La Comune di Parigi, 18 marzo-28 maggio 1871 (2)

Fase della costituzione del proletariato in classe dominante: la Comune di Parigi 1871

(«il comunista»; N° 169 ; Giugno / Agosto 2021)

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Come detto nella puntata precedente, il tema della Comune di Parigi era stato trattato nella Riunione generale di partito del 31 ottobre-1 novembre 1965, tenuta a Firenze, all'interno della più ampia questione militare (1), in quanto esempio storico della fase della costituzione del proletariato in classe dominante.

Nel numero scorso del giornale abbiamo iniziato a pubblicare il Rapporto vero e proprio tenuta alla riunione; crediamo però che sia utile riprendere il testo pubblicato ne "il programma comunista" n. 2 del 1966 in cui si anticipava la questione con una Premessa, dei Brevi cenni storici e la grande questione del rapporto tra la Comune e il partito di classe che, come è noto, è sempre stato un argomento di forte polemica tra i marxisti e gli anarchici, e tra i marxisti e i borghesi in generale.

Ecco dunque il testo ora richiamato.

 

 

PREMESSA

 

In passato abbiamo esaminato la questione militare nella fase dell'organizzazione del proletariato in classe o in partito. Abbiamo cioè visto sorgere il partito rivoluzionario del proletariato, il partito comunista marxista, come risultato di lotte armate svoltesi in Francia, Inghilterra e Germania nel periodo che va dal 1789 al 1848.

Affrontiamo ora lo studio della fase in cui il proletaraito con la sua avanguardia ormai cosciente dei suoi destini storici, si prepara ad imporre la propria dittatura, a erigersi cioè in classe dominante per realizzare i fini della dottrina marxista, il comunismo.Cominceremo co primo grande esperimento di dittatura proletaria: la Comune di Parigi del 1871.

Com'è noto, fin dal suo apparire sulla scena storica, la Comune accentrò l'attenzione di tutti, e le interpretazioni e valutazioni che se ne dettero sono innumerevoli. «Che cos'è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi?». E Marx stesso risponde: «Il suo vero segreto fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta nella quale si poteva compiere l'emancipazione del lavoro» (Indirizzo sulla Guerra Civile in Francia del 1871) (2).

In questo «Indirizzo», scritto a nome dell'Internazionale, Marx tratta tutti gli aspetti della Comune, compreso quello militare, ovvero, per dirla con Lenin, «la tecnica delle forme estreme della lotta rivoluzionaria» connesse alla Comune, prima ancora della sua nascita e dopo la sua gloriosa disfatta.

Tema essenziale del nostro lavoro è appunto la trattazione di questo aspetto militare, allo scopo di trarne tutti gli insegnamenti da mettere a profitto del partito del proletariato per la rivoluzione comunista di domani.

 

BREVI CENNI STORICI

 

Allo scopo di rendere più facile la comprensione degli avvenimenti tracciamo una breve cronologia dei fatti più salienti che precedono la Comune.

 

1870-1871

19 luglio: la Francia dichiara guerra alla Prussia.

23 luglio: il Consiglio Generale dell'Internazionale lancia al proletariato internazionale un Indirizzo.

Rovesci militari francesi fino al 1° settembre: l'esercito imperiale , partito con strategia offensiva per assalire il territorio nemico attraverso il Baden e dividere la Germania del nord da quella del sud, si vede subito costretto alla difensiva, perché i prussiani lo hanno preceduto invadendo le due regioni di frontiera: l'Alsazia difesa dal gen. Mac Mahon, e la Lorena difesa dai gen. Frossard e Bazaine.

Fra il 4 e il 18 agosto i francesi vengono più volte battuti: l'armata dell'Alsazia si ritira con gravi perdite su Chalôns-sur-Marne mentre il grosso dell'esercito del Reno, cioè i due corpi che operavano nella Lorena, ripara nella fortezza di Metz, che però viene subito bloccata dal nemico. Le ripercussioni a Parigi non si fanno attendere: cade il ministero Ollivier, e lo sostituisce il governo militare di Palikao (3). Questo appronta un nuovo esercito, affidato a Mac Mahon, per liberare gli assediati a Metz, ma questo esercito di soccorso non solo non raggiunge lo scopo ma, dopo undici giorni di marcia, va incontro a un nuovo grosso disastro. Lo stesso Napoleone III, che lo accompagna, è costretto a capitolare a Sedan il 1° settembre (4). Tre giorni dopo, una rivoluzione popolare a Parigi dichiara decaduto l'impero e instaura la Repubblica, senza però impedire che i deputati del vecchio parlamento imperiale costituiscano un governo provvisorio dal nome altisonante di Governo della Difesa Nazionale [GDN].

Il 9 settembre l'Internazionale diffonde il suo secondo Indirizzo sulla guerra. La capitolazione di Metz, dovuta al tradimento di Bazaine, è già una prova di come il governo di Parigi  reciti la «farsa» della difesa. La giornata del 31 ottobre segna la pronta reazione operaia per spingere il governo a mantenere i suoi impegni militari, ma né questa giornata né quella del 22 gennaio 1871 riescono ad impedire la capitolazione di Parigi che avviene il 28 gennaio, dieci giorni dopo che a Versailles i principi tedeschi del Nord e del Sud hanno offerto la corona imperiale a Guglielmo di Prussia fondando così l'Impero tedesco.

L'armistizio firmato il 28 gennaio prevede una nuova Assemblea Nazionale e un nuovo governo, che possano trasformare in pace l'armistizio a condizione di accettare le durissime imposizioni prescritte dai prussiani. Tale assemblea costituente viene eletta l'8 febbraio, e il 26 dello stesso mese Thiers, capo del nuovo governo, trasforma l'armistizio in preliminari di una pace che sarà definita il 10 maggio, cioè durante il periodo della Comune, sorta il 18 marzo dopo uno scontro armato fra i proletari e le truppe di Thiers da essi costretto a fuggire a Versailles.

Dopo settantadue giorni di governo - il 28 maggio - la Comune cade eroicamente, sopraffatta dalle truppe versagliesi organizzate da Thiers con l'aiuto di Bismarck (5).

 

LA COMUNE E IL PARTITO

 

Da tempo immemorabile si discute sulla più o meno indebita «appropriazione» della Comune da parte di Marx.

Gliela «regalò» il suo nemico Thiers quando, nel suo ultimo proclama alle guardie nazionali, dichiarò esplicitamente che voleva «farla finita con gli sconosciuti che rappresentavano solo delle dottrine comuniste»? I fautori di questa tesi sostengono che Thiers per rendere odiosa al resto della Francia la Parigi rivoluzionaria dipingesse di rosso il diavolo che animava allora la grande capitale. Secondo costoro, a mettere nelle braccia del comunismo la Comune sarebee quindi stato un «errore» del suo maggior nemico.

O fu invece Marx che, con chissà quale diaboilica manovra, commise la grande «usurpazione» storica? Secondo i sostenitori di quest'altra tesi, ciò che Marx avrebbe fatto per guadagnare alla sua causa la Comune, consiste essenzialmente nel celebre Indirizzo sulla Guerra Civile in Francia del 1871 scritto a nome del Consiglio Generale dell'Internazionale due giorni dopo la fine della Comune; cosa che Marx avrebbe fatto per creare un mito rivoluzionario intorno alla sua dottrina.

Lasciamo che borghesi e opportunisti di tutti i colori si rompano il capo intorno a interrogativi del genere. Si consumino pure di rabbia: la Comune è nostra e nessuno ce la toglie. La rivoluzione del 18 marzo 1871 che instaurò la Comune «è l'azione più gloriosa del nostro Partito», come scriveva Marx a Kugelmann il 12 aprile 1871 (6).

Ma in che senso la Comune fu opera del nostro Partito? Ecco un punto delicato da chiarire, per «conciliare» con Marx il grande rivoluzionario Trotsky quando nei suoi Insegnamenti della Comune di Parigi scrive che «il proletariato parigino non aveva né un partito, né dei capi» (7). Occorre tener presente che Trotsky, in questo suo saggio, si occupa di una questione particolare, la questione militare in senso stretto. Egli esamona le cose dal punto di vista dell'«arte della rivoluzione» che un partito marxista, per essere tale, deve non solo conoscere, ma spaere applicare. Ma che cosa fa, in fondo, Trotsky in tale studio? Non fa che sviluppare ciò che di essenziale in materia di «tecnica militare» lo stesso Marx aveva rilevato (ne riparleremo più avanti). La discordanza tra Trotsky e Marx non esiste o, se si vuole, è solo apparente; è la stessa apparente contraddizione che si riscontra in Engels quando, parlando della giusta decisione di sciogliere nel 1874 quell'Internazionale che pure era stata essenzialmente creatura sua e di Marx, scriveva:

«Il primo grande successo doveva far saltare questo ingenuo procedere assieme di tutte le frazioni.Tale successo fu la Comune, che dal punto di vista intellettuale fu assolutamente figlia dell'Internazionale, sebbene questa non avesse mosso un dito per farla, ed entro tali limiti l'Internazionale ne fu anche con piena ragione considerata responsabile» (8).

Dunque, «intellettualmente» la Comune fu figlia dell'Internazionale, che a sua volta deve considerarsi erede di quella prima Associazione Internazionale dei Lavoratori che fu la Lega dei Comunisti, i cui principi teorici «aveva scritti  sulla sua bandiera nel Manifesto Comunista».

