come la diminuzione drastica della giornata lavorativa. È su questo terreno che si colpiscono gli interessi immediati borghesi. Le restrizioni, i confinamenti e tutta la sequela di misure fatte passare per combattere la pandemia da coronavirus, in realtà servono per abituare la popolazione e il proletariato in particolare ad obbedire agli ordini imposti dai governi borghesi, fanno parte di ulteriori prove di controllo sociale che i governi borghesi attuano oggi perché prevedono un periodo di acutizzazione degli effetti di crisi economiche che inevitalmente si ripresenteranno nell’arco di qualche anno e che, aumentando i contrasti tra gli Stati imperialisti, provocheranno tensioni belliche maggiori di quelle che già finora terremotano molte zone del mondo. È ben vero che i borghesi pensano soprattutto al loro presente, ad accumulare profitti giorno per giorno a costo di inquinare sempre più terre mari e cieli, ma sanno che le loro contraddizioni ad un certo punto di rottura porteranno inevitabilmente alla guerra tra gli Stati per la quale devono prepararsi in tempo, non solo dal punto di vista degli armamenti e delle strategie militari, ma anche da punto di vista delle alleanze più convenienti e, soprattutto, del controllo sociale interno ad ogni paese. Non c’è infatti pericolo maggiore per il dominio politico borghese, soprattutto in tempi di guerra, che dover affrontare al proprio interno la lotta di classe e rivoluzionaria del proprio proletariato. Perciò tutte le misure che i governi borghesi hanno preso e continuano a prendere col pretesto della “lotta al coronavirus” (come ieri, e magari anche domani, della “lotta al terrorismo internazionale”) sono in realtà misure di controllo sociale che con la salute della popolazione hanno a che fare solo marginalmente e soprattutto in termini di vaccini, visto che questi comportano enormi profitti alle case produttrici, costituendo nello stesso tempo un argomento politico per ogni governo che vuol “dimostrare” di fare qualcosa di importante per la salute pubblica... Non ci sarebbero stati più di 150 milioni di contagiati e di 3 milioni di morti per covid nel mondo – secondo le statistiche ufficiali al 28 aprile 2021– se davvero i governi borghesi avessero avuto a cuore la salute dei popoli. Come di fronte ad ogni tragedia, la borghesia cerca di salvare la faccia con la propaganda, mentre nei fatti non può che comportarsi come il suo sistema economico comanda: da cinica esecutrice del maggior profitto, costi quel che costi, e, dal punto di vista politico, prepararsi non solo ai prossimi scontri tra borghesie imperialistiche, ma anche alla guerra guerreggiata a livello mondiale.

 


 

(1)   Le tesi che fanno comodo a tutti i borghesi e che sono state diffuse per 150 anni hanno continuato a sostenere che i comunardi trucidati, molti dei quali nella settimana di sangue dal 21 al 28 maggio 1871, e in particolare sul muro del cimitero Père Lachaise, sono stati all’incirca 30.000. Ma nella prefazione al suo libro La Commune, Louise Michel (una comunarda che, dopo aver aderito alla Prima Internazionale, partecipò dal primo momento alla Comune fino alla battaglia finale al Père Lachaise e che, dopo la sua caduta, fu deportata in Nuova Caledonia e successivamente amnistiata nel 1880) scrive: “I morti dalla parte di Versailles furono pochi, un infimo pugno; ma ciascuno di essi fece migliaia di vittime (...). Dalla parte della Comune le vittime furono senza numero e senza nome. Non si possono calcolare i cadaveri, le liste ufficiali ne hanno dichiarati trentamila, ma oltre centomila è la cifra più vicina alla verità. Si facevano sparire i morti a carrettate, se ne avevano sempre nuovi mucchi, e come fossero manciate di grano pronto per la semina venivano interrati in fretta. Soltanto i pazzi voli delle mosche sopra i carnai spaventavano i massacratori”. Cfr. Louise Michel, La Comune, Edizioni Clichy, Firenze, gennaio 2021, pp. 20-21.

(2)   Cfr. Forza violenza dittatura di classe, A. Bordiga, “Prometeo” 1946-48, ripubblicato in Partito e classe, ed. il programma comunista, Napoli, aprile 1972, cap. III. Regime borghese come dominazione, p. 97.

 

 

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