La Comune fu dunque il primo glorioso tentativo di tradurre in pratica quei principi teorici e, nella sua essenza fondamentale (di demolizione della macchina statale borghese e di erezione sulle sue rovine della dittatura proletaria), fu prevista integralmente da Marx nel 1850 quando scrisse Il 18 Brumaio. Egli lo ricorda ancora nella celebre lettera del 12 aprile 1871 a Kugelmann, quando la stessa Comune andava realizzando i suoi obiettivi: «... Se tu rileggi l'ultimo capitolo del mio 18 Brumaio, troverai che io affermo che il prossimo tentativo della rivoluzione francese non consisterà nel trasferire da una mano ad un'altra la macchina militare e burocratica com'è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla, e che tale è la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare sul Continente. In questo consiste pure il tentativo dei nostri eroici compagni parigini» (9). E poi, c'è ancora qualcuno che si domanda come mai Marx si sia potuto «appropriare» la Comune!

La Comune fu un trionfo del marxismo in quanto dottrina della rivoluzione proletaria. La Rivoluzione d'Ottobre lo sarà in modo ancor più completo e luminoso.

L'Internazionale aveva avuto essenzialmente il merito di preparare ideologicamente il proletariato. Dichiarando che «l'emancipazione della classe operaia è diventata la conquista del potere politico» (Indirizzo inaugurale), l'Internazionale rischiarava le coscienze sul compito generale della questione militare, che è l'insurrezione armata e la difesa armata dello Stato proletario sorto dalla demolizione dello Stato borghese. Dichiarando poi che «la classe operaia possiede un elemento di successo, il numero: ma i numeri pesano sulla bilancia solo quando sono uniti dall'organizzazione e guidati dalla conoscenza», Marx, in quell'Indirizzo, metteva in piena luce la funzione insostituibile del Partito nella rivoluzione proletaria.

Fu presente a Parigi un Partito così inteso durante la crisi rivoluzionaria che condusse alla Comune?

Per intenderci, ci fu un partito forte, bene organizzato e ferreamente disciplinato, che fosse capace di preparare e dirigere la rivoluzione parigina sul piano prettamente politico-militare?

No. Ed è giusto, in questo senso, dire che l'Internazionale «non mosse un dito». Non lo poteva per varie ragioni, e in primo luogo perché non era ancora, organizzativamente parlando, «puramente comunista», come dice Engels nella citata liettera a Sorge, dando anzi tempo ragione a Trotsky. Tutti gli sforzi per costituire quell'organizzazione non furono coronati da successo. In quanto partito storico - per la presenza in esso di Marx ed Engels - essa fu all'altezza del suo compito perché questi poté dare «indirizzi» strategici sul piano politico-militare; ma come partito formale non ebbe la forza di realizzarli.

Il trionfo di una rivoluzione si basa non solo sulla previsione e preparazione teorica, generale e strategica, ma anche sulla previsione e preparazione particolare e tattica, per le quali l'organizzazione efficiente, cioè il partito formale, che influenza da una posizione dominante la grande maggioranza della classe operaia durante la crisi rivoluzionaria, è sempre presupposto essenziale per evitare errori militari e politici fatali.

Da quanto precede ci sembra di poter affermare altresì che la tesi della spontaneità della Comune, sostenuta da certi borgehsi e falsi marxisti per escludere e minimizzare l'opera del partito di classe nella grande vicenda storica del 1871, sia da respingere in pieno perché superficiale e basata su arbitrarie e denigratorie pregiudiziali. D'altra parte, non si deve cadere, per opposta e altrettanto falsa pregiudiziale apologetica dell'opera svolta dal partito nella Comune, nell'errore di negare quella parte di spontaneità che, sul piano più propriamente politico e militare, vi fu e trasse origine dalla scarsa omogeneità e disciplina teorica e pratica della direzione delle forze politiche proletarie che dominarono la scena della rivoluzione parigina. Concludendo, la grande «iniziativa storica» delle masse parigine, alla quale plaude entusiasticamente Marx, può essere spiegabile solo come momento culminante di un processo di sviluppo della lotta di classe in cui i fattori obbiettivi ebbero, un po' più di quelli soggettivi, un grande peso.

E' lo stesso Marx che mette in rilievo i lati altamente positivi della titanica lotta proletaria e le debolezze delle forze dirigenti. Di fronte a queste ultime però - come rileva Lenin nella prefazione all'edizione russa del 1907 delle Lettere a Kugelmann - Marx seppe comportarsi non da misero dottrinario alla Plekhanov che monta in cattedra e critica in tono di sufficienza i dirigenti blanquisti e proudhoniani e le loro «romanticherie rivoluzionarie»: al contrario egli plaude alla grande iniziativa storica e a tutto ciò che di mirabile seppero fare gli oscuri proletari parigini nella loro opera di governo, e continua a consigliarli, a incoraggiarli, a spronarli nella lotta militare contro Versailles, pur sapendo come sia difficile vincere i nemici coalizzati dei brétoni di Thiers e dei lanzichenecchi teutonici. Esaltando poi, a sconfitta avvenuta, il grande eroismo parigino, l'immensa capacità di sopportare i sacrifici e il disprezzo assoluto della morte di quei proletari e delle loro donne, Marx non intende rendere solo un meritato elogio ai martiri di una memorabile guerra di classe mentre tutta la canea borghese si congratula coi loro assassini, ma intende soprattutto additare alle future generazioni e ai loro capi quale dev'essere il loro comportamento per il trionfo della rivoluzione comunista. Il fatto «irrazionale» del coraggio e dell'energia rivoluzionaria vale per Marx quanto quello «razionale» della conoscenza delle leggi della rivoluzione da parte dei capi.

Il trionfo della Comune, sia pure solo per 72 giorni, prova anzi che la volontà politica delle masse, anche se non perfezionata da una chiara coscienza teorica, poté ugualmente raggiungere dei risultati il cui valore storico, ai fini del rafforzamento della stessa dottrina marxista, fu di enorme importanza. Apprezzando «le molte cose giuste che la Comune, composta di blanquisti e proudhoniani, ha compiuto nonostante tutto», Engels (nella Prefazione del 1891 alla Guerra civile in Francia di Marx)  rileva quanto segue: «L'ironia della storia volel - come avviene di solito quando dei dottrinari arrivano al potere - che gli uni e gli altri facessero precisamente il contrario di quello che prescriveva la dottrina della loro scuola», perché tanto i decreti economici (prodhoniani) quanto le azioni politiche (blanquiste) erano avviati nel senso anticipato dal comunismo marxista; e può affermare: «Perciò la Comune fu la tombas della scuola socialista proudhoniana» e, aggiungiamo noi, il primo grande trionfo della teoria marxista alla prova del «laboratorio della storia».

 

 

Da qui riprendiamo il Rapporto vero e proprio  la cui prima parte è uscita nel numero scorso

 

Difesa di Parigi e guerra in provincia

 

Il 18 settembre 1870 le armate tedesche provenienti da Sedan, senza incontrare resistenza, erano arrivate davanti a Parigi e la minacciavano d'assedio. Il giorno dopo disperdevano le truppe francesi sull'altipiano di Châtillon, accerchiando così la città anche da sud, dove era meno difesa dai 16 forti distribuiti su un perimetro di 53 km.

«Parigi mistificata dalla stampa vanagloriosa, ignora la grandezza del pericolo; Parigi fa abuso di fiducia», avverte Blanqui dal suo giornale (citazione di Blanqui, dalla Storia della Comune di P. O. Lissagaray) (10).

Ma già dal 5 settembre alcuni uomini di avanguardia «ai fini della difesa e del mantenimento della repubblica, avevano invitate le assemblee pubbliche a nominare in ciascun circondarie un comitato di vigilanza incaricato di controllare i sindaci e di acciogliere i reclami. Ogni comitato doveva nominare quattro delegati; l'insieme dei delgati avrebbe costituito un Comitato Centrale dei 20 circondari» (11). Questo C. C. dei 20 Circondari (arrondissements) non ha nulla a che vedere con Comitato Centrale delle guardie nazionali (C.C. delle G. N.) che nascerà assai più tardi e che svolgerà un ruolo di primo piano nella Comune.

Il 30 settembre, alla notizia della capitolazione di Strasburgo, i repubblicani rivoluzionari (per i quali la Repubblica doveva avere un contenuto sociale e non essere solo una forma politica del vecchio stato, come pensavano e volevano i repubblicani parlamentari), con alla tesa blanquisti e internazionalisti cominciano le loro agitazioni specie tra le guardie nazionali considerate già come la loro forza armata proletaria. Il 5 e l'8 ottobre si hanno le prime manifestazione armate: Florens, comandante di un settore della difesa, scende a Parigi da Belleville con dieci battaglioni di guardie nazionali per chieeere la leva in massa e le elezioni immediate della Comune. Già altre volte si era fatta quest'ultima richiesta. Anzi, il «Governo della Difesa Nazionale» l'aveva accettata quando gli operai gli avevano consegnato il potere il 4 settembre.. Ma, come tante altre promesse (soppressione della polizia di stato, leva in massa, amnistia politica ecc.), anche questa dell'elezione era stata messa nel dimenticatoio: il G. D. N. si comportava come il governo imperiale abbattuto; la Repubblica doveva essere solo la continuazione dell'Impero. Né tale governo, che porterà alla capitolazione di Parigi, né quello «regolare» (in quanto emanazione di una «legale» Assemblea Nazionale eletta per volere di Thiers-Bismarck per sanzionare la futura «pace») eleggeranno mai la Comune veramente rivoluzionaria chiesta dagli operai. Essa nascerà solo il 26 febbraio 1871, dopo che il potere sarà stato strappato alla borghesia.

A ostacolare poi la creazione di Comuni in provincia ci pensò la delegazione del governo di Parigi, che ebbe la sua sede prima a Tours, poi a Bordeaux. Ovviamente, le ragioni per le quali si ostegguiarono le elezioni «pacifiche» della Comune erano del tutto opposte a quelle che le facevano rivendicare agli operai. Trochu e Gambetta (che reciterà la parte del primo attore nel governo di Tours) non vedevano di buon occhio questo concorrente del loro governo, il cui «piano di difesa» sarebbe andato in fumo. «Che la Comune, come nel 1792, salvi ancora la città e la Francia!» (12); in questa forte invocazione, le masse proletarie lasciavano capire che la ragione militare della loro richiesta era la fondamentale e la più urgente. Quel «come nel 1792» non deve trarre in inganno. Forse i Gambetta potevano pensare a un ripetersi della tradizione di ottant'anni addietro, quando la borghesia era rivoluzionaria e ancora capace di eroismo. Ma da allora il proletariato aveva sempre avanzato rivendicazioni proprie, e quando come nel 1848, deteneva di fatto il potere nelle mani, l'aveva ceduto solo dopo una lotta frontale con la borghesia. Gli operai ora possedevano il loro Partito - l'Internazionale - ed esso aveva detto loro che «non si dovevano lasciare sviare dalle memorie nazionale del 1792». La guerra che l'avanguardia proletaria voleva non era, come spesso si scrive, motivata da orgoglio e sentimento patriottico tradizionale: non aspirava stalinianamente a raccogliere il tricolore lasciato cadere dalla borghesia, non gridava allo scandalo per la sua mancanza di patriottismo. Il proletariato voleva spingere la borghesia ad agire conformemente agli interessi della rivoluzione già in atto dal 4 settembre, per puntare verso le conquiste sociali poste all'ordine del giorno dalla storia e indicate come meta finale dal Partito: l'emancipazione del lavoro per mezzo di un governo della classe operaia.

I patrioti alla vecchia maniera, come ostentava di essere Gambetta, erano ormai fuori tempo per le contraddizioni in cui si muovevano e che li costringevano a subire la volontà capitolarda del governo Trochu. Gambetta aveva infatti lasciato Parigi il 18 settembre per eseguire l'ordine del governo di bloccare le elezioni comunali in provincia e far rimanere ai loro posti tutto quel personale bonapartista che avrebbe sabotato in mille modi la guerra affrontata suo malgrado, riunendo tutti coloro che affluivano per offrire il loro braccio e il loro entusiasmo. Il tradimento si metteva in opera, da una parte, dichiarando di voler resistere ai prussiani «fino all'ultimo uomo» e facendo anzi sperare addirittura in una Jemappes (13), dall'altra operando in un senso del tutto opposto.

Ad un mese da Strasburgo, la capitolazione a Metz dell'armata del Reno comandata dal generale bonapartista Bazaine, è la prova lampante del tradimento del governo della controrivoluzione borghese. Gli approcci fatti poi sia dal Bazaine che dal Thiers  presso Bismarck per «trattare» un armistizio, e che Bismarck respinse perché voleva restare arbitro assoluto in Francia, sono una prova della cospirazione antiproletaria del governo francese con quello prussiano. Ecco come quel traditore spudorato di Bazaine si prostituì al nemico per ottenere l'armistizio: «La società è minacciata da un partito violento... La mia armata è destinata ad essere il palladio della società; è la sola forza che possa domare l'anarchia... Essa offrirebbe alla Prussia, per effetto di questa azione, una garanzia di pegni che la Prussia potrebbe reclamare, contribuirebbe all'avvento di un potere regolare e regale» (da La Comune di Parigi di Bourgin che citeremo con un *).

Se ben si riflette a queste parole, si vede che il tradimento della borghesia, dei suoi «uomini di stato» e dei suoi generali, non è un fatto del tutto volontario, ma è il prodotto della evoluzione storica e dei conflitti di classe da essa generati: reazione e rivoluzione procedono così verso la catastrofe con alterne vicende di vittoria dell'una sull'altra. Le ripercussioni della caduta di Metz non tardano infatti a manifestarsi con la memorabile giornata del 31 ottobre. Al grido di  «Abbasso Trochu! La leva in  massa! Viva la Comune!» (14) gli operai insorgono e fanno progioniero quasi tutto il «governo dei Giuda» nell'Hôtel de Ville. Giustamente il Lissagaray che visse quegli avvenimenti dice che «non esiste nella storia un più alto tradimento».

Il 31 ottobre, però, gli insorti si lasciano ancora una volta scappar dalle mani i «Giuda», che riusciranno tra il 5 e il 7 novembre a ottenere perfino la fiducia da una maggioranza di elettori in un plebiscito-farsa di stampo imperiale con la formula: «coloro che vorranno mantenere il governo voteranno » (15).  Ancora una volta, la spiegazione del magro risultato di quella grande giornata è nella mancanza di coesione fra i rappresentanti degli operai: Blanqui, L. Blanc, Florens, Delescluze ecc. e nella incapacità del C. C. dei 20 Circondari di esercitare funzioni dirigenti, oltre che nella bonarietà di coloro che, sprando ancora che la lezione riconduca i membri del governo all'osservanza dei propri doveri, risparmiano loro la vita.

Con quale moneta essi ricambieranno più tardi (maggio 1871) questa bonarietà? Già fin da ora il generale Florens, come Mrx lo chiama, che sarà assassinato dagli «eroi» della borghesia, è anzi arrestato e non può, insieme a pochi altri della sinistra rivoluzionaria eletti nelle elezioni municipali fatte in regime di terrore dal 5 al 7 novembre, esercitare le funzioni di sindaco di uno dei circondari di Parigi.

Malgrado tutto, la situazione della Francia non era ancora del tutto disperata. Se si fosse riuscito a costringere il governo a fare sul serio la guerra sia a Parigi che in provincia, non solo si sarebbero potute migliorare le posizioni, ma si poteva sperare in una possibile vittoria. Risparmiamo al lettore la dimostrazione che Engels ne dà, sulla scorta di uno studio della situazione politico-militare di allora. Molti degli stesi capi della classe operaia a Parigi intuitivamente sentivano di poter ancora vincere e ciò, ripetiamo, giustifica il fatto che non vollero iniziare offensivamente la guerra civile il 31 ottobre. Vedremo che questa, quando avrà luogo in marzo 1871, prenderà le mosse da una reazione difensiva.

Il 13 dicembre Marx scrive a Kugelmann:

«Tuttavia non è ancor detta l'ultima parola. La guerra in Francia può avere ancora delle svolte molto "scabrose". La resistenza dell'armata della Loira era "fuori" di ogni calcolo, e l'attuale dispersione delle forze tedesche a destra e a manca è solo destinata a incutere spavento, ma di fatto non ha altro successo che quello di chiamare in vita in tutti i punti la forza difensiva e di indebolire la forza offensiva. Anche il minacciato bombardamento di Parigi è solo un trucco. Secondo tutte le regole del calcolo delle probabilità, esso non può assolutamente avere alcun serio effetto sulla città di Parigi stessa. Se venisero abbattute alcune opere avanzate, se venisse fatta una breccia, che gioverebbe tutto ciò nel caso in cui il numero degli assediati si batterono eccezionalmente bene nelle sorties [sortite], quando gli avversari si difendevano dietro agli entrenchments [trincee], non si batteranno meglio ancora quando le parti sono invertite?

«L'affamamento di Parigi è l'unico mezzo reale. Se però questo termine è ritardato sufficientemente per permettere la formazione di armate e lo sviluppo della guerra popolare nelle province, anche con questo non si guadagnerebbe altro che lo spostamento del centro di gravità. Inoltre Parigi che non può essere presidiata e mantenuta tranquilla con un pugno di uomini, immobilizzerebbe, anche dopo la capuitolazione, una gran parte degli invaders [invasori].

«In qualunque modo finisce al guerra, essa avrà alle nato il proletariato francese nell'uso delle armi, e ciò è la migliore garanzia per l'avvenire» (16). Marx, dunque, auspicando ancora la formazione di armate e lo sviluppo della guerra popolare, fa intendere che non è ancora giunto il momento di rovesciare il governo, ma che lo si deve obbligare a rispettare gli impegni senza farsene raggirare per mancanza di unità di intenti della direzione delle forze rivoluzionarie. Purtroppo il «partito formale» non si era ancora organizzato, e il governo Trochu (17) proseguì la lotta solo a base di scaramucce e di finte sortite, che dovevano avere più che altro lo scopo di umiliare lo spirito guerriero dei proletari, dei «sovversivi».

Il 28 novembre il generale Ducret, che doveva guidare la «grande sortita» fuori Parigi e che aveva giurato di tornare indietro solo da vincitore, dopo aver esposto le guardie nazionali a inutili sanguinosi sacrifici ordina la ritirata ed entra per primo a Parigi. Non contento di ciò, il governo di questi eroi ha la sfacciataggine di «epurare» le guardie nazionali dei battaglioni «indisciplinati», e dar loro come nuovo capo il gen. Thomas, colui che aveva fatto sparare sugli operai nel giugno 1848.

Il 21 dicembre si ha un'altra azione «eroica» del genere di quella precedente: il «piano Trochu» si dimostra sempre più un piano per la difesa di classe. Di qui altre manifestazioni operaie e il «manifesto rosso» fatto affiggere il 6 gennaio dal C.C. dei 20 Circondari (18).

Il 20 gennaio, Trochu dà l'ultimo spettacolo: nuova «sortita torrenziale», nuova ritirata che si trasforma in rotta; per reazione nuova giornata del 22 gennaio contro il governo, e quindi altro sangue versato dagli operai che non vogliono assolutamente la capitolazione (che però sei giorni dopo è già un fatto compiuto).

«Trochu riteneva assai più importante tenere a bada i rossi a Parigi con la sua guardia del corpo bretone, che gli rendeva gli stessi servigi resi a L. Bonaparte dai corsi, anziché battere i prussiani. Questo è il vero segreto delle sconfitte non solo a Parigi, ma ovunque in Francia, dove la borghesia ha agito secondo lo stesso principio, d'accordo con la maggioranza delle autorità locali» (*).

In provincia, dove finora non vi era stata nessuna Vandea, lo spirito conciliatore di Gambetta (19) ottiene anche di più! Non solo fiacca la volontà di lotta popolare, ma crea le condizioni per far rialzare la testa a tutti i reazionari, e a Thiers, loro capo politico. Di fronte alla timidezza iniziale dei prefetti, Gambetta assume le arie di dittatire, ma in realtà manca di qualunque audacia giacobina. «Dietro il tribuno si nascondeva l'irresoluto» (*): alza ogni tanto la voce contro Trochu, ma finisce sempre per subirne la volontà capitolarda.

 

 

La guerra civile

(28 gennaio - 18 marzo 1871)

 

 

CONTRORIVOLUZIONE E RIVOLUZIONE

 

«La capitolazione di Parigi, consegnando alla Prussia non solo tutta Parigi, ma tutta la Francia, concluse la lunga serie degli intrighi col nemico e dei tradimenti che gli usurpatori del 4 settembre avevano incominciato, a detta dello stesso Trochu, in quello stesso giorno. D'altra parte, essa dette inizio alla guerra civile che costoro stavano per impegnare, con l'aiuto della Prussia, contro la repubblica e contro Parigi. La trappola era preparata nei termini stessi della capitolazione» (*). Infatti era stato stipulato che «un'Assemblea Nazionale doveva essere eletta entro 8 giorni» e «al solo scopo di decidere della pace e della guerra» (*). La fretta imposta alle elezioni dell'8 febbraio doveva servire al trionfo di quello «strumento della controrivoluzione» che era il partito di Thiers, nel cui seno si rifugiarono i «rurali» della provincia, ossia orleanisti e legittimisti.  «Appena si riunì a Bordeaux questa assemblea di "rurali", Thiers le fece capire che i preliminari di pace dovevano essere ratificati subito, senza nemmeno gli onori di un dibattito parlamentare, perché questa era la sola condizione alla quale la Prussia avrebbe permesso loro di aprire le ostilità contro la repubblica e contro la sua cittadella, Parigi. E in realtà la controrivoluzione non aveva tempo da perdere... La guerra aveva gonfiato le passività in modo spaventevole e devastato senza pietà le risorse della nazione» (*).

Come si vede, alla causa politica si aggiungeva quella economica a spingere la borgehsia ad affrettarsi nel passare all'attacco. Ma la «trappola» aprì gli occhi ai proletari come non mai. Essi non avevano più davanti e contro il solo nemico esterno; a questo, nella «pace», si era alleato quello interno. Ormai nessuno ne dubitava più, e perciò occorreva stare all'erta e serrare le file. Sotto la pressione di queste gravi ed urgenti necessità i battaglioni delle guardie nazionali si federarono. Gli errori del passato, causati dalle divisioni interne, insegnarono che bisognava organizzarsi per avere una volontà unica e decisa. «La guardia nazionale si era riorganizzata e aveva affidato il proprio controllo supremo a un Comitato Centrale eletto da tutto il corpo, eccetto alcuni residui delle vecchie formazioni bonapartiste» (*).

 

UN FATTO SENZA PRECEDENTI

 

E' vero che, nei termini della capitolazione, c'era la «trappola», ma è anche vero che in essi era contenuto il riconoscimento della forza del proletariato, della sua realtà di classe rivoluzionaria. Così Engels scriveva vent'anni dopo la Comune:

«Il 28 gennaio 1871, Parigi affamata capitolava: Ma con onori mai visti sino ad allora nella storia delle guerre. I forti vennero consegnati, le trincee esterne di difesa vennero abbandonate, le armi dei reggimenti di linea e della guardia mobile (20) consegnate e i loro componenti furono considerati prigionieri di guerra. Ma la guardia nazionale conservò le sue armi ed i suoi cannoni e si considerò in stato di armistizio di froente ai vincitori. E questi ultimi non osarono neanche penetrare trionfalmente a Parigi. Non osarono occupare che un piccolo lembo in Parigi, perlopiù costituito da parchi pubblici, e questo per alcuni giorni soltanto! E durante questo tempo, essi, che per 131 giorni avevano stretto d'assedio Parigi, erano a loro volta assediati dagli operai parigini armati, che vigilavano accuratamente perché nessun "prussiano" varcasse i limiti ristretti in quella minuscola area lasciata all'invasore straniero. Tale era il rispetto che gli operai parigini ispiravano all'esercito davanti al quale tutte le truppe dell'Impero avevano deposto le armi; e gli Junker prussiani che erano venuti per soddisfare la loro vendetta nel centro della Rivoluzione, dovettero fermarsi con deferenza e fare il saluto proprio davanti alla Rivoluzione in armi!» (21).

Il comportamento che le guardie nazionali dovevano tenere all'entrata dei prussiani a Parigi fu deciso e voluto, contro la loro prima e non saggia dexcisione di opporsi con le armi a tale ingresso, da tutta la «Corderie», ossia dall'Internazionale, dai Sindacati e dal Comitato Centrale dei 20 Circondari. E' questo uno dei pochi esempi di come una volontà politica unica, sia pure risultante da tre forze proletarie diverse, abbia agito sugli eletti delle guardie nazionali. 

 

IL PIANO THIERS OVVERO «LA RIVOLTA DEI NEGRIERI»

 

Il «piano Thiers» che non era altro che la diretta continuazione del «piano Trochu», mirava dunque «a farla finita» con gli operai di Parigi, cioè a disarmarli.

Seguendo la tattica già sperimentata nel 1848, la borgehsia reazionaria incominciò a mettere in esecuzione il suo piano con una serie di provocazioni: decapitalizzando Parigi, rendendo esigibili subito certi effetti commerciali scaduti, sopprimendo il soldo alle guardie nazionali e i giornali repubblicani, condannando a morte in contumacia Blanqui e Flourens per aver preso parte alla giornata del 31 ottobre (22).

Gli uomini della borsa, che volevano la ripresa degli affari solo dopo aver spazzato via gli «scellerati», e i «rurali» che volevano riunire la loro Assemblea a Versailles per il giorno 20 marzo «senza temere la rivolta delle piazze», imposero a Thiers una scadenza. Non la classe e il partito rivoluzionario fissavano dunque la data dell'insurrezione; ma erano la classe e il partito controrivoluzionario a stabilire il momento dell'attacco.

Se si guarda alla legalità del regime esistente come a un fatto che riposa su una reale forza politica e militare, si deve affermare con Marx che i «ribelli» erano Thiers e C. «Il sequestro dell'artiglieria avrebbe dovuto servire evidentemente solo come preludio al disarmo generale di Parigi, e quindi alla rivoluzione del 4 settembre. ma questa rivoluzione era diventata il regime legale della Francia. La repubblica, opera sua, era stata riconosciuta dal vincitore ai termini della capitolazione; dopo la capitolazione fu riconosciuta da tutte le potenze straniere e nel suo nome fu convocata l'Assemblea Nazionale. La rivoluzione degli operai di Parigi del 4 settembre era solo il titolo legale dell'Assemblea Nazionale di Bordeaux e del suo Esecutivo. (...) L'Assemblea Nazionale con i suoi poteri notarili per fissare le condizioni della pace con la Prussia, non era che un episodio di quella rivoluzione, la cui vera incarnazione era pur sempre Parigi in armi, che l'aveva iniziata, aveva subìto per essa un assedio di 5 mesi con gli orrori della fame, e aveva fatto della sua resistenza prolungata a dispetto del piano di Trochu, la base di una ostinata guerra di difesa nelle province» (23).

Questa esaltazione della forza rivoluzionaria da parte di Marx come di Engels non è inutile retorica: è su di essa, solo su di essa, che riposa la rivoluzione del proletariato. Per i nostri Maestri, la questione militare è, di questa, la conditio sine qua non.

 

LA GRANDE ALTERNATIVA

 

Continuiamo la citazione di Marx dalla Guerra civile in Francia (Indirizzo del 30 maggio 1871):

«E ora Parigi doveva o deporre le armi al comando insolente dei negrieri ribelli di Bordeaux, e riconoscere che la sua rivoluzione del 4 settembre non significava altro che il semplice passaggio del potere da Luigi Bonaparte ai principi suoi rivali, oppure affrontare il sacrificio come campione della Francia, di quella Francia che era impossibile salvare dalla rovina e rigenerare senza l'abbattimento rivoluzionario delle condizioni politiche e sociali che avevano generato il Secondo Impero, e che sotto la sua vigilante protezione erano maturate fino all'infracidimento completo. Parigi, stremata da una carestia di 5 mesi, non esitò un istante. Decise eroicamente di affrontare tutti i rischi della resistenza contro i cospiratori francesi, nonostante che i cannoni prussiani la minacciavano dai suoi stessi forti» (24).

 

IL 18 MARZO 1871

 

Politicamente il governo Thiers e l'Assemblea dei rurali avevano fatto tutto quello che era necessario per provocare non solo il proletariato ma anche la piccola borghesia. Basta ricordare che dalla stessa Assemblea si dimisero i pochi rivoluzionari che Parigi era riuscita a inviarvi, e si dimisero i radicali gambettiani che erano ancora per la repubblica e contro la pace con Bismarck. Militarmente Thiers era ancora meno forte. Con la sola divisione permessa dai prussiani, 3.000 poliziotti e 15.000 soldati, come poteva pensare a far fronte a 300.000 guardie nazionali raccolte intorno al loro C.C.? Forse egli si illudeva di avere già dalla sua parte la maggioranza delle G.N. o di riuscire a guadagnarle parlando ancora di patria e di repubblica.

Nell'ultimo proclama ad esse indirizzato, il governo smentisce le voci del colpo di stato militare che si prepara a fare e sostiene che, con le misure già prese, è deciso a mantenere «l'ordine». «Esso ha voluto e vuole finirla con un comitato insurrezionale, i cui membri, quasi tutti sconosciuti alla popolazione, non rappresentano che le dottrine comuniste e metterebbero Parigi e la Francia al saccheggio se la G..N. e l'esercito non si levassero per difendere di comune accordo la Patria e la Repubblica» (*).

In quanto alla Parigi operaia e rivoluzionaria inquadrata nelle G.N., c'è da dire che il suo C.C. non è la direzione di un partito veramente all'altezza della situazione.

«Quello che noi siamo, l'hanno fatto gli eventi:::, noi siamo la barriera inesorabile eretta contro ogni tentativo di rovesciare la repubblica» (25). Così si esprime in una sua relazione all'Assemblea generale dei delegati delle G.N. del 10 marzo.

Il C.C. si riconosce dunque un prodotto degli ultimi avvenimenti e, necessariamente, il suo programma deve essere di una estrema semplicità: fungere da sentinella a guardia della repubblica - un compito militare puramente difensivo. L'ultima citazione di Marx sull'«alternativa» così continua: «Pure,  ripugnando alla guerra civile a cui Parigi doveva essere istigata, il C:C: continuò a mantenersi in una posizione puramente difensiva, malgrado le provocazione dell'Assemblea, le usurpazione del potere esecutivo e la minacciosa concentrazione di truppe in Parigi e dintorni» (il corsivo è nostro) (26).

Naturalmente, sarebbe puerile negare alle G.N. e ancor più al suo C.C. la coscienza dell'importanza della loro azione in difesa dell'ordine repubblicano. Quando c'è una volontà tanto ferma e roisoluta, non può non esserci la coscienza di ciò che si vuole ottenere o si vuole evitare. E questa coscienza, lo si voglia o no, è il prodotto non degli avvenimenti, ma del lavoro che da 7 anni aveva svolto il partito rivoluzionario della classe operaia. Per le G,N. e il loro C.C. la repubblica doveva possedere un contenuto sociale: doveva essere una Repubblica del Lavoro e non una Repubblica del Capitale. Quel che manca al C.C. dell G.N. è la chiara visione strategica di una giusta politica rivoluzionaria, per cui ciò che di positivo esso farà sul pinao militare sarà in parte merito degli eventi e degli errori del nemico di classe. I membri del C.C. sapevano di riscuotere la fiducia popolare, ma non si rendevano abbastanza conto che, nella «crisi di potere» esistente, essi erano già depositari di un forte potere. Si trattava anzi di afferrarlo tutto nelle mani spazzando via gli «usurpatori». Invece, quando fra poco ciò avverrà, essi avranno una fretta incredibile di disfarsene, come se sentissero di essere schiacciati sotto il suo peso.

«Thiers aprì la guerra civile, mandando Vinoy, a capo di una moltitudine di guardie di città e di alcuni reggimenti di fanteria , in spedizione notturna contro Montmartre, per impadronirsi di sorpresa dell'artiglieria della G.N. E' noto come questo tentativo sia andato a monte per la resistenza della G.N. e la fraterninzzazione della fanteria col popolo» (27).

Omettiamo anche noi la descrizione particolareggiata della fallita operazione Thiers-Vinoy, Conviene invece rilevare che, dopo questa sconfitta militare, il  «piccolo uomo» riportò una asconfitta politica non meno cocente. Non avendo potuto con le sue forze armate strappare i cannoni, Thiers tentò la carta dell'adulazione:

«... Rese nota la sua magnanima decisoone di lasciare la G.N. in possesso delle sue armi, con le quali, diceva, essa si sarebbe sicuramente raccolta attorno al governo contro i ribelli. Su 300 mila G.N. solo 300 risposero a quest'appello di raccogliersi, contro se stesse, attorno al piccolo Thiers» (28). Fu a questo punto che costui decise di far fagotto e scappare a Versailles senza ascoltare quegli altri membri del governo che ancora si illudevano che la partita non fosse persa. Invece l'insurrezione si era propagata in ogni parte della città dando luogo a varie battaglie locali.

Uno di questi episodi è l'uccisione dei generali Lecomte e Thomas in via dei Rosies. Barrivate erano sorte in più parti e, verso sera, resesi conto che Thiers e parte delle sue truppe avevano lasciato Parigi, le G.N. passarono alla «offensiva» ovunque, occupando uno dopo l'altro gli edifici importanti e i posti chiave per far fronte a eventuali ritorni controffensivi. La sera il C.C. si riunisce a Palazzo di Città e prende in mano le redini del potere. «La gloriosa rivoluzione operaia del 18 marzo stabilì su Parigi il suo dominio incontestato. Il C.C. fu il suo governo provvisorio». E Marx continua: «L'Europa parve per un istante dubitare se quei sensazionali spettacoli politici e militari avessere una qualche realtà o non fossero il sogno di un passato da lungo tempo scomparso» (29).

Se si guarda più da vicino all'azione di resistenza proletaria di quella grande giornata, non si può negarle una certa spontaneità: lo stesso C.C. ha funzionato più come organo ricettivo che direttivo. E' vero che esso ormai era all'erta e vigilava sulle imminenti mosse di Thiers, ma è anche vero che non apprestò un piano di attacco preventivo e nemmeno un piano di difesa con istruzioni particolari ai vari battaglioni. Si era solo pronunciato genericamente nel senso che «il primo colpo non sarebbe partito mai dal popolo».

 

TATTICA OFFENSIVA PER UNA STRATEGIA DIFENSIVA

 

La «offensiva» di cui abbiamo parlato l'abbiamo messa tra virgolette per sottolineare il fatto che non si inquadrava in una mutata stategia. L'offensiva era solo un fatto di natura tattica e ciò non contraddice alla «posizione puramente difensiva» che abbiamo messo in corsivo nella citazione di Marx. E che una tattica offensiva non sia inconciliabile con una strategia difensiva è lo stesso Marx che ce lo insegna. Parlando infatti del carattere della guerra che i prussiani conducevano all'inizio, egli, nel secondo Indirizzo su tale guerra, giustificava così che la Prussia oltrepassasse i confini della Francia: «una guerra di difesa non esclude, naturalmente, le operazioni offensive imposte da circostanze militari». Dialetticamente sono da ritenere conciliabili operzzioni tattiche difensive nel quadro di una strategia offensiva.

Che l'«offensiva» non avesse nulla di strategico, lo prova il fatto che non si pensò di prednere un provvedimento piuttosto ovvio: quello di chiuidere le porte della  città per non permettere a ministri e generali di evacuare, e farli anzi prigionieri.

L'adozione di una strategia difensiva al posato di una strategia offensiva da parte del C.C. della G.N. sarà purtroppo continuata dal governo della Comune e porterà alla sua sconfitta militare.

 

LA «BONARIETA»

 

Malgrado tutto, abbiamo visto che la rivoluzione riuscì egualmente vittoriosa. Ma è amaro constatare che, mentre gli errori e la sconfitta del nemico stimolano la controrivoluzione a preparare la sua rivincita, la vittoria relativamente facile e quasi senza spargimento di sangue da parte proletaria non solo non incita il C.C. a un rapido esame critico delle azioni svolte, ma, cosa ancor più grave, favorisce errori che si riveleranno presto «fatali».

Prima di parlare di questi, conviene accennare al fatto che il C.C., nella sua qualità di governo della rivoluzione, ha ripetuto gli errori del passato - errori di indulgenza ingiustificata e di  «bonarietà». Infatti esso non ha materialmente punito gli  «uomini dell'ordine»:  «il loro panico fu la loro sola punizione». La sacrosanta vendetta operaia, che essi temevano per gli assassinii da loro compiuti  «dal giugno 1848 al 22 gennaio 1871» (30) in effetti mancò al punto che «gli uomini dell'ordine non sllo non furono molestati, ma si permise loro di riunirsi e di occupare tranquillamente più di una posizione forte nel centro stesso di Parigi. Questa indulgenza del C.C., questa generosità degli operai armati, in cos' singolare contrasto con le abitudini del "partito dell'ordine", fu intesa a torto da quest'ultimo come una semplice progetto di tentare, sotto la maschera di una dimostrazione pacifica, quello che Vinoy non era riuscito a fare con i suoi cannoni e con le sue mitragliatrici. Il 22 marzo una turba sediziosa di bellimbisti si mosse dai quartieri eleganti con tutti gli zerbinotti nelle sue file... Col pretesto codardo di una dimostrazione pacifica, questa marmaglia, armata in segreto con le armi dei bravi, avanzò in ordine di marcia... tentò... di espugnare così di sorpresa il quartier generale della G.N. in piazza Vendôme» (31).

E' vero poi che «una sola salve mise in fuga disordinata gli stupidi zerbinotti i quali speravano che la sola esibizione delle loro "rispettabili persone" avrebbe avuto sulla rivoluzione di Parigi lo stesso effetto che le trombe di Giosuè sulle mura di Gerico» (32), ma non si può disconoscere che certi idealismi di tipo liberale e di ordine sentimentale non hanno ragione di essere in un partito e in un organo di direzione rivoluzionaria, specie quando è in gioco tutto un avvenire storico.

Non che si voglia qui teorizzare come giusto lo spirito di vendetta «in sé», ma se la vendetta può essere - com'è in realtà -  uno strumento della lotta proletaria, di ha il dovere di farne uso. Se è vero che i borghesi ne abuseranno dopo il trionfo della loro controrivoluzione, se è vero che la loro vendetta oltrepasserà ogni limite giustificabile dal cosiddetto «stato di necessità», se è vero tutto ciò, non è giuistificabile che il proletariato disdegni questo mezzo di agitazione e di azione rivoluzionaria. In guerra, anche per il proletariato, deve vigere la morale di guerra e non è ammissibile bonarietà di sorta.

 

GLI ERRORI FATALI DEL C. C. DELLA GUARDIA NAZIONALE

 

Ma i gravi errori rilevati da Marx e ripresi e sviluppati da Trotsky si riducono essenzialmente a due: uno militare, l'altro politico.

«Riluttante  a continuare la guerra civile, aperta dalla brigantesca spedizione di Thiers contro Montmartre, il Comitato Centrale si rese allora colpevole di un errore fatale non maciando subito contro Versailles, allora completamente indifesa, e non ponendo così fine ai complotti di Thiers e dei suoi rurali» (33). Di tale errore militare Marx aveva già parlato scrivendo a Kugelmann il 12 aprile 1871, dove continuava così: «Secondo errore: il Comitato Centrale ha deposto il suo potere troppo presto, peer cedere il posto alla Comune Ancora una volta per scrupolo di "onore" esagerato!» (34).

Come si vede, Marx, come già nel 1848, sostiene energicamente la strategia offensiva. Per questa strategia si orienterà Lenin dal febbraio all'ottobre 1917.

 

LA COMUNE E LE SUE ULTIME GRANDIOSE LOTTE

 

Negli otto giorni che seguirono il 18 marzo non si pensò che a fare le elezioni per la Comune, la quale, usando le parole di Vermorel, doveva essere «un governo legale riconosciuto e rispettato da tutta la popolazione di Parigi» (*).

Se si tiene presente il concetto marxista di legalità, alla quale abbiamo già accennato, non si può non notare la contraddizione in cui cadevano i dirigenti del C.C. con la loro eccessiva ed errata preoccupazione della legalità. Essi davano importanza alla forma e diomenticavano la sostanza in base alla quale essi avevano già agito: ciò era certo una eredità funesta delle concezioni borghesi e delle loro finzioni in matweria: si era dimenticato che «la rivoluzione (del 4 settembre) era diventato il regime legale della Francia». E se pure quella non ci fosse stata, la sola rivoluzione del 18 marzo - aggiungiamo noi - sarebbe stata più che sufficiente a dare titolo legale a quel governo che era il C. C. e perciò esso non doveva avere alcuna fretta a sbarazzarsi del potere.

Il problema militare si poneva allora assai al di sopra di quello politico ed amministrativo, e pensare a fare le elezioni significava solo perdere tempo prezioso nell'assolvere quel compito primario. Ma la debolezza del C.C. risiedeva in realtà nel fatto che esso non era la testa di un partito omogeneo. Sulla volontà di pochi dei suoi membri di marciare su Versailles, si affermò e prevalse la volontà politica di compromesso e di riconciliazione degli elementi piccolo borghesi.

Purtroppo, nemmeno i membri della Comune capirono che essa, cioè la Comune, «era una barricata e non un'amministrazione». Ad essi, come già ai membri del C.C. delle G.N. fece difetto la scienza militare e rivoluzionaria, e la sua strategia offensiva. Non si dedicarono grandi cure all'organizzazione dell'armata comunale in ciò che era amministrazione, disciplina, fomazione di quadri ecc., né si prepararono piani accurati per combattere in modo efficace l'esercito della controrivoluzione.

Ad aggravare questo stato di cose vi fu una ingiustificata duplicità di poteri in materia militare. Ancora il 3 maggio infatti il C.C. osava chiedere che il ministro della guerra della Comune si mettesse sotto il suo controllo. Dunque, mentre in un primo tempo il C.C. si era voluto disfare del potere che la rivoluzione gli aveva consegnato, in un secondo tempo non volle più rinunciarvi completamente. Questa contraddizione non poteva non avere i suoi effetti nocivi sulla condotta della guerra contro Thiers, la cui forza militare, del tutto nulla per i primi 15 giorni seguenti alla sua fuga, era ancora trascurabile un mese più in là. La sua tattica «oltranzista», secondo la quale erano da considerare delitti «gli appelli alla riconciliazione», non gli aveva fruttato approvazione da alcuno, e nessuno degli sperati aiuti militari gli era pervenuto dalla provincia. Perciò, dal 30 aprile egli iniziò la «commedia di conciliazione» (come fanno oggi gli americani col Vietnam) (35), mentre si preparava alla guerra di brigantaggio contro Parigi. Ma nemmeno questa tattica nuova fruttò aiuto materiale e morale all'Assemblea dei rurali, il cui esercito contro-rivoluzionario era ancora «una accozzaglia variopinta di marinai, zuavi pontifici, gendarmi di Valentin, sergents de ville e mouchards di Pietri. Questo esercito sarebbe stato impotente fino al ridicolo senza l'aggiunta dei prigionieri di guerra dell'esercito imperialista, che Bismarck fornì esattamente in numero sufficiente ad alimentare la guerra civile e a tenere il governo di Versailles alle abiette dipendenze della Prussia» (36).

Verso i primi di maggio Thiers era completamente nelle mani di Bismarck che, in cambio «offriva di lasciar libero, per lo sterminio di Parigi, l'esercito bonapartista prigioniero e di dargli l'aiuto diretto delle truppe dell'imperatore Guglielmo» (37). E quando poi «Mac Mahon fu in grado di assicurargli che in breve tempo sarebbe potuto entrare in Parigi», a quel pigmeo di Thiers fu dato di «recitare la parte di un Tamerlano» (38).

Il 21 maggio il tradimento aprì le porte di Parigi all'esercito della controrivoluzione borghese franco-tedesca che doveva macchiarsi di crimini innominabili. «Perfino le atrocità dei borghesi nel giugno 1848 scompaiono davanti all'infamia indicibile del 1871. L'eroico spirito di sacrificio col quale la popolazione di Parigi - uomini, donne e bambini -  combattè per otto giorni dopo l'entrata dei versagliesi, rispecchia la grandezza della loro causa, quanto le azioni diaboliche della soldatesca rispecchiano lo spirito innato di quella civiltà di cui essa è la vendicatrice mercenaria» (39). e con questa settimana di sangue (21-28 maggio) ebbe termine il «tremendo avvenimento storico» della Comune (40).

Non è questa la sede per dilungarci sul grandioso significato storico di questa prima dittatura proletaria. Con la Comune «un nuovo punto di partenza di impoprtanza storica univerasale è conquistato». Di tutta la grandiosa opera positiva del governo della Comune vogliamo ricordare qui il suo primo decreto: «la soppressione dell'esercito permanente e la sostituzione ad esso del popolo armato». Abbiamo segnalato solo e volutamente gli errori vitali commessi dalla direzione dell'armata comunale, per mettere in rilievo il ruolo insostituibile di un partito di classe la cui organizzazione si elevi al livello del partito storico e ne applichi gli insegnamenti su tutti i settori dell'attività a cominciare da quello militare. Ma non possiamo terminare questo lavoro di partito senza additare ai proletari di oggi e di domani l'esempio dei loro valorosi antenati parigini.

Questa consegna vale per gli operai di tutto il mondo, perché la Comune fu un governo anche internazionale che «annettè alla Francia gli operai di tutto il mondo» e «ammise tutti gli stranieri all'onore di morire per la sua causa immortale». Nell'augurio che la nostra dura opera teorica e pratica possa vedere presto il partito organizzato su scala mondiale e con forza tale da far tremare le vene e i polsi alla borghesia più che mai sfruttatrice, oppressiva e sanguinaria, noi ripetiamo con Marx: «Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno come l'araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riuscirannop a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti» (41).

(continua)

 


 

(1) La questione militare è stata trattata, anche dal punto di vista storico dello sviluppo della lotta di classe del proletariato, in diverse riunioni generali del partito, a partire dal 1962 (Genova 3-4 novembre), per proseguire negli anni successivi fino al 1966. Nel 1963 alla riunione generale di Milano (4-5 maggio), di Parigi ( 13-14 luglio) e di Firenze (3-4 novembre). Nel 1964 viene ripresa a Milano (29-30 marzo) e a Marsiglia (11-13 luglio). Nel 1965 è trattata nella riunione generale di Firenze (31.10/1.11) e ancora a Milano, nel 1966 (2-3 aprile). Il corso storico affrontato andava dalla società feudale, con la sua espansione militare, al suo declino e crollo corrispondente allo sviluppo della società capitalista e delle sue forze militari (rivoluzione francese del 1789, in primis). Da qui, dopo una breve panoramica del periodo che va dalla rivoluzione francese alla Comune di Parigi, si sono riassunti gli aspetti principali della Restaurazione e delle tendenze del movimento operaio fino allo scoppio della guerra mondiale del 1914. Particolare approfondimento è stato dedicato, ovviamente, alla Comune di Parigi in quanto fase storica dell'organizzazione del proletariato in classe, quindi in partito, e  sua costituzione in classe dominante. Tutti i rapporti tenuti alle riunioni generali sono stati pubblicati per esteso, salvo alcuni di cui si è pubblicato solo un riassunto, nel giornale di partito dell'epoca, "il programma comunista".

(2) Si tratta del Primo Indirizzo del Consiglio generale della I Internazionale sulla guerra franco-prussiana, scritto da Marx e approvato nella seduta del 23 luglio, diffuso in inglese, tedesco e francese. In Marx, La guerra civile in Francia, Ed. Riuniti, 1977.

(3) Mac Mahon (1808-1893), generale, duca di Magenta, partecipò alle campagne di Crimea, 1855, e d'Italia, 1859, battendo gli austriaci a Magenta. Sconfitto sonoramente a Sedan durante la guerra franco-prussiana, fu a capo della repressione della Comune di Parigi; divenne presidente della repubblica nel 1873 ma si dimise nel 1879 perchP in contrasto con la maggioranza repubblicana perché voleva restaurare la monarchia. - Charles-Auguste Frossard (1807-1875, assegnato all'arma del genio, come colonnello partecipò nel 1849 alle operazioni contro la repubblica romana; partecipò alle campagne di Crimea e all'assedio di Sebastopoli, nel 1859 alla guerra d'Italia come comandante del genio e diventa generale sotto Napoleone III; nella guerra franco-prussiana del 1870-71 era al comando dell'armata del Reno, sconfitto nella battaglia di Spicheren. Tornato in Francia dopo la capitolazione di Metz fu destinato alla presidenza del comitato fortificazioni dalla terza repubblica. - François-Achille Bazaine (1811-1888), maresciallo di Francia, prese parte alle guerre in Spagna contro i carlisti, in Algeria, in Crimea e nel 1859 in Italia al seguito di Mac Mahon; nel 1862 è in Messico con l'arciduca Massimiliano d'Austria. Richiamato da Napoleone III, nella guerra franco-prussiana ebbe il comando supremo dell'esercito francese, ma a Metz le sue indecisioni contribuirono alla disfatta di Mac Mahon a Sedan. Processato fu condannato a morte, ma Mac Mahon commutò la pena in 20 anni di carcere; Bazaine evase e si rifugiò in Spagna. - Emile Ollivier (1825-1913), avvocato, commissario generale delle Bocche del Rodano e del Var, deputato repubblicano, si oppose a Napoleone III formando un gruppo detto "dei Cinque", ma in seguito si accostò sempre più all'imperatore, il 2 gennaio 1870 accettò di presiedere il ministero, dando vita a un illusorio "Impero liberale" su cui scrisse un'opera mastodontica in 17 voll., occupandosi anche di letteratura, arte, diritto e filosofia. - C-G-M-A-A-Cousin-Montauban, conte de Pelikao (1796-1878), partecipò alla spedizione del 1823 in Spagna per rimettere Ferdinando VII sul trono; partecipò alla guerra in Algeria dal 1831 al 1857 diventando generale; comandò le truppe francesi nella spedizione congiunta anglo-francese in Cina nel 1860, sconfisse le truppe cinesi a Pa-li-ch'iao (in francese: Palikao), una città vicina a Pechino dove entrò il 12 ottobre lasciando che le proprie truppe saccheggiassero la capitale e incendiassero i palazzi. Diventato senatore di Francia, fu nominato nel 1862 Conte de Palikao da Napoleone III. Durante la guerra franco-prussiana, Palikao fu designato, nell'agosto 1870, primo ministro del governo, ma durò meno di un mese e subì le conseguenze della catastrofica sconfitta di Sedan l'1 settembre; il 4 settembre scoppiò la rivoluzione repubblicana e Palikao fuggì in Belgio.

(4) La battaglia di Sedan si svolse tra il 31 agosto e il 2 settembre 1870; le truppe prussiane, comandate dal feldmaresciallo von Moltke, accerchiarono l'armata francese di Châlons comandata prima da Mac Mahon e poi dai gen. Ducrot e de Wimpffen, presente anche Napoleone III, mentre l'armata del Reno, comandata dal gen. Bazaine ripiegava sul campo fortificato di Metz dove rimarrà assediata; per le truppe francesi fu la sconfitta catastrofica che mise in pericolo la capitale Parigi nella quale, il 4 settembre, scoppiò la rivoluzione repubblicana che fece crollare il Secondo Impero.

(5) M-J-L-Adolphe Thiers (1791-1877), titolare di diversi dicasteri sotto Luigi Filippo d'Orleans (1832-1848), poi (1848-1851) sostenitore di Napoleone III fino al colpo di Stato del dicembre 1851 [vedi Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte]. Ebbe una certa notorietà come storico con la sua Histoire de la Révolution française, ma lasciò un'impronta indelebile nella storia della controrivoluzione borghese durante la guerra franco-prussiana del 1870-71 e negli orrendi massacri dei comunardi parigini: gli ostaggi innocenti venivano fucilati non importa se uomini, donne o bambini; per la prima volta fu usato il petrolio per incendiare gli edifici con tutti i suoi abitanti; Parigi venne sventrata sistematicamente dai bombardamenti dalle truppe versagliesi, sempre ben protette dalle truppe "nemiche" prussiane che assediavano la capitale. Thiers ("quel maligno aborto", come lo definì Marx nella lettera a kugelman del 12 apriel 1871) è sempre andato fiero di aver represso e sepolto la Comune di Parigi sotto decine di migliaia di cadaveri, al fine di restaurare la civiltà borghese, concordando ogni mossa contro la Comune con Bismarck. Dopo essere stato a capo del governo nel febbraio 1871, a capo del tradimento della "patria" vendendosi alla Prussia pur di abbattere la Comune e a capo dei massacri contro i comunardi, verrà eletto presidente della repubblica nell'agosto 1871, ma la forte opposizione dello schieramento monarchico lo dimetterà nel 1873.

Ottone di Bismarck (1815-1898), figura chiave nella storia prussiana, tedesca ed europea della seconda metà del XIX secolo. Artefice dell'unità della Germania e capo del governo del neonato Stato tedesco dal 1871 al 1890. Esponente degli Junker (grande e potente nobiltà fondiaria della Germania orientale), reazionario, convinto assertore dell'unità tedesca "dall'alto" e perciò in netto contrasto con i liberali e i democratici delle rivoluzioni del 1848-49 che l'avrebbero voluta realizzare "dal basso". Due sono state le guerre che l'hanno visto protagonista e che hanno fatto da base all'unificazione tedesca: la guerra del 1866 vinta contro l'Austria, all'epoca il principale ostacolo all'unificazione, e la guerra che la Francia sferrò nel 1870-71 contro la Prussia, ma che Bismarck vinse, decretando il crollo dell'impero napoleonico e la nascita dell'impero tedesco di cui Guglielmo I, re di Prussia, divenne imperatore. Dentro i confini del Reich, Bismarck tentò in tutti i modi di mantenere il primato dell'elemento prussiano rispetto ad altri gruppi sociali, opponendo la corona, l'esercito e la burocrazia al parlamento che, secondo la Costituzione del 1871, veniva eletto a suffragio universale. In politica estera Bismarck cercò di fare della Germania un arbitro tra le grandi potenze europee (Inghilterra, Francia, Russia) ma in modo che non si trovasse accerchiata, a est e a ovest, da potenze ostili; perciò non fu mai convinto assertore delle imprese coloniali, spinte dai circoli militaristi e dalla grande industria, ma dovette cedere e nel 1890 si ritirò.

(6) Cfr. K. Marx, Lettere a Kugelmann,  Londra, 12 aprile 1871, Ediz. Rinascita, 1959, p. 140.

(7) Cfr. L. Trotsky, Insegnamenti della Comune di Parigi, in L. Trotsky, 1917, Insegnamenti dell'Ottobre, Reprint il comunista, 1989, pp. 59-70.

(8) Cfr. K. Marx-F. Engels, Lettere 1874-1879, Engels a Friedrich Adolph Sorge, Londra, 12 settembre 1874, Edizioni Lotta Comunista, p. 35.

(9) Cfr. K. Marx, Lettere a Kugelmann,  Londra, 12 aprile 1871, cit., pp.139-140, che continua così: «Dopo sei mesi di fame e di rovina, causate dal tradimento interno ancor più che dal nemico esterno, insorgono sotto le baionette prussiane comne se non ci fosse mai stata una guerra tra la Francia e la Germania e come se il nemico non fosse tuttora davanti alle porte di Parigi! La storia non ha nessun simile esempio di simile grandezza! Se soccomberanno, la colpa sarà soltanto della loro "bonorietà". Occorreva marciare subito su Versailles, dopo che prima Vinoy e poi la parte reazionaria della Guardia nazionale di Parigi avevano da sé sgombrato il terreno. Per scrupoli di coscienza si è lasciato passare il momento opportuno. Non si è voluto incominciare la guerra civile, come se quel mischievous avorton (maligno aborto) di Thiers non avesse già iniziato la guerra civile col suo tentativo di disarmare Parigi! Secondo errore: il Comitato Centrale ha deposto il suo potere troppo presto, per cedere il psoto alla Comune. Ancora una volta per scrupolo di "onore" esagerato! Ad ogni modo questa attuale insurrezione di Parigi - anche se sarà sopraffatta dai lupi, dai porci e dai volgari cani della vecchia società - è lapzione più glioriosa del nostro partito dopo l'insurrezione di giugno [1848, NdR]. Si confrontino questi titani parigini con gli schiavi celesti del Sacro Romano Impero tedesco-prussiano, con le sue postume mascherate, che puzzano di caserma, di chiesa, di nobiltà rurale e soprattutto di filisteismo [...]».

(10) Cfr. P.O. Lissagaray, Storia della Comune, Editori Riuniti, Roma 1962, p. 48.

(11) Ibidem, p. 48.

(12) Ibidem, p. 52.

(13) Jemappes, cittadina vallone del Belgio, dove, nell'aprile del 1792, dopo che la Francia rivoluzionaria dichiarò guerra al regno d'Ungheria e Boemia (sotto Francesco II d'Austria), i rispettivi eserciti si scontrarono per l'ultima volta. Le truppe francesi vinsero il 6 novembre 1792 dopo aver attaccato improvvisamente gli austriaci che si erano ritirati appunto a Jemappes attendendo rinforzi che non giunsero in tempo. E così il Belgio austriaco (con Bruxelles e Liegi) cadde in mano francese.

(14) Cfr. P.O. Lissagaray, Storia della Comune, cit., p. 54.

(15) Ibidem, p. 56.

(17) Louis-Jules Trochu (1815-1896), generale nella guerra di Crimea e nelle battaglie di Magenta e Solferino in Italia. Governatore di Parigi nel 1870 durante la guerra franco-prussiana e, dal 4 settembre, presidente del Governo di Difesa Nazionale (GDN).

(18) Il manifesto rosso, redatto da Gustave Tridon e Jules Vallès, proclamava: «Il governo si è incaricato della difesa nazionale, ha adempiuto la sua missione? NO... Con la loro lentezza, la loro indecisione, la loro inerzia... quelli che ci governano ci hanno condotto fino ai margini dell'abisso... Essi non hanno saputo né amministrare, né combattere... Si muore di freddo, già quasi di fame. Sortite senza scopo, lotte mortali senza risultato, insuccessi ripetuti... Il governo ha dato la misura di se stesso: esso ci uccide... La perpetuazione di questo regime è la capitolazione... La politica, la strategia, l'amministrazione del 4 settembre, continuatrici dell'Impero, sono ormai giudicate. Largo al popolo, largo alla Comune!». Gustave Tridon (1841-1871): Lissagaray lo definisce "ricco studente" di Parigi, seguace di Blanqui che conobbe in carcere, fece parte del CC dei 20 Circondari di Parigi; riuscì a fuggire alla fine della Settimana di sangue contro i comunardi, ma morì a Bruxelles due mesi dopo. Jules Vallès (1832-1885), antibonapartista, repubblicano, aderente alla Prima Internazionale, giornalista e scrittore, fondatore del giornale "Le cri du peuple", membro del CC dei 20 Circondari; noto soprattutto per il romanzo L'insurgée, in cui racconta dal vivo i giorni della Comune; è sua la formula di scrittura con la quale suddividerà il periodo che va dal 4 settembre 1870 al 18 marzo 1871 in cinque giornate, ossia cinque capitoli in cui vengono caratterizzate le varie fasi della lotta che sfocerà nella Comune di Parigi.

(19) Léon Gambetta (1838-1882), repubblicano, massone, oppositore dell'impero, da deputato dal 1869 sottoscrive i crediti di guerra nel conflitto franco-prussiano; dopo Sedan proclama la Terza Repubblica (4 settembre 1870) ne diventa ministro degli Interni ma in ottobre, sotto l'assedio di Parigi, fugge per costituire un governo a Tour e poi a Bordeaux. Fiancheggerà Thiers, sostenendo l'abbattimento della Comune e il massacro dei comunardi; si oppose al monarchico Mac Mahon e sostenne la costituzione repubblicana del 1875; salì al potere nel 1881, per soli 66 giorni, poi di nuovo all'opposizione, morì l'anno successivo per complicazioni dopo essersi ferito una mano.

(20) La guardia nazionale in Francia, secondo una legge del 1868, venne suddivisa in mobile e sedentaria. La guardia nazionale mobile era composta da uomini in età soggetta al servizio militare che non erano compresi nell'esercito e nella riserva e che venivano adoperati per la difesa della frontiera, per il servizio nel retroterra e per il servizio di guarnigione. All'inizio della guerra franco-prussiana 1870-71 la formazione della guardia mobile si trovava ancora agli inizi, durante la guerra furono richiamati alle armi nella guardia mobile uomini dai 20 ai 40 anni. Nella guardia nazionale sedentaria furono richiamati uomini esenti dal servizio militare attivo e annate più anziane soggette agli obblighi militari. Dopo la sconfitta dell'esercito regolare francese, la guardia nazionale costituì il nucleo delle truppe francesi. Nel 1872 essa venne sciolta.

(21) Cfr. F. Engels, Introduzione a "La guerra civile in Francia" di K. Marx, 18 marzo 1891, in «1871 La Comune di Parigi. La guerra civile in Francia», edizioni International-Savona/edizioni La vecchia talpa-Napoli, 1971, pp. 85-86. Vedi anche Marx, La guerra civile in Francia, Introduzione all'edizione tedesca del 1891 di Engels,. Editori Riuniti, 1977, pp 17-18.

(26) Cfr. Marx, Indirizzo del Consiglio generale dell'Associazione internazionale degli operai (La guerra civile in Francia), 30/5/1871, cit., p. 68.

Joseph Vinoy (1803-1880), nel 1823 si arrula nella Guardia Reale, fa carriera militare partecipando alla campagna d'Algeria nel 1830 e per più di vent'anni rimase in Africa al comando di reparti coloniali. Convinto bonapartista appoggia il colpo di stato di Napoleone III nel 1851, partecipa alla guerra di Crimea come generale di brigata e all'assedio di Sebastopoli nel 1855, diventando generale di divisione. Partecipa alla seconda guerra di indipendenza italiana. Tornato in Francia e messo a riposo per limiti di età viene richiamato dopo le prime fasi disastrose della guerra franco-prussiana ed ebbe un ruolo importante nella repressione della Comune di Parigi.

(27) Ibidem, p. 68.

(28) Ibidem, p. 68-69.

(29) Ibidem, p. 69.

(30) Ibidem, p. 71.

(31) Ibidem, pp. 71-72. Gli zerbinotti erano i damerini, in francese i petits crevés.

(32) Ibidem, p. 72.

(33) Ibidem, p. 73.

(34) Cfr. K. Marx, Lettere a Kugelmann, Ed. Rinascita, 1950, p. 140.

(35) Ricordiamo che questo scritto è stato pubblicato nel "programma comunista" n. 4, 24 febbraio-10 marzo 1966, quindi in piena guerra americana contro i vietcong, sebbene si stesse ampliando l'opposizione pacifica di massa contro la guerra in Vietnam.

(36) Sergents de ville: erano le guardie della polizia municipale; mouchards: informatori della polizia. Joseph Marie Petri (1820-1902) era prefetto di polizia di Parigi nel 1870 e diresse la repressione contro i comunardi. Cfr. Marx, Indirizzo del Consiglio generale dell'Associazione internazionale degli operai (La guerra civile in Francia), 30/5/1871, cit., p. 98.

(37) Ibidem, p. 103.

(38) Ibidem, p. 104.

(39) Ibidem, p. 105.

(40) Ibidem, p. 111.

(41) Ibidem, p. 114.

 

Il tema, sempre dal punto di vista della "questione militare" viene ripreso nella Riunione generale successiva di Milano, 2-3 aprile 1966, entrando un po' più nel merito e riferendoci più direttamente  a Trotsky (Gli insegnamenti della Comune), dalla famosa sortita da Parigi del 3 aprile alla settimana di sangue (21-28 maggio 1871). Il rapporto lo ripubblichiamo in altre due puntate nei prossimi numeri de "il comunista".

 

 

